Aprì gli occhi e ben presto si accorse di non riuscire a mettere a fuoco. L’aria attorno era densa, pesante, e ad ogni respiro affannoso sentiva una fitta fortissima che partiva dal petto e arrivava fin dietro la schiena.

Un drago non dovrebbe mai avere paura. Si ripeteva nella testa. Ma in quel momento non si sentiva un drago: non aveva la minima idea di dove si trovasse, ad ogni respiro sentiva dolori lancinanti e niente di quello che si trovava attorno a lei riusciva a prendere forma.  Era terrorizzata.

Era immobile, non osava muoversi e non poteva fare affidamento su nessuno dei suoi sensi. Voleva urlare, alzarsi, ma sentiva che il suo corpo non ne era in grado.

All’improvviso sentì una mano sulla sua fronte. Fece un balzo, spostò la testa di lato e si rese subito conto che questo piccolo movimento della testa le sarebbe costato caro. Il dolore che provò fu così forte che per qualche secondo non poté prendere fiato.

“Piano, bambina mia. Non temere, non ho alcuna intenzione di farti del male.”

La voce che Dany sentì era dolce, delicata come il tocco della mano che continuava ad accarezzarle i capelli.

“Il peggio è passato, credimi, ma ora devi continuare a riposare.”

Dany non vedeva, poteva solo continuare ad ascoltare quella voce così rassicurante. Riprese a respirare. Prima respiri brevi per paura che quel dolore tornasse. Poi pian piano i respiri si fecero più lenti, più profondi, prendendo il ritmo della mano che, instancabile, continuava ad accarezzarle i capelli.

“Sei viva, sei qui con noi, nella nostra piccola casa. Non ci conosciamo, ma questo non ha importanza. Non devi preoccuparti di niente. Devi solo pensare a riposare, ora. Lascia tempo al tuo corpo, ha bisogno di guarire.”

Dany continuava a non capire, a non rendersi conto di nulla, a non ricordare. Non sapeva se si trovasse nel bel mezzo di un sogno o se fosse morta. Non sapeva chi fosse la donna che si stava prendendo cura di lei. In quel momento quella voce così gentile e delicata le bastava per non affondare, era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi per non cadere nell’abisso.