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Autore: LUXCIA    23/01/2020    2 recensioni
Se privi di adattamento in codesta società si viene delineati come folli ma non è forse codesta definizione, assoggettata all’epoca storica, essa stessa folle?
Alienazione, estraneo da una società che impone, devia la ragione e la fabbrica mediante standard convenevoli che esigono, certamente, un decoro denominato normale, salutare.
Appartenenza ad un morale comune, valore condiviso ma privazione di ragione, di libera cognizione. Come se l’uomo, figura paradossale, nella sua diversità venisse annullato.
Tra evoluzione dello spirito ed il regredire di cognizione è più facile pensare che il primo sia proiettarsi all’infuori di se stessi ed il secondo un pacifico vivere.
Genere: Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hannibal Lecter, Will Graham
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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"Lo puoi sentire, percepire così come posso percepirlo io. Tale visione che però ti è stata imposta, un credo baritonale che ti da parvenza di ciò che hai guardato come errore, abominio, non ti attribuisce una veduta arbitraria."
Hannibal era così vicino a Will che una qualsivoglia mossa, persino un respiro più profondo e pieno, avrebbe potuto causare un contatto diretto tra i loro non poi così dissimili corpi, l'unione di quelle due carni travestite, rifinite da vestiti che donavano ma che mai celavano, perché chi erano rimaneva lì palese, dinanzi gli occhi di tutti.
Peccato però, per l'immagine stessa di Hannibal, che nessuno fosse mai riuscito a scrutarlo, a delineare di egli almeno una piccola parte che permettesse di individuarlo per ciò che era nei suoi lati più profondi e melmosi, questo fino alla venuta di quell'uomo. 

Will, Will Graham. Una poesia anche sol poter pronunciare quel nome per le labbra carnose del cannibale.

Voleva certamente assaggiarlo, lo aveva sognato dissimili volte in solitudine nel tepore benevolo del suo letto, voleva divorarlo, ricordarlo, renderlo suo.
Eppure, ahimè, bramava ancor di più scoprirlo, possederlo o quantomeno incatenarlo alla sua persona, ai suoi credi e dargli così l’opportunità di rivelarsi, emancipare la sua vera e fatale essenza.
Erano tempesta quei pensieri, quei desideri per un uomo definito come lo psichiatra, una lama che stava usufruendo non per sé ma contro di sé.
Strambo per un individuo non soggetto all'autolesionismo - che cliché, avrebbe risposto una parte di lui - ma oramai il desiderio era troppo, era entrato didentro quel gioco e non ne sarebbe uscito se non appagando la sua immane curiosità.
Poi, oh si, l'avrebbe divorato. Percepiva già fame didentro il suo animo.
Che sapore, che sfumatura avrebbe avuto da egli?
Che aroma avrebbe sprigionato la sua carne? Quale sarebbe stata la sua essenza?
Il suo sangue...
Si poneva ancora il dilemma, nonostante il tempo avuto per ragionare che raffigurava certamente un lasso temporale alquanto proporzionato al bisogno, con cosa avrebbe dovuto accompagnare tale pietanza, come avrebbe potuto esaltarla senza però, in qualsivoglia modo, contaminarne la sua natura. Non era agevolmente eseguibile ma era certo simultaneamente che mediante le sue più spiccate doti culinarie sarebbe riuscito ad imporre arte nel suo finale.
Eppure, dissimile dal suo solito agire, non l'avrebbe assaggiato per umiliarlo perché pensante di egli come sgradevole o maleducato, lo desiderava unicamente per elevarlo, rendergli servigio.
Infondo, avendolo oramai accettato, avrebbe potuto dichiarare che la sua curiosità per quell’uomo non fosse altro che controverso amore, una follia, forse ossessione o semplicemente il desiderio ardente di condivisione. 

“La chiami visione baritonale Lecter come se dall’altra parte non ci fosse una vita sottratta in maniera indegna. Non puoi credere davvero... no, non puoi credere che le tue azioni non riflettano l’essenza di un mostro.”
Ringhiò trai denti l’empatico e lasciando così che la voce graffiasse ogni speranza, ogni verità celata, diede fine in maniera netta al monologo o, possibile, presa di posizione di Hannibal. Strinse con forza ambedue i pugni e imponendosi le unghie nella propria carne, sperò senza alcun pudore che codeste potessero allungarsi e trafiggerlo, giungere sino al suo cuore per arrestarne la sua corsa inferocita, mettere pace nel suo caduto mondo. Avrebbe adorato con certezza il dolore pungente che cotale avvenire gli avrebbe donato e maledì qualsivoglia essenza ultraterrena vi fosse in quel mondo per non aver esaudito quel suo desiderio, la sua ultima volontà.
Tremava e, per quanto fosse illogico da pensare, non per paura.
Spasmi lievi accompagnavano ogni sua movenza. La rabbia si era diffusa nel suo corpo come fosse epidemia, peste nera, ma nonostante ciò il suo volto era calato, intento a non volersi scontrare con gli occhi fallaci dell’uomo che dinanzi lui sostava altero, temeva di poter vedere troppo e di rimanerne intrappolato, di divenire una sua copia perché non dissimile da una falena.

Omonimo di un mostro, una bestia che di morale non possedeva null’altro che sola nozione teorica.

L’odiava, aveva reso la loro amicizia fasulla, si era deliberatamente preso gioco di lui e lo aveva manipolato senza alcun riguardo, era stato un burattino nelle sue mani ed ancor di più dispregiava il non aver scovato prima l’uggia dalla quale egli pareva circondato. 

Hannibal sorrise portando ambedue gli angoli della bocca all’insù di pochi gradi con fatidica voluttuosità ma Will non potette scrutarlo.
Non volle.
Lo psichiatra nonostante le sue parole vi si sentì vagamente aureo. Il fantastico uomo che stava osservando come fosse dono straordinario non temeva di lui, lo poteva dedurre dalle sue gesta, vi si fidava ancora a tal punto da non dover analizzare ogni mossa del cannibale, come se codesto non avesse potuto fare di egli fonte dei suoi desideri oscuri.
Mio piccolo ragazzo, avrebbe voluto gemere egli con le labbra premute sul lobo destro dell’uomo tremante perché consapevole di quanto Will oramai fosse in suo potere ma invece non lasciò che la lussuria lo dominasse, l’eccitazione era secondaria alla curiosità che scalpitava, lo feriva, lo giustiziava.
Quello era il suo processo, per quali peccati Hannibal non seppe dirlo. 

"Credi davvero di poter fuggire? Giungere lontano, rispettare questi dogmi imposti sino a divenire deleteri per te stesso?"
Calmo, pacato, lieve nelle sue parole come se stesse colloquiando con un suo qualsivoglia  paziente. Continuò così lo psichiatra avvicinandosi alla figura apparentemente instabile di un solo, calcolato, passo.
Egli non era ancora pronto a fronteggiarsi con la tangibilità di quella rivelazione ed Hannibal non avrebbe invaso il suo spazio o avrebbe dovuto vederlo scappare, fuggire via come preda spaurita.
E poi gli sarebbe toccato correre per catturarlo.
Ma avrebbe volentieri evitato cotale scenario per quanto la sola lontana utopia lasciasse sulla sua carne strisce di eccitazione, brividi incontrollati debiti dalla caccia che presagiva sarebbe divenuta sua dipendenza. Sua fonte di vita.

In verità ciò che sarebbe avvenuto tra di loro era un’incognita per il cacciatore.
Dissimili possibilità erano lì ad attenderli, una più allettante dell’altra. 

“Fuggire! Fuggire dal perdere il senno, impazzire. Hannibal cazzo questa è coscienza non il tuo stupido e contorto ragionamento.”
Urlò spazientito, arretrando perché percependosi in gabbia nonostante la vasta apertura offerta dal salone dello psichiatra che, con il senno di poi, all’uomo parve soltanto derisione aggiuntiva, una fasulla percezione che null’altro aveva come scopo se non quello di giocare con lui e forse, non seppe delinearlo con certezza ma di fondo non era a conoscenza di cosa poteva essere certo o meno in quella circostanza, fu quello che lo spinse ad alzare la testa e scrutarlo ancora più irato.
Non si lasciò scivolare nello sguardo di egli, non si lasciò divorare, non ancora, ma potette finalmente palesare il suo disgusto, la sua amarezza ed Hannibal non riuscì a fare a meno di mostrare un’espressione risentita, quasi delusa, inarcando lievemente le sopracciglia di un color biondo lieve, sfumato, per comunicare dissenso. 

“Will... il ling...”

“No! Zitto! Chiudi quella bocca! Non sei altro che un mostro...”
Cercò di convincersi, di crogiolarsi in quel dolore che imperioso stava radendo al suolo ogni cosa, in quel risentimento per poterlo odiare, per dare senso alle sue parole che paradossalmente ad udirle gli parevano più fasulle delle menzogne del cannibale.
Era sconvolto, sopraffatto ed odiava ancor di più il non disprezzarlo per le sue gesta contro l’umanità stessa ma bensì per il suo tradimento nei suoi confronti. 

“È tutto... così sbagliato.”
Un sospiro, negazione. E poi quel lieve spiraglio che donava immensa luce, un credo bastardo ed illogico ma che per Will, dinanzi quello scenario fonte di immenso turbamento e lotta interiore, parve la sola ancora alla quale potersi aggrappare onde evitare di perdere il senno.
Sapeva, di certo, che non lo avrebbe ritrovato sulla luna in caso contrario.

“NEGALO.”
Will, sempre più nervoso, portò le mani ai capelli e strinse così forte da poter percepire dolore eppure codesto pareva ovattato, lontano e quando Hannibal, spazientito da cotale scenario, poggiò il palmo sulla presa di egli, l’empatico scattò come una molla e direzionò la presa ferrea verso il collo dell’uomo, il quale inespiabilmente non fece alcunché per sottrarsi.
“Negalo.”
Ansò stremato Will, oramai privo di forze, del desiderio di lottare.
“Negalo ed io ti crederò.”

"Will, mio caro. Potresti lasciarlo andare... essere chi sia giusto essere, dominare quelle parole che l'uomo stesso, in sua vece, e sotto mentite spoglie definisce di Dio." Strisciarono le parole, lente ed ansanti, prive di ossigeno ma colme di devastazione ed Hannibal, prima ancora di dover sentire l’urgenza fisica di allontanare la stretta di quello che oramai considerava compagno, seppe di aver, in qualche modo, vinto. Annullato lo stolto spirito d'insieme. 

E Will lo lasciò perché forse la sola lotta che doveva compiere era con se stesso, non con l’uomo. 

Il solo mostro da combattere era il suo morale. 

"Se è vita questa." 
   
 
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