Serie TV > Don Matteo
Segui la storia  |       
Autore: Doux_Ange    27/01/2020    0 recensioni
Ancora una volta, con una citazione dalla fiction - stavolta del PM - i nostri Anna e Marco, con un finale diverso per la loro storia, nelle varie puntate. Il titolo potrebbe variare. Grazie sempre a Martina per il brainstorming!
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
RICORDATI DI SANTIFICARE LE FESTE
 
Anna’s pov
 
Quando ci è arrivata la segnalazione di un’aggressione in un autogrill, tutto ci saremmo immaginati tranne che la vittima fosse il Maggiore Tommasi, il genero di Cecchini, in viaggio per Spoleto insieme alla moglie Lia e il piccolo Nino jr per fargli una sorpresa per Pasqua.
A primo impatto sembrerebbe una rapina finita male.
Il Maresciallo è estremamente preoccupato, com’è normale che sia.
Una volta tornati in caserma, nel mio ufficio ci raggiungono Marco e... Sara.
Mi impegno a mantenere la calma.
“Volevo esprimervi la mia solidarietà per l’aggressione al vostro collega, vi sono vicina.” dice lei, e mi accorgo immediatamente che il mio buon proposito è stato inutile.
Perché è sempre così: ogni volta che si fa vedere, io vorrei scappare lontano.
“Grazie per la sua vicinanza... la apprezziamo.” rispondo sdegnosa, senza riuscire a trattenere l’occhiataccia per Marco, che abbassa lo sguardo.
Rapporti civili un cavolo, anche se sono stata io a chiederlo.
La PM prova a ignorare la tensione. “Ho saputo che il Capitano si è già ripreso!”
“È un po’ confuso ma ci stiamo lavorando.” è la risposta di Cecchini.
E già, perché Tommasi, per via della botta in testa, è convinto di essere ancora il Capitano di Spoleto, e di essere legato a Bianca Venezia, sua amica di lunga data e PM con la quale ha collaborato per un periodo.
“Ci sono novità sugli aggressori?” mi chiede Marco, cauto.
“Abbiamo diramato la targa dell’auto rubata.”
“Ma è stato un caso o volevano proprio colpire lui?”
“Gli hanno rubato il portafoglio,” rispondo alla Procuratrice, “probabilmente è solo una rapina finita male. Bene, se abbiamo novità vi faremo sapere.” chiudo sbrigativa la conversazione. Non ne posso più, per cui mi alzo in piedi, affrettandomi a stringere la mano di Sara e poi quella di Marco, con cui scambio uno sguardo a metà tra l’astio e il dolore.
Perché non sempre la maschera resiste, anche lui lo sa. Per quanto ci sforziamo, soprattutto io, quello che c’è stato tra noi non si cancella.
Ma nemmeno quello che ha fatto Marco.
E la presenza di Sara, ultimamente troppo pressante e costante, non mi aiuta di certo.
Mi fa male avere Marco davanti e dovermi obbligare a ignorarlo, nel migliore dei casi. Ma è più forte di me.
Il fatto che ci sia lei è anche peggio, perché se per un attimo riesco a dimenticare, vederla accanto a lui me lo ricorda, prepotente come un pugno allo stomaco, e giuro che è in momenti come questo che vorrei tanto aver scelto un percorso diverso nella mia vita.
Una volta usciti i due dal mio ufficio, torno al mio lavoro, unica fonte di distrazione dal resto. Anche se in realtà nemmeno quello aiuta, per lo stesso motivo di prima.
Convivere con la causa della mia sofferenza è tutt’altro che facile.
 
Marco’s pov
 
“E quindi? Avete fatto pace!” esclama Cecchini, una volta scesi in piazza.
Rido senza allegria. “Pace direi che è un parolone...”
La tensione nell’ufficio di Anna era palpabile. Ogni giorno è sempre peggio, ho quasi la sensazione che quella stanza si restringa su di me per soffocarmi, mi fa diventare claustrofobico.
Vorrei solo svegliarmi e scoprire che tutto quello che è successo è stato soltanto un incubo.
Ma non è così.
La mattina, quando apro gli occhi, sdraiata accanto a me non c’è più Anna. Sono solo, su un divano in prestito, a farmi compagnia solo la lampada del soggiorno di Cecchini.
Quando mi vesto, non c’è più lei che viene ad aggiustarmi la cravatta, lamentandosi che faccio il nodo sempre male. Sistemarlo mi provoca un groppo in gola che non mi fa respirare.
Le speranze di un suo perdono si affievoliscono sempre di più, ancora peggio da quando mi ha chiesto quella maledetta tregua.
Sarò onesto: quando mi ha detto di non volermi più odiare, per un istante avevo sperato nel miracolo, avevo pregato come non mai che quella frase terminasse diversamente da com’è stata.
Ma se è questo che Anna vuole, sono disposto a fare un passo indietro. Uno, mille... tutti quelli che vuole. Nella speranza che col tempo, magari, cambi idea.
Certo, non è facile mantenere le distanze, ancor meno quando c’è Sara in caserma, che si fa vedere anche troppo spesso ultimamente, e quello è ormai l’unico momento in cui posso stare accanto ad Anna. Questa cosa mi innervosisce non poco, ma devo controllarmi. Devo cercare di essere più razionale. La mia impulsività ha già fatto abbastanza danni.
 “Abbiamo deciso di guardare avanti, diciamo.” commento, ricambiando il saluto di Sara, appena salita in auto per andar via.
Cecchini salta immediatamente sulla difensiva. “Cerchi di non guardare troppo avanti...!”
“No, non lo diciamo nemmeno per scherzo, Maresciallo. Con Anna abbiamo concordato di... ignorarci civilmente, diciamo così.”
Non deve nemmeno pensarla, una cosa del genere. Sara è il mio capo, niente di più.
Come può credere che io possa guardare oltre? Dubito ci riuscirò mai, dopo Anna.
Sono certissimo, su questo: quella maledetta notte per me non conta assolutamente nulla. Non ero nemmeno io, non ero in me.
Non lo dimenticherò tanto facilmente: non quello che è accaduto, quei momenti sono per fortuna annebbiati per via dell’alcol, ma il risveglio.
All’inferno.
Quello stesso inferno in cui ho spedito Federica e Simone. Dove sono finito anch’io. Quello in cui Anna ha deciso di ignorarmi civilmente.
I miei pensieri sono interrotti dalla voce di una bimba.
“Per favore, mi potete aiutare?”
È la piccola Ines, la figlia di Sergio La Cava. È ospite di Don Matteo, mentre il padre è ancora qui a Spoleto a fare chissà cosa.
“Che c’è?” Le chiediamo.
“Mi dovete aiutare!”
“Per cosa?”
“Per mandare in prigione Don Matteo!” Afferma lei, lasciando sia me che il maresciallo basiti. “Abita là, è sempre vestito tutto di nero, con una bicicletta, dice che fa il prete ma io non ci credo, i preti non sono così!”
Non trattengo un sorriso. Hai capito, la piccolina...
“Perché vuoi mandare in carcere Don Matteo?” domanda Cecchini, curioso.
“Perché è cattivo. Ha mandato mia nonna in un posto brutto.”
Mi abbasso sulle ginocchia per stare al suo livello. “Un posto brutto... che posto brutto?”
“Una specie di casa grande, dove ci sono persone tanto vecchie.” mi spiega, imbronciata.
Una casa di cura, probabilmente.
Però che carina, questa bimba... molto intraprendente e sicura di sé. “Tu mandi in prigione Don Matteo e poi liberi la mia nonna!” esclama, festosa: ha trovato una soluzione.
“Però non è che funziona proprio così...” le rispondo, col tono più dolce che riesco a trovare.
Lei cambia tattica. “Ti prego, non ho più la mamma, il papà non ce l’ho... Ti prego!”
Mi intenerisce da morire, ma non posso aiutarla come vorrebbe lei...
“Lo so, ma io non so veramente che cosa fare...”
Lei fa una buffa espressione infastidita. “Mia nonna aveva ragione, ‘chi è rosso di capello non è capace di fare niente di bello’.” Mi accusa, lasciandomi senza parole e saltellando via.
“Non lo conoscevo ‘sto proverbio... però secondo me è giusto- sbagliato... che c’entrano i capelli...”
Certo, Cecchini deve sempre commentare.
Mentre lui torna in caserma, io rimango lì impalato a pensare.
La piccola Ines mi ricorda qualcuno... qualcuno che ‘odia’ Don Matteo, che è intraprendente, sicura di sé e che vuole sempre trovare soluzioni da sola... la sua versione in miniatura, diciamo.
Forse è per questo che mi ha colpito così tanto, poco fa.
Ci mancava solo il commento di Cecchini in proposito.
Sì, decisamente mi ha ricordato dei momenti con qualcuno.
Qualcuno che mi manca terribilmente.
 
Comunque, prima di rientrare da Cecchini, per la cena con il Maggiore - o Capitano, per il momento - Tommasi, devo passare dal tribunale, per cui mi decido a darmi una mossa e avviarmi.
Durante il tragitto, la mia mente torna all’incontro con la piccola Ines.
Quella bimba mi piace. Non c’è un motivo specifico, in realtà, ma una sensazione.
E tutto di lei mi ricorda Anna.
 
Anna’s pov
 
È stata una giornata lunga al lavoro, e non vedo l’ora di riposarmi un po’.
Entro in casa con l’obbiettivo primario di togliere la divisa, ma un oggetto cattura la mia attenzione: una foto di Tommasi attaccata al muro, e con quella tanti altri quadri non miei e attrezzi da palestra e boxe che di sicuro io non uso.
Non ci metto molto a notare l’artefice del trasloco.
“Cecchini! Ma che sta facendo?”
Lui molla quello che ha in mano e mi raggiunge in soggiorno.
“Ah, finalmente, Signor Capitano, è arrivata...”
Farfuglia qualcosa sull’avermi chiamata per telefono, cosa non vera, per poi spiegare, “Ehh... mi sono portato avanti col lavoro, mi sono permesso, sapendo che Lei c’ha un cuore grande... Siccome oggi il Capitano Tommasi è stato dimesso dall’ospedale, e...”
“... E Lei lo vuole mettere a casa mia.”
Trattengo malamente il nervosismo. Le adulazioni con me non funzionano, lui lo sa, ma il vizio non se l’è tolto. Con molta esitazione, ammette che ho ragione.
“... Sì. Allora, che succede... che lui è convinto che questa sia casa sua! E allora come si fa? Si tratta soltanto di due giorni... Siccome lui a suo tempo aveva prenotato l’albergo qua a Spoleto, il PQ Hotel... va Lei! Si può fare...?”
Se da un lato vorrei strozzarlo, perché mi ha praticamente sfrattata da casa mia senza chiedere, dall’altro mi ha fatto capitolare all’istante.
“... Lei farebbe di tutto per il suo Capitano.” mormoro. È suo genero, in fondo, ed è normale che voglia aiutarlo. E poi, sbaglierei a prendermela con lui, la corazza è per Marco, non per il Maresciallo.
Di più, per Tommasi, Cecchini è praticamente un padre, come ormai lo è per me, e so che farebbe davvero qualunque cosa per chi ama.
“Sì, e farei di tutto pure per Lei, e pure per Nardi, se le cose andavano come dovevano andare...”
Una pugnalata.
Ma lo so, non c’è bisogno che lo ribadisca, perché lo ha già fatto anche per noi.
Perché nei due anni che sono passati, mentre io e Marco eravamo convinti di occuparci di lui, di dover fare del nostro meglio per aiutarlo a superare la depressione subentrata dopo la morte di Caterina, in parte era lui che si occupava di noi. Col suo continuo impicciarsi, il volersi assicurare che le cose tra noi andassero bene... Perché se noi stavamo bene, anche per lui sarebbe stato tutto a posto.
Anche per il matrimonio. Io mi sono arrabbiata perché lui sapeva e non mi ha detto nulla, ma lo ha fatto per me, perché mi vuole bene. Sperava solo in una mia diversa reazione. E lo ha fatto per Marco, perché voleva che si liberasse di un peso e fosse sincero con me.
Il Maresciallo è così, generoso... a volte anche troppo.
Ma è proprio questa la sua qualità migliore.
“Vabbè, lasciamo stare Nardi...” commento soltanto, perché sentirlo nominare mi provoca comunque dolore.
La mia frase basta a fargli capire che ho accettato, e mi rincuora vederlo di nuovo sorridere per l’appoggio.
“Grazie, grazie veramente... Patatino, divertiti questi tre giorni!” gli dice, mentre il cane lo osserva, curioso.
Aspetta un attimo...
“Aveva detto due!”
Lui cerca di riprendersi. “Ho sbagliato... Due, due sono, Patatino...!” conclude in fretta, dileguandosi oltre la porta.
Sospiro pesantemente.
Due giorni... i primi, mi sa.
Ma per lui, questo e altro.
 
Marco’s pov
 
Stasera sono invitato a casa Cecchini, per la cena con Tommasi, dimesso oggi dall’ospedale. Ci sono anche Ghisoni, Barba e Zappavigna, naturalmente con Lia e il piccolo Nino.
Mentre attendiamo il rientro del Capitano, non posso fare a meno di pensare a Lia, a come si senta. Suo marito non solo non si ricorda minimamente di lei, ma peggio, è convinto di stare con un’altra.
Ma cos’è, una congiura?
I miei pensieri sono interrotti dall’arrivo di Tommasi, che ci saluta tutti. Il Maresciallo ci ripresenta, come se non ci conoscessimo, ma è comprensibile: ha rimosso gli eventi degli ultimi quattro anni e mezzo dalla memoria, non può certo ricordarsi di quei pochi mesi in cui avevamo lavorato insieme dopo il mio arrivo a Spoleto per sostituire la mia collega Lucrezia Volpi.
Mi ricordo bene il nostro primo incontro.
Mi è sembrato subito un Carabiniere molto professionale e in gamba, meticoloso, molto attento ai dettagli. Ma anche un ottimo padre e un buon marito.
Un uomo tutto caserma e famiglia.
Mi viene quasi da ridere: dev’essere un tratto distintivo dei Capitani, questo.
Certo, quell’incontro non assomiglia minimamente a quello avuto con un altro Capitano...
Lì erano state scintille.
Ricaccio indietro i ricordi, mettendomi finalmente a tavola con gli altri.
Cecchini ci ha detto che bisogna assecondare Tommasi in tutto per adesso, secondo le direttive del medico, ed ecco perché poco fa mi sono ritrovato ad assicurargli di conoscere la sua ‘fidanzata’ Bianca Venezia. Questo nome non mi è nuovo, forse ci siamo incrociati in tribunale qualche volta, oppure è per via dei racconti del Maresciallo, non sempre troppo positivi nei suoi riguardi.
La cena termina bruscamente quando Tommasi propone un brindisi a Bianca, e Lia si alza, offesa, con la scusa di dover mettere il bimbo a letto.
La capisco... è terribile vedere la persona che ami affermare di essere innamorata di un’altra. Fa male, malissimo, ma spero che nel suo caso tutto possa risolversi presto. Lui ha solo perso momentaneamente la memoria, Federica all’epoca no, era pienamente consapevole. Con lei sono stato sfortunato.
Ma ogni caso è a sé.
Dopotutto, Tommasi non la sta tradendo volutamente, così come io non l’ho fatto con Anna.
Magari Anna dimenticasse gli eventi degli ultimi mesi...
Ma non è questo il miracolo che vorrei che la Madonna dei Disperati compisse, no. Non sarebbe giusto. Mi sentirei anche peggio.
Cecchini su questo ha ragione, devo espiare.
Ma quanto ancora deve durare, questo percorso?
 
Anna’s pov
 
“Che cosa ci fa lui qui?”
Come se già non avessi abbastanza problemi di mio, si aggiunge anche Tommasi alla lista.
Già, perché è convinto di essere ancora il Capitano dei Carabinieri di Spoleto, ma magari fosse solo quello... oltre casa, si è preso pure il mio ufficio!
“Maresciallo, io posso capire la malattia, posso capire che devo dormire in albergo... però il lavoro no.”
Lui fa spallucce, sconsolato. “C’ha ragione, però... gli parlo io, magari a me mi sta a sentire...”
Tommasi esce, raggiungendoci. “Cecchini! Buongiorno Maresciallo! Mi scusi, ma... tutti i miei quadri, la mie foto, non ci sono più!”
“Stiamo cercando di rimettere, diciamo, meglio...”
“E poi scusi, la divisa... io l’ho cercata a casa ma non la trovo!”
“L’ho portata in lavanderia io perché c’aveva una macchiettina...”
Io osservo lo scambio senza fiatare, tentando di restare calma.
“Mi sembra strano... Comunque pensiamo al lavoro, perché Ghisoni mi ha avvisato dell’aggressione. L’indiziata dov’è?”
L’occhiataccia a Ghisoni non gliela leva nessuno, così come qualche altro giorno di consegna. Inutile che si mangi le mani adesso. Ma che cavolo! Cos’è, si è già scordato chi è il Capitano, qui?
“L’indiziata è giù, sta salendo, diciamo... però, Lei, io la vedo più bianco... è meglio che si riposa, dopo tutto quello che Le è successo...”
“Quale riposo? Qua non c’è tempo di riposarsi! Io sono stato rapinato, è stata aggredita una ragazza, qui a Spoleto la situazione sta degenerando!”
Cosa?!
No, questo no. Va bene tutto, assecondarlo e quant’altro, ma questo non glielo faccio dire. Anzi! Semmai, molte cose io le ho sistemate!
“No, mi scusi, se permette... la situazione a Spoleto è perfettamente sotto controllo...!”
Lui si volta finalmente a guardarmi, come se fino ad ora non mi avesse nemmeno notata.
“Prego? Lei è?”
Gli porgo la mano con riluttanza.
“Capitano Anna Olivieri.”
“Capitano Giulio Tommasi, piacere.”
Cecchini si affretta a inventare una scusa. “Praticamente quando Lei è stato male, hanno mandato la sostituta... Conosce il caso alla lettera, sa tutti i dettagli, i particolari, però...” - tremo - “non ha l’esperienza che c’ha Lei! Una grande esperienza che a Lei farebbe comodo...! Quindi io farei ‘na cosa... L’interrogatorio lo fa Lei, e Lei invece supervisiona dall’alto!”
Non ho parole.
“Che faccio io, scusi?” fa l’altro, interdetto.
Mai quanto me, Maggiore, mai quanto me.
“Supervisiona, fa la supervisione dall’alto... giusto? Potrebbe essere una soluzione...”
“Va bene, sì, per il momento può rimanere. Venga, si accomodi.”
Perfetto, adesso vengo pure invitata ad accomodarmi nel mio ufficio.
Fantastico.
Santa pazienza... io ne ho tanta, di solito, ma qua mi sembra non basti affatto.
 
Arriva finalmente l’indiziata.
Almeno posso ancora sedermi al mio posto, per ora.
Inizio l’interrogatorio.
“In che rappor-”
“Maresciallo, io questa pianta non la voglio,” mi interrompe bruscamente Tommasi. “La porti via, la porti via... No, anzi, la metta lì...”
Io osservo Cecchini fare avanti e indietro, incredula.
Ma dove siamo, all’asilo?
“Abbiamo finito?” Faccio a un certo punto, seccata.
“Ho sistemato la pianta... lì.”
“Ho visto...”
“Continui, continui...” concede Tommasi, finalmente. Mi trattengo dallo scuotere la testa. Ma che modo è?
“Scusi... in che rapporti è con sua figlia?”
“Ultimamente non buoni.”
“Perché?”
Lei fa un sorrisetto ironico. “Eh, sarà capitato anche a Lei di discutere con sua madre senza un motivo preciso, no?”
Abbasso lo sguardo, infastidita. “No, mia madre me ne dà tanti, di motivi... e anche ben precisi.” commento, con un’occhiataccia a Cecchini.
Perché, come dicevo, non mi bastano i miei pensieri, pure i biscottini non mi danno tregua.
“Le dica di non farsi coinvolgere dai casi...” sento mormorare Tommasi, e stavolta mi devo impegnare sul serio per non saltar su.
“Non ho sentito niente...” biascica Cecchini nel tentativo di ignorarlo, senza successo.
“... Sul lavoro, le cose personali... è un pochettino acerba...”
Acerba? Io?!
“Aehm, come?!”
“... Un pochettino acerba...” borbotta il Maresciallo senza guardarmi, ma io non demordo.
“Non ho capito...!”
“Continui!”
Grazie, Tommasi, veramente!
Riprendo, e vediamo se la possiamo concludere.
“... Dicevo, dov’era ieri pomeriggio?”
“In hotel, al lavoro, come sempre.”
“E ha incontrato sua figlia?”
“Sì.”
“A che ora?”
“Alle quattro, più o meno.”
“Glielo dico io...”
Mi lancio nella spiegazione di come secondo me potrebbero essere andate le cose, quando Agata fa uno strano commento su cui non possiamo indagare per via dell’arrivo di De Seta, che se la porta via.
 
Tommasi cammina fin davanti alla scrivania, un’espressione di sufficienza sul volto.
“Benino, benino... certo, Lei ha ancora tanto da imparare, se lo faccia dire.”
Ovvio, ma non è che la sua uscita sulla pianta sia stata più professionale...
“Sicuro...” mormoro, evitando di guardarlo per non fare o dire cose che non vorrei.
“Se la cavicchia... 6... 6 e lode?” mi corre in aiuto Cecchini, con Tommasi che lo guarda come a dire ‘ma non più di così’.
“Scusi, ma adesso io e il Maresciallo dobbiamo continuare a lavorare. Può andare, grazie.”
“Assecondiamolo, assecondiamolo...” borbotta il Maresciallo alla mia esitazione. Io mi affretto a uscire, non prima di aver sbattuto la matita sul tavolo, rabbiosa.
Sarà l’ennesima che spezzo, in questi giorni.
Per la prima volta nella mia carriera, non riesco a sedare la rabbia.
E nemmeno la gelosia.
Sì, sono gelosa!
Va bene assecondare Tommasi, va bene aiutarlo per l’amnesia, ma il resto non posso accettarlo.
Non che tutti continuino a considerarlo superiore a me, Cecchini e Ghisoni in primis. Formalmente lo è, è un Maggiore, ma non significa che sia obbiettivamente più capace.
Sono arrabbiata anche col Maresciallo, adesso, perché lui ha detto di voler aiutare anche me, ma così fa tutto il contrario! Buttarmi quanto più possibile nel lavoro è l’unica cosa che al momento mi permette di non pensare ai miei problemi, e adesso non posso fare nemmeno quello, perché oltre che prendersi casa mia, Tommasi pretende di voler dirigere la caserma al mio posto, limitando ogni mia mossa.
E poi, va bene la memoria persa, ma ‘benino’? ‘Acerba’?
Ci sono rimasta veramente male. Mi sono sentita offesa come poche altre volte.
Ancora peggio quando ha detto che mi lascio coinvolgere dai casi, per un semplice commento empatico!
A quelle parole mi sono arrabbiata davvero.
Va bene che è un mio superiore, ma in questo momento è convinto di avere il mio stesso grado, solo con qualche anno in più. Soprattutto, nemmeno mi conosce e si permette di sputare sentenze.
Come qualcun altro aveva fatto prima di lui, del resto...
‘Lei si lascia commuovere... Prima o poi Le passerà.’
Sorrido al pensiero di quella mattina.
Lui si era ricreduto subito, però.
Non ti ci mettere anche tu, per favore. Io non mi lascio condizionare, faccio solo il mio lavoro.
Non ti conosco da molto, ma non ho mai pensato il contrario.
Il sorriso svanisce in fretta com’è comparso, sostituito dalla malinconia, la delusione e la rabbia che mi accompagnano ormai costantemente.
Per quello che è stato, per ciò che Marco ha distrutto.
 
Scendo in strada per tornare in hotel, visto che in caserma non sono la benvenuta, ma Spartaco mi blocca.
“Capitano, proprio Lei cercavo! M’hanno rubato il motorino!”
Non nascondo il mio fastidio.
“Guardi, perché non va dal Capitano Tommasi, che a quanto pare è più bravo di me...?” rispondo, astiosa.
Lui ignora il mio commento. “Io tanto so chi è stato, da quando c’è lui sono aumentati i furti.”
“Lui chi?”
“Sergio La Cava, l’ex carcerato! Se controllate dove vive, saltano fuori tutti i motorini rubati, scommettiamo?”
 
Approfitto della giornata libera, allora.
Raggiungo il luogo secondo cui, dalle mie fonti, risulta abitare Sergio al momento: un camper in una strada di campagna appena fuori Spoleto.
Guarda caso, lo trovo intento a fare ‘affari’ con dei motorini.
“ ‘giorno.” mi saluta quando mi vede.
“Buongiorno.”
“Scusami, non ti do la mano, ché le ho sporche...”
“Figurati... vedo che hai aperto una nuova attività.” commento, sarcastica.
“Sì, in carcere ho imparato ad aggiustare motorini, macchine... mi arrangio.”
“Aggiustare o a rubare?”
Lui fa quel suo solito sorriso strafottente. “Rubare? Ah, che paroloni... Sono accuse gravi, queste qui, Capitano...”
“Per te è tutto un gioco, vero?” gli chiedo, lasciando perdere il giro largo.
“Stai tranquilla, tanto tra qualche giorno me ne vado.”
“E Ines?”
“Cosa? Ines non ha bisogno di me.” afferma, ma non mi convince.
“Tutte le figlie hanno bisogno di un padre.” è la mia risposta, che non sortisce l’effetto che vorrei.
“E allora sono io a non aver bisogno di lei.”
“Eppure sei ancora qui.” ribatto. Può negare quanto vuole, ma lo sguardo non mente.
Non è andato via, e il motivo è questo.
Lui non sa cosa rispondermi per qualche secondo, così cambia argomento.
“... che vuoi? Cosa vuoi? Se sei venuta qui per scoprire se ci sono dei motorini rubati, prego, accomodati... Il resto, non sono affari tuoi!”
Capisco che è inutile insistere, e vado via senza replicare.
 
Il suo modo di fare mi innervosisce e basta.
Perché, perché?
Ma chi si crede di essere?
Mi ricorda quel cretino di Lupo Dossi, il principe dei crackers.
Possibile che certi uomini siano convinti che conti solo l’aspetto, la superficialità?
Che ci sia gente che guarda solo l’apparenza e non il carattere?
Detestavo Dossi quanto quel dannato posto in cui sono dovuta andare sotto copertura.
Ci sono rimasta solo perché si trattava di lavoro e perché Marco veniva mille volte al giorno a trovarmi.
Ricordo ancora la sua faccia quando rispondevo per le rime a quello scemo, o quando mi invitò a ballare... Se ci penso, arrossisco.
Sembrava così geloso, e tra di noi non era ancora successo nulla.
Il nostro rapporto era appena agli inizi.
Quel che mi è rimasto particolarmente impresso però è stato il suo discorso a bordo piscina.
Non solo il suo complimento inaspettato, ma anche il suo ribadire che non valeva la pena cambiare per gli altri, e che fosse meglio restare soli, piuttosto.
All’epoca non lo sapevo, ma col tempo ha tutto acquisito un senso ben preciso.
Lui, così convinto che il cambiamento non fosse nemmeno da prendere in considerazione, per me è diventato un uomo diverso. Ci ha provato, e ci è riuscito, sarebbe da stupidi affermare il contrario.
Alcune cose però non sono cambiate, come la mia testardaggine e la sua impulsività, e adesso ne stiamo pagando le conseguenze.
Mi fermo un attimo a questa considerazione.
Non è così, non è vero.
È solo colpa sua se siamo in questa situazione, mi ripeto. Mi ha tradita, io non ho fatto niente.
Più o meno, mormora una vocina nella mia testa.
Okay, va bene, tenergli nascosta la questione del Pakistan non è stata la mia idea migliore, ma dirglielo prima non avrebbe cambiato niente.
In fin dei conti, sarebbe comunque stata una decisione mia, che avrei preso da sola, e Marco lo sapeva, questo.
Marco sa tutto, di me.
Ed è questo che mi fa più male.
Perché l’unico che potrebbe aiutarmi in questo momento è lui, e paradossalmente è lo stesso colpevole di quanto successo.
Stavolta non posso chiedergli di consolarmi.
 
Ci mancava solo la questione di Sergio.
Non capisco perché si ostini a comportarsi così. Io sto solo cercando di farlo ragionare, non gli sto mica chiedendo la luna!
Tutti i bambini hanno bisogno dei propri genitori, e Ines ha soltanto lui.
Conta poco, che lui dica di non importargli, perché so che non è così. Non sarebbe nemmeno venuto a Spoleto, se così fosse.
Sono sempre stata brava a leggere le persone che ho davanti, chi mi conosce lo sa bene.
Sergio non è un santo, certo, ma ciò non toglie che sia il padre di una bambina che ha bisogno di lui, e che ha solo paura di fallire.
E io sono troppo testarda per arrendermi così.
 
La mattina dopo, corro al mio appartamento.
Cecchini mi ha detto di aver chiamato Tommasi da lui per riconsegnarli la vecchia divisa da Capitano, così io posso approfittarne per prendere alcune delle mie cose che mi servono, quindi ho i minuti contati.
Penso di essere riuscita a scamparla, quando Tommasi sbuca fuori dalla porta alle mie spalle in tenuta da corsa, chiedendomi che ci facevo a casa sua.
Per fortuna - più o meno - Cecchini corre in mio soccorso, con una scusa poco credibile, ma pazienza.
Alla fine mi ritrovo pure senza chiavi di casa.
Ma quanto deve durare la mia permanenza in hotel?!
A completare il quadretto arriva Bianca, che a quanto pare aveva appuntamento col Capitano per andare a fare jogging.
Lia, che ci ha raggiunti sul pianerottolo, non è molto contenta, c’è da capirla.
Convince suo zio a seguire Tommasi e la PM, dopo avermi riconsegnato in fretta le chiavi senza farsi notare, e io resto da sola con lei.
Cerco di consolarla come posso.
“Tranquilla, vedrai che in breve tempo tuo marito si riprenderà.”
Lei mi concede un sorriso amaro. “Mh, forse. Tanto la verità è che non conosci mai chi hai di fianco.”
La sua frase mi spiazza.
Cosa avrà voluto dire?
Certo, io un significato glielo so dare, anche piuttosto preciso, ma non è possibile che valga anche per lei. Non è mica stata tradita, lei, no?
Tommasi ha solo perso la memoria per un po’.
Però, quanta verità.
Io pensavo di conoscere bene Marco, pensavo di sapere tutto di lui, e invece la vita e le persone non smettono mai di sorprendere, non sempre in bene.
Il dolore torna prepotente a lacerarmi il cuore, come ogni volta che penso a lui.
Perché? Perché ogni cosa deve riportarmi a Marco?
Magari fossi a Islamabad... niente Marco e il suo tradimento, niente Cecchini e le sue folli idee, niente Tommasi che non mi ritiene all’altezza di guidare una caserma.
E invece sono intrappolata qua, sommersa oltre che dai miei pensieri e problemi, dalla vita degli altri che inevitabilmente incrocia la mia.
 
Marco’s pov
 
Il ritorno di Tommasi con la sua amnesia temporanea mi ha costretto a cercarmi un B&B per qualche giorno, per lasciar spazio a Lia e il suo bimbo dal Maresciallo.
Io ho accettato senza problemi, vista la situazione, ma Cecchini ha insistito per aiutarmi lo stesso, impicciandosi come al solito, quindi a pranzo e a cena sono stato tassativamente invitato in canonica da Don Matteo.
È qui che mi trovo, adesso, mentre fervono i preparativi per la Pasqua. Sofia sta aiutando il parroco a dipingere le uova, insieme a Natalina e Pippo. Io sono stato esonerato, con una tazzina di caffè abbastanza imposta tra le mani.
Ma apprezzo tantissimo quello che stanno facendo per me.
Non manca nemmeno il sottofondo musicale: Ines è intenta a suonare la sua chitarra, e Natalina ha iniziato a dare di matto.
“Come sta Ines, è ancora arrabbiata?” chiedo, con un sorriso.
“Lei che dice? So’ tre giorni che suona a ‘sta maniera!” risponde Pippo.
Mi sa che è colpa mia, perché non ho arrestato Don Matteo. Ops.
Io e il Maresciallo gli abbiamo raccontato della conversazione con la piccola e lui, per tutta risposta, con la calma che lo contraddistingue e che gli invidio, ha semplicemente sorriso.
“Ohhhh, fa’ smettere subito sto sbobanamento, non c’ha facc’ ‘cchiu!” si dispera la perpetua.
Il suono si interrompe all’improvviso.
“Ahia...” mormoro.
Sofia spalanca gli occhi. “Sempre saputo che sei una strega!”
“Imbecille... Intanto ci rilassiamo... Santa pace!” è il commento di Natalina.
Dev’essere un problema tecnico, credo. Come minimo sarà saltata qualche corda.
Ed ecco la piccola Ines che ci raggiunge.
“Si è rotta!” esclama, affranta.
La scena mi intenerisce non poco: la chitarra è più grande di lei, la porta a fatica.
Provo ad avvicinarmi, abbassandomi sulle ginocchia per controllare il danno.
“Ehi... posso?”
“Non toccarla.” è la sua risposta piccata.
Ah.
Farsi aiutare spontaneamente non è una caratteristica che le appartiene, a quanto pare.
Ma io, col gentil sesso che non si lascia aiutare, ho una solida esperienza.
È incredibile quanto Ines sembri la versione mini di una donna che conosco molto bene.
Capisco che, come ero solito fare con lei, l’unica via da percorrere è quella di guadagnarmi la sua fiducia, cercando un terreno comune.
La strategia viene da sé, in modo molto naturale.
“Ma... è una Strato del ‘79, questa, giusto?” le chiedo. Conosco bene quella chitarra. Si suona un ottimo rock, con quella.
“Come lo sai?”
“Lo so, ne ho anch’io una, solo che la mia è dell’‘81, la tua è più preziosa, quindi... E la utilizzava quello che secondo me è il più grande di tutti i tempi. Jimi Hendrix...!”
“Jimi Hendrix!”
Rispondiamo entrambi in coro, e mi sorprende tantissimo. Così piccola, e già sa chi è Jimi Hendrix. Mi piace sempre di più, e il sorrisone che mi regala mi scioglie ulteriormente, come se ce ne fosse bisogno.
“Posso?” provo a domandare, di nuovo. Lei stavolta mi lascia prendere la sua chitarra.
“Era della mia mamma... si può aggiustare?”
“Bisognerebbe cambiare la cassa.”
“Però se non si può, la pago io, non c’è problema!” si intromette Natalina. E meno male che lei non sopportava di sentirla suonare...!
“Eh, ma non ne fanno più, così.” sono costretto ad ammettere. È un modello antico, non ci sono più i ricambi.
“Non ne fanno più?”
“No... mi dispiace tanto tanto.” dico rammaricato ad Ines.
“Grazie lo stesso.” mormora lei, triste, prima di tornarsene mogia mogia in stanza, la chitarra stretta tra le manine.
Mi dispiace moltissimo non poterla aiutare, probabilmente quello strumento è uno dei pochi ricordi che le rimangono della madre, e vorrei poter trovare il modo di trasformare quel broncio nel meraviglioso sorriso di poco fa.
Torno al tavolo.
“Ma chi è il suo tutore legale, adesso?” chiedo, ricordandomi della situazione.
Me ne ha parlato Cecchini, e avendo familiarità col mondo dei tribunali, so che in assenza della nonna la bambina ha necessariamente bisogno di un tutore.
“Io spero che le cose si sistemino.” si limita a dire Don Matteo. So che anche lui sta cercando di convincere Sergio a prendersi cura della piccola, senza successo. Non che sarebbe facile per lui ottenerne la custodia, è pur sempre un ex galeotto, e gli assistenti sociali ne terranno inevitabilmente conto.
“Eh, ho capito, però senza un tutore lei non potrà star qua. Mi dispiace, ma non è possibile...”
Dopo un po’, torno al B&B.
Ripenso a quanto successo.
Per qualche inspiegabile ragione, la storia di Ines mi ha parecchio coinvolto.
Ma ho già i miei problemi, farmi carico anche dei suoi non mi sembra l’idea migliore.
Anche perché, se non sono in grado di sistemare i miei, come potrei essere d’aiuto nel risolvere quelli degli altri?
 
Anna’s pov
 
In caserma, continua a spadroneggiare Tommasi.
A quanto pare, il vizio di andare dal suo amico prete, Cecchini lo ha sempre avuto.
Anche se con me non attacca. Non ho bisogno del suo aiuto, io.
Tommasi comunque mi infastidisce non poco.
Mi tratta come una recluta, come una che non ha idea di come si faccia il suo lavoro o di come si porti avanti un’indagine.
Questa cosa mi fa arrabbiare da matti.
Tutti sanno che sto facendo un ottimo lavoro, qui a Spoleto e, smemorato o meno, lui non ha il diritto di trattarmi così, non mi conosce affatto e invece pretende di sapere già tutto di me.
Cos’è, pensa che una donna non sia adatta a fare il Carabiniere?
No, non credo, Cecchini mi ha raccontato che proprio lui ha incoraggiato Lia a entrare nell’Arma, quindi non può essere questo, anche se nel suo caso era un Carabiniere semplice e io sono un Capitano...
Allora cosa, pensa che io possa prendergli il posto?
Non ha senso, perché in realtà l’usurpatore è lui... Sono io il Capitano dei Carabinieri di Spoleto, lui è Maggiore a Roma, ormai. Io lo rispetto, ci mancherebbe, per aver ricevuto la nomina significa che ha svolto un lavoro encomiabile, ma proprio per questo dovrebbe smetterla di buttare sentenze a caso.
Anche io ho lavorato duro, fatto sacrifici quanto e più di lui, per arrivare dove sono. E mi farebbe piacere che quantomeno facesse lo sforzo di rendersene conto, come tutti gli altri con cui ho avuto a che fare finora.
Nessuno meglio di me qui sa che il mondo dell’Arma è chiuso e molto maschilista, l’ho anche reso abbastanza esplicito più volte, nel corso dei vari casi che abbiamo affrontato da quando sono qui. Ho dimostrato di essere all’altezza del mio ruolo, e Cecchini e Marco su tutti ne hanno avuto la conferma contro il loro iniziale scetticismo. Mi sono guadagnata il rispetto di tutti, e non è stato affatto facile.
Tutti avevano dei pregiudizi su di me, lo so anche se non me lo hanno mai detto platealmente. Ma era chiaro, al mio arrivo.
E farò lo stesso con Tommasi, lo farò ricredere.
Per questo decido di occuparmi di ciò che lui mi ha ordinato di fare, ma non perché è stato un ordine, appunto, ma perché voglio dimostrargli che sono molto più in gamba di quanto non creda lui.
Quell’aria di sufficienza che mi riserva non me la merito.
Sì, sono testarda, ovviamente, e orgogliosa, se non si fosse ancora capito.
E se qualcuno prova a mettermi i piedi in testa, io reagisco.
Non importa se sia Tommasi, Sergio o Marco, non fa differenza.
Dimostrerò di essere la donna fiera e forte che è arrivata dov’è oggi.
 
Più tardi, in caserma, Cecchini mi informa di ciò che gli ha raccontato la PM Bianca, a proposito del caso seguito da Tommasi a Roma.
Capisco che la sua aggressione dev’essere collegata.
“... Noi dobbiamo trovare un collegamento tra questi due e la PQ Hotel. Cos’è che ha detto l’a... l’amica del Capitano?” gli chiedo.
“Il Capitano non ha potuto dire a Bianca che la catena sospettata era proprio il PQ Hotel. E comunque,” cambia discorso lui, una volta nel mio ufficio, “‘amica’... Non è come pensa Lei. Il Capitano Tommasi è un marito esemplare, non tradirebbe mai mia nipote.”
Mi trattengo dallo sbuffare. “Anch’io pensavo di star per sposare un uomo esemplare.”
“Il Capitano è il Capitano.” lo difende lui, irritandomi ancora di più.
“Maresciallo, a Nardi è bastato un litigio per tradirmi, e a Tommasi una botta in testa per pensare di stare insieme a un’altra donna.” commento.
Qualsiasi cosa ne dica, non cambia lo stato delle cose.
Entrambi sembrano aver cancellato con un colpo di spugna quello che è stato, senza nemmeno porsi domande sul momento. Solo a danno fatto, forse. E fa male.
Cecchini però torna a parlare.
“Nardi ha sbagliato, il Capitano è confuso... ma loro due, nel loro cuore, veramente... lo sanno, chi amano.”
Mi lascia così, da sola nel mio ufficio, a riflettere.
Anche mia madre ha detto qualcosa di simile, che non dobbiamo solo guardare gli errori nelle persone, ma soffermarci sul loro cuore.
Cos’è, si sono messi d’accordo, i biscottini?
Per carità, non che non abbiano la loro parte di ragione.
Gli esseri umani sanno essere imprevedibili, nel bene e nel male.
Marco ha agito d’istinto, Tommasi non ricorda.
Nessuno dei due ha avuto il pieno controllo delle proprie azioni, uno per l’alcol, l’altro per l’aggressione.
Forse dovrei davvero provare a guardare oltre, soffermarmi al cuore di Marco, anche stavolta.
Perché è di quello che mi sono innamorata.
Contro ogni previsione, ammettendolo a fatica, perché era un sentimento troppo grande.
Chissà, forse è lì che troverò le risposte che sto cercando.
Quelle per tornare ad essere felice.
 
Marco’s pov
 
Sono in caserma con Anna. Tommasi è convinto che sia il suo giorno libero, quindi lei è potuta rientrare senza averlo sempre in mezzo a controllare ogni sua mossa.
Ignorando il solito imbarazzo, mi informo su come stanno andando le indagini.
“... Oggi dovrebbero arrivare nuove informazioni sui due che hanno aggredito Tommasi...”
“Mh-mh, bene.”
La nostra conversazione è interrotta da una vocina decisa che ormai conosco bene.
“Non mi hai detto come ti chiami!”
Ci voltiamo, scoprendo la piccola Ines, con la sua giacchetta verde, intenta a fissarmi.
Io e Anna ci scambiamo un sorrisetto divertito: che tipetto!
“Marco... Marco Nardi!” mi presento.
“Io sono Ines...” risponde lei, per poi passare direttamente al punto per cui è venuta. “Vuoi essere il mio tatuatore legale?”
Cerco di restare serio mentre Anna soffoca una risata dietro la mano.
“‘Tatuatore’ non lo so fare, purtroppo... Vuoi dire ‘tutore’ legale?”
Lei annuisce con un sorriso.
“E come mai lo chiedi proprio a me?” le domando.
“Perché ti piace Jimi Hendrix!”
Però, una motivazione niente male. Originale, di sicuro.
Lancio uno sguardo ad Anna, che lo ricambia, divertita.
Nessuno meglio di lei sa quant’è vera, questa affermazione.
Mi sembra quasi di rivivere quella scena con Cosimo, quando ci chiese di fingere di essere i suoi genitori per quello spettacolo.
Quel bambino manca a tutti, ed era molto simpatico. Mi piaceva anche perché, per merito suo, avevo trascorso più tempo con Anna e l’avevo conosciuta meglio.
Mi ricordo il piano strampalato di Cecchini quella volta, quando l’idea dei figli mi faceva venire l’orticaria. Io, padre? Nemmeno per sogno, mi dicevo. Perché mi ricordava la mia ex, che voleva incatenarmi in una vita in cui lei aveva già pianificato tutto e deciso anche per me. Ma Cosimo, la sua storia, erano stati un punto di svolta importante, per quanto mi riguarda, e anche per il mio rapporto con Anna.
Grazie a quell’episodio, avevamo scoperto di avere in comune più di quanto credessimo, come la passione per il rock. Col tempo, avevo capito quanto per amore si è disposti a rischiare, ad uscire dalla propria comfort zone. E io lo avevo fatto, sorprendendo persino me stesso.
E nei due anni passati, avevo anche iniziato a pensarci, a un futuro da papà. Al fianco della mia Anna. Un figlio con lei... eccome, se ci avevo pensato.
Una mini Anna in giro per casa, o un mini Marco... magari entrambi, chissà.
E adesso mi trovo davanti una bambina che con noi non c’entra nulla, ma che una mini Anna lo sembra davvero: tosta, determinata, sensibile, molto intelligente, appassionata di rock.
Non avrei mai immaginato di potermi sentire così.
Lo splendido sorriso di Anna in questi istanti mi ha colmato il cuore di gioia. L’assoluta spontaneità di quanto sta accadendo mi fa solo ricordare quanto stupido io sia stato. Quanto ho gettato alle ortiche.
È tutta colpa mia.
Ines continua, ridestandomi dai miei pensieri. “Non sei capace di mettere in prigione Don Matteo, non sei capace ad aggiustare la chitarra... almeno questo, sei capace?” mi dice, incrociando le braccia.
Come sempre, mi abbasso al suo livello.
“Ti ringrazio davvero tanto per avermelo chiesto,” rispondo, nel tono più delicato che mi riesce, “ma è una decisione davvero importante e devo pensarci, va bene?”
Lei accetta. Ma a quanto pare non ha finito, perché mi pone un’altra domanda, per lei molto importante, sembra.
“Sei sposato?”
Una domanda di riserva no, eh?
Non resisto, alzando lo sguardo verso Anna, che lo distoglie dal mio.
Però non dice nulla.
Torno a guardare Ines.
“Eh no...” sono costretto a dire, con profondo dispiacere.
Torno a maledirmi: se non avessi commesso quell’errore, la mia risposta a quest’ora sarebbe stata nettamente diversa.
La bimba non è del mio stesso avviso. “Bravo, così nessuno si lamenta se suoni la tua Strato, giusto?”
Sorrido alla sua innocente affermazione: allora dietro questa piccola donna, c’è ancora la bambina, per fortuna...
“Ma sai, dipende...” la contraddico però io, “ci sono anche delle mogli molto rare, speciali, a cui magari piace il rock...”
Il mio sguardo torna istintivamente in quello di Anna, che arrossisce, evitando di incrociarlo.
Io l’avevo trovata, quella moglie speciale.
Se solo non fossi stato il più stupido della Terra...
Come sempre, Anna si occupa di dissipare il leggero imbarazzo creatosi tra noi.
“Bene...! Lasciamo che il PM... che Marco ci pensi, e... ti accompagno da Don Matteo...” si propone, prendendo per mano Ines, che la segue docilmente, saltellando. “Ciao!”
“Ciao...” saluto io, accorgendomi solo in quell’istante della presenza di Cecchini vicino alla porta.
A giudicare dal sorriso, deve aver assistito alla scenetta.
Lo so bene, cosa pensa: saremmo una famiglia perfetta.
Ma Ines non è mia figlia, e Anna mi odia.
Però, quant’è dolce quella bambina!
“Il tatuatore!”
 
Anna’s pov
 
Mentre sono in caserma con Marco a parlare del caso, ci raggiunge la piccola Ines.
Bastano poche battute per evidenziare che sia un tipetto tosto, ma estremamente adorabile.
Un sorriso si fa strada sulle mie labbra senza che io riesca a fermarlo, ad osservare la bimba e Marco interagire, con lei che gli chiede di essere il suo ‘tatuatore’ legale.
Lui sembra letteralmente stregato.
Ma tu guarda... Marco, così restio all’idea di avere intorno bambini, a parlare in tono adorante con questo scricciolo di sei anni!
Mi torna in mente la sua espressione terrorizzata quando Cosimo gli chiese di fingersi suo padre.
Tutore, padre...
È una calamita per i bambini, lui, ma non sono sorpresa.
Marco ha questa strana capacità di empatizzare con loro immediatamente, anche se non se n’è mai reso conto fino in fondo.
Forse è stato Cosimo a sbloccarlo, o forse è semplicemente il fatto che dietro a quell’aria da PM serioso in giacca e cravatta si nasconde un bambinone.
Perché Marco è così. Alterna grande serietà a momenti di gioco e scherzo come un bambino che ha bisogno di sfogare la sua indole, è più forte di lui.
E io lo so bene. È una delle tante cose di lui che mi ha colpita fin da subito.
Non rifletto nemmeno su quello che faccio, perché mi ritrovo a scambiare sguardi con Marco come se fosse tutto come sempre, senza farmi troppe domande.
Al perché Ines stia chiedendo proprio a lui di essere il suo tutore, la bimba risponde con ovvietà che è per la passione condivisa per Jimi Hendrix.
Chissà come lo sa, che piace anche a lui... Ah, certo: Marco per ora pranza e cena in canonica.
Lei continua con una frase che mi fa sorridere.
“Non sei capace di mettere in prigione Don Matteo, non sei capace ad aggiustare la chitarra... almeno questo, sei capace?”
Rispecchia molto bene Marco, questa osservazione.
Nel senso... Marco è più sensibile di quanto non dia a vedere, cerca di darsi da fare come può ma non sempre con grandi risultati, ma una cosa è certa: ci mette sempre il cuore.
La domanda successiva, però, l’avrei volentieri evitata.
Perché Ines gli chiede se sia sposato.
Beata innocenza.
Marco mi rivolge un lungo sguardo, prima di risponderle di no.
So che anche a lui ha fatto male, sentirselo domandare.
Ciò che mi stupisce tantissimo, però, è la naturalezza con cui ha ammesso tristemente che non lo è.
Non è da lui, un gesto del genere.
Solitamente nasconde in fretta ciò che pensa o come sta di fronte a domande scomode, ma con questa bambina non ha avuto nessun problema ad ammettere che non è sposato, e che la cosa gli dispiaccia molto.
Non a parole, no, ma lo capisco dal suo modo di porsi, dallo sguardo che mi ha rivolto, colmo di dolore, rimpianto, amore. Sono stata costretta ad abbassare il mio.
Perché in quello sguardo ho rivisto il suo cuore, dopo settimane passate a ignorarlo.
Quel cuore che si è messo a nudo, soltanto per me.
Quel cuore che mi ha fatto innamorare.
Per stemperare l’imbarazzo, mi offro di riportare Ines in canonica.
Sì, ho preferito la fuga.
Ma la mia mente continua a pensarci, nel breve tragitto.
E se Cecchini e mia madre avessero ragione?
Sono giorni che me lo chiedo in continuazione.
In cui pochi istanti in cui il mio sguardo ha incrociato quello di Marco, senza che io alzassi il muro di protezione e lui cercasse di nascondere il suo dolore, per la prima volta dopo il matrimonio saltato, ho rivisto tutto il nostro amore.
È veramente tutto perduto come mi ostino a credere?
 
Cecchini’s pov
 
“Ma com’è, che è tutto così complicato?” chiedo sconsolato ad Elisa, in auto dopo qualche ora di shopping con lei. “Vedi, tua figlia Anna e Marco sono fatti l’uno per l’altra... però, hai visto, si evitano!”
Quando sono rientrato in caserma, prima, e ho visto Anna e Marco insieme a quella bambina, Ines, mi si è stretto il cuore.
Quei due, insieme, stanno proprio bene. Si completano.
Inutile dire che ci avevo visto bene quella mattina, quando li ho presentati.
A lei avevo assicurato che le sarebbe piaciuto il PM, ma nessuno mi aveva creduto.
Nessuno si fida di me, ma dopo più di trent’anni con Caterina, qualcosa d’amore ne capisco.
Soprattutto, so che gli ostacoli possono essere superati. Gli errori si commettono, ma possono essere perdonati.
Ripenso anche a Tommasi e Lia.
Questi quattro mi faranno impazzire, perché devono complicare ogni cosa? Che bisogno c’è?
Sono contento che Elisa sia convinta come me che entrambe le coppie hanno solo bisogno di tempo, ma che andrà tutto bene. Devono solo trovare il modo di confrontarsi.
Mi dice che io riesco sempre a trovare una soluzione e anche stavolta troverò il modo di far capire loro che sono fatti per stare insieme.
Ma vederli così, divisi, mi preoccupa.
Spero solo che, se son rose, roseranno.
 
Anna’s pov
 
Tommasi continua a soffrire d’amnesia, e io sono ancora costretta a stare in hotel.
Dopo essere passata dal supermercato per comprare qualche bottiglia d’acqua (visto che quelle in albergo costano un occhio della testa), salgo in macchina, ripensando a quanto successo oggi con Marco in caserma.
Se prima ero confusa, adesso è anche peggio.
Perché il mio cuore, una risposta a quelle domande ce l’ha già... sa cosa vorrebbe, ma il mio cervello non vuole lasciare le redini.
La razionalità vince sui sentimenti, come al solito.
Mentre rifletto, noto un ragazzo rubare un motorino.
Di sicuro uno degli affaristi di Sergio.
Senza pensarci due volte, lo seguo a distanza.
Come previsto, mi porta esattamente in quella strada di campagna.
Scendo in fretta, raggiungendo di corsa l’ingresso dell’officina, dove trovo Sergio.
“Dove sta?” chiedo, a bruciapelo.
“Chi?” fa lui, sempre con quella dannata espressione strafottente.
“Il ragazzo che ti ha portato il motorino! Il ladro!”
Quel solito sorrisetto irritante.
“Il ladro... è un ragazzo, è andato via adesso!”
Cioè... l’ho beccato con le mani nel sacco, e pensa di prendermi in giro?
“Lo sai come si chiama questo? Furto e ricettazione!”
“Ma ricettazione di che?”
“Del motorino! È rubato!”
“Ma che ne so, io, me l’ha portato per ripararlo e lo riparo!” mi risponde, allontanandosi come se non fossero affari suoi.
Lo seguo.
“Guarda che rischi dai due agli otto anni, con un’aggravante per la recidiva.”
“Eh, vorrà dire che per otto anni dono dovrò preoccuparmi di pagare l’affitto.”
Tanto basta a farmi andare su tutte le furie.
“Non ti puoi trovare un altro modo per campare?!”
“Sì, sai, stavo pensando di consegnare in giro dei curricula, solo che non sapevo dove scrivere ‘sei anni per omicidio colposo’, sotto ‘formazione’ o ‘esperienze lavorative’?”
Giuro, lo prenderei volentieri a sberle.
Se inizialmente mi ricordava Marco, adesso non più.
Marco ha sempre fatto l’irriverente per cose leggere, sa sempre dove fermarsi. E il suo sfottermi a suo tempo serviva a farlo stare sulla difensiva, ma non ci aveva messo molto a cambiare atteggiamento. Non per le cose importanti.
Sergio insiste con questa sua facciata da duro che mi fa arrabbiare non poco.
“La devi smettere di piangerti addosso. In tutto questo c’è tua figlia che ha bisogno di un tutore legale, e l’ha chiesto a Nardi!”
Perché non ci credo che non gli importi di Ines, nemmeno ha fatto lo sforzo di conoscerla! Se il suo problema è cosa potrebbe pensare la bambina di lui, è evidente che non ha capito nulla.
Ines ha bisogno di un padre, e non avendolo accanto, lo sta cercando in Marco, è evidente.
Perché va bene Jimi Hendrix e tutto il resto, ma la piccola ha disperatamente bisogno di una figura di riferimento, e Marco non ha fatto altro che essere gentile con lei e mostrarle interesse, facendole capire che di lui può fidarsi.
Ines, come tutti i bambini, ne è rimasta affascinata. E non la biasimo.
Perché i bambini questo vogliono: sentirsi amati, sapere che c’è qualcuno che li considera, su cui fare affidamento. Vogliono essere sicuri che l’amore che danno sia ricambiato.
E se Sergio ci provasse ad avvicinarsi a lei senza piangersi addosso e fare l’idiota, senza sentirsi inadatto, Ines il suo affetto glielo darebbe incondizionatamente.
Ha bisogno di suo padre, ha bisogno di sapere che lui c’è, che può averlo nella sua vita.
Ma la mia osservazione non sortisce l’effetto che volevo.
“Bene, buon per lei, così se in futuro farà qualche cavolata, non avrà problemi con la giustizia.”
Come non lo prendo a schiaffi non lo so nemmeno io.
“Sergio, non stiamo parlando solo di te, ma di una bambina... e se tu finisci in galera, Ines questa volta non ha più nessuno!”
Lui non ne vuole sapere.
“Ma cosa ho fatto, cosa ho fatto?! Senti, fai un po’ come ti pare, eh, sul serio, non mi importa!”
“Ah, a me ancora meno.” replico, esasperata, avviandomi verso l’esterno. “Questo motorino è sequestrato, e tu rischi una denuncia.”
Me ne vado senza riuscire a restare un attimo in più.
Sergio potrebbe riscattarsi, riprendere in mano la sua vita e stare con sua figlia, e non lo fa. Negando le sue responsabilità di padre.
Responsabilità che, quasi inconsapevolmente, ha iniziato ad assumersi Marco. Con una naturalezza che mi ha sconvolto.
Un’altra scheggia da aggiungere a quelle che hanno trafitto il mio cuore negli ultimi tempi.
 
La mattina seguente, in caserma, approfitto della temporanea assenza di Tommasi per portarmi avanti col lavoro sulle indagini, e scopro una serie di dettagli importantissimi. Metto insieme i pezzi, in attesa di poterli riportare a lui quando arriva.
Sono intenta a rivedere i filmati delle telecamere quando sento bussare alla porta del mio ufficio.
“Sì?”
“Capitano Olivieri?”
Cavolo, è Tommasi. Mi alzo in fretta.
“Capitano... non ha capito che cosa ho scoperto.. allora-”
Lui però mi interrompe, un’espressione colpevole sul volto. “Senta, no, prima io, perché... il Maresciallo mi ha raccontato tutto, e io ancora non mi ricordo della vita che avevo prima... volevo ringraziarla per la pazienza.”
Dire che sono stupita è poco, non mi sarei mai aspettata le sue scuse.
“Deve ringraziare il Maresciallo.” dico comunque, perché è merito suo se tutto è filato abbastanza liscio fino ad ora.
“Non c’è bisogno.” replica però lui, e basta uno sguardo con Tommasi per capire che entrambi sappiamo che non è solo quello.
Perché Cecchini per noi farebbe qualsiasi cosa, ma anche noi faremmo lo stesso per lui.
Io ho accettato di stare al gioco perché è stato lui a chiedermelo.
E lui lo sa.
“Comunque non perdiamo tempo. Lei non se lo ricorda, ma...” mi lancio nella spiegazione dei fatti, di quanto ho scoperto, prima di avviarci tutti e tre a prendere l’aggressore di Lara.
Durante il tragitto verso il PQ Hotel, Tommasi, che insistito per sedersi sui sedili posteriori insieme a me lasciando quello davanti a Cecchini, ne approfitta per parlarmi.
“Io... volevo complimentarmi con Lei,” esordisce, lasciandomi di stucco. “La verità è che il mio atteggiamento sulla difensiva era dovuto al fatto che mi ero accorto delle Sue capacità, e ho sentito il territorio minacciato. Nella mia testa, sono ancora un Capitano, non un Maggiore, e la presenza di una collega più in gamba mi ha fatto sentire in pericolo, diciamo così. Ma... è evidente che se il Comando Generale Le ha affidato la caserma, seppur così giovane, significa che se lo merita, e ne ho avuto le prove. Cecchini mi ha detto che in questi anni si è guadagnata il rispetto di tutti, non solo in caserma ma anche in paese, e l’ho notato anch’io, me ne sono reso conto. Anzi, il Maresciallo lo ha proprio conquistato, a quanto pare, ed è una bella cosa, si vede che vi volete bene. L’ho capito prima, nel suo ufficio. Sono felice di poter collaborare con un Capitano tanto in gamba.”
I suoi complimenti mi fanno arrossire. Biascico un “grazie”, senza riuscire ad aggiungere altro, ma so che non serve. Però sono contenta di aver risolto quella tensione tra noi, e di poter finalmente lavorare con lui da pari.
Una volta in hotel, però, troviamo De Seta assassinato.
Convochiamo il nostro sospettato, convinti che sia il colpevole nonostante lui si professi innocente. Il movente però ce l’ha... vedremo.
 
Nel primo pomeriggio, Spartaco si presenta in caserma, con l’intenzione di denunciare il furto del motorino.
Io sospiro pesantemente.
Giusto qualche istante fa stavo osservando la piccola Ines giocare in piazza con un palloncino, tutta sola.
Mi rivedo moltissimo, in quella bambina. Nei suoi modi di fare, anche se io ero un po’ più timida di lei, ma con la stessa testardaggine. Gli stessi sentimenti, le stesse necessità.
Certo, io una madre ce l’ho ancora, ma il padre non più da molti anni.
Quel padre che, come ho scoperto recentemente, non è l’uomo perfetto che credevo che fosse.
Nemmeno lui.
Ma non per questo mi sento meno coinvolta, anzi.
Anch’io, negli anni, ho cercato delle figure che potessero colmare quel vuoto immenso.
E quella figura l’ho trovata quando avevo smesso di cercare, nell’uomo più improbabile: Cecchini.
Così come Ines la sta cercando in Marco.
Lui ha saputo avvicinarla con pazienza, con quella dolcezza che conosco bene, quando nessun altro fino a quel momento, oltre Don Matteo, ci era riuscito davvero.
Ma Ines un padre vero ce l’ha.
Forse, Sergio ha solo bisogno di capire che, se c’è una fedina che può ripulire dai suoi peccati, è proprio quella di padre.
 
Spartaco per fortuna accetta di aspettare a esporre denuncia, scendendo a patti.
Non appena stacco dal mio turno e una volta tolta la divisa, raggiungo Sergio.
Ho optato per abiti in borghese proprio perché voglio che capisca che non sono lì in veste di Capitano dei Carabinieri, ma di amica. Che voglio soltanto aiutarlo.
Non lo vedo fuori, quindi immagino sia sul camper.
Busso, e lui si affaccia dal finestrino.
“Ciao!” mi saluta, prima di scendere.
“Ciao...” ricambio, per poi andare dritta al motivo della mia visita. “Pare che uno dei proprietari dei motorini rubati sia disposto a non sporgere subito denuncia, a condizione che gli venga restituito il motorino.”
“Mh...” lui si limita ad annuire, distogliendo lo sguardo.
Se pensa che basti questo a farmi desistere, si sbaglia.
“E c’è un’altra condizione... mia. Ti devi presentare a un indirizzo che ti darò, c’è un lavoro per te, un lavoro vero.”
Il messaggio è implicito: sto garantendo io per lui, sono disposta a metterci la faccia.
Lui stavolta mi osserva a lungo, un’espressione diversa.
“Perché lo fai?” mi chiede infine, in tono pacato.
Inspiro. Sapevo che me l’avrebbe chiesto, e per questo decido di essere sincera.
“Perché io non ce l’ho più, un padre. Si è suicidato perché pensava di essere un fallito. Ma non lo era.. non era un fallito. E anche se lo fosse stato... io ero lì, lo avrei amato comunque, e avrei voluto che restasse insieme a me.”
Tiro fuori il bigliettino dalla tasca, consegnandoglielo. “È la mia ultima offerta, decidi tu.”
Vado via senza attendere oltre. Ho fatto tutto quello che potevo, adesso sta a lui.
 
Mentre rientro in città, mi rendo conto di quello che gli ho detto.
No, non perché ho rivelato la storia del suicidio di mio padre a qualcun altro, anche perché dal mio rapimento ormai la conoscono tutti, e soprattutto perché la versione completa la conosce solo Marco - nemmeno Giovanni era a conoscenza di certi dettagli...
Mi rendo conto di come io abbia descritto il tutto a Sergio.
Mio padre ha commesso degli errori, certo, ben più numerosi di quanto immaginassi, ma lo amo comunque. L’ho perdonato, anche grazie a Don Matteo. E alle parole di mia madre.
Ho capito che non dovevo fermarmi a quegli errori, ma guardare oltre, al suo cuore. Al ricordo che io avevo di lui, del padre che io ho conosciuto. Quello autentico, sbagli compresi.
E non è assurdo come tutto il discorso possa essere valido anche per Marco?
Lo so che sia mia madre che Cecchini hanno ragione, che dovrei seguire il cuore, ma... è difficile. Io ho sempre fatto affidamento sulla mia razionalità per riuscire ad andare avanti. Riflettendo, ponderando, valutando ogni pro e contro.
E cosa ho risolto, adesso, pensandoci su per tutto il viaggio di ritorno?
Niente.
Sono ancora più confusa di prima.
Però... come mio padre, Marco non è di certo un santo, ma io ne sono perdutamente innamorata.
Ed è per questo che fa così male.
 
Marco’s pov
 
Ho riflettuto a lungo sulla richiesta di Ines.
È vero: non sono capace di arrestare Don Matteo per ovvi motivi, non sono capace di aggiustare la sua chitarra per ragioni che non dipendono da me, ma... posso esserci, per lei. Aiutarla, se ne ha bisogno. Provare a darle un po’ di quella spensieratezza che una bambina della sua età dovrebbe possedere.
Di questo, sono sicuro di essere capace.
Per questo decido di andare in canonica, e non a mani vuote.
Per una notizia così importante, ci vuole qualcosa di altrettanto importante a confermarlo.
Con la complicità del sacerdote, preparo tutto e poi dico a Ines di chiudere gli occhi, mentre la guido per condurla alla sala da pranzo.
“Attenta...” mormoro.
Lei ha gli occhi coperti dalle manine. “Stiamo giocando a mosca cieca?” chiede, facendomi ridere.
“Una specie... vieni... ferma...” finalmente arriviamo alla meta. Mi sposto, sedendomi sulla poltrona lì accanto per gustarmi la sua reazione. “Apri gli occhi!”
Il suo visino stupito e felice nel vedere la chitarra elettrica nella sua custodia, con tanto di fiocco ad adornarla, è la cosa più bella che potesse capitarmi in questo periodo orribile.
“È la tua?” mi domanda, emozionata.
“Adesso se vuoi è tua!” rispondo con un sorriso.
“Davvero??”
La gioia negli occhi di Ines mi ricorda quella di Anna ogni qualvolta tentassi di stupirla, con gesti che lei non si aspettava, ma che lei stessa aveva permesso scaturissero, rendendomi nel nostro viaggio insieme un uomo diverso, più maturo.
Un uomo migliore.
“Sì, davvero!”
Lei fa per prenderla, per bloccarsi subito dopo.
“Che c’è, non ti piace?” chiedo, interdetto. Ho forse sbagliato?
Lei sospira, guardandomi. “La nonna dice che non devo accettare regali dagli sconosciuti.”
Annuisco. “Dice una cosa molto giusta, tua nonna... però io non sono uno sconosciuto, giusto?”
Ines mi rivolge uno sguardo paziente, come se fossi un po’ stupido a non capire il concetto. “Sei mio parente? No, troppo rosso di capelli. Sei mio amico? No, troppo vecchio.”
“Grazie...!” commento, ridacchiando. Certo che è proprio un tipetto.
“Potrei accettare solo se tu fossi il mio tutore!”
Stavolta non trattengo una risata. “E mi sa che sei un po’ troppo furba per me, tu, eh?” dico, con Natalina e Don Matteo che ridono.
La bimba mi rivolge un sorrisetto.
“Allora? Ti sei deciso?”
Fino a qualche anno fa, non ci avrei sprecato un attimo, in una situazione così.
Ma proprio in questi dettagli l’amore per Anna mi ha trasformato.
Ed è per questo che adesso sto accettando di prendermi tutte le mie responsabilità dopo l’errore che ho commesso e che ha allontanato da me la donna che amo. Per questo, che sto accettando di prendere in custodia la vita di uno scricciolo dai riccioli castani, peperina e furbissima, che porta il nome di Ines.
“Va bene, lo faccio!”
Il suo abbraccio gioioso mi scioglie ulteriormente.
Questa bambina è apparsa nella mia vita in maniera inaspettata, quando tutto sembrava irrecuperabile. Esattamente come ha fatto la sua copia adulta circa quattro anni fa.
Che sia un buon segno?
Inutile dire che spero che sia così.
Nell’attesa di sapere cosa il fato ha deciso per me, mi godo questi istanti di gioia.
“Scemetta...” le dico, sciogliendo l’abbraccio dopo averle posato un piccolo bacio tra i capelli. Mi sento incredibilmente felice. “Dai, fammi sentire cosa sai fare, vieni!”
“No, scusate, scusate...” ci interrompe Natalina. “Tutto meraviglioso, ma perché non andate a suonare a casa Sua, per esempio?”
“È un’ottima idea ma... purtroppo non ho più una casa!” sono costretto a dire, seppur con un sorriso.
“Ines, potresti suonare in chiesa!” propone Don Matteo.
Ines è assolutamente d’accordo. “Sai come si dice? Chi canta, prega due volte, e chi suona, ancora di più!”
“Eh, sì!”
Gli istanti di gioia sono interrotti da una telefonata, che arriva come un fulmine a ciel sereno.
Questo dannato cellulare, negli anni, ha portato più problemi che altro. Il pouf, al confronto, è stato una sciocchezza.
Don Matteo e Natalina mi guardano, preoccupati probabilmente dalla mia faccia.
Sono sicuro di essere diventato pallido.
Spiego come posso.
“Anna ha arrestato gli aggressori di Tommasi, però non ho capito, c’è stato un conflitto e forse è-è ferita... scusate...”
Corro via senza attendere oltre, ogni istante è prezioso.
Sono nel panico più totale.
Anna, la mia Anna, è ferita.
Non riesco a capire niente, nella mia testa le stesse immagini di quando fu rapita, quella volta. Il terrore di perderla.
La mente annebbiata.
 
Mi precipito in caserma, facendo gli scalini a due a due, correndo da Cecchini, seduto alla sua scrivania.
Scanso tutti i carabinieri senza farci nemmeno caso.
“Maresciallo! Scusatemi... Maresciallo! Come sta Anna?”
“Calma!” tenta di dirmi lui, ma non lo ascolto neppure.
Come può chiedermi una cosa del genere?
“No no no no no, non sto calmo! Voglio sapere come sta Anna! È grave? È in pericolo di vita? Perché se c’è bisogno di una trasfusione, io e lei abbiamo lo stesso gruppo sanguigno-”
“Marco!”
Una voce tenta di zittirmi, ma io la ignoro.
“Lasciami stare! Io voglio sape- Anna!”
 
Anna’s pov
 
Torno adesso dall’ospedale, dove sono stata per sincerarmi che Zappavigna stesse bene. Quando rientro in caserma, però, mi si presenta davanti una scena che ha del surreale.
Marco, davanti alla scrivania di Cecchini, in una evidente crisi di panico, intento a blaterare qualcosa su... su trasfusioni, e la compatibilità dei nostri gruppi sanguigni.
È nel panico più totale, lo so bene, l’ho già visto reagire così altre volte, in altre circostanze, ma cambia poco.
Quando va in tilt, non controlla più le reazioni.
Decido di intervenire, prima che la situazione degeneri, chiamandolo.
In un primo momento mi ignora, poi si volta.
Il mio nome, pronunciato con quel sollievo, mi destabilizza.
E poi Marco mi abbraccia.
Forte, fortissimo.
Anche un po’ troppo.
“Ma stai bene?”
“Sì!... se la smetti di stringere, sì...” sono costretta a dire, in imbarazzo, senza sapere bene che fare, se ricambiare il suo gesto oppure no.
Lui si scosta, arrossendo appena.
“Non è successo niente...” lo tranquillizzo, anche se la mia voce non collabora. “È stato colpito Zappavigna, ma solo di striscio, sta bene...” mormoro, ancora troppo colpita dal suo gesto.
“... Perché mi ero preoccupato...”
“Ho visto...” riesco a rispondere soltanto in un filo di voce.
Lui sembra non capacitarsi di quanto successo. “Mentre venivo, io pensavo di averti perduta...” biascica, portandosi le mani al volto, provato.
Trattengo il fiato, un sorriso che lotta per farsi strada sulle mie labbra e che fermo a stento. Questa sua spontaneità mi sta provocando un subbuglio di emozioni, anche se non posso dire di essere stupita. Le sue parole hanno solo confermato quello che i suoi occhi e il suo abbraccio mi avevano già detto. Come se da quei gesti dipendesse tutta la sua vita.
Ha avuto paura di perdermi.
Lui però si rende conto di cosa ha detto.
Perché è convinto di avermi già persa.
“No, cioè, nel senso...” mormora, senza riuscire a spiegarsi. “Scusatemi...”
Va via senza aggiungere altro, lasciandomi lì, ferma, sul punto di scoppiare a piangere.
Non so come riesco a riprendermi.
Metto a tacere Cecchini che mi sta facendo segno di seguire Marco, per rifugiarmi di corsa nel mio ufficio.
 
A riflettere su quanto è appena successo.
Perché diventa sempre più difficile fare l’indifferente? Perché vedere Marco così disperato mi ha provocato una fitta al cuore? Sembra quasi che lo abbia rimesso in moto...
Il suo sguardo così pieno di sollievo a vedere che stavo bene mi riportano al giorno che mi hanno salvata da quel furgone. L’arrivo in piazza. Il nostro tentare di celare la felicità di poterci rivedere per non ferire Chiara, tra l’altro inutilmente perché mi ha confessato che si è resa conto dei nostri sentimenti proprio in quell’occasione. La gioia nello scoprire poco tempo dopo che Marco mi amava quanto io amavo lui. La neve ad agosto. L’inizio di tutto.
E se anche stavolta fosse successo tutto questo per darci la possibilità di ricominciare?
... che cosa devo fare?
 
Marco’s pov
 
Ho lasciato di corsa la caserma per porre fine all’imbarazzo del momento.
Tutti mi fissavano come se fossi pazzo.
E sì, lo sono, va bene?
Pazzo di Anna. Pazzo d’amore per lei. Pazzo perché me la sono lasciato scappare senza provare a fermarmi in tempo e non commettere l’errore più grande della mia vita.
Perché quel giorno è come se fossi morto.
È Anna, la mia vita. Lei soltanto.
L’abbraccio di poco fa ne è la dimostrazione più evidente.
Avevo paura che, allentandolo, lei potesse sparire, fuggire chissà dove, forse a Islamabad o peggio, tra le braccia di un altro.
Perché avevo già lasciato che succedesse, in passato.
Quel giorno, davanti alla caserma, quando l’avevano salvata dalla pressa.
Non avevo potuto stringerla tra le braccia perché c’era Chiara, ma è bastato il suo sguardo, il suo sorriso quando mi aveva ringraziato.
Ma ricordo anche la fitta al cuore quando, voltandomi, l’avevo vista baciare Giovanni. Pensavo di averla persa anche quella volta. E se non fosse stato per Chiara che si è fatta da parte, forse sarebbe davvero finita così.
Invece avevo capito che per amore si può e si deve cambiare, che bisogna affrontare le proprie paure... me lo aveva suggerito un pazzo alla radio.
L’amore può cambiare, può trasformare, e forse per l’ennesima volta è questa la via da seguire.
E trasformare non agosto in Natale, ma Pasqua nella resurrezione della mia storia con Anna.
 
“Ecco qua, spumante bello fresco!”
Annuncia Cecchini, festoso.
Siamo seduti tutti a una grande tavolata per festeggiare la Pasqua, come una enorme famiglia.
Il Maresciallo sta passando da tutti per versare lo spumante e festeggiare.
“... Invece a Lei glielo riempio pieno pieno perché si deve dimenticare lo spavento che ha preso!” afferma, quando si avvicina a me.
È la mia occasione. Per riscattarmi.
Tanto, figuraccia in più, figuraccia in meno...
“Grazie, Maresciallo, ma... io passo. L’alcol ha già fatto troppi danni, ultimamente.”
Noto Anna sollevare lo sguardo, dopo che aveva tentato di ignorare cosa stessimo dicendo. Lo prendo come un buon segno che mi incita a proseguire.
“Quella di ieri non è stata una bella figura, d’accordo, però... devo ringraziare quello spavento, perché finalmente ho capito di che cosa non posso fare a meno...” dico, rivolgendomi direttamente ad Anna, che si volta ad osservarmi.
“Ho fatto una cazzata gigantesca, lo so, e me ne pentirò per il resto dei miei giorni. Ma... so anche che capita a tutti di sbagliare, me lo ha detto una volta una ragazza molto in gamba. Non è stato uno sbaglio da poco, il mio, ne sono consapevole; sono settimane che cerco di espiare le mie colpe. E sono pronto a continuare a farlo, perché... forse fa parte anche questo del percorso di cambiamento che ho intrapreso due anni e mezzo fa, quando un pazzo mi ha suggerito che è la cosa giusta da fare, per amore.”
Cecchini sorride compiaciuto.
Anna ha gli occhi lucidi, traboccanti di lacrime, fissi nei miei. Il verde più intenso che mai.
Riesco quasi a vedere quella corazza che si è costruita intorno al cuore creparsi, ed è per questo che continuo.
“So che non basta, ma... ti chiedo scusa. Per la sofferenza che ti sto provocando, per aver disatteso ciò che tu credevi di me. Per il dolore atroce che ti sto causando, un dolore che io conosco bene, e che avrei tanto voluto risparmiarti. Io sono riuscito a superarlo solo grazie a te. L’uomo che sono oggi, è frutto del tuo aiuto... del tuo amore per me. So bene che non è facile perdonarmi, io per primo non lo farei, lo sai... Ma, Anna, voglio che tu sappia che, se vorrai, anche solo come amico, sarò sempre pronto ad accoglierti a braccia aperte ogni qualvolta ne avrai bisogno. Che terrò sempre una vaschetta di gelato al cioccolato nel freezer e due cucchiai pronti per essere condivisi come abbiamo fatto nelle lunghe notti passate a chiacchierare. Perché ti amo... e l’unica cosa che voglio è saperti felice. E se la tua felicità non è più con me, allora proverò col tempo a farmene una ragione. Anche se, nel mio cuore, spererò sempre di ricevere un messaggio in cui mi dici che il brasato dopo due anni non so ancora farlo ma che, nonostante i miei mille difetti, sono ancora l’uomo impossibile che tu ami.”
 
La tavolata è piombata nel silenzio.
Anna, però, sembra una maschera di ghiaccio, non accenna a rispondere.
Immobile, gli occhi spalancati e fissi nei miei.
Non riesco a far niente se non pensare di andar via, ma il mio proposito viene interrotto da Tommasi, che ci raggiunge a passo svelto.
“Scusate, scusate il ritardo! Vi rubo solo un minuto... Ho seguito il consiglio di un amico e... ho riposato. Come non riposavo da tanti anni... E ho ripensato alla mia vita. Sono grato, grato per quello che mi è stato dato, e stamattina quando mi sono svegliato, sapevo cosa dovevo fare.” afferma, prima di rivolgersi direttamente a Lia. “È vero, io ancora non mi ricordo tutto bene, ma... so che ti amo. Ti amo per tutto quello che c’è stato tra di noi, e perché tu hai continuato ad amarmi anche se io ho commesso degli errori e sono stato un vero idiota...” Noto Anna puntare lo sguardo su di me, ma non riesco a sostenerlo, abbassando il mio a terra. “A non fermarmi ogni giorno a guardare, ad ammirare quanto sei bella. Perché solo se tu mi ami, io posso sopportare l’uomo che sono. Lia... vuoi risposarmi?”
A questa domanda di Tommasi, a cui Lia risponde con un bacio, mentre tutti festeggiano, io non mi trattengo più.
Perché fa troppo male risentire quelle parole.
Approfitto della distrazione generale per alzarmi e andare via.
Mi sono messo a nudo per Anna davanti a tutti, ho visto la corazza creparsi, eppure lei non ha reagito.
Forse ho parlato troppo tardi.
Forse l’ho davvero persa per sempre.
 
Anna’s pov
 
Sono paralizzata, seduta accanto a mia madre.
Marco mi ha fatto una dichiarazione bellissima che mi ha lasciata senza fiato.
Tutti si aspettavano una mia reazione, ma io non sono riuscita a fare niente.
Ero troppo sconvolta anche per riuscire a pensare coerentemente.
L’impasse in cui ci eravamo bloccati viene smossa dall’arrivo di Tommasi. A quanto pare è giornata di dichiarazioni, perché anche lui fa lo stesso con Lia. Le sue parole mi colpiscono quasi quanto quelle di Marco, che mi ritrovo a fissare mentre lui abbassa lo sguardo, rivedendosi in quelle frasi.
Ma, anche se dall’esterno sembro imperturbabile, la solita regina di ghiaccio, dentro di me c’è un uragano in corso.
Quando Tommasi chiede a Lia di risposarlo, mi sento riportare indietro a quella mattina, quando io ho fatto la stessa domanda a Marco, dopo il nostro litigio.
La felicità che ho provato in quel momento...
Questa consapevolezza, unita alla mano di mia madre che stringe la mia, mi ridestano dallo stato di trance in cui ero caduta.
E tutto torna ad avere un senso.
Le lacrime riescono finalmente ad affiorare, scendendo come un fiume in piena lungo le mie guance.
La corazza è crollata, caduta al suolo in mille pezzi.
A conferma di ciò, il sorriso di mia madre e di Cecchini.
Anch’io so cosa devo fare.
Scatto in piedi, facendo sobbalzare Tommasi e non solo, ma non mi importa.
Corro verso Marco, ormai vicino alla sua moto, pronto ad andar via dopo quello che credeva fosse un mio rifiuto.
Quando lo raggiungo, non gli lascio nemmeno il tempo di reagire o elaborare quanto sto facendo.
Lo bacio, stringendomi quanto più umanamente possibile a lui, che supera ben presto la sorpresa, facendo scivolare le braccia attorno alla mia vita, le dita a sfiorarmi la schiena in un tocco leggerissimo, quasi non ci credesse.
Come se la nostra vita dipendesse da questo bacio.
Come dipendeva ieri da quell’abbraccio.
Marco è imperfetto, pieno di errori, impetuoso, ingestibile... ma la sua vita è mossa dal cuore.
E non perché pompa sangue e batte, anche se lo sento chiaramente sotto le mie dita che si soffermano sul suo petto, ma perché anche in quei momenti in cui sembra immobile, basta un gesto affinché si mostri agli altri per quello che è davvero.
Quell’uomo di cui mi sono perdutamente innamorata.
La mia mente non l’ha ancora perdonato, non completamente, ma il mio cuore lo sta già facendo.
Come quel giorno quando, aprendo le porte del furgone, mi sono trovata davanti Claudio Lisi.
E Marco, come Claudio, ha bisogno di sapere che sto cercando di trovare la forza di perdonarlo. Perché solo così possiamo tornare a vivere entrambi, sia lui che io.
Con la differenza che Marco non è come Claudio, ma come mio padre Carlo: imperfetto, come lo sono io del resto, ma non per questo meno degno dei sentimenti che provo per lui.
 
Marco’s pov
 
Anna mi sta baciando.
Come forse non aveva mai fatto.
Mi sembra quasi di sognare.
Lo so, non significa che mi abbia perdonato tutto, ma so che vuol dire che mi ama. Che non ha smesso. Che ha solo bisogno di tempo, ma che vede ancora il Marco di cui si è innamorata, non solo quello che ha sbagliato.
E sono pronto a dimostrarle il mio amore ogni giorno, fino ad ottenere il suo completo perdono.
Quando ci separiamo, non so quanto tempo restiamo a guardarci negli occhi, instaurando quel nostro linguaggio silenzioso che non ha bisogno di parole, e il suo “Ti amo”, sussurrato a fior di labbra, non fa che confermare il tutto.
Torno a baciarla perché non sarò mai sazio abbastanza.
Quanto mi erano mancati, i suoi baci... risentire le sue labbra sulle mie è la sensazione più bella che esista.
Ci prendiamo tutto il tempo del mondo, abbracciati come non eravamo più stati da troppo, come se questo momento dovesse durare per sempre.
Ma qualcuno ha altre idee, evidentemente.
Ci separiamo di nuovo solo quando una vocina ci raggiunge.
Ines.
“Ora che avete fatto pace, potete venire al tavolo? Voglio suonare una canzone con la mia nuova chitarra!”
 
Anna’s pov
 
Seguiamo la bambina volentieri. Io e Marco abbiamo tutto il tempo per parlare e risolvere, con calma, in un luogo più consono.
Adesso dobbiamo soltanto festeggiare.
Quando raggiungiamo il tavolo, però, resto a bocca aperta.
Io quella chitarra la conosco bene...
È la Stratocaster di Marco.
O per lo meno, lo era.
Perché sto scoprendo adesso che l’ha regalata ad Ines, quando la sua si è rotta.
Mi si scioglie il cuore. So quanto lui ci era affezionato, e se l’ha regalata a Ines vuol dire solo che avevo intuito bene. Hanno instaurato un legame intensissimo per istinto, e niente lo dimostra più della scenetta che si sta svolgendo.
Ines insiste a volere Marco accanto mentre suona, tirandolo per la mano. Il suo tatuatore legale.
Ormai nemmeno la correggiamo più, suona talmente bene che non importa, se è sbagliato.
La scena davanti ai miei occhi mi commuove, perché mi mostra uno scorcio di quello che potrebbe essere il nostro futuro.
Marco le sorride in un modo che forse non gli avevo mai visto fare, prima di rivolgere lo stesso sorriso anche a me.
Ignoro le occhiate soddisfatte di mia madre e del Maresciallo, anche se ne sono felice.
Ines mette le dita sulle corde, ma prima di iniziare vuole fare una dedica.
“Questa canzone è per il mio tatuatore legale e per la sua fidanzata. Magari anche lei poi diventa la mia tatuatrice...”
Il mio imbarazzo è messo a tacere da Marco, che mi tira verso di sé per baciarmi ancora, tra le risate e gli applausi festosi di tutti.
Questa giornata non sarebbe potuta finire meglio di così.
 
 
Ciao a tutti!
Che dire... questa versione è una delle mie preferite di sempre. Grazie, Marti, per il tuo meraviglioso brainstorming!
La prossima puntata, credo sarà devastante... nemmeno tutta la preparazione mentale del mondo basterà, mi sa.
Nel frattempo, fingiamo che le cose siano andate così.
A presto!
Mari
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Don Matteo / Vai alla pagina dell'autore: Doux_Ange