Capitolo 7
Sacrilegio. Una parola che
sapeva di sale ed
era rimasta attaccata addosso a Loki durante tutto il viaggio in
drakkar,
incollandosi alla pelle e all’anima. Aveva affrontato a viso
aperto l’idea di portarla
via dalla sua casa reclamandola in nome di un patto non mantenuto
– cosa
sarebbe diventata, allora? Una concubina, una protetta o che altro?
– ma quel
sacrilegio cui lei faceva riferimento non era nulla rispetto all’altro
veto,
insormontabile e spaventoso. La fissò scuotendo la testa e
ridendo tra sé. Sigyn,
ignara di tutto, lo guardava con un misto di paura e disprezzo. Gli
aveva
risposto a tono, ma al giovane ingannatore non era sfuggito come la
ragazza
avesse spostato il discorso dal piano generale a quello particolare.
Lui
parlava degli Æsir, lei di loro due. Di più, aveva
ravvisato delle intenzioni
irriverenti e scortesi nello sguardo feroce che le era scivolato
addosso la
sera in cui l’aveva pretesa. “Non siamo così
barbari come credi, piccola
Vanir. Come tu non sei ancora un’ancella,”
puntualizzò con voce roca, tentando
di piegare la realtà con le parole e scacciare via i
pensieri scomodi e inopportuni
che lo assalivano, indegni del principe che era.
Avrebbe
potuto rimetterla al proprio posto negando ogni cosa e tacciandola
d’essere una
bambina con la testa tra le nuvole che aveva letto troppi poemi.
Preferì non
farlo. La scelta gli provocò un brivido particolare, lo
stesso che lo scuoteva
qualche istante prima di affondare i suoi pugnali affilati nella carne
degli
avversari, recitare un incantesimo, compiere una malefatta.
Tutto
intorno a loro il sole che s’inabissava nel fiordo spandeva
una luce rossa e
dorata capace di donare sfumature di colore inaudite alle acque gelide
che
circondavano Asgard, alle montagne che la proteggevano e in mezzo cui
s’insidiava il mare.
La
ragazza non poté fare a meno di soffermarsi nuovamente
sull’incanto di quella
terra aspra, selvaggia e bella come nessuna, che in quelle ore stava
imparando
a conoscere e ad ammirare, suo malgrado. Alcuni tamburi lontani,
accompagnati
da un coro di voci maschili e femminili, annunciavano che i
festeggiamenti per
il ritorno di Odino erano già cominciati. Strinse le labbra.
“Avrei giurato
alla fine dell’estate, se non vi fosse venuto in mente di
prendermi in
ostaggio.”
Loki
non parve colpito dall’accusa. “Non è
solo colpa nostra.”
“Pago
comunque per gli errori degli altri,” insistette lei,
distogliendo l’attenzione
dal tramonto per spostarla sull’Ase. Il senso di colpa la
stritolava. Non aveva
nemmeno avuto modo salutare Astrid e le altre sorelle. Pensò
alla quiete familiare
del tempio, dove le giornate venivano scandite da sempre con un ritmo
uguale a sé
stesso. A quell’ora si iniziava a pregare per poi a cantare
fino all’ora di
cena. Ci sarebbe stato un posto vuoto – il suo – e
ogni compagna avrebbe
rivolto un pensiero a lei, che, lontana da quel luogo di pace e
virtù, stava
perdendo la benevolenza degli Antenati mancando ai suoi doveri.
“Tutti
paghiamo per le scelte degli altri,” sentenziò
Loki interrompendo bruscamente i
suoi pensieri.
Lei
inarcò un sopracciglio. “Anche un principe di
Asgard?”
L’Ase
pensò a quando lo avevano steso su un tavolaccio per
ricucirlo – all’alcool
ingollato per stordirsi e attenuare il dolore, ai due guaritori che lo
tenevano
fermo mentre un terzo cercava di salvargli la vita, alle grida
soffocate. Con
una mano sfiorò la parte della corazza di pelle sotto cui
c’era ancora la
cicatrice. Non si era mai sentito così vivo come nel momento
in cui la morte lo
aveva accarezzato con le sue dita e, ogni tanto, sentiva la
necessità di accertarsi
che la cicatrice fosse ancora lì, dove l’aveva
lasciata.
“Più
di quanto pensi. Se la nostra intenzione fosse stata fare di te una
schiava o
disonorarti in qualche modo, lo avremmo già
fatto,” concluse, per fugare
quell’ombra di terrore che le velava lo sguardo da giorni e
che, fino ad
allora, aveva trovato tutto sommato divertente mantenere viva.
Sigyn
si rilassò appena, tanto da dare modo a Loki di cogliere
distintamente il
sospiro di sollievo che seguì la rivelazione. Studiando il
profilo delicato della
ragazza, pensò che lei avrebbe dovuto sapere tutto, ogni
cosa, compresa la maniera
in cui Odino intendeva fugare ogni dubbio sull’esistenza
della scintilla.
Sacrilegio. Di nuovo
quella parola gli seccò il
palato, ma aver desiderato di volerla per sé non equivaleva
a disonorarla. Per
colpa della maledizione, non poteva più nemmeno prendere in
considerazione
l’idea di corteggiarla fino a farla capitolare per il gusto
becero e irrinunciabile,
quello sì, di conquistare l’ancella che lo fissava
con disprezzo. Un giorno, Sigurdr
avrebbe finito comunque col considerarla peggio di una prostituta,
iniziando
una fitta corrispondenza a senso unico con Loki fatta di insulti,
suppliche,
minacce e promesse, ma non era ancora il tempo.
S’infilò
due dita nel colletto della corazza intrecciata per allentarlo e
respirare
meglio, scacciando la fastidiosa sensazione di avere il respiro mozzato
che lo
perseguitava dal fatidico banchetto dei Vanir. L’interessante
gioco cui si era
prestato quando aveva deciso di accostarsi a Padre Tutto chiedendo lei
si stava
trasformando in qualcosa di tremendamente complicato – in una
rete che lo
avrebbe stretto nelle sue maglie fino a stritolarlo – ma
questo, Loki era
troppo spavaldo e sicuro di sé per immaginarlo.
Quella
notte Sigyn rise davanti al fuoco, ma non ballò. Spinto da
Frigga, Balder, che
all’epoca era solo un bambino, le si era avvicinato per
mostrarle alcuni dei
suoi giocattoli. La ragazza si lasciò distrarre dalle figure
intagliate nel
legno del più giovane dei principi di Asgard e
finì per rigirarsi tra le dita
una deliziosa statuina che raffigurava un cavallo differenziandosi
però dalle
altre. La mano che l’aveva intagliata era dotata di un certo
talento artistico,
decise. L’animale era rappresentato in una posa dinamica, con
le zampe
anteriori sollevate e la criniera mossa da un vento invisibile. Le
ricordò
certi poemi che parlavano di eroi che sconfiggevano mostri, ma non
solo: la
figura intagliata le suggeriva una sensazione di libertà.
Fece scorrere i
polpastrelli sul fianco del cavallo.
“Me
l’ha
fatto mio fratello,” s’inorgoglì il
bambino. Sigyn glielo rese, intuendo che si
dovesse trattare di un regalo molto amato, forse raro.
“Quale?”
chiese, ma nel suo cuore conosceva già la risposta. Lo aveva
visto aggiustare e
pulire, con le sue dita svelte e abili, astrolabi e altri strumenti
utili alla
navigazione[1].
“Loki,”
confermò Balder, distratto e felice di riavere il
giocattolo.
La
ragazza alzò gli occhi cercandolo tra la folla, oltre il
falò che guizzava di
fronte a lei, tra le ombre degli invitati ubriachi e curiosi. La sua
figura
alta e slanciata, sempre così diritta e fiera, non
c’era da nessuna parte. Sigyn
strinse le labbra. Il dio dell’inganno la spiazzava. Di
più, la confondeva per
via della sua natura infida, brillante, sempre portata alla doppiezza.
Le sue
frasi affilate e secche dimostravano un’intelligenza
acutissima, cui si sposava
un talento per le arti magiche che era leggendario. Di lui si dicevano
troppe
cose e lei temeva che fossero vere tutte quante – Loki si
crogiolava
palesemente in questo, sfoggiando con abilità i panni del
principe e del
predone, del mago e del guerriero: troppi contrasti fusi in una sola
persona
capace di trafiggerla con lo sguardo e donarle, un momento dopo, il suo
mantello di pelliccia. Lo detestava e non avrebbe più
ripreso in mano il
cavallino di legno, ma si accorse che il fatto di non sapere dove fosse
la rendeva
meno sicura di sé e tesa. Si disse che aveva bisogno di
tenerlo d’occhio perché
non si fidava di lui, capace di tagliare la gola di un nemico col
sorriso sulle
labbra e, poco dopo, costruire un giocattolo per un bambino. Si
figurò la scena
dell’ingannatore che si sedeva accanto al fuoco a raccontare
storie mentre, con
uno dei suoi coltelli affilati, lavorava il legno con fare sicuro,
ritrovandosi
a tremare sotto il manto nero che ancora indossava.
Sigyn
non poteva saperlo, ma in quel preciso istante Loki stava parlando di
lei. Al
riparo da sguardi indiscreti, ragionava con Padre Tutto su come
accertarsi che
possedesse davvero la scintilla. La sensazione acuita dal seiðr
che infiammava
le vene di entrambi andava appurata in via ufficiale. Una volta fatto
ciò,
bisognava occuparsi rapidamente dell’assurda promessa di
Sigurdr.
“C’è
un
antico manoscritto che parla del rito e della promessa. Consultalo
– dovrai
tradurlo, è scritto in rune più antiche delle
nostre,” suggerì Odino,
imperscrutabile nella penombra.
Loki
annuì. Era naturalmente portato per lo studio e
l’idea di cimentarsi nell’analisi
dei testi più antichi di Asgard lo entusiasmava, ma era
pensieroso e inquieto.
Mosse un passo in avanti, nel buio. “Potrebbero volerci
giorni. Che ne faremo
di lei, nel frattempo?”
Anche
il suo volto affilato era oscurato dalle tenebre notturne, ma il re
degli Æsir,
col suo unico occhio, era capace di scavare fin nel cuore di quel
figlio che
gli assomigliava in maniera dolorosa.
“Potrà
servire i nostri altari, per ora.”
L’ingannatore
piegò le labbra in una smorfia di fronte alla risposta
laconica. Così Sigurdr in
qualche modo avrebbe vinto, e del suo piano originario, già
mutato e distorto
all’inverosimile, non sarebbe rimasto davvero più
nulla. Per un mago come lui la
traccia lasciata dalla scintilla era come un irresistibile profumo che
si
spandeva nell’aria, ma era stato lo sguardo sfrontato e
offeso di Sigyn a
rendere stuzzicante l’idea di gettare il caos
nell’ordinata vita di quella
contessina che riteneva un grande onore l’essere rinchiusa a
vita tra quattro
mura a respirare incensi e a pregare. Voleva che si sporcasse col mondo
e
smarrisse ogni sicurezza. Il cuore di Loki era fatto anche di questo:
di
sussulti oscuri e di ragionamenti così affilati da tagliare
più di un coltello
– che affronto sarebbe stato, per quell’alleato
pavido e bugiardo, sapere che
la sua figlia più giovane era nelle sue mani, sola, nella
fredda e feroce
Asgard che dominava sui fiordi. Il vestito di lei, rosso e attillato
sul seno e
sulla vita stretta, lo aveva fatto indugiare in pensieri sfacciati, che
la
sdegnosa ritrosia di Sigyn e il suo essere quasi un’ancella
rendevano solo più
interessanti. Era prima di sapere che era stata condannata a un destino
atroce,
ma quando Sigurdr aveva parlato rivelandogli l’orribile
patto, l’unica cosa che
Loki aveva potuto fare era stata strapparla comunque
via da quel destino
in nome delle leggi di Bor, del buonsenso, della malizia. Ma ora che
l’aveva
portata con sé ad Asgard cosa fare di lei, come e quando
dirle cosa
l’aspettava? Odino pareva intenzionato a non rivelarle nulla,
trattando la
ragazza come l’ennesima reliquia rubata a un popolo che non
si era piegato
abbastanza di fronte al suo potere, ma lui, che incontrava quegli occhi
grigi tutti
i giorni ricacciando in gola ogni desiderio inopportuno era davvero del
medesimo parere?
No. Come succedeva
ormai sempre più
spesso, il giovane comandante della cavalleria degli Æsir non
condivideva le
scelte spesso fin troppo conservative del padre. In questo aveva un
alleato in
Thor, sempre pronto a dare battaglia e a intervenire dove fosse
necessario – ed
era sempre necessario, per lui, si ritrovò a pensare con un
moto di fastidio.
“Così
suo padre tirerebbe un sospiro di sollievo. Saperla ancella qui o a
Vanheim non
gli farà alcuna differenza,” constatò
con una punta di dispetto nella voce. “Ci
considererà deboli, padre.”
Il re
non raccolse la provocazione. “È maledetta. Non
c’è posto migliore, per lei.”
E
poi,
pensò Loki, agli
Æsir serve la scintilla. “Tu credi che
esista un modo per salvarla?”
“È
comunque un nostro dovere provarci. Le leggi ce lo
impongono.” Il vecchio sovrano
sospirò. “Non è tua, Loki. Non
guardarla come se lo fosse.”
La
replica del principe cadetto fu rapida e sfrontata.
“L’ho guardata come la concubina
che avrei dovuto prendermi per la promessa mancata di suo padre. E tu
eri
d’accordo proprio perché avremmo potuto sfruttare
la sua scintilla. Ma era
prima di sapere della promessa. Niente di più. Non ti fidi
del mio buonsenso,
padre?” ironizzò allargando le braccia.
“Non sono senza controllo come altri,
che non conoscono il senso della misura,” concluse senza
nascondere una punta
di risentimento.
Odino
replicò stancamente. “Loki, a chi ti riferisci, di
grazia?”
L’ingannatore
s’inumidì le labbra. “A
nessuno,” mentì con un brivido, perché
ogni contrasto
che s’instaurava tra lui e il genitore aveva il potere di
fargli tremare le
vene dei polsi, come se l’affetto e la stima di Padre Tutto
fossero qualcosa di
non necessariamente scontato. Le altre parole, quelle che avrebbe
dovuto dire e
che, un giorno avrebbe pronunciato davvero, rimasero a vorticare nella
sua
testa. A Thor. Che giustifichi e proteggi sempre nonostante
le sue
intemperanze.
Loki
e Odino non si dissero nient’altro. Tra loro rimase un
discorso sospeso,
un’incomprensione velata d’amarezza che nessuno dei
due aveva il desiderio di
affrontare. Lingua d’Argento tornò a mescolarsi
con gli ospiti del banchetto.
Reggeva un corno d’idromele con cui cercava di scacciare la
tensione dell’ennesima
discussione quando incrociò Sigyn. Balder le saltellava
intorno reggendo i suoi
giocattoli e lei, vedendolo, s’irrigidì, come
sempre. Lo scrutò aggrottando la
fronte e spostando lo sguardo dal suo volto visibilmente tirato
all’alcool.
“Non
sarai ubriaco, spero.”
“Che
carina! Ora ti preoccupi per me,” ironizzò
beffardo. “Noi Æsir reggiamo bene
l’idromele. Vuoi assaggiare?” propose offrendole il
corno. Balder gli si mise
di fianco, perché i suoi fratelli maggiori esercitavano, su
di lui, un fascino
tutto particolare. Provava una soddisfazione inaudita nello stare loro
accanto
e nell’osservare da vicino le placche delle armature decorate
con lupi e draghi
marini, le else luccicanti e ben lucidate di asce e pugnali e spade.
Sigyn
deglutì. “Le ancelle non bevono. Credevo te ne
fossi accorto,” alluse,
riferendosi ai giorni in cui Sigurdr li aveva ospitati.
“Avanti,
assaggiane un sorso. Ci sono sacrilegi peggiori da
commettere,” insistette l’Ase
sfoderando il migliore dei suoi sorrisi laterali. “Ti
scalderà.”
Lei
scosse la testa. “Mi confonderà,”
decise, e Loki si soffermò sulle ciocche
d’oro che le sfioravano le guance, il collo e il seno che
intuiva sotto
l’abito.
“Se
anche fosse,” le spiegò con voce roca,
“non potrei farti nulla. Odino ha
deciso. Da domani potrai pregare quanto vorrai presso i nostri
altari.”
Sigyn,
sorpresa, non replicò e accettò il corno,
avvicinando le labbra al bordo.
Lasciò che il liquido le bagnasse appena, assaporando
così l’idromele corposo e
forte a un tempo. L’ingannatore non aveva smesso di fissarla
come se volesse rapirla
di nuovo, ma non fece nulla, allontanandosi con la scusa che doveva
studiare
certe carte.
Il
giorno dopo, Loki la vide mentre pregava presso l’altare,
avvolta in un abito
di lana candido come la neve, come si confaceva alle ancelle del suo
rango.
Dopo il giuramento il colore da indossare sarebbe stato diverso,
cambiando a
seconda del rango di appartenenza. Si appoggiò a una colonna
e rimase a
guardarla, osservandola mentre si muoveva tranquilla, priva di quel
fuoco che
aveva spesso mentre gli parlava. Era serena. Non fece nulla per
richiamare la
sua attenzione, ma decise con un sospiro esausto che avrebbe fatto di
tutto per
togliersela dalla mente. Gli girava la testa dalla stanchezza, i suoi
occhi
erano cerchiati di scuro e non aveva fatto altro che trascrivere e
tradurre
rune illeggibili e, soprattutto, inutili, scritte su pergamene mezzo
divorate
dai topi. Nonostante i buoni propositi, sentiva la necessità
impellente di
continuare a cercare, in mezzo ai libri e alle incisioni del tempo che
era
stato, una traccia, una soltanto, che gli indicasse come agire per
spezzare la
maledizione. Sigyn non si accorse della sua presenza. Si
voltò verso la colonna
presso cui Loki aveva sostato solo dopo che lui se n’era
andato.
♥
Erano
passati anni da allora. Balder uscì dalla consueta visita
mattutina fatta a sua
madre con il volto scuro per la preoccupazione. Loki e Thor non erano ad
Asgard
e, a detta di Frigga, non si vedevano dalla sera precedente, dopo che
Padre
Tutto aveva annunciato l’intenzione di nominare a breve e in
via ufficiale il
suo erede diretto. La notizia improvvisa era riuscita a scuotere il
palazzo fin
nelle sue fondamenta. Nell’ascoltare la novità,
Thor si era alzato dalla sedia
proponendo un fragoroso brindisi e riempiendo il corno suo e quello di
Loki
d’idromele fino all’orlo. Al fratello preferito
aveva passato un braccio
attorno al collo e dato una violenta pacca sulla spalla, dicendo che
sarebbe
stato un re magnanimo, capace di tollerare tutte le sue bravate.
L’ingannatore,
sorpreso dalla decisione paterna e forse già perso nei suoi
vorticosi
ragionamenti, sul momento si era limitato a stirare le labbra in un
ghigno breve.
Solo dopo qualche istante e con la gola scaldata dall’alcool
aveva replicato
con arguzia alla sicurezza di Thor. Certo, lui poteva stringere tra le
mani una
delle più potenti reliquie che gli Æsir avessero
mai avuto, ma impulsivo e
spaccone com’era anche con Mjollnir avrebbe fatto ben poco.
Magari era lui,
Loki, colui che avrebbe governato Asgard in futuro.
“Non
ci contare troppo, fratellino,” era stata la risposta di Thor
L’ingannatore
roteò platealmente gli occhi. “Con te Asgard
sarebbe in guerra un giorno sì e
l’altro pure. Immagino già i disastri che mi
toccherebbe sistemare dopo,”
scherzò. A un osservatore molto attento non sarebbe sfuggito
lo sforzo che il
principe cadetto stava facendo per sfoggiare una
tranquillità che, certo, in
quel momento non gli apparteneva. Sapeva di essere stato spregiudicato.
Era
consapevole che il fatto di non riuscire a impugnare Mjollnir era un
punto a
suo sfavore nella nomina a futuro re. Padre Tutto gli riconosceva molte
cose –
l’intelligenza, l’abilità nel convincere
e trattare col prossimo, una spiccata
abilità col seiðr che aveva quasi del prodigioso,
eppure il suo unico occhio,
raramente benevolo, più spesso gelido e feroce, si posava
più a lungo e con
maggiore soddisfazione su Thor che su di lui. Loki era troppo astuto
per non
averlo notato da tempo; solo, si era sforzato di razionalizzare
quell’impressione, cercando ovunque prove che la
convalidassero o la
smentissero. Dal loro padre suo fratello aveva ereditato il corpo
massiccio e
poderoso, i lineamenti del volto, i colori. Inoltre, anche se per pochi
mesi,
vantava i diritti tipici dei primogeniti. La sua somiglianza con Odino,
invece,
era prettamente caratteriale e interessava sia certi atteggiamenti
esteriori come
il modo di guardare, ridere o bere, sia i gusti più
profondi, le preferenze a
tavola, il modo di ragionare, l’abilità nel ferire
il prossimo, anche.
Condividevano gli stessi difetti ed entrambi ne erano più
che consapevoli.
Sia Loki
che Thor fremevano da tempo, premendo affinché il genitore
si risolvesse nello
scegliere il più degno tra loro. In questo modo, Asgard
avrebbe potuto iniziare
finalmente una nuova era. Da troppo tempo Padre Tutto governava
puntando a
conservare il suo potere anziché accrescerlo: si era fatto
cauto e andava
dicendo che il compito degli Æsir non era espandere i propri
commerci fino ai
confini dei Nove Regni e anche oltre né di raccogliere
– razziare – nuove
reliquie, ma di garantire la pace e la prosperità propria e
degli alleati. I principi
pensavano che questo ragionamento fosse un segno inequivocabile che il
loro
padre fosse stanco e troppo vecchio per governare. Di più,
era una decisione
egoista: Odino aveva avuto modo di sfogare la sua sete di conquista
combattendo
per una vita intera e fermandosi solamente dopo l’ultima,
terribile, guerra
contro re Laufey, quando già da molti anni ricopriva il
ruolo di sovrano e condottiero
ed era divenuto un genitore A loro, ai suoi figli che aveva tirato su
per
essere re, negava il piacere e il dovere di combattere semplicemente
perché lui
non amava più farlo. I due fratelli negli ultimi anni si
erano scontrati fin
troppo spesso con l’augusto e severo dio delle forche su
questa stessa questione:
scalpitavano per agire e venivano tenuti faticosamente a freno
dall’autorità
paterna. La dolorosa vicenda che aveva riguardato Sigyn, poi, aveva
esasperato
soprattutto l’animo di Loki, lasciando che
un’amarezza senza fondo gli
infettasse il petto. Per reclamarla e impedire che il suo destino
tremendo si
compisse era sceso fin dove le radici dell’Yggdrasill
traevano nutrimento.
Aveva dato prova di essere un maestro nell’uso del
seiðr, riuscendo a recitare
un incantesimo così oscuro e potente che persino Odino ne
era rimasto colpito e
spaventato. Di nuovo, non si era tirato indietro di fronte alla
necessità di
versare il proprio sangue per Asgard, seppure tutelandosi il
più possibile
grazie alla sua lingua svelta e arguta, ma tutto questo non era bastato
né a
sollevare Mjollnir né a essere degno agli occhi del suo re,
anzi. Sarebbe stato
meglio agire nell’ombra.
Da
quando Sigyn se n’era andata, Loki non l’aveva
più cercata né nominata.
Inizialmente, Thor si era sforzato di convincerlo a indagare meglio sui
motivi
di quella che a lui sembrava più una fuga che una decisione
ponderata con cura.
Si era persino offerto di aiutarlo nella ricerca: erano o no fratelli,
alleati,
amici? Loki, con la voce secca di chi non ammetteva repliche e il tono
deciso
che aveva rubato a Odino, gli si era avventato contro invitandolo a
farsi i
fatti propri. Lei – si era guardato bene
dal pronunciarne persino il nome
– non significava assolutamente niente. L’aveva
presa come ostaggio, un tempo,
ma lui non vestiva i panni del suo carceriere. Era libera di andarsene
quando e
come voleva. Ed era ciò che aveva fatto. Era seguita una
breve rissa da cui
entrambi erano usciti con qualche livido e un paio di ferite lievi.
Di tutto
questo, Balder il Buono aveva colto solo il desiderio di primeggiare
dei due
scaltri e scalmanati principi. Crescendo aveva scoperto di comprenderli
sempre
meno e, nonostante li cercò a lungo, non riuscì a
trovarli da nessuna parte. Immaginò
che avessero deciso di festeggiare l’imminente decisione a
modo loro, cimentandosi
in qualche impresa folle e pericolosa che sarebbe valsa loro il biasimo
e la meraviglia
di tutti. Non pensò a Sigyn né alla storia che la
riguardava e nemmeno alle
conseguenze che la scelta di un erede avrebbe causato a tutti loro.
Continua…
Amore,
quando ti diranno
Che
ti ho dimenticato,
e
anche se sarò io a dirlo,
quando
io te lo dirò,
non
credermi.
(Pablo
Neruda)
L’angolo
di Shilyss
Care Lettrici e Lettori,
Eccomi, finalmente!
Ullalà!
Siamo a un punto di svolta, ve ne
siete accorti? Il prossimo capitolo sarà anche PoV Sigyn, vi
avverto.
Allora, ricapitolando:
Loki voleva prendersi
come concubina l’ancella Sigyn. Lei aveva la scintilla, ma
meglio così. Odino
era d’accordo – sarebbe stato un sacrilegio, ma non
gravissimo: lei non aveva ancora
giurato. La rivelazione di Sigurdr porta tutto su un altro piano. Sigyn
è
totalmente intoccabile e la scintilla peggiora le cose ♥.
Lei ovviamente non sa
ancora niente di questo (nel passato) ed è concentrata su
ciò che sa. Scusate lo
spiegone, ma non avete idea delle fisime che mi sono fatta.
Vi ringrazio dal
più profondo del mio cuore
per aver listato/recensito la storia. Per voi un
clic può non essere
nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici
parole o un clic
nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura
dovrebbe ispirare
a chi scrive.
Parafrasando
l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che
“solo chi
crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo
non è
caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno”
Per ulteriori info,
tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di
divertimento… c’è la mia
pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.
Ah, mi trovate pure su Twitter ;)
Ricordo che Vanheim
e il personaggio di Sigyn, tolto quello
che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Occhio che la settimana
prossima torniamo nel 1982: non mancate <3
A presto e grazie per
tutto l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss