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Autore: dispatia    31/01/2020    2 recensioni
[riscrittura della mia ff del 2015 "Un anno da incubo, ovvero: quando un fratello pestifero non è abbastanza" ; just for fun!]
Fin dove può arrivare l'odio di un essere umano per altri esseri umani? Quanto è profondo il baratro della follia, quando ci cadi dentro per brama di vendetta?
Quanto può distorcersi la visione del mondo, prima di spezzarsi?
Amaaris pensava di averlo capito quando per la prima volta si era affacciata sull'enorme mare della guerra. Dopo più di una vita passata col fratello, legati da un'alleanza violenta e immorale nei secoli, credeva finalmente di aver trovato la pace, di essersi guadagnata la sua vita normale. Ma doveva ancora capire come la realtà trovasse sempre un modo di rigirarsi, ferire, e complicare le cose; come la ruota girasse così in fretta da farla passare in una settimana da una normale studentessa liceale a membro di un corpo speciale, in una disperata corsa contro il tempo per salvare tutto ciò che le rimaneva, per non ritrovarsi ancora una volta con un pugno di cenere in mano…
(MOMENTANEAMENTE IN PAUSA)
Genere: Angst, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bekuta/Vector, Nuovo personaggio, Yuma/Yuma
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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stage 3: delirio
 
 

Non andai a scuola il giorno dopo. Non fu una scelta mia, ma la cosa non faceva differenza, perché anche se Vector non mi avesse obbligata chiudendomi a chiave in casa non avrei comunque avuto la forza di alzarmi dal letto prima di mezzogiorno. Mi sentivo stanca, febbricitante, quasi, a tratti, nel mezzo di un delirio; avevo aperto un vaso di Pandora, qualcosa che avevo tentato di chiudere alla bell'e meglio sperando non si dovesse mai ripresentare l'occasione per vederlo spalancarsi.
Ero stata stupida.
Non so quante volte tentati di vomitare - senza successo per via del nulla assoluto che avevo nello stomaco - o di quante volte mi ritrovai a gemere, con la gola che bruciava, contro un nemico invisibile.
Cosa vidi nella mia poca lucidità? Mille cose, eppure ne ricordo a malapena, tanto ero fuori di me. Alcuni erano ricordi, dai contorni chiari ma dai toni confusi e distanti, a malapena pezzi tagliati male della mia vita - c'era Vector, poi Merag, poi Nash, poi ancora Vector, Nash, il mondo bariano che risplendeva intorno a me, la spiaggia, il mare che mi dava tanta nostalgia, i duelli sul filo del rasoio -, altri incubi bene assembleati che riuscivano a squartarmi in ogni lato scoperto, pugnalandomi con precisione chirurgica dove ero più debole.
In quello stato passai la mattinata, inconsapevole del resto del mondo. La realtà ad un certo punto pareva falsa quanto il sogno, e il sogno più sincero della mia stanza.
Poi finalmente riuscii ad aprire gli occhi, e mantenerli aperti.
Combattei contro la testa che girava finché non fui certa che non sarei svenuta mettendomi a sedere e mi tirai su, iniziando lentamente a riprendere conoscenza di me stessa. Avevo lo stomaco che faceva male per la fame, la faccia sporca di lacrime, e ovviamente vedevo tutto intorno a me oscillare pericolosamente, "come l'ultimo pezzo di jenga" - metafora che trovai estremamente divertente in quel momento, ma che poi sparì dalla mia mente in quanto totalmente illogica.
Con cautela, riuscii ad alzarmi, mettermi una felpa per non morire di freddo, scendere in cucina appoggiandomi pesantemente al muro e finalmente fare colazione, anche se avevo lo stomaco chiuso e sottosopra. Almeno mi era passata la nausea. Per il momento.
Ci volle ancora del tempo prima che riuscissi a rimettermi del tutto in ordine, sopratutto a livello mentale. I ricordi della sera prima erano ovattati, e sapevo benissimo che era un debole tentativo della mia psiche di non farmi impazzire; ci volle fin troppo tempo, e alla fine mi aspettavo di ricominciare a sentirmi male, ma avevo fatto abbastanza la vittima per i miei gusti.
Fuori era nuvoloso, in pieno contrasto con le belle giornate che si erano susseguite fino a quel momento. Guardavo dalla finestra girando pigramente la tazza di cereali, con la testa piena di domande e un dolore sordo all'altezza del petto che batteva lo stesso ritmo del mio cuore.

Chissà cosa mi spinse a risalire le scale e fermarmi davanti a camera di Vector. La teneva sempre chiusa a chiave, e comunque non credevo ci fosse nulla d'interessante là dentro tranne qualche libro di scuola, forse delle fotografie, forse un trono. Sembrava un accumulatore seriale ma detestava il disordine. Un tipo metodico. Sociopatico, ma metodico.
Abbassai la maniglia, senza mettere in dubbio il mio istinto che mi diceva di farmi un po' di fatti suoi come mai avevo avuto il privilegio di fare. La porta si aprì, docile, e la luce del corridoio illuminò la stanza altrimenti scurissima per via delle imposte chiuse.
Accesi la luce, richiudendo la porta dietro di me. Sapevo non sarebbe tornato prima di cena, ma mi sentivo comunque a disagio, come se fossi entrata in un tempio proibito, nel cuore di un segreto inviolabile.
La scrivania era sgombra, il letto a posto, l'aria viziata, un peluche in terra... un peluche in terra.
Inarcai un sopracciglio, chinandomi per vedere cosa fosse, senza azzardarmi a spostarlo neanche di un millimetro conscia fosse abbastanza ossessivo da accorgersene. Assomigliava tremendamente al mio, solo meno vecchio e consunto. Da quando aveva bisogno di un orsacchiotto per dormire? Se avessi potuto farlo senza morire l'avrei preso in giro a vita.
Un riflesso sopra il letto attirò la mia attenzione, distogliendola dalle congetture su come sfotterlo per il peluche senza ammettere di essermi intrufolata lì dentro. Erano foto, tre o quattro, che non riuscii a vedere chiaramente finché non mi avvicinai; mi venne da sorridere.
Credo che questa faccenda dei "sentimenti" per lui fosse qualcosa di estremamente delicato. Vivere come avevamo fatto noi per così tanto tempo rende il vedere negli altri qualcosa di buono estremamente difficile, e a lui, per'altro, piaceva mantenere la facciata. Forse lo spaventava, ritrovarsi così umano, senza aver avuto il tempo di esserlo mai.
Eppure, teneva le foto che aveva fatto con Yuma alle macchinette quando era Rei. Le sfiorai con le dita, notando come le altre fossero una foto del torneo di pallavolo - faceva parte di quel club, e apparentemente era anche bravo - e poi...
Mi immobilizzai.
Quando mi era venuto a prendere dall'orfanotrofio non mi aveva immediatamente riportata nel mondo bariano. Per quanto avessi recuperato la memoria erano davvero troppe le cose da digerire, e aveva avuto la gentilezza di stare con me una giornata nel mondo esterno, quello che nella mia vita da umana normale e inconsapevole avevo visto così poco.
Era uno dei miei ricordi più belli.
Avevamo fatto una foto, giusto per provare; mi aveva detto che l'aveva cancellata, "o buttata via, o persa, o chissà cosa, che te ne importa?", eppure era lì. Io con la sua giacca, perché faceva davvero freddo anche se era primavera, e lui con una maglietta troppo larga. Sembravamo due trovatelli, con occhi distanti come se avessero visto l'Inferno, eppure sorridevo. Mi si strinse il cuore, e qualsiasi rimasuglio di rabbia nei suoi confronti mi fosse rimasto dal giorno prima si frantumò sotto le mie mani.
Non avevamo mai avuto il privilegio di essere fratelli normali, e sotto sotto ero davvero convinta mi odiasse, o perlomeno non gli andassi a genio, che mi trovasse insofferente. Distolsi lo sguardo, sentendomi triste solo di non poterla tenere con me, e tornai a guardare la stanza.
Notai il suo deck sul comodino. Non avevo intenzione di fare nulla di eclatante; volevo solo, non so, sfiorarlo, magari dare un bacino a Masquerade, che doveva sentirsi solo a forza di stare lì senza mai essere usato. Ma quando appoggiai una mano sulle carte, una luce intensissima mi accecò, costringendomi a coprirmi gli occhi.
Fu un attimo, e fui da un'altra parte.

 
Passavano le ore, e quello che avevo visto non mi usciva dal cervello. Frullava come un uccellino, così assurdo, ma così reale...
Mi rigirai la collana fra le dita, la testa che girava come una trottola impazzita. Il malessere era quasi sparito, in compenso, cancellato da quella singola visione.
« Sono a casa. »
La voce di mio fratello mi convinse ad alzare la testa, pigramente. Notai che non sembrava preoccupato come quella mattina, e gliene fui grata. Non l'avrei sopportato ancora con una faccia apprensiva.
Si voltò a guardarmi, e dovette far caso a quanto fossi ancora trasognata perché si sfilò le scarpe e mi si avvicinò, unicamente per darmi una schicchera sulla fronte.
« Vedo che hai finito di fare sceneggiate. Non hai neanche preparato la cena? Sei inutile. »
Borbottai qualche insulto, alzandomi per andare ad aiutarlo in cucina. Mi sentivo ingentilita nei suoi confronti dopo quella foto, abbastanza perché l'intera atmosfera risultasse più rilassata. Apparecchiai, accesi la TV, e mi sedetti sul bancone guardandolo armeggiare con le uova in quella maniera totalmente inesperta che avevamo entrambi.
« Vector? », lo chiamai, senza aspettarmi che si voltasse « posso chiederti una cosa? »
« A patto che non sia una stupidaggine. O qualcosa alla quale ti ho già risposto. »
Sbuffai pesantemente, puntando i gomiti sulle cosce per appoggiare il viso sulle mani.
« Non voglio chiederti dei tuoi stupidi segretucci. Ecco... ti ricordi nostra madre? Quella storia che ci raccontava da piccoli? »
Girò appena la testa verso di me. Sembrava esserglisi addolcito lo sguardo a parlare di nostra madre. Succedeva sempre.
« Quale? Quella della principessa ribellina che finiva sola e senza amici? »
« No, scemo. Quella del sacerdote e della luna... »
« Ah, già. Piaceva solo a te, io l'ho sempre trovata stucchevole. »
« Beh è stata quella storia a convincermi a diventare una sacerdotessa, no? Non era così stupida. »
« Sei diventata una sacerdotessa perché mamma ha cercato di venderti ma non ci è riuscita. »
Gli feci il verso, e schivai la spatolata in faccia, con una risata di cuore. Era così puro, così umano... Eppure non era quello il punto a cui volevo arrivare.
« Ecco, ti ricordi come in quella storia il sacerdote diventi un vessallo della divinità in terra pur senza saperlo? »
S'irrigidì, e sapevo che un'unico pensiero gli stava passando per la mente.
« Hai visto...? »
« No. Non lui. Non potrei, è morto. », mormorai, innervosita per empatia « Però, ti ricordi il nome della nostra divinità? »
Si rilassò, spegnendo la fiamma del fornello.
« Non era importante. Cerca di non riempirti il cervello di idiozie, ok? E passami i piatti se non vuoi morire di fame. »
Sospirai, lasciando cadere il discorso, e facendo quanto mi aveva chiesto, accendendo la TV nel mentre. Eravamo in perfetto orario per il telegiornale, anche se a nessuno di noi due sembrava importare più di tanto.
« Amaaris, seriamente, ora che stai meglio... cos'è successo ieri sera? »
Lo guardai per una manciata di secondi, prima di abbassare lo sguardo sulle uova, aggiustandomi a disagio sulla sedia.
« Se tu puoi avere i tuoi segreti non posso avere i miei? »
« Sei tornata a casa a pezzi, accompagnata da Nash - che si è rifiutato di dirmi nulla - e sei svenuta sulla porta, senza contare che stamattina deliravi. Questi non sono segreti che puoi tenere per te. »
Era serio come poche volte l'avevo visto, e sentii un fiore di senso di colpa sbocciarmi nel petto, doloroso. Purtroppo l'orgoglio maledetto era una cosa di famiglia.
« Non ho intenzione di dirti nulla. Non ti mentirò perché al contrario tuo so mantenere le mie promesse, ma se puoi tenermi all'oscuro di così tante cose perché non posso fare lo stesso? »
Aprì bocca per replicare, ma un'immagine alla televisione richiamò l'attenzione di entrambi. A me si ghiacciò il sangue nelle vene, e anche Vector sembrò impallidire.
Era la zona dove mi ero avventurata la sera prima. C'era della polizia, un corpo che veniva portato via... alzai il volume, per sentire le ultime parole della giornalista.
« ... questa non è che l'ultima delle aggressioni che si sono conseguite a catena negli ultimi tempi nella nostra città. La polizia sta seguendo la stessa traccia dei casi precedenti, ma non ci sono traccie che indichino chi possa essere l'aggressore; l'uomo, incensurato, non aveva nessun precedente che possa giustificare un omicidio così efferato. Si raccomanda la massima cautela nel girare soli, specialmente di notte, in quella che ormai sembra una leggenda metropolitana di un assassino fantasma... »
« Devo andare. »
Mio fratello scattò come una molla, il piatto ancora a metà. Non feci in tempo a dirgli nulla che era già uscito, lasciandomi sola con la conclusione dell'articolo.
« ... sulla zona era anche presente una giovane, Kotori Mizuki, insieme ad un amico, Alito. Anche la ragazza ha subito un aggressione ma grazie all'intervento tempestivo del compagno è riuscita a scampare una morte certa, ed è attualmente in ospedale per accertamenti. Linea allo studio. »

 
Il giorno dopo mi sentii abbastanza in forze da tornare a scuola. O meglio, ero ancora a pezzi, ma un pochino meno di prima, quel poco che bastò a mio fratello per decidere di spedirmi senza tante cerimonie con una pastiglia e una pacca sulla spalla.
Aspettai Yuma fuori da casa sua, come ci eravamo detti la sera prima per telefono, e poi ci avviammo entrambi per la strada, stringendoci nei cappotti per il freddo, nel più completo e pesante silenzio.
C'era un certo vento quella mattina che sapeva di pioggia, e gli stessi nuvoloni del giorno precedente. Yuma sembrava teso, nervoso, e sapevo perfettamente perché. Anche io ero sinceramente preoccupata per Kotori, ma non era la mia preoccupazione più grande. Il modo in cui combaciavano il posto e quello che avevo visto mi portavano ad un'unica risposta; Luna era un'assassina pericolosa, e andava fermata.
Non riuscivo a pensare a nessun alibi che tenesse.
Persa nei miei pensieri, tenevo lo sguardo fisso su un punto indefinito a terra, e mi fermai unicamente perché sentii Yuma farlo. Alzai la testa per chiedergli quale fosse il problema, e mi impalai sul posto.
Luna.
« Amaaris » disse soltanto, con quella voce che mi gelava il sangue nelle vene « Ti sfido a duello. »


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note dell'autrice
C
on (credo) un mese di pausa, ecco il terzo capitolo!
Che ho odiato tantissimo.
Seriamente, l'ho riscritto tre volte. Un parto sarebbe stato più piacevole.
In ogni caso! Mi scuso se la qualità di questo capitolo è sotto zero ma non ce la faccio ad aggiustarlo più di così, pace.
Al prossimo capitolo <3

 
   
 
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