CAPITOLO
15
PER CURARE UN CUORE
SPEZZATO, PER GUARIRE UNO SPIRITO DISTRUTTO
Tutto
era iniziato con la
paura.
Quella
paura sottile e
beffarda, che ti si insinua nel cuore e che, quando ti accorgi della
sua
presenza, è troppo tardi, ti ha già catturato
nelle proprie grinfie,
spingendoti a fare follie nel tentativo di azzittirla, di allontanarla.
Tutto
era iniziato con la
paura e, sulle prime, Ikki aveva fatto del suo meglio.
Giorno
dopo giorno,
settimana dopo settimana, aveva cercato di tenerla a bada
concentrandosi sul
dolore delle proprie ferite, per poi concentrarsi sul dolore dei
fratelli
ancora in vita, dei fratelli che avevano combattuto con lui e dei
fratelli a
cui dovevano rivelare ogni cosa.
Fino
a quando non era più
riuscito a reggere.
All’indomani
della
confessione, era sparito, volatilizzatosi come nebbia al sole.
Non
li aveva affrontati
lui in prima persona, non ne aveva avuto il coraggio – era
stato un vigliacco,
lo sapeva, ma non pensava di poter reggere i loro sguardi feriti, la
consapevolezza che quello disteso in quel letto troppo grosso per lui
non era
soltanto un amico d’infanzia, un compagno d’armi,
ma sangue del proprio sangue,
un fratello in tutto e per tutto e non solo spiritualmente –
ma ne aveva
sentito i Cosmi confusi e il vociare basso e striato di lacrime che si
erano
scambiati nei corridoi, aveva assistito come un’ombra agli
abbracci impacciati
e silenziosi negli angoli bui dei corridoi deserti della Villa durante
le notti
prima tiepide, poi roventi e via via sempre più fredde, fino
alla notte in cui
era arrivata la telefonata.
Era
appena rientrato in
casa dalla finestra della propria stanza, dopo un’altra
giornata chiuso tra
quelle soffocanti quattro mura e una serata trascorsa a vagabondare per
la
città, alla ricerca di altri stupidi come lui che pensavano
di poter affrontare
i loro problemi con i pugni e il sangue versato – eppure
aveva sempre
funzionato, aveva pensato spesso in cuor suo, un sacrificio di sangue
in
passato aveva sempre contribuito a sconfiggere anche i nemici peggiori
– per
soffocare il proprio dolore e la propria mancanza di risposte.
Per
soffocare la paura.
Aveva
appena varcato la
finestra quando aveva sentito un tramestio fuori dalla propria porta,
poi un
rumore di passi in corsa, di porte sbattute e la voce alta di Ban che
chiamava
a gran voce i nomi dei fratelli – fratelli, che parola
straniera sulle sue
labbra, ancora straniera nonostante tutto – e che urlava a
gran voce la propria
gioia e il proprio sollievo per il risveglio di Seiya.
Quando
Ikki ne sentì il
nome, per un attimo si paralizzò sul posto, nel buio della
stanza disordinata e
dall’odore di chiuso, di lacrime e rabbia, incapace di
razionalizzare quello
che aveva appena udito.
Poi
sentì la voce di Shun
che piangeva davanti alla sua porta chiusa, una voce che lo pregava di
uscire,
di farlo per Seiya.
Una
voce a cui, in
passato, non sarebbe riuscito a dire di no ma che, in quel momento, gli
faceva
più male di un osso spezzato: una voce supplichevole che
veniva sommersa da
quella stessa paura che lui aveva combattuto in ogni modo e che,
purtroppo,
sembrava stesse vincendo.
E per
la prima volta nella
sua vita, non rispose all’appello di Shun.
Ignorò
la voce del
fratello che amava più di se stesso.
Ignorò
la luce, per
l’ennesima volta, per perdersi nuovamente nel buio.
Ma
questo buio era
diverso, più pesante di prima, più forte della
sua anima e del suo Cosmo,
impossibile da affrontare, quantomeno non da solo.
Ma
era un’oscurità
velenosa, che gli avviluppava la mente e lo spingeva giù,
sempre più giù,
facendolo sprofondare in una voragine da cui non poteva scappare.
Si
sentiva di nuovo quel
bambino spaventato in un mondo di macchine sotto la pioggia, con un
fagottino
tra le braccia, in fuga attraverso ombre che non si curavano di loro.
Ma
stavolta, Shun non era
con lui, troppo lontano e Ikki non voleva insozzarne la
felicità ritrovata, gli
sforzi che stava facendo per ricostruire una parvenza di famiglia, come
il
Saint di Andromeda aveva sempre desiderato.
E
perciò, la sola risposta
che aveva trovato in sé era stata quella: e dopotutto, cosa
mai poteva
aspettarsi dal mondo? Cosa mai poteva pretendere dal mondo, un mondo
che aveva
divorato ogni loro grammo di felicità, ogni singola goccia
di sangue che
avevano versato per proteggerlo e che li aveva ripagati con tutto quel
dolore,
con quel destino votato al martirio in quanto Saint ancora prima di
nascere?
Nulla,
se non l'oblio.
Oblio
e paura annidata in
fondo al cuore.
Una
paura che, tuttavia, non
gli permetteva di vedere una grande e sola verità.
Non
era davvero solo.
§§§
Quando
Saori uscì
corridoio mentre finiva di allacciarsi in vita la veste da camera per
proteggersi dal freddo di fine dicembre, trovò Ichi e Nachi
poggiati contro la
parete, in attesa, e lei li ricompensò con un sorriso
affettuoso prima di
tender loro le mani e attendere che le afferrassero, seppur con
titubanza.
Insieme,
i tre percorsero
il corridoio, venendo subito notati da Jean, ancora seduto al bancone
dell'accettazione; il francese si affrettò ad alzarsi e ad
andare loro
incontro: "Mademoiselle Kido," disse il giovane infermiere con un
piccolo inchino, "Seiya-kun e gli altri sono andati di sotto, li ho
visti
prendere l'ascensore con… Seika-san?" azzardò
lui, incerto sul nome della
ragazza dai capelli rossi.
Saori
annuì: "Allora
li raggiungeremo. Il giardino interno è aperto?"
Jean
scosse la testa:
"C'è stata la festa di compleanno per il piccolo Sasaki,
devono ancora
rimettere tutto a posto. Credo che siano andati in
caffetteria…"
"Perfetto,
proprio
dove stiamo andando anche noi." disse Nachi, mostrando il vassoio con
le
stoviglie sporche che bilanciava sulla mano libera: "Se passasse
Makishima-sensei, potresti dirgli dove siamo, Fournier-kun?" chiese
Saori.
Lui
annuì con decisione:
"Lasci fare a me, mademoiselle. Se per il giro delle visite non sarete
ancora tornati, lo accompagnerò personalmente di sotto,
promesso."
Lei
lo ringraziò con un
cenno del capo, poi tirò leggermente le mani dei due ragazzi
e, insieme, si
avviarono verso gli ascensori, in un silenzio niente affatto
spiacevole, anzi
quasi gradevole e caldo, come una coperta di pile in inverno.
Il
breve tragitto passò in
un lampo e ben presto i tre si ritrovarono sulla soglia della
caffetteria
deserta, tranne che per un tavolo, al centro della stanza, accanto a
cui Jabu
cercava di sfuggire dalle bacchette che Seiya usava come arma
impropria, tra le
risate di Seika.
Mentre
Nachi, non visto,
si avviava al bancone per restituire le stoviglie, Saori e Ichi si
avvicinarono
a loro, venendo subito notati da Hyoga, con metà viso
nascosto da una tazza di
tè ancora fumante; ma non disse niente, lasciò
che si avvicinassero abbastanza
perché anche Jabu li notasse e si affrettasse a nascondere
le bacchette che
aveva rubato a Seiya: "Ben svegliati." disse a quel punto Hyoga,
"Siamo usciti per non svegliarvi." aggiunse Shun, seduto al suo
fianco.
"Avete
fatto bene,
ragazzi. Seiya aveva bisogno di cambiare aria." rispose Saori prima di
accomodarsi su una sedia che Seika le aveva passato: "Altrimenti
sarebbe
evaso di nuovo." borbottò Geki, guadagnandosi una linguaccia
dal fratello
convalescente.
Quando
Nachi li raggiunse,
i ragazzi si strinsero per fargli posto e, attorno a quel tavolo
decisamente
troppo piccolo per accogliere tutti, si scambiarono chiacchiere a bassa
voce e
risate sonore che rimbalzavano sui muri bianchi, pugni scherzosi e
abbracci
goffi ma spontanei.
La
sera stava ormai
calando quando, sulla soglia della caffetteria, apparvero Jean Fournier
e il
dottor Makishima, il quale notò subito il suo paziente e la
sua espressione
rilassata e, quasi non osava dirlo, felice.
Makishima
Seiichiro
lavorava nella Clinica della Fondazione da anni e di cose ne aveva
viste
parecchie: aveva visto persone uscirne con le proprie gambe, altre
dentro
un'urna nera, gli erano passati davanti agli occhi talmente tanti
frammenti di
vite che faticava a ricordarli tutti, ma ogni volta che vedeva un
sorriso sul
volto di un suo paziente, segno di una vita che cercava ad ogni costo
di
riprendersi quello che era suo, non poteva fare a meno di sentirsi
sereno a
propria volta.
E non
era soltanto una
questione di aver fatto bene il proprio lavoro: era qualcosa di
più profondo e
importante, di impalpabile e fragile.
Era
la consapevolezza di
aver salvato una vita, una consapevolezza che contribuiva a ricordare
ogni
giorno all'anziano medico perché avesse deciso di
intraprendere quella
professione.
"Makishima-sensei,
Fournier-kun, posso prepararvi un tè?" chiese subito la
giovane donna
dietro il bancone, una volta raggiuntili dopo averli notati.
"No,
grazie, mia
cara. Sono qui da tanto?" chiese il medico, mentre Jean, accanto a lui,
declinava a propria volta l'offerta; lei annuì: "Da un paio
d'ore.
L'orario di visite è finito da un pezzo ma non avevo cuore
di mandare a casa
quei ragazzi. Come sta Kido-kun?"
Il
dottore guardò per un
attimo il gruppo, ignaro della loro presenza, poi sospirò:
"Sta meglio, ha
recuperato molto negli ultimi tempi e volevo fare un'ultima visita per
decidere
quando dimetterlo."
"Sono
certa che una
notizia del genere li renderebbe tutti felici. Anche se questo posto
sarà un
po' triste senza di lui… Non mi fraintenda, sensei!" disse
subito la
giovane donna, alzando le mani verso l'uomo più anziano:
"Sono contenta
che possa tornare a casa e che si sia ripreso, ma è un
ragazzo adorabile e prendersi
cura di lui è un piacere."
"Anche
Meiko-san e
Satsuki-san la pensano così, monsieur le
médecin." disse Jean con un
sorriso: "Seiya-kun è sicuramente pestifero ed esuberante,
ma per qualche
motivo, quando lui è in una stanza, questa sembra
più luminosa, più viva.
Meiko-san stravede per lui e se potesse se lo porterebbe a casa."
"Ma
non credo che
Saori-ojousama ne sarebbe felice. E neppure gli altri ragazzi, ho
l'impressione
che siano parecchio protettivi nei confronti di Kido-kun."
La
voce del dottore
suonava divertita e Jean e la giovane donna si scambiarono un'occhiata,
consci
del fatto che avesse ragione: la famiglia di quel ragazzino a cui erano
così
affezionati avrebbe avuto da ridire, e parecchio.
"Makishima-sensei,
buonasera."
Fu la
voce gentile di Shun
ad attirare l'attenzione dei fratelli sui tre rimasti in disparte a
parlare,
facendo irrigidire appena Seiya che, senza che nessuno l'avesse
apparentemente
notato, impallidì un po'.
Il
dottore si avvicinò al
gruppo a larghi passi, senza smettere di sorridere, ed estrasse dalla
tasca un
termometro digitale: "Sono passato per il giro serale ma ho trovato la
stanza deserta, così Fournier-kun è stato
così gentile da accompagnarmi qui da
voi. Ma non dovete scusarvi, ragazzi," aggiunse, prima che Shiryu
potesse
dire una parola, la bocca già aperta, "Terapia non vuol dire
solo medicine
e punture, vuol dire anche calore e affetto. E anche se è
già finito l'orario
di visite, per questa volta chiuderemo un occhio e non diremo a nessuno
dove
siete stati." il medico strizzò l'occhio e i ragazzi
sembrarono più
rilassati mentre lui si avvicinava a Seiya e poggiava il beccuccio del
termometro sulla sua tempia.
In
pochi secondi, diede il
suo responso.
"Uhm…
Hai qualche
linea di febbre, ma credo che sia per il tuo giro all'esterno di
stamattina,
vero?"
Incapace
di mentirgli,
Seiya annuì.
Poi
il medico tastò petto
e fianchi, ne esaminò le garze che ancora coprivano il suo
petto, dopodichè gli
prese il polso e ne contò i battiti.
Tutta
la stanza sembrò
trattenere il respiro mentre il medico borbottava tra sé e
sé.
Quando
infine si staccò e
permise a Seiya di abbottonare di nuovo la casacca del pigiama dopo
avergli
auscultato cuore e respiro, la prima cosa che fece fu rivolgere un
sorriso
rassicurante ai presenti: "Se prende le medicine che stasera gli
farò
avere e non si strapazzerà troppo, anche se è
ancora un po' debole, Kido-kun
potrà uscire tra un paio di giorni."
Il
silenzio si fece quasi
opprimente per una manciata di secondi, prima che urla di gioia
riecheggiassero
tra le pacche sonore sulle spalle e gli abbracci dei presenti mentre
Seiya,
come svuotato e inebetito, restava seduto sulla propria sedia, fissando
il
vuoto.
"Sul
serio?!"
disse Jabu, con gli occhi sgranati.
Il
medico annuì, poi si
voltò verso Saori con un sorriso: "So che prima ero stato un
po' criptico
ma non volevo darvi false speranze. Ora ne sono convinto, soprattutto
vedendovi
insieme. La medicina può curare le ferite del corpo ma per
guarire davvero
serve ben altro, e voi lo avete. Continuate così e ben
presto Kido-kun potrà
tornare a camminare e avrà la vita piena che si merita."
Nel
mentre, Shiryu,
spostatosi accanto al fratello più piccolo, lo aveva
abbracciato, stringendolo
a sé con tutta la forza che aveva e nascondendone le lacrime
mentre gli
sussurrava qualcosa che né il medico né Saori
potevano udire; a quella scena,
gli altri ragazzi si fermarono e, con gli occhi lucidi, si gettarono su
entrambi, rinnovando l'abbraccio e lasciando che tutto l'affetto che
stavano
imparando ad esprimere fluisse e li avvolgesse come una calda coperta.
"Andremo
a casa,
Seiya… E stavolta verrai con noi…" disse Shiryu,
a voce un po' più alta:
"Andremo a casa, insieme."
Saori
e Makishima videro
il cespuglio di capelli spettinati del più giovane muoversi
in un cenno di
assenso, ma non riuscirono a udirne la risposta a voce, se mai ci fosse
stata.
"D'accordo,
ragazzi,
ma ora è il caso che Seiya-kun torni in camera sua e che voi
andiate a
riposare." disse Jean battendo le mani: "Ci penserò io a
controllarlo."
Seiya
emise una risata
strozzata tra le lacrime mentre Shiryu scioglieva la stretta: "Ci
vediamo
domani. Dopo colazione saremo di nuovo qui." gli promise il Saint di
Dragoon con una carezza sulla testa.
Nachi
annuì e Ichi, al suo
fianco, fece per raccogliere tazze e stoviglie, prima che la giovane
donna,
rimasta fino a quel momento in silenzio, gli rivolgesse un cenno con la
mano:
"È il mio lavoro, ci penso io. Voi tornate a casa, e fate
attenzione per
strada, ha ripreso a nevicare.".
Geki
e Ban si guardarono,
poi, con un sospiro, radunarono i fratelli e li spronarono a tornare di
sopra
per recuperare le loro cose: "Abbiamo un po' di strada da fare, quindi
gambe in spalla. Saori-san, viene con noi oppure la passa a prendere
Tatsumi?"
Saori
scosse la testa:
"Vengo con voi, un po' di aria farà bene a tutti." disse,
per poi
girarsi verso Seiya prima di posargli un bacio affettuoso sulla fronte,
"Ti serve qualcosa?"
A
quella domanda, Seiya
ebbe un tuffo al cuore: in effetti qualcosa c'era, ma non sapeva come
chiederlo, e se potesse chiederlo.
Vedendolo
a disagio e
anche rabbuiato, Saori gli rivolse uno sguardo interrogativo, e,
allontanando
gli altri ragazzi con un gesto della mano, si sedette accanto al Saint
di
Pegasus e gli prese la mano pallida: "Puoi chiedermi tutto, Seiya. Lo
sai."
Con
la coda dell'occhio,
il ragazzo vide i fratelli allontanarsi verso la porta, accompagnati
dal
medico, mentre Jean-kun restava accanto al bancone, discreto, per
accompagnarlo
di nuovo in camera.
Con
il petto pesante, lui
strinse la mano della Dea e la sentì calda, piacevole come
il Cosmo divino che
permeava tutto l'edificio: "Mi chiedevo… Mi
chiedevo…"
Saori
lo vide abbassare lo
sguardo e ne percepì il disagio, ma faticava a capire cosa
lo turbasse a tal
punto.
"Saori…
Avrei voluto
chiederlo tante altre volte, ma vedere Shun triste ogni volta mi ha
fermato. Ma
voglio saperlo. Ikki sta bene, vero?"
Ikki.
Athena
aveva temuto quel
momento: quel momento in cui sapeva che non avrebbe avuto le risposte
che il
suo protetto stava cercando, quelle risposte che lei stessa aveva
cercato a
lungo in quel mese, frugando le vie del Cosmo alla disperata ricerca
del più
testardo e ferito dei suoi guerrieri, senza ottenere nulla.
Non
dubitava del fatto che
fosse ancora vivo, non aveva neppure preso in considerazione l'ipotesi
contraria, ma non era mai riuscita a trovarlo, nonostante le preghiere
alle
stelle: era come scomparso, inghiottito dalle pieghe della notte e del
dolore.
Con
un sospiro, la Dea
annuì ma strinse più forte la mano di Seiya:
"Sarò sincera con te, perché
mentire sarebbe inutile e controproducente. Non lo so, Seiya. Ho
provato a
cercarlo con tutti i mezzi a mia disposizione, ma è stato
tutto inutile."
"Ma
hanno mantenuto
la promessa di dire agli altri del nostro legame, perché
andarsene adesso? Non
riesco a capire, non vuole restare con noi? Non vuole avere una
famiglia?"
gli occhi di Seiya si inumidirono: "Se è per qualcosa che ho
fatto… Se è
per la mia scelta di proteggerti e… Posso chiedergli scusa,
cercarlo e farmi
perdonare…"
Il
corpo magro del
ragazzino tremò, e Saori lo abbracciò per
calmarlo: "Non è colpa tua,
Seiya. Non pensarlo neppure per un attimo." gli sussurrò
mentre gli
accarezzava i capelli, "Io credo che stia male, sia ferito
profondamente
nello spirito e che, come un animale ferito e spaventato, si stia
nascondendo
per curare le proprie ferite. Continuerò a cercarlo. Lo
cercherò e farò di
tutto per riportarlo a casa."
"Me
lo
prometti?"
"Te
lo prometto,
Seiya. Lo troverò e lo riporterò indietro."
§§§
“Ojou-sama,
posso parlarle un attimo?”
Saori
sobbalzò
non appena ebbe chiuso la porta della stanza di Seiya dopo averlo
riaccompagnato di sopra, sorpresa nel venir chiamata da Satsuki:
l'infermiera
la raggiunse di corsa dal fondo del corridoio, la cuffietta bianca
perfetta
sulla testa; con un cenno della testa, Saori la salutò:
“Buonasera,
Satsuki-san. Cosa succede?” chiese, “Se sta
cercando i ragazzi, sono fuori in
cortile, mi stanno aspettando per tornare a casa ma posso
chiamarli.”.
Tuttavia,
lei
scosse la testa e le prese le mani e quel gesto sorprese non poco la
giovane
Athena: “Le devo parlare ma non dei ragazzi, o meglio, non di
Shiryu e degli
altri. Sarò franca, devo parlarle di Ikki. E con la massima
urgenza.”.
Saori
sgranò
gli occhi: “Cosa vuol dire?”
“Ojou-sama,
ho
aspettato parecchio e ho riflettuto molto prima di parlarle, ma mi sono
convinta che fosse l'unica cosa da fare. Qualche sera fa, sono stata
aggredita
sulla strada di c-casa... Dei teppisti volevano r-rubarmi la borsa, ma
Ikki-kun
è apparso all'improvviso per salvarmi. Non sono riuscita a
parlarci molto ma
non mi sembrava in forma, aveva lividi e graffi, sembrava avesse fatto
a pugni
con qualcuno di più grosso di lui, era scontroso e
aggressivo e ha detto che
non ha più fatto visita a Seiya-kun da quando si
è risvegliato. Pensandoci, è
vero che non l'ho più visto in clinica, ma pensavo fosse
perché venisse quando
non ero di turno o perché magari restasse poco. Ma qualcosa,
nel suo sguardo,
mi ha portato a crederci… Ojou-sama, quegli occhi erano
così scuri e pieni di
rabbia che mi sono spaventata, ma non temevo per me, quanto piuttosto
per lui.
C'è qualcosa che si può fare per aiutarlo?"
Mentre
la
giovane infermiera parlava, stringendole le mani e guardandola con
espressione
supplice, Saori sentì il cuore stringersi, e si chiese tra
sé come veicolare
questi sentimenti verso il più testardo dei suoi protetti,
come fargli sentire
tutto l'amore che era lì, pronto per lui, se solo l'avesse
voluto afferrare.
Con
un sospiro
stanco, Saori si divincolò dalla sua presa e ne
afferrò le mani a propria
volta, scrutandola negli occhi.
Satsuki,
imbarazzata, abbassò lo sguardo: "Mi scuso per la mia
insolenza,
Ojou-sama, io…"
Athena,
tuttavia, scosse la testa e le sorrise gentile: "Grazie, Satsuki-san.
Grazie per voler così bene ai miei ragazzi…
Purtroppo non è così facile aiutare
Ikki, soprattutto se non vuole essere aiutato. Ma farò del
mio meglio per
trovarlo e fargli capire che può contare su di noi, su di te
e su tutte le
persone che si sono prese cura di loro in questi mesi."
Più
rassicurata,
Satsuki annuì e Saori la lasciò andare, venendo
quindi salutata con un profondo
inchino: "Grazie di cuore, Ojou-sama… Per qualsiasi cosa, io
sono a
disposizione…"
§§§
Tremando,
se
di freddo o di altro non lo sapeva, Seiya si trascinò con le
stampelle fino al
letto prima di lasciarcisi cadere sopra con un sospiro che sembrava
più un
singhiozzo; affondò il viso nel cuscino e lo prese al tempo
stesso a pugni,
imprecando: "Stupido Ikki, cosa ti salta in testa?!" mugolò
il
ragazzino, mentre una sensazione di opprimente ansia gli premeva sul
petto.
"Stai
facendo preoccupare tutti, stupido fratellone…"
mormorò il ragazzo mentre
una lacrima scivolava sul cuscino.
Nella
sua
mente si affollavano mille idee e pensieri, ma solo una era la strada
che
poteva intraprendere: il mondo al di là della finestra era
freddo e buio, la
notte poteva celare il male ad ogni passo ma sentiva che Ikki aveva
bisogno di
aiuto, che aveva bisogno di lui, da solo e prigioniero della propria
stessa
oscurità e quanto era vero che fosse il Saint di Pegasus,
l'avrebbe salvato
perfino da sé stesso.
Ancora
mezzo
dolorante e debole, ma determinato ad ogni sacrificio, il ragazzino si
lasciò
nuovamente scivolare dal letto e indossò le pantofole, pur
se con difficoltà,
prima di alzarsi facendo leva sul letto sfatto.
Pur
lamentandosi
sottovoce, riuscì a mettersi dritto e afferrò lo
scialle che Seika aveva
lasciato appeso accanto al letto: indebolito anche da quel piccolo
movimento e
con il cuore che batteva forsennatamente, lo indossò a
malapena prima di
prendere le stampelle e puntellarsi per camminare; con fatica,
raggiunse la
finestra, che venne spalancata senza troppi riguardi, facendo entrare
una
corrente di aria gelida.
Seiya
spiò
all'esterno, ma non c'era nessuno in giro, o meglio, nessuno che lui
riuscisse
a vedere: forse poteva farcela.
Da
quel
momento in poi, lasciò fare al suo corpo, reduce di molte
battaglie che gli
avevano insegnato a sopravvivere agli abusi più indicibili:
come se fosse stata
separata dal corpo, la sua coscienza sprofondò lentamente
nel buio; vagò a
lungo sulle strade che venivano via via coperte dalla neve che scendeva
dal
cielo, seguendo quella traccia rovente che lo avrebbe condotto da Ikki.
Sperava
soltanto di essere ancora in tempo, di riuscire a salvarlo da
sé stesso prima
che quel buio di rabbia lo fagocitasse.
"Questa
volta sarò io a salvarti, Ikki…"
§§§
Ikki,
tuttavia, stava perdendo.
Con
le nocche
insanguinate e gli occhi spalancati su un mondo che vedeva soltanto
lui, il
ragazzo non sentiva più alcun dolore, i sensi erano ovattati
e anche se i suoi
aggressori stavano avendo la peggio, ben poco era rimasto del suo
raziocinio.
Colpiva
con
precisione, un pugno, due calci, un altro pugno…
Completamente
soggiogato dalla propria rabbia, non vedeva nient'altro che gli
avversari che
gli si paravano davanti e non si accorse subito della figura
barcollante che,
uscita dal buio di un vicolo laterale, aveva spalancato gli occhi pieni
di
terrore, prima che il suo urlo straziante risuonasse nela notte gelida.
Continuava
a
nevicare sulla strada e il sangue macchiava la neve già di
suo sporca che si
ammassava negli angoli; tutto quel che accadde in quei momenti non fu
mai del
tutto chiaro a Ikki: nello spazio di qualche secondo, dilatato in ore
dalle sue
percezioni, Seiya lasciò cadere a terra le stampelle - che
sbatterono per terra
con un clangore metallico – e lo spinse via prima di gettarsi
nella mischia.
Ikki,
a terra,
lo vide con orrore mentre gli faceva da scudo con il proprio corpo e
prendeva
su di sé la tempesta di pugni e calci che gli avversari,
incattiviti, avrebbero
riservato a Ikki; e intanto lo abbracciò, tremando di freddo
e dolore, senza
lasciarlo andare neppure quando Seiya sentì chiaramente
parte dei punti
saltare, neppure quando si sentì improvvisamente debole per
il sangue che
fuoriusciva.
Stretto
a Ikki
per non cadere, Seiya si accorse di faticare a restare cosciente: "Sono
venuto a cercarti… Ho sentito… Non potevo
lasciarti…" mormorò prima di
chiudere gli occhi per il dolore ormai insopportabile.
La
grossa mano
di Ikki gli accarezzò meccanicamente la testa mentre questi,
lentamente,
sembrava riacquistare consapevolezza: come se fosse un film di cui era
solo
spettatore, ricordò il desiderio di autodistruzione, le
botte, la violenza,
quel buio che anestetizzava i gesti e affogava la paura, il tutto venne
illuminato di nuova luce, come se Seiya avesse di nuovo acceso il sole.
Con
quel corpo
magro e ferito tra le braccia, Phoenix si alzò, troneggiando
sui teppisti:
"Che c'è? Il tuo amichetto non ha più voglia di
giocare con noi?"
sbottò uno di loro dopo aver sputato a terra un grumo di
sangue.
Il
Saint di
Phoenix lo ignorò, mosse qualche passo verso il portone
più vicino e, dopo aver
avvolto Seiya in quello che restava della sua giacca, lo
sdraiò contro la
parete: "Torno subito." gli disse a bassa voce, "Resta qui e non
muoverti…"
"E
dove
vuoi che vada…?" gli rispose di rimando Seiya, tremava come
una foglia e
Ikki sapeva di non avere molto tempo.
In
pochi
minuti, complice anche il rinnovato vigore dovuto all'urgenza del
momento, i
teppisti erano stati messi in fuga oppure giacevano privi di sensi a
terra,
alcuni in un lago di sangue che macchiava la neve, che ciononostante
continuava
a cadere.
Ikki
sputò un
grumo di sangue a terra e restò qualche minuto a osservare
la scena davanti a
propri occhi, ansimando.
Dopodichè,
prese Seiya tra le braccia e sparì nel vicolo più
vicino mentre in lontananza
si udivano le sirene.