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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    31/01/2020    1 recensioni
[Angst/HurtComfort/FamilyFluff][PostHades]
Versione riveduta e corretta, divisa opportunamente in capitoli, della mia fic con lo stesso nome.
Quando non si sa se le cose miglioreranno o meno, quando un certo numero di segreti sono talmente dolorosi da rischiare di distruggere una famiglia ancora prima che questa possa muovere i primi passi...
Quando la Guerra Santa porta ferite molto più profonde di quelle fisiche.
Genere: Drammatico, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Pegasus Seiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nei Giardini Che Nessuno Sa'
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CAPITOLO 15

PER CURARE UN CUORE SPEZZATO, PER GUARIRE UNO SPIRITO DISTRUTTO

Tutto era iniziato con la paura.

Quella paura sottile e beffarda, che ti si insinua nel cuore e che, quando ti accorgi della sua presenza, è troppo tardi, ti ha già catturato nelle proprie grinfie, spingendoti a fare follie nel tentativo di azzittirla, di allontanarla.

Tutto era iniziato con la paura e, sulle prime, Ikki aveva fatto del suo meglio.

Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, aveva cercato di tenerla a bada concentrandosi sul dolore delle proprie ferite, per poi concentrarsi sul dolore dei fratelli ancora in vita, dei fratelli che avevano combattuto con lui e dei fratelli a cui dovevano rivelare ogni cosa.

Fino a quando non era più riuscito a reggere.

All’indomani della confessione, era sparito, volatilizzatosi come nebbia al sole.

Non li aveva affrontati lui in prima persona, non ne aveva avuto il coraggio – era stato un vigliacco, lo sapeva, ma non pensava di poter reggere i loro sguardi feriti, la consapevolezza che quello disteso in quel letto troppo grosso per lui non era soltanto un amico d’infanzia, un compagno d’armi, ma sangue del proprio sangue, un fratello in tutto e per tutto e non solo spiritualmente – ma ne aveva sentito i Cosmi confusi e il vociare basso e striato di lacrime che si erano scambiati nei corridoi, aveva assistito come un’ombra agli abbracci impacciati e silenziosi negli angoli bui dei corridoi deserti della Villa durante le notti prima tiepide, poi roventi e via via sempre più fredde, fino alla notte in cui era arrivata la telefonata.

Era appena rientrato in casa dalla finestra della propria stanza, dopo un’altra giornata chiuso tra quelle soffocanti quattro mura e una serata trascorsa a vagabondare per la città, alla ricerca di altri stupidi come lui che pensavano di poter affrontare i loro problemi con i pugni e il sangue versato – eppure aveva sempre funzionato, aveva pensato spesso in cuor suo, un sacrificio di sangue in passato aveva sempre contribuito a sconfiggere anche i nemici peggiori – per soffocare il proprio dolore e la propria mancanza di risposte.

Per soffocare la paura.

Aveva appena varcato la finestra quando aveva sentito un tramestio fuori dalla propria porta, poi un rumore di passi in corsa, di porte sbattute e la voce alta di Ban che chiamava a gran voce i nomi dei fratelli – fratelli, che parola straniera sulle sue labbra, ancora straniera nonostante tutto – e che urlava a gran voce la propria gioia e il proprio sollievo per il risveglio di Seiya.

Quando Ikki ne sentì il nome, per un attimo si paralizzò sul posto, nel buio della stanza disordinata e dall’odore di chiuso, di lacrime e rabbia, incapace di razionalizzare quello che aveva appena udito.

Poi sentì la voce di Shun che piangeva davanti alla sua porta chiusa, una voce che lo pregava di uscire, di farlo per Seiya.

Una voce a cui, in passato, non sarebbe riuscito a dire di no ma che, in quel momento, gli faceva più male di un osso spezzato: una voce supplichevole che veniva sommersa da quella stessa paura che lui aveva combattuto in ogni modo e che, purtroppo, sembrava stesse vincendo.

E per la prima volta nella sua vita, non rispose all’appello di Shun.

Ignorò la voce del fratello che amava più di se stesso.

Ignorò la luce, per l’ennesima volta, per perdersi nuovamente nel buio.

Ma questo buio era diverso, più pesante di prima, più forte della sua anima e del suo Cosmo, impossibile da affrontare, quantomeno non da solo.

Ma era un’oscurità velenosa, che gli avviluppava la mente e lo spingeva giù, sempre più giù, facendolo sprofondare in una voragine da cui non poteva scappare.

Si sentiva di nuovo quel bambino spaventato in un mondo di macchine sotto la pioggia, con un fagottino tra le braccia, in fuga attraverso ombre che non si curavano di loro.

Ma stavolta, Shun non era con lui, troppo lontano e Ikki non voleva insozzarne la felicità ritrovata, gli sforzi che stava facendo per ricostruire una parvenza di famiglia, come il Saint di Andromeda aveva sempre desiderato.

E perciò, la sola risposta che aveva trovato in sé era stata quella: e dopotutto, cosa mai poteva aspettarsi dal mondo? Cosa mai poteva pretendere dal mondo, un mondo che aveva divorato ogni loro grammo di felicità, ogni singola goccia di sangue che avevano versato per proteggerlo e che li aveva ripagati con tutto quel dolore, con quel destino votato al martirio in quanto Saint ancora prima di nascere?

Nulla, se non l'oblio.

Oblio e paura annidata in fondo al cuore.

Una paura che, tuttavia, non gli permetteva di vedere una grande e sola verità.

Non era davvero solo.

§§§

Quando Saori uscì corridoio mentre finiva di allacciarsi in vita la veste da camera per proteggersi dal freddo di fine dicembre, trovò Ichi e Nachi poggiati contro la parete, in attesa, e lei li ricompensò con un sorriso affettuoso prima di tender loro le mani e attendere che le afferrassero, seppur con titubanza.

Insieme, i tre percorsero il corridoio, venendo subito notati da Jean, ancora seduto al bancone dell'accettazione; il francese si affrettò ad alzarsi e ad andare loro incontro: "Mademoiselle Kido," disse il giovane infermiere con un piccolo inchino, "Seiya-kun e gli altri sono andati di sotto, li ho visti prendere l'ascensore con… Seika-san?" azzardò lui, incerto sul nome della ragazza dai capelli rossi.

Saori annuì: "Allora li raggiungeremo. Il giardino interno è aperto?"

Jean scosse la testa: "C'è stata la festa di compleanno per il piccolo Sasaki, devono ancora rimettere tutto a posto. Credo che siano andati in caffetteria…"

"Perfetto, proprio dove stiamo andando anche noi." disse Nachi, mostrando il vassoio con le stoviglie sporche che bilanciava sulla mano libera: "Se passasse Makishima-sensei, potresti dirgli dove siamo, Fournier-kun?" chiese Saori.

Lui annuì con decisione: "Lasci fare a me, mademoiselle. Se per il giro delle visite non sarete ancora tornati, lo accompagnerò personalmente di sotto, promesso."

Lei lo ringraziò con un cenno del capo, poi tirò leggermente le mani dei due ragazzi e, insieme, si avviarono verso gli ascensori, in un silenzio niente affatto spiacevole, anzi quasi gradevole e caldo, come una coperta di pile in inverno.

Il breve tragitto passò in un lampo e ben presto i tre si ritrovarono sulla soglia della caffetteria deserta, tranne che per un tavolo, al centro della stanza, accanto a cui Jabu cercava di sfuggire dalle bacchette che Seiya usava come arma impropria, tra le risate di Seika.

Mentre Nachi, non visto, si avviava al bancone per restituire le stoviglie, Saori e Ichi si avvicinarono a loro, venendo subito notati da Hyoga, con metà viso nascosto da una tazza di tè ancora fumante; ma non disse niente, lasciò che si avvicinassero abbastanza perché anche Jabu li notasse e si affrettasse a nascondere le bacchette che aveva rubato a Seiya: "Ben svegliati." disse a quel punto Hyoga, "Siamo usciti per non svegliarvi." aggiunse Shun, seduto al suo fianco.

"Avete fatto bene, ragazzi. Seiya aveva bisogno di cambiare aria." rispose Saori prima di accomodarsi su una sedia che Seika le aveva passato: "Altrimenti sarebbe evaso di nuovo." borbottò Geki, guadagnandosi una linguaccia dal fratello convalescente.

Quando Nachi li raggiunse, i ragazzi si strinsero per fargli posto e, attorno a quel tavolo decisamente troppo piccolo per accogliere tutti, si scambiarono chiacchiere a bassa voce e risate sonore che rimbalzavano sui muri bianchi, pugni scherzosi e abbracci goffi ma spontanei.

La sera stava ormai calando quando, sulla soglia della caffetteria, apparvero Jean Fournier e il dottor Makishima, il quale notò subito il suo paziente e la sua espressione rilassata e, quasi non osava dirlo, felice.

Makishima Seiichiro lavorava nella Clinica della Fondazione da anni e di cose ne aveva viste parecchie: aveva visto persone uscirne con le proprie gambe, altre dentro un'urna nera, gli erano passati davanti agli occhi talmente tanti frammenti di vite che faticava a ricordarli tutti, ma ogni volta che vedeva un sorriso sul volto di un suo paziente, segno di una vita che cercava ad ogni costo di riprendersi quello che era suo, non poteva fare a meno di sentirsi sereno a propria volta.

E non era soltanto una questione di aver fatto bene il proprio lavoro: era qualcosa di più profondo e importante, di impalpabile e fragile.

Era la consapevolezza di aver salvato una vita, una consapevolezza che contribuiva a ricordare ogni giorno all'anziano medico perché avesse deciso di intraprendere quella professione.

"Makishima-sensei, Fournier-kun, posso prepararvi un tè?" chiese subito la giovane donna dietro il bancone, una volta raggiuntili dopo averli notati.

"No, grazie, mia cara. Sono qui da tanto?" chiese il medico, mentre Jean, accanto a lui, declinava a propria volta l'offerta; lei annuì: "Da un paio d'ore. L'orario di visite è finito da un pezzo ma non avevo cuore di mandare a casa quei ragazzi. Come sta Kido-kun?"

Il dottore guardò per un attimo il gruppo, ignaro della loro presenza, poi sospirò: "Sta meglio, ha recuperato molto negli ultimi tempi e volevo fare un'ultima visita per decidere quando dimetterlo."

"Sono certa che una notizia del genere li renderebbe tutti felici. Anche se questo posto sarà un po' triste senza di lui… Non mi fraintenda, sensei!" disse subito la giovane donna, alzando le mani verso l'uomo più anziano: "Sono contenta che possa tornare a casa e che si sia ripreso, ma è un ragazzo adorabile e prendersi cura di lui è un piacere."

"Anche Meiko-san e Satsuki-san la pensano così, monsieur le médecin." disse Jean con un sorriso: "Seiya-kun è sicuramente pestifero ed esuberante, ma per qualche motivo, quando lui è in una stanza, questa sembra più luminosa, più viva. Meiko-san stravede per lui e se potesse se lo porterebbe a casa."

"Ma non credo che Saori-ojousama ne sarebbe felice. E neppure gli altri ragazzi, ho l'impressione che siano parecchio protettivi nei confronti di Kido-kun."

La voce del dottore suonava divertita e Jean e la giovane donna si scambiarono un'occhiata, consci del fatto che avesse ragione: la famiglia di quel ragazzino a cui erano così affezionati avrebbe avuto da ridire, e parecchio.

"Makishima-sensei, buonasera."

Fu la voce gentile di Shun ad attirare l'attenzione dei fratelli sui tre rimasti in disparte a parlare, facendo irrigidire appena Seiya che, senza che nessuno l'avesse apparentemente notato, impallidì un po'.

Il dottore si avvicinò al gruppo a larghi passi, senza smettere di sorridere, ed estrasse dalla tasca un termometro digitale: "Sono passato per il giro serale ma ho trovato la stanza deserta, così Fournier-kun è stato così gentile da accompagnarmi qui da voi. Ma non dovete scusarvi, ragazzi," aggiunse, prima che Shiryu potesse dire una parola, la bocca già aperta, "Terapia non vuol dire solo medicine e punture, vuol dire anche calore e affetto. E anche se è già finito l'orario di visite, per questa volta chiuderemo un occhio e non diremo a nessuno dove siete stati." il medico strizzò l'occhio e i ragazzi sembrarono più rilassati mentre lui si avvicinava a Seiya e poggiava il beccuccio del termometro sulla sua tempia.

In pochi secondi, diede il suo responso.

"Uhm… Hai qualche linea di febbre, ma credo che sia per il tuo giro all'esterno di stamattina, vero?"

Incapace di mentirgli, Seiya annuì.

Poi il medico tastò petto e fianchi, ne esaminò le garze che ancora coprivano il suo petto, dopodichè gli prese il polso e ne contò i battiti.

Tutta la stanza sembrò trattenere il respiro mentre il medico borbottava tra sé e sé.

Quando infine si staccò e permise a Seiya di abbottonare di nuovo la casacca del pigiama dopo avergli auscultato cuore e respiro, la prima cosa che fece fu rivolgere un sorriso rassicurante ai presenti: "Se prende le medicine che stasera gli farò avere e non si strapazzerà troppo, anche se è ancora un po' debole, Kido-kun potrà uscire tra un paio di giorni."

Il silenzio si fece quasi opprimente per una manciata di secondi, prima che urla di gioia riecheggiassero tra le pacche sonore sulle spalle e gli abbracci dei presenti mentre Seiya, come svuotato e inebetito, restava seduto sulla propria sedia, fissando il vuoto.

"Sul serio?!" disse Jabu, con gli occhi sgranati.

Il medico annuì, poi si voltò verso Saori con un sorriso: "So che prima ero stato un po' criptico ma non volevo darvi false speranze. Ora ne sono convinto, soprattutto vedendovi insieme. La medicina può curare le ferite del corpo ma per guarire davvero serve ben altro, e voi lo avete. Continuate così e ben presto Kido-kun potrà tornare a camminare e avrà la vita piena che si merita."

Nel mentre, Shiryu, spostatosi accanto al fratello più piccolo, lo aveva abbracciato, stringendolo a sé con tutta la forza che aveva e nascondendone le lacrime mentre gli sussurrava qualcosa che né il medico né Saori potevano udire; a quella scena, gli altri ragazzi si fermarono e, con gli occhi lucidi, si gettarono su entrambi, rinnovando l'abbraccio e lasciando che tutto l'affetto che stavano imparando ad esprimere fluisse e li avvolgesse come una calda coperta.

"Andremo a casa, Seiya… E stavolta verrai con noi…" disse Shiryu, a voce un po' più alta: "Andremo a casa, insieme."

Saori e Makishima videro il cespuglio di capelli spettinati del più giovane muoversi in un cenno di assenso, ma non riuscirono a udirne la risposta a voce, se mai ci fosse stata.

"D'accordo, ragazzi, ma ora è il caso che Seiya-kun torni in camera sua e che voi andiate a riposare." disse Jean battendo le mani: "Ci penserò io a controllarlo."

Seiya emise una risata strozzata tra le lacrime mentre Shiryu scioglieva la stretta: "Ci vediamo domani. Dopo colazione saremo di nuovo qui." gli promise il Saint di Dragoon con una carezza sulla testa.

Nachi annuì e Ichi, al suo fianco, fece per raccogliere tazze e stoviglie, prima che la giovane donna, rimasta fino a quel momento in silenzio, gli rivolgesse un cenno con la mano: "È il mio lavoro, ci penso io. Voi tornate a casa, e fate attenzione per strada, ha ripreso a nevicare.".

Geki e Ban si guardarono, poi, con un sospiro, radunarono i fratelli e li spronarono a tornare di sopra per recuperare le loro cose: "Abbiamo un po' di strada da fare, quindi gambe in spalla. Saori-san, viene con noi oppure la passa a prendere Tatsumi?"

Saori scosse la testa: "Vengo con voi, un po' di aria farà bene a tutti." disse, per poi girarsi verso Seiya prima di posargli un bacio affettuoso sulla fronte, "Ti serve qualcosa?"

A quella domanda, Seiya ebbe un tuffo al cuore: in effetti qualcosa c'era, ma non sapeva come chiederlo, e se potesse chiederlo.

Vedendolo a disagio e anche rabbuiato, Saori gli rivolse uno sguardo interrogativo, e, allontanando gli altri ragazzi con un gesto della mano, si sedette accanto al Saint di Pegasus e gli prese la mano pallida: "Puoi chiedermi tutto, Seiya. Lo sai."

Con la coda dell'occhio, il ragazzo vide i fratelli allontanarsi verso la porta, accompagnati dal medico, mentre Jean-kun restava accanto al bancone, discreto, per accompagnarlo di nuovo in camera.

Con il petto pesante, lui strinse la mano della Dea e la sentì calda, piacevole come il Cosmo divino che permeava tutto l'edificio: "Mi chiedevo… Mi chiedevo…"

Saori lo vide abbassare lo sguardo e ne percepì il disagio, ma faticava a capire cosa lo turbasse a tal punto.

"Saori… Avrei voluto chiederlo tante altre volte, ma vedere Shun triste ogni volta mi ha fermato. Ma voglio saperlo. Ikki sta bene, vero?"

Ikki.

Athena aveva temuto quel momento: quel momento in cui sapeva che non avrebbe avuto le risposte che il suo protetto stava cercando, quelle risposte che lei stessa aveva cercato a lungo in quel mese, frugando le vie del Cosmo alla disperata ricerca del più testardo e ferito dei suoi guerrieri, senza ottenere nulla.

Non dubitava del fatto che fosse ancora vivo, non aveva neppure preso in considerazione l'ipotesi contraria, ma non era mai riuscita a trovarlo, nonostante le preghiere alle stelle: era come scomparso, inghiottito dalle pieghe della notte e del dolore.

Con un sospiro, la Dea annuì ma strinse più forte la mano di Seiya: "Sarò sincera con te, perché mentire sarebbe inutile e controproducente. Non lo so, Seiya. Ho provato a cercarlo con tutti i mezzi a mia disposizione, ma è stato tutto inutile."

"Ma hanno mantenuto la promessa di dire agli altri del nostro legame, perché andarsene adesso? Non riesco a capire, non vuole restare con noi? Non vuole avere una famiglia?" gli occhi di Seiya si inumidirono: "Se è per qualcosa che ho fatto… Se è per la mia scelta di proteggerti e… Posso chiedergli scusa, cercarlo e farmi perdonare…"

Il corpo magro del ragazzino tremò, e Saori lo abbracciò per calmarlo: "Non è colpa tua, Seiya. Non pensarlo neppure per un attimo." gli sussurrò mentre gli accarezzava i capelli, "Io credo che stia male, sia ferito profondamente nello spirito e che, come un animale ferito e spaventato, si stia nascondendo per curare le proprie ferite. Continuerò a cercarlo. Lo cercherò e farò di tutto per riportarlo a casa."

"Me lo prometti?"

"Te lo prometto, Seiya. Lo troverò e lo riporterò indietro."

§§§

“Ojou-sama, posso parlarle un attimo?”

Saori sobbalzò non appena ebbe chiuso la porta della stanza di Seiya dopo averlo riaccompagnato di sopra, sorpresa nel venir chiamata da Satsuki: l'infermiera la raggiunse di corsa dal fondo del corridoio, la cuffietta bianca perfetta sulla testa; con un cenno della testa, Saori la salutò: “Buonasera, Satsuki-san. Cosa succede?” chiese, “Se sta cercando i ragazzi, sono fuori in cortile, mi stanno aspettando per tornare a casa ma posso chiamarli.”.

Tuttavia, lei scosse la testa e le prese le mani e quel gesto sorprese non poco la giovane Athena: “Le devo parlare ma non dei ragazzi, o meglio, non di Shiryu e degli altri. Sarò franca, devo parlarle di Ikki. E con la massima urgenza.”.

Saori sgranò gli occhi: “Cosa vuol dire?”

“Ojou-sama, ho aspettato parecchio e ho riflettuto molto prima di parlarle, ma mi sono convinta che fosse l'unica cosa da fare. Qualche sera fa, sono stata aggredita sulla strada di c-casa... Dei teppisti volevano r-rubarmi la borsa, ma Ikki-kun è apparso all'improvviso per salvarmi. Non sono riuscita a parlarci molto ma non mi sembrava in forma, aveva lividi e graffi, sembrava avesse fatto a pugni con qualcuno di più grosso di lui, era scontroso e aggressivo e ha detto che non ha più fatto visita a Seiya-kun da quando si è risvegliato. Pensandoci, è vero che non l'ho più visto in clinica, ma pensavo fosse perché venisse quando non ero di turno o perché magari restasse poco. Ma qualcosa, nel suo sguardo, mi ha portato a crederci… Ojou-sama, quegli occhi erano così scuri e pieni di rabbia che mi sono spaventata, ma non temevo per me, quanto piuttosto per lui. C'è qualcosa che si può fare per aiutarlo?"

Mentre la giovane infermiera parlava, stringendole le mani e guardandola con espressione supplice, Saori sentì il cuore stringersi, e si chiese tra sé come veicolare questi sentimenti verso il più testardo dei suoi protetti, come fargli sentire tutto l'amore che era lì, pronto per lui, se solo l'avesse voluto afferrare.

Con un sospiro stanco, Saori si divincolò dalla sua presa e ne afferrò le mani a propria volta, scrutandola negli occhi.

Satsuki, imbarazzata, abbassò lo sguardo: "Mi scuso per la mia insolenza, Ojou-sama, io…"

Athena, tuttavia, scosse la testa e le sorrise gentile: "Grazie, Satsuki-san. Grazie per voler così bene ai miei ragazzi… Purtroppo non è così facile aiutare Ikki, soprattutto se non vuole essere aiutato. Ma farò del mio meglio per trovarlo e fargli capire che può contare su di noi, su di te e su tutte le persone che si sono prese cura di loro in questi mesi."

Più rassicurata, Satsuki annuì e Saori la lasciò andare, venendo quindi salutata con un profondo inchino: "Grazie di cuore, Ojou-sama… Per qualsiasi cosa, io sono a disposizione…"

§§§

Tremando, se di freddo o di altro non lo sapeva, Seiya si trascinò con le stampelle fino al letto prima di lasciarcisi cadere sopra con un sospiro che sembrava più un singhiozzo; affondò il viso nel cuscino e lo prese al tempo stesso a pugni, imprecando: "Stupido Ikki, cosa ti salta in testa?!" mugolò il ragazzino, mentre una sensazione di opprimente ansia gli premeva sul petto.

"Stai facendo preoccupare tutti, stupido fratellone…" mormorò il ragazzo mentre una lacrima scivolava sul cuscino.

Nella sua mente si affollavano mille idee e pensieri, ma solo una era la strada che poteva intraprendere: il mondo al di là della finestra era freddo e buio, la notte poteva celare il male ad ogni passo ma sentiva che Ikki aveva bisogno di aiuto, che aveva bisogno di lui, da solo e prigioniero della propria stessa oscurità e quanto era vero che fosse il Saint di Pegasus, l'avrebbe salvato perfino da sé stesso.

Ancora mezzo dolorante e debole, ma determinato ad ogni sacrificio, il ragazzino si lasciò nuovamente scivolare dal letto e indossò le pantofole, pur se con difficoltà, prima di alzarsi facendo leva sul letto sfatto.

Pur lamentandosi sottovoce, riuscì a mettersi dritto e afferrò lo scialle che Seika aveva lasciato appeso accanto al letto: indebolito anche da quel piccolo movimento e con il cuore che batteva forsennatamente, lo indossò a malapena prima di prendere le stampelle e puntellarsi per camminare; con fatica, raggiunse la finestra, che venne spalancata senza troppi riguardi, facendo entrare una corrente di aria gelida.

Seiya spiò all'esterno, ma non c'era nessuno in giro, o meglio, nessuno che lui riuscisse a vedere: forse poteva farcela.

Da quel momento in poi, lasciò fare al suo corpo, reduce di molte battaglie che gli avevano insegnato a sopravvivere agli abusi più indicibili: come se fosse stata separata dal corpo, la sua coscienza sprofondò lentamente nel buio; vagò a lungo sulle strade che venivano via via coperte dalla neve che scendeva dal cielo, seguendo quella traccia rovente che lo avrebbe condotto da Ikki.

Sperava soltanto di essere ancora in tempo, di riuscire a salvarlo da sé stesso prima che quel buio di rabbia lo fagocitasse.

"Questa volta sarò io a salvarti, Ikki…"

§§§

Ikki, tuttavia, stava perdendo.

Con le nocche insanguinate e gli occhi spalancati su un mondo che vedeva soltanto lui, il ragazzo non sentiva più alcun dolore, i sensi erano ovattati e anche se i suoi aggressori stavano avendo la peggio, ben poco era rimasto del suo raziocinio.

Colpiva con precisione, un pugno, due calci, un altro pugno…

Completamente soggiogato dalla propria rabbia, non vedeva nient'altro che gli avversari che gli si paravano davanti e non si accorse subito della figura barcollante che, uscita dal buio di un vicolo laterale, aveva spalancato gli occhi pieni di terrore, prima che il suo urlo straziante risuonasse nela notte gelida.

Continuava a nevicare sulla strada e il sangue macchiava la neve già di suo sporca che si ammassava negli angoli; tutto quel che accadde in quei momenti non fu mai del tutto chiaro a Ikki: nello spazio di qualche secondo, dilatato in ore dalle sue percezioni, Seiya lasciò cadere a terra le stampelle - che sbatterono per terra con un clangore metallico – e lo spinse via prima di gettarsi nella mischia.

Ikki, a terra, lo vide con orrore mentre gli faceva da scudo con il proprio corpo e prendeva su di sé la tempesta di pugni e calci che gli avversari, incattiviti, avrebbero riservato a Ikki; e intanto lo abbracciò, tremando di freddo e dolore, senza lasciarlo andare neppure quando Seiya sentì chiaramente parte dei punti saltare, neppure quando si sentì improvvisamente debole per il sangue che fuoriusciva.

Stretto a Ikki per non cadere, Seiya si accorse di faticare a restare cosciente: "Sono venuto a cercarti… Ho sentito… Non potevo lasciarti…" mormorò prima di chiudere gli occhi per il dolore ormai insopportabile.

La grossa mano di Ikki gli accarezzò meccanicamente la testa mentre questi, lentamente, sembrava riacquistare consapevolezza: come se fosse un film di cui era solo spettatore, ricordò il desiderio di autodistruzione, le botte, la violenza, quel buio che anestetizzava i gesti e affogava la paura, il tutto venne illuminato di nuova luce, come se Seiya avesse di nuovo acceso il sole.

Con quel corpo magro e ferito tra le braccia, Phoenix si alzò, troneggiando sui teppisti: "Che c'è? Il tuo amichetto non ha più voglia di giocare con noi?" sbottò uno di loro dopo aver sputato a terra un grumo di sangue.

Il Saint di Phoenix lo ignorò, mosse qualche passo verso il portone più vicino e, dopo aver avvolto Seiya in quello che restava della sua giacca, lo sdraiò contro la parete: "Torno subito." gli disse a bassa voce, "Resta qui e non muoverti…"

"E dove vuoi che vada…?" gli rispose di rimando Seiya, tremava come una foglia e Ikki sapeva di non avere molto tempo.

In pochi minuti, complice anche il rinnovato vigore dovuto all'urgenza del momento, i teppisti erano stati messi in fuga oppure giacevano privi di sensi a terra, alcuni in un lago di sangue che macchiava la neve, che ciononostante continuava a cadere.

Ikki sputò un grumo di sangue a terra e restò qualche minuto a osservare la scena davanti a propri occhi, ansimando.

Dopodichè, prese Seiya tra le braccia e sparì nel vicolo più vicino mentre in lontananza si udivano le sirene.

   
 
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