Nota:
Eccomi con una nuova fanfiction tutta speciale,
dedicata ad
una persona altrettanto speciale.
Vi avverto che all’inizio sarà
tutto un po’ incasinato, a causa della scarsità
dei
dialoghi, ma poi si
sistemerà tutto ^^
Ci saranno delle frasi in tedesco
e, se non le traduco già io in qualche modo, per vedere la
traduzione basta
evidenziare la parte bianca accanto a quella frase.
Bill, Tom, Gustav e Georg vanno ancora a scuola e
in questa ff provo ad immaginarmi il loro passato e la loro scalata
verso il successo,
fra le amicizie, gli amori, i professori… Vedremo, insomma XD
Spero mi venga bene perché ci
tengo, anche perché ne ho già scritta una simile
che non
ho postato qui ma sul
forum http://ohfanfictionforum.forumcommunity.net/ e questo mi
preoccupa un po’
perché potrebbe essere molto ma molto simile.
Beh, io spero di non deludervi e
di migliorare perché quella non è una delle
migliori e
l’ho scritta circa a
tredici anni.
Con questo direi di aver finito
XD Grazie a tutti e buona lettura!
Ti voglio bene persona speciale,
_Pulse_
+++
1.
Il primo giorno alla nuova scuola (di crucchi)
I ragazzi della mia
età mi
passavano accanto chiacchierando fra loro e sorridendosi, ridendo. Io
ero
spaventata, mi sentivo come un sordo in discoteca: non riuscivo a
capire nulla
di quello che dicevano.
Non sapevo perché ero finita in
Germania, in un liceo del quale non sapevo nemmeno
l’indirizzo,
ma mi sapeva
molto di classico perché avevo visto un libro di greco in
mano
ad un ragazzo.
“Signorina!”
Voce per le mie
orecchie:
italiano! E aveva anche uno strano accento che pensai fosse milanese.
Mi girai piena di speranze e vidi
un professore che mi correva incontro, abbastanza indaffarato con una
marea di
fogli fra le braccia e gli occhiali che gli cadevano ostinatamente
sulla punta
del naso.
Iniziamo bene, mi dissi sconfortata.
“Sono il professor Kurz, insegno nelle classi per gli alunni stranieri, piacere di conoscerti.”
“Ahm… Virginia, piacere mio.”
“Bene Virginia. Come sei messa con il tedesco?”
La mia faccia disse tutto: non sapevo una parola! Forse “ciao” e “buon giorno”, ma se mi avessero chiesto come mi chiamavo non avrei saputo che rispondere.
“Uhm… dovremo iniziare dall’inizio”, si prese il mento nella mano mentre pensava. “Per ora inizia a fare conoscenza e ad ambientarti, le lezioni sono tutti i pomeriggi.”
“Ok… ma come crede che farò io a fare amicizia senza sapere nemmeno come…”
“Dettagli! Inizierai con l’inglese!”
“Di bene in meglio…”, mormorai mordendomi il labbro.
“Hai detto qualcosa?”
“Nono”, ridacchiai.
Si prospettavano anni
difficili,
quelli. Ma parchè a me?
Il professor Kurz mi porse una
piantina della scuola e altri fogli con i miei corsi e le indicazioni
principali per ambientarmi.
“Buona permanenza signorina!”, mi salutò scappando quando suonò la campanella.
“Perfetto…”, dissi guardando tutti quei fogli. “Da dove si comincia?”
Iniziai a cercare la mia classe, ma era più difficile di quello che pensassi perché quella scuola era un labirinto: quattro plessi con un giardino esterno ed uno interno.
“Dio aiutami, dammi un segno!”, sbottai guardando in alto, sperando che almeno lui in quella scuola di crucchi mi capisse.
Girai l’angolo e mi scontrai con una ragazza con gli occhiali e i capelli ricci disordinati sulla testa: doveva essere parecchio in ritardo se non li curava! Oppure ero solo io che ero fissata.
“Ahio! Miseriaccia, stai attenta!”, mi gridò contro, ma io non ci badai neanche, Dio esisteva!
“Parli italiano!”, gridai estasiata.
“Sì, e allora?”, si tirò su e non mi diede nemmeno una mano, si diresse velocemente verso la sua classe.
“Ehi, però Dio potevi darmene una un po’ più gentile! Hai ragione, devo accontentarmi.”
Presi a rincorrerla e quando la raggiunsi la fermai piazzandomi davanti a lei.
“Mi puoi aiutare per favore?! Sono nuova, sono in ritardo e non so spiccicare una parola di questa lingua, quindi…”
“Okok, ma smettila di frignare! Dove devi andare?”
Le mostrai la mia classe sulla piantina.
“Oh perfetto, siamo in classe assieme!”, borbottò.
Anche se le stavo antipatica e anch’io iniziavo ad odiarla, era il mio miracolo. Almeno lei mi capiva, dovevo tenermela stretta!
“Come ti chiami?”, le chiesi mentre andavamo in classe.
“Gertrude.”
“Davvero?”
“No! Arianna.”
“Piacere, io sono Virginia!”
“E chi te l’ha chiesto?”
Trattenni un insulto:
visto che
anche lei parlava italiano avrebbe capito, accidenti.
Arrivammo nella nostra classe e
il professore ci guardò severamente. Io non capii niente di
quello che diceva
quasi gridando, mentre i nostri compagni sghignazzavano e Arianna non
diceva
niente.
Se io fossi stata in lei gli
avrei tirato una testata, ma poco importava. Non potevo farmi sbattere
fuori
anche da quella scuola, anche se l’avrei voluto fortemente.
Arianna andò a sedersi al suo
posto e io nemmeno me ne accorsi, rimasi lì in piedi senza
sapere che fare.
“Nemehen Sie Platz, bitte!”, berciò il professore contro di me, come se fossi scema. “Prenda posto, per favore!”
Niente presentazione?
(Menomale)
Niente benvenuto? In Italia non erano tutti così schizzati!
O
forse sì?
Gettai un occhiata implorante ad
Arianna che alzò la mano roteando gli occhi richiedendo la
parola.
Iniziò un lungo dialogo con il
professore, indicandomi ogni tanto.
C’è, quella tizia poteva anche
insultarmi tranquillamente e io non lo sapevo? Dovevo impegnarmi con il
tedesco, sìsì, da quel pomeriggio stesso,
perché
non potevo non ribattere se
era il caso.
Alla fine il professore mi guardò
docile e io feci un sorrisetto, anche se ero tesa al massimo. Non era
il primo
giorno di scuola che avevo immaginato, ad essere sincera.
Disse qualcos’altro, ma non
sentendo nessuna risposta da parte mia e i miei carinissimi futuri
compagni di
classe se la ridevano per la mia faccia sconvolta, che mise a tacere
con un:
“Ruhe!” (ma così forte che mi fece
sobbalzare
spaventata), guardò Arianna e le
chiese qualcosa abbastanza innervosito, lei negò con la
testa.
“Okay”, sussurrò il professore cercando di calmarsi.
Wow, okay si dice okay come in italiano!, pensai felice. Un’altra parola da aggiungere al mio repertorio.
“Virginia se non l’hai capito da sola, cosa che dubito fortemente tu sia riuscita a fare visto la tua faccia, muoviti che ti devi sedere qui”, disse Arianna indicandomi il posto vuoto accanto a sé, infondo alla classe.
Chissà
perché lei era da sola,
lì, senza nessuno accanto. Magari qualcuno era assente, cosa
molto strana al
primo giorno di scuola, ma non impossibile.
A testa alta raggiunsi il mio
posto e mi ci misi facendo casino.
Sì, come primo giorno di scuola
era un disastro.
La lezione che a
quanto vedevo
alla lavagna era di matematica (Subito
con il piede giusto, direi!)
passò in
fretta e, visto che oltre i numeri non capivo niente, la passai ad
osservare
tutti i miei compagni.
C’era stato un ragazzo in
particolare che mi aveva colpita: moro, occhi castani, trucco e smalto
nero,
borchie.
Mi ero soffermata molto a guardarlo, fin quando lui non se
n’era
accorto e con una smorfia che non riuscii a decifrare si era stretto
ancora di
più le braccia intorno al corpo, come a difendersi.
Se solo avessi saputo il tedesco,
porca miseria!
“Ehi…”, sussurrai alla mia vicina che sbuffò spazientita.
“Che vuoi, impiastro?!”
“Non ti permettere mai più!”, digrignai, ma lei non perse quell’aria spavalda ed indifferente.
“Sìsì, mi dici che vuoi?”
“Come si chiama quello?”
“Oh, quello è Bill Kaulitz”, sorrise.
“Perché quel sorriso?”, ammiccai dandole una gomitata.
“…Non sono affari che ti riguardano!”, sbottò improvvisamente rossa, facendo girare tutta la classe e soprattutto quel Bill che la guardò incuriosito.
“Wienecke!...”, sbottò il professore girandosi e facendo stridere il gessetto alla lavagna, ma poi si fermò rendendosi conto di non sapere affatto il mio di nome né tantomeno il cognome.
“Langella”, dissi.
“Wienecke! Langhella…”
“Ho detto LanGElla!”, gridai.
“Ehi, la pronuncia tedesca non è quella come in italiano, mi sa che dovrai abituarti”, sogghignò Arianna al mio fianco.
Io rossa di rabbia mi
rimisi
seduta, non sopportavo chi sbagliava il mio cognome. Eppure non era
difficile!
Il professore sembrava piuttosto
arrabbiato per il mio comportamento impulsivo, ma io non mi facevo
intimidire
facilmente. Mi porse il gessetto e si mise seduto al mio posto dopo
avermi
fatto alzare.
“Cosa devo fare?”, chiesi con il gessetto in mano, preoccupata.
Sì, forse Dio
non esisteva e
incontrare Arianna era stata solo perfidia del destino come il mio
trasferimento in Germania. Io odiavo il freddo, cavolo!
Il professore mi indicò la
lavagna sogghignando e io mi trovai a fissare i numeri scritti su di
essa,
senza sapere da che parte cominciare.
Notai che il moro, quel Bill, mi
guardava e nei suoi occhi c’era come…
comprensione. Come
se lui quelle cose le vivesse
ogni giorno. Bene, per lui, per i deboli, mi avvicinai alla lavagna e
scrissi
dei numeri a caso, poi mi girai a sorrisi al professore.
“Tatadadan!”, canticchiai indicando il risultato.
Anche a Bill scappò da ridere, e vidi di sfuggita Arianna diventare verde d’invidia: era cotta di quel Bill, ne ero ormai certa e quello sarebbe stato il mio modo per ricattarla.
“Raus!”, gridò il professore alzandosi di scatto, infuriato, indicandomi la porta.
Io uscii volentieri e
mi sbattei
pure la porta alle spalle, serena. In qualche modo sapevo di aver fatto
la cosa
giusta e che, pur essendo stata sbattuta fuori dalla classe la prima
ora del
primo giorno, non me ne sarei pentita.
Avevo contro quella specie di
Hitler, ma non mi importava; e nemmeno della reazione di mamma, se mai
l’avesse
saputo.
Mi misi seduta tranquillamente
fuori dall’aula, appoggiata con le spalle al muro, e aspettai
in
silenzio,
pensando felicemente ai fatti miei.
Mancavano ormai pochi
minuti
all’intervallo, e vidi un ragazzo vestito abbastanza largo,
stile
hip hop,
avvicinarsi alla mia aula, per poi mettersi appoggiato al muro con le
spalle,
proprio di fronte a me.
Era proprio bello, subito ne
rimasi affascinata. Aveva i capelli biondo scuro con la pettinatura
rasta e un
piercing al labbro inferiore.
Sospirai di fronte a tanta
bellezza e lui mi guardò corrugando la fronte, ma divertito.
Io
mi ricomposi
subito, tossendo con la mano di fronte alla bocca.
Perché non sapevo parlare?!
Perché avevo sempre odiato quella lingua, ecco tutto. Ed ora
mi
trovavo di
fronte ad un figo che probabilmente parlava solo ed esclusivamente quella
lingua!
Mentre mi bolliva il sangue nelle
vene per l’opportunità che sicuramente non mi
sarebbe
capitata di nuovo, lui mi
disse qualcosa, ma nonostante mi fossi sforzata ad ascoltarlo, non
avevo
associato nessuna parola ad un’altra che conoscessi.
“Ehm… non parlo tedesco…”, balbettai. In inglese non ero poi tanto male!
“E io odio inglese”, disse ridacchiando.
Odiava l’inglese, ma dubitavo che amasse anche una sola delle altre materie.
“Come ti chiami?”, mi chiese, sempre in inglese.
“Virginia, e tu?”
“Tom.”
Più di
lì non sapevamo andare, si
vedeva dai nostri sguardi imbarazzati. Scoppiai a ridere, tirandomi le
gambe al
petto.
Quella situazione era assurda!
Possibile che non riuscissimo a comunicare?! Mi serviva Arianna,
nonostante non
fosse proprio miss gentilezza con la sottoscritta, nuova arrivata.
Suonò la campanella e il primo ad
uscire dalla classe fu Bill, che si illuminò vedendo
l’altro ragazzo, ma si
distrasse abbastanza da inciampare su di me.
“Entshuldigung”, disse. “Scusa.”
“Eh?!”, gridai scandalizzata, ridendo.
Tom mi capì al volo e tradusse in inglese per me.
“Ah, niente non importa”, dissi sorridendo ai due, che se ne andarono sorridendo altrettanto. Mi stavano simpatici.
Mi alzai mentre tutti i ragazzi uscivano dalle aule per sgranchirsi le gambe prima che iniziasse la seconda ora, e vidi anche Arianna uscire dalla nostra aula.
“Ah, eccoti impiastro! Ma sei impazzita o che cosa?! Ti sei fatta sbattere fuori il tuo primo giorno!”
“Alla prima ora, aggiungerei”, sorrisi.
“Guarda che non te ne devi vantare!”, mi rimproverò.
“Ma chi sei tu, mia madre?! Io faccio quello che mi pare! E poi non sopporto quella reincarnazione di Hitler!”, dissi riferendomi al professore di matematica.
“Beh nessuno lo sopporta”, sorrise.
“E allora! Scommetto che nessuno lo aveva messo a posto come ho fatto io oggi!”
“No, in effetti…”
Il professore uscì con la sua cartellina sotto braccio e ci guardò male, dicendo qualcosa ad Arianna, che abbassò lo sguardo.
“Che ha detto?”, le chiesi quando si fu allontanato.
“Di stare attente perché ci terrà d’occhio d’ora in poi. È tutta colpa tua, impiastro!”
“Ehi, ti ho già detto che non puoi chiamarmi così!”, gridai, poi mi girai verso il professore che si allontanava e visto che era di spalle e non poteva vedermi gli feci una linguaccia, aprendo la bocca con le dita e tirando fuori la lingua.
Tutti quelli che mi
videro si
misero a ridere e il professore si girò di scatto,
sentendosi
preso di mira. Io
feci finta di niente e mi misi a fischiettare, sorridendo.
Il professore grugnì qualcosa
andandosene e io scoppiai a ridere tenendomi la pancia, contagiando per
un
attimo anche la mia vicina di banco.
I due ragazzi, Bill e Tom, che mi
accorsi che erano stranamente simili e con gli occhi identici, si
avvicinarono
a me e mi diedero un cinque a testa, complimentandosi ovviamente in
tedesco, ma
fino a “Super”, che si diceva uguale all'italiano
non
contando la pronuncia della S come Z e la R gutturale, ci ero arrivata.
“Grazie!”,
dissi in italiano,
loro sorrisero capendo il concetto e poi la campanella suonò
di
nuovo
costringendo i due ragazzi a dividersi
Bill rientrò in classe e io e
Arianna, di nuovo verde, dietro di lui.
“Cosa ci tocca adesso?”, le chiesi mentre ci sedevamo di nuovo.
“Scienze.”
“Oh no! Già odio scienze in italiano, pensa in tedesco!”
Notai che tutti mi stavano guardando divertiti, ma che ci potevo fare se potevo parlare solo in quella lingua?Comunque mi fece piacere, perché mi sembrava un po’ spenta quella classe prima del mio arrivo, ora c’era profumo di novità e di allegria. Il tutto grazie a me.