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Autore: Parmandil    09/02/2020    1 recensioni
Lacerata fra la lealtà all’Unione e i sentimenti personali, Jaylah intraprende la sua missione più pericolosa. Ormai vero Agente Temporale, è sulle tracce di Vosk, sopravvissuto alla Battaglia di Procyon. Ma stavolta dare il massimo non basta. Sconfitti e dispersi, i nostri eroi devono affrontare le più grandi sfide della loro vita, tentando faticosamente di riunirsi.
Mentre la Keter danneggiata sprofonda sempre più in un pianeta gassoso, Dib e Zafreen cercano di ripararla. Ben presto scoprono di non essere gli unici ad aggirarsi sulla nave spettrale. Intanto il Capitano Hod, naufragata su un mondo ostile, giace tra la vita e la morte. Spetta al timoniere Vrel recuperarne l’energia neurale: una missione impossibile senza l’aiuto dell’estraniata sorella Lyra.
Sulle tracce del nemico, gli Agenti Temporali approdano nel 2053, alla vigilia della Terza Guerra Mondiale. Qui si scontrano col famigerato Colonnello Green e con l’ancor più crudele leader dei Potenziati, scoprendo un piano diabolico per sovvertire il mondo. Ma alla resa dei conti il fato della Galassia dipenderà dalla scelta di Juri Smirnov, l’uomo tradito dall’Unione. Lo scontro con Vosk termina con una stella cadente e un’esplosione che la Terra non dimenticherà mai.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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-Capitolo 14: ...non temerò alcun male

 

   «Controllo finale ultimato» disse Dib. «Il nucleo temporale è pienamente operativo».

   «Bene, ci riporti nel nostro tempo appena terminato il ciclo di ricarica» ordinò il Capitano Hod, osservando soddisfatta la plancia appena riparata e fervente di attività.

   Dopo la distruzione del Reaper, la Keter si era nascosta nel sistema solare esterno per sfuggire ai telescopi del XX secolo, mentre l’equipaggio procedeva alle riparazioni. I danni erano così estesi che anche lavorando con doppi turni erano servite due settimane per rimettere la nave in grado di viaggiare nel tempo. Durante l’attesa, il Capitano aveva inviato l’Ascension e alcune sonde a esaminare la Terra, per accertarsi che nessun Na’kuhl si fosse teletrasportato in superficie. Fortunatamente le ricerche avevano dato esito negativo.

   L’attesa, inoltre, era servita ai medici per curare i feriti della battaglia, che erano molti. E tutto l’equipaggio aveva amministrato le esequie dei caduti. Redigendo il bilancio delle vittime e dei feriti, la dottoressa Mol si avvide che, tra tutte le missioni della Keter, questa era stata di gran lunga la più costosa in termini di vite. Contando tutti gli scontri, dalla missione su Suliban fino alla resa dei conti col Reaper, c’erano stati 107 morti e 153 feriti, molti dei quali gravi. Erano valori altissimi, considerato che l’equipaggio della Keter ammontava a 710 elementi in tutto. Gli ufficiali della Sicurezza erano stati falcidiati nell’ultima battaglia, mentre della Squadra Temporale non restava che Jaylah. Dopo quell’esperienza tremenda, molti dell’equipaggio volevano chiedere il trasferimento o persino lasciare la Flotta Stellare. Per fortuna gli ufficiali superiori sarebbero rimasti; ma di certo l’astronave sarebbe stata diversa, con un tale rimpasto di personale.

   «Il nucleo temporale ha raggiunto il potenziale di cascata» annunciò Dib dalla sala macchine. In plancia, il Capitano e gli ufficiali trattennero il respiro. Mancavano pochi secondi al balzo nel tempo, ma a preoccuparli era ciò che avrebbero trovato nel XXVI secolo. L’alterazione temporale era ancora fresca nella loro memoria. Avevano lasciato un presente in preda a Borg e Tuteriani e temevano che, nonostante i loro sforzi, l’interferenza dei Na’kuhl non fosse stata del tutto corretta.

   Il lampo bianco del nucleo temporale li avvolse. Ritrovandosi ancora tutti interi, gli ufficiali ripresero a respirare. «Siamo tornati al presente» annunciò Zafreen. «Non rilevo anomalie, né attività Borg».

   «Chiami il Comando di Flotta» ordinò il Capitano, mantenendo la calma. Dopo la sua esperienza di quasi morte su Pyris VII c’era poco che potesse scuoterla. Per il resto dell’equipaggio, però, l’attesa fu una tortura.

   «Ci rispondono!» disse finalmente Zafreen. «È l’Ammiraglio Chase».

   L’Ammiraglio apparve sullo schermo. Era un uomo in là con gli anni, dai capelli e la corta barba grigi. Aveva l’aria stanca, ma quando vide gli ufficiali della Keter – tra cui la figlia Jaylah – il suo viso si rischiarò e alcune rughe svanirono. «Keter... è un sollievo vedervi» esordì. «Il Comando vi aveva dichiarati dispersi dopo la battaglia di Base Apocalisse, ma ero certo che sareste tornati. Dove siete stati, che avete fatto in questo mese?».

   «È una lunga storia» disse Hod. «Potrà leggerla nel mio rapporto. Chiedo il permesso di entrare nell’orbita terrestre».

   «Permesso accordato» disse Chase. «Sapete, il vostro ritorno è una fortuna per tutti noi. Da quando i Na’kuhl sono spariti col Tox Uthat, la Flotta è in allarme. Voi siete gli unici testimoni della battaglia: dovete dirci tutto».

   «Oh, quella... è storia vecchia» spiegò Hod in tono leggero. «Può revocare lo stato d’allerta, perché abbiamo distrutto l’Uthat. Abbiamo anche scongiurato un’alterazione temporale di livello 1, intavolato trattative coi Devidiani e scoperto un sabotatore fra i nostri Agenti. Inoltre abbiamo distrutto la nuova ammiraglia Na’kuhl, il Reaper, anche se mi duole informarla che Vosk ci è sfuggito».

   L’Ammiraglio sbatté gli occhi incredulo, cercando di mettersi al passo con una situazione che si era evoluta ben più in fretta delle aspettative. «Oh, non preoccupatevi per Vosk» riuscì infine a dire. «In questo mese avete fatto più di quanto la maggior parte degli equipaggi faccia in una carriera. Avete parlato di un’alterazione temporale; siete stati nel passato?».

   «Per un mese, sì» confermò il Capitano. «In ottemperanza agli Accordi Temporali ho regolato il ritorno di conseguenza, perché non ci ritrovassimo più vecchi rispetto a voi. Ecco perché è sembrato che fossimo scomparsi».

   «Capisco» annuì Chase. «Non vedo l’ora di leggere il suo rapporto... anzi, voglio vederla di persona. La invito al Comando, così che possa riferire direttamente allo stato maggiore».

   «Verrò quanto prima» promise Hod. «Ma devo anche informarla che abbiamo avuto gravi danni e molte vittime. Questa nave avrà bisogno di una revisione completa e di un rimpasto di personale, per tornare in azione».

   «Certo, vi metterò in cima alla lista» promise l’Ammiraglio. «So cosa significa affrontare i Na’kuhl... dev’essere stata una dura lotta».

   «Lo è stata» ammise Hod, ricordando i momenti peggiori. «Ma posso contare su ufficiali straordinari, come il signor Shil, che si è distinto in battaglia e al quale devo la vita. O sua figlia Jaylah, che ha affrontato una delle missioni temporali più ardue di sempre». A queste parole gli interessati arrossirono. Per quanto non disdegnassero i complimenti, essere lodati davanti a tutti faceva un certo effetto.

   «Sono felice di saperlo» disse Chase, guardando la figlia con affetto e orgoglio. «Mentre la nave è in riparazione, sarete tutti in licenza. Ve lo siete meritato».

 

   Vista dalla Keter, la Terra era uno spettacolo incantevole. L’emisfero in ombra non era semibuio come durante l’Evento di Tunguska, né l’atmosfera era soffocata dalle polveri radioattive, come dopo il Giorno dell’Orrore. No, la Terra del XXVI secolo sfolgorava di luci provenienti dalle grandi metropoli e la sua atmosfera era stata depurata da ogni agente nocivo. Ma dopo la loro ultima missione, gli ufficiali della Keter sapevano quanto fosse costato arrivare a quel risultato, e quanto esso fosse fragile.

   Non appena l’astronave si fu inserita nell’orbita, cominciò il viavai di navette e teletrasporti. Personale ausiliario accorse da altri vascelli per sostituire gli stanchi ufficiali della Keter. Gli ingegneri di Utopia Planitia e di Plutone esaminarono la nave, valutando i danni e stilando una scaletta degli interventi. Intanto il Capitano si recò ad Atlantide, l’isola artificiale su cui sorgeva il Quartier Generale di Flotta, per fare rapporto. A gestire le attività restò il Comandante Radek. Gran parte dell’equipaggio scese a terra, ma alcuni si attardavano.

   Con una piccola esitazione, Jaylah si accostò alla porta dell’alloggio di Juri, che era sorvegliato da una guardia. Da quando lo storico era rientrato a bordo, il Capitano aveva dovuto metterlo agli arresti. L’unica concessione che aveva potuto fargli era stata di confinarlo nel suo alloggio, anziché in una delle scomode prigioni di bordo.

   «Avanti» disse Juri, avendo udito il segnale.

   L’ingresso si aprì e Jaylah entrò cautamente nell’alloggio dell’Umano. Era stata molte volte nel suo laboratorio, per discutere della prossima missione o semplicemente per chiedere consiglio, ma nell’alloggio mai. Era un ambiente piccolo, arredato in modo ordinatissimo. Su una parete sgombra era proiettato un falò olografico, con tanto di effetto sonoro scoppiettante. Lo storico era seduto lì davanti, su un divanetto, e stava leggendo un libro; non un testo scaricato su un d-pad, ma un autentico volume di carta stampata. Vedendo entrare Jaylah, lo depose su un tavolino e si alzò, venendole incontro.

   «Ciao, Juri» esordì la mezza Andoriana.

   «Benvenuta» l’accolse lui. «Posso offrirti qualcosa? A patto di averne il tempo... immagino che stiano venendo a prendermi».

   «La Sicurezza sarà qui fra poco» confermò Jaylah. «Grazie dell’offerta, ma non prendo niente. Volevo solo sapere se posso fare qualcosa per te».

   «Questa è una lettera per i miei parenti» disse Juri. Prese un’unità di memoria dal tavolino e gliela porse. «Se la spedissi dal carcere, non so se la riceverebbero. E comunque non voglio che mezza Flotta la legga, prima di concludere che non contiene nulla di pericoloso. Quindi ti chiedo di consegnargliela personalmente».

   «Lo farò» promise la mezza Andoriana, prendendo l’unità mnemonica. «Sai, io e Norrin abbiamo specificato, nei nostri rapporti, quant’è stato prezioso il tuo contributo nell’ultima battaglia. Saremmo morti senza il tuo aiuto, con quello che ti è costato. Per questo saremo sempre in debito con te».

   «Nessun debito» disse l’Umano, che non pareva curarsi molto della sua sorte. «Ho fatto la mia scelta e convivrò con le conseguenze. Almeno starò lontano dalle navi temporali. A proposito, hai parlato con la Commissione per l’Integrità Temporale?».

   «Sì, dicono che l’Evento di Tunguska era un paradosso di predestinazione» rispose la mezza Andoriana, mordendosi il labbro.

   «Quindi le cose non potevano andare diversamente?» si accigliò Juri. «Detto così, sembra che siamo in una botte di ferro. Perché disturbarsi a combattere Vosk, se tanto le cose devono andare per forza come sono già andate? Se questa storia della predestinazione fosse vera, voi Agenti Temporali potreste andare in pensione» l’additò.

   «Non è così semplice» obiettò Jaylah. «In fondo la linea temporale era cambiata, prima che noi seguissimo il Reaper. Non so... ogni volta che crediamo di aver capito come funziona il tempo, succede qualcosa che rimette tutto in discussione».

   «Sembra che anche a te non piaccia la predestinazione» indovinò lo storico.

   «La odio» ammise l’Agente. «Questi paradossi non dimostrano forse l’inesistenza del libero arbitrio? Perché se le cose non possono andare altrimenti, allora viviamo in un Universo deterministico, dove tutte le nostre scelte sono obbligate. Anche i nostri sentimenti diventano prevedibili» si lamentò, in preda a un’angoscia esistenziale.

   «Mah...» fece Juri, camminando avanti e indietro. «Io sono del parere che anche se questa vicenda ha seguito un corso non lineare, ciò non annulla le nostre decisioni e non ci priva della volontà. Come dici tu, la linea temporale era cambiata, finché non avete deciso di rimetterla a posto. Alla fin fine, sono le nostre scelte che modellano la realtà... anche se spesso non nel modo che vorremmo» aggiunse malinconico.

   Per qualche secondo scese il silenzio, interrotto solo dagli scoppiettii del caminetto olografico. Poi la porta si aprì, senza avviso sonoro, segno che la Sicurezza aveva autorizzato l’ingresso. Entrarono due ufficiali, un Cardassiano e un Romulano. Non erano della Keter; li aveva mandati la Flotta per scortare Juri in prigione.

   «Il dottor Smirnov, suppongo» disse il Romulano.

   «No, sono suo cugino» rispose Juri con una smorfia. «Il dottor Smirnov è uscito cinque minuti fa. Non so quando torna».

   Il Romulano inarcò un sopracciglio. «Il Comandante Radek ci ha riferito che il dottor Smirnov è agli arresti domiciliari. Questo è il suo alloggio, quindi è lei che cerchiamo» disse con voce incolore.

   «Complimenti per l’acume» ironizzò lo storico.

   «Deve venire subito con noi» disse il Cardassiano, impaziente. «La scorteremo al penitenziario di Auckland, dove risiederà in attesa della sentenza».

   «No, grazie, sto bene dove sto» lo punzecchiò Juri, facendo persino il gesto di risedersi.

   Persa la pazienza, il Cardassiano lo colpì alla nuca con il calcio del fucile phaser, facendolo cadere in ginocchio. «Muoviti, brutta feccia umana!» berciò. «E non credere di cavartela con la prigione. Sei un pirata temporale, un collaborazionista... la pena di morte non te la leva nessuno!» gongolò soddisfatto.

   A queste parole, Jaylah si sentì ribollire il sangue. «Stupida testa a cucchiaio! È a causa di quelli come te che gli Umani non si fidano più dell’Unione! Li trattate come feccia e poi vi stupite se ci si rivoltano contro?!» strepitò.

   «Non è il caso di alterarsi, Agente» disse il Romulano in tono misurato. «Il mio collega è stato provocato, anche se ha esagerato nella reazione. E spero di non fraintendere le sue parole. Non starà giustificando il terrorismo e la pirateria temporale con la scusa che gli Umani sono maltrattati? Perché nessun torto, vero o presunto, giustifica questi crimini».

   «No, certo» rispose Jaylah a denti stretti. Come Agente Temporale non poteva certo sostenere il contrario.

   «Vedi?» fece Juri, rialzandosi a fatica mentre si massaggiava la nuca dolorante. «Quelli come me sono “feccia che merita la morte”, anche prima del processo. Come capisco lo Spettro!».

   «Aspettate un momento!» esclamò Jaylah, trattenendo le guardie. Si avvicinò a Juri, ancora sofferente per il colpo. La pirateria temporale era l’unico reato ancora punibile con l’esecuzione, quindi lo storico rischiava sul serio. «Se vuoi salvarti, collabora con la Flotta» gli sussurrò. «Racconta tutto ciò che hai appreso sui Na’kuhl, nell’anno trascorso con loro. Così la tua condanna sarà commutata in ergastolo e noi saremo più preparati, al prossimo scontro».

   «Un buon consiglio» riconobbe Juri, massaggiandosi la nuca. «Lo seguirei senz’altro... se fossi interessato a sopravvivere». Esaurita la pazienza, le guardie lo presero per le spalle e lo trascinarono fuori dall’alloggio.

   «Non gettare la tua vita!» gridò Jaylah, inseguendoli nel corridoio. «Le cose potrebbero cambiare, in futuro».

   «Certe cose non cambiano mai» rispose l’Umano. Si scrollò di dosso le guardie, rialzò la schiena e prese a camminare normalmente. Dietro di lui, il Cardassiano e il Romulano gli puntavano i fucili alla schiena, come un plotone d’esecuzione.

 

   Giunti in sala teletrasporto, li attendeva una piccola sorpresa. Anche se il Capitano Hod era scesa ad Atlantide per conferire con gli Ammiragli, gli altri ufficiali superiori della Keter erano lì, per dire addio a Juri. Radek, Norrin, Dib, Ladya, Vrel e Zafreen si erano allineati lungo la parete, per manifestare la loro vicinanza allo sfortunato Umano. Jaylah si accostò a Zafreen, l’ultima della fila. Osservarono Juri mentre lui e le guardie salivano sulla pedana del teletrasporto. Nessuno parlò, ma la loro semplice presenza valeva più di mille parole.

   Quando fu sulla piattaforma, Juri si girò verso i colleghi e li osservò. «Congratulazioni, avete salvato l’Unione e ora siete tutti eroi» disse. «Ma non siatene troppo lieti, perché le vostre vittorie vanno a vantaggio di Rangda. E quando la vecchia strega riterrà di non avere più bisogno di voi, vi schiaccerà tutti senza pietà. Sapete che è vero» disse, fissando Jaylah. L’attimo dopo lui e le guardie svanirono nel lampo azzurro del teletrasporto.

   Andato Juri, gli ufficiali lasciarono la sala e si separarono in silenzio, tornando alle loro incombenze. Senza lo storico la Keter sembrava più vuota. Ma le sue ultime parole ronzavano nelle loro menti, come un monito impossibile da dimenticare.

 

   Era una giornata tersa ad Atlantide. Una lieve brezza spirava dal mare e il sole illuminava la piazza davanti al Quartier Generale della Flotta Stellare. Migliaia di ufficiali, di ogni grado e sezione, assistevano all’evento. Davanti a loro, su una pedana rialzata, erano allineati il Capitano Hod e gli ufficiali della Keter, tutti in alta uniforme. Gli sguardi si alzarono al cielo quando cinque caccia in formazione a V sorvolarono la zona. Uno di essi lasciò la formazione, nell’antico gesto di onore per i caduti. I federali tennero un minuto di silenzio per commemorare le vittime della missione.

   Trascorso il minuto, l’Ammiraglio Chase si fece avanti. «Grazie d’essere qui riuniti» disse, rivolto alla folla. «Oggi rendiamo onore agli ufficiali della Keter; a quelli che sono qui con noi e a quelli che non ce l’hanno fatta. Il loro coraggio e il loro sacrificio hanno ripristinato la linea temporale nella quale tutti noi viviamo. A nome della Flotta Stellare e dell’Unione Galattica, grazie» disse l’Ammiraglio, rivolto agli interessati. «Ancora una volta i Na’kuhl sono stati respinti. Continueremo a vigilare su di loro e su chiunque minacci il corso della Storia. Perché dalla Storia – anche dai capitoli più bui – abbiamo ancora molto da imparare. Per questo motivo, conferisco la Medaglia al Valore al Capitano Bina Hod della USS Keter. Possa essere d’esempio e d’ispirazione per quanti prestano servizio nella Flotta».

   Così dicendo, Chase appuntò la medaglia sulla spalla di Hod. L’Elaysiana indossava un nuovo esoscheletro, anche se le fascette metalliche erano così sottili che molti spettatori non le notarono. Era ancora convalescente dopo gli strapazzi e comunque in mancanza della terapia genica le serviva un sostegno. Ma forse le cose sarebbero cambiate, ora che aveva davanti a sé una lunga licenza. Lei e la dottoressa Mol ne avevano già parlato a porte chiuse.

   La folla proruppe in applausi, mentre l’Ammiraglio stringeva la mano a Hod. Anche gli ufficiali della Keter applaudirono il loro Capitano, che per quanto non desse troppo valore alle celebrazioni fu commossa da tutte quelle attenzioni.

   Quando tornò il silenzio, l’Elaysiana prese la parola. «Ripristinare la linea temporale non sarebbe stato possibile senza l’ingegno e il valore dei miei ufficiali. Quindi vorrei a mia volta premiare quelli che più si sono adoperati per renderlo possibile. A cominciare dal nostro Ingegnere Capo, la 76ª Distillazione di Blu, che noi chiamiamo Dib. Dopo essere stato accidentalmente accelerato nel tempo, il signor Dib ha riparato la Keter dai danni che stavano per distruggerla, affrontando anche un pericoloso sabotatore». Così dicendo, il Capitano appuntò una medaglia sulla tuta termica del Penumbrano. «In questo arduo compito, il signor Dib è stato assistito dal Guardiamarina Zafreen, che perciò riceve i gradi di Tenente».

   Ci fu una nuova ondata di applausi. Dib li ricevette in silenzio, perfettamente immobile, mentre Zafreen era visibilmente emozionata. Sorrise a Vrel, felice d’essere al centro dell’attenzione.

   «Consegno ora la Medaglia al Valore a Jaylah Chase, della Squadra Temporale» proseguì il Capitano, appuntandole l’onorificenza. «Il Tenente Chase ha condotto la sua squadra contro i peggiori avversari del passato e del presente, correggendo l’alterazione temporale. Poi ha distrutto il Tox Uthat, salvando il sistema solare dall’annientamento. Grazie di tutto» disse, stringendole la mano.

   «Neanch’io ero sola» disse Jaylah. «Vorrei ricordare i miei colleghi della Squadra Temporale, caduti negli scontri. E il Maggiore Selmak della Milizia Sulibana» disse malinconica. Avrebbe voluto nominare anche i soldati dell’AEV, ma i dettagli della missione erano top secret. Quanto a Juri, che li aveva salvati tutti, e a Svetlana, vittima innocente del conflitto, pensò che non era il caso di dargli esposizione mediatica.

   «Infine conferisco lo stesso riconoscimento a Vrel Shil, timoniere della Keter» annunciò il Capitano. «Con la sua guida esperta, il Tenente Shil ci ha permesso di sconfiggere il Reaper. Subito dopo ha partecipato all’abbordaggio, giungendo in plancia, dove ha personalmente messo in fuga Vosk e ha deviato la nave in caduta su un territorio disabitato. Già in precedenza, durante il naufragio su un pianeta ostile, il signor Shil mi aveva salvato la vita, a rischio della propria. Per questo lo ringrazio anche a titolo personale» disse, stringendogli la mano. Fatto questo si rivolse di nuovo alla folla. «Riguardo al naufragio, devo ringraziare anche Lyra Shil, che pur non appartenendo alla Flotta ha rischiato la vita per salvarci, dimostrando che non tutti gli eroi indossano l’uniforme».

   A queste parole ci fu un ultimo, prolungato scroscio di applausi. Lyra, che stava in prima fila giù dal palco, arrossì per l’emozione e scambiò uno sguardo commosso col fratello. Era lieta di vedere che il Capitano riconosceva i loro sforzi. Ma anche senza quella cerimonia sarebbe stata contenta lo stesso, perché sebbene lei e Vrel la pensassero diversamente su molte cose, almeno erano di nuovo in buoni rapporti. E questo contava più di tutte le celebrazioni e le medaglie della Galassia.

 

   «Uno scambio di corpo, davvero?!» rise Lyra. Lei e Vrel passeggiavano negli assolati giardini dell’Accademia, lontano dalla folla che si disperdeva lentamente dopo aver assistito all’evento. Con loro c’erano Jaylah e Zafreen, protagoniste dell’increscioso incidente di due anni prima.

   «Sì, te lo giuro!» rise a sua volta Vrel. «Sono stati giorni pazzeschi. Tutti a bordo sapevamo dello scambio, ma era difficile trovarsi davanti Zafreen e tenere a mente che quella era Jaylah. O viceversa».

   «Cose che capitano, quando si mettono le mani su tecnologie aliene sconosciute» commentò Jaylah, lanciando un’occhiataccia all’Orioniana.

   «Sarebbe potuto succedere a chiunque» si difese lei.

   «E quindi come avete fatto?» s’interessò Lyra.

   «La dottoressa Mol diceva che forse bastava aspettare perché l’effetto s’invertisse» spiegò Vrel. «Ma i giorni passavano e non cambiava nulla...».

   «Nulla? Continuavi a fare strane cose ai miei capelli!» ricordò Jaylah, sempre rivolta a Zafreen. «Mi hai fatta sospendere dal servizio, mentre tu continuavi a fare il tuo lavoro!».

   «Quante volte mi devo scusare?» fece Zafreen, alzando gli occhi al cielo. «Tu piuttosto, mi tenevi sempre il fiato sul collo. Non potevo appartarmi un attimo col mio fidanzato che subito...». A queste parole la sua voce si smorzò. Fino a quel momento avevano avuto tutti un tono leggero e scherzoso, anche quando si rinfacciavano i guai. Ma ricordando che lei e Vrel si erano lasciati, Zafreen s’intristì. «Beh, insomma, alla fine siamo tornate normali. Ci sono stati di mezzo un rapimento, una battaglia e un miracolo, ma abbiamo ripreso i nostri corpi. È questo che conta».

   «Uhm, mi direte un’altra volta i dettagli» disse Lyra, dando un colpetto di gomito a Jaylah. «Mi sono appena ricordata che ho un impegno urgentissimo».

   «Sì, anch’io» annuì la mezza Andoriana. «Ci vediamo al Comando. Ma voi continuate la passeggiata! Sono certa che avete molto di cui parlare». Le due si dileguarono, lasciando soli Vrel e Zafreen.

   «Non ci hanno neanche provato a farlo sembrare naturale, eh?» si accigliò il mezzo Xindi.

   «Credo che anche loro debbano parlare» disse l’Orioniana, guardandolo di sottecchi.

   «E va bene» sospirò Vrel. «Ora che Hakon è morto, posso chiedertelo. Perché?! Perché andare con lui? Non mi pareva che avessimo problemi. O sì?».

   «No, nessun grosso problema» assicurò Zafreen. «È solo che eravamo in una fase di stanca».

   «E tanto basta per darla al primo che capita?!» chiese Vrel, ancora ferito.

   «Che vuoi che ti dica... sono Orioniana, a volte agisco d’impulso» si giustificò Zafreen. «Comunque è stato un errore, e non solo perché lui voleva ucciderci. È stato un errore farlo alle tue spalle, non parlartene prima. Di questo ti chiedo scusa».

   «Uhm... e va bene, scuse accettate» disse il timoniere con un grosso sforzo. Dopo aver visto la morte da vicino, gli sembrava inutile vivere nel risentimento.

   «Splendido!» gioì Zafreen, battendo le mani. «Ora basta parlare del passato. Mettiamoci una pietra sopra e pensiamo al futuro!» si animò. «Riguardo a noi due, stavo pensando che dopo queste esperienze dovremmo... sì, insomma... sono cose che ti fanno crescere... vedere la vita in un’altra prospettiva...» disse, lisciandosi una ciocca di capelli. Moriva dalla voglia di tornare con lui, ma per non fare una figuraccia voleva che fosse Vrel a proporlo.

   «Penso di capire cosa intendi» disse il timoniere, osservandola meditabondo. Avevano smesso di passeggiare e si fronteggiavano, in una zona appartata dei giardini.

   «Sì?!» fece l’Orioniana, pendendo dalle sue labbra. Si aspettava la richiesta di tornare assieme, così avrebbe potuto fingere di pensarci su e infine accettare graziosamente. Si sbagliava di grosso.

   «In questi tre anni ci siamo divertiti, ma l’abbiamo presa in modo adolescenziale» spiegò Vrel. «Credo sia arrivato il momento di crescere e andare avanti con le nostre vite. Ma siccome siamo colleghi e continueremo a lavorare assieme, spero che potremo farlo senza rancori, restando amici. Questo è come la penso. E tu, sei dello stesso parere?».

   «Io...» fece Zafreen, oltremodo delusa. Non si aspettava minimamente un discorso del genere. Pensò che gli avrebbe urlato in faccia, dandogli dell’idiota. O che si sarebbe chiusa nel mutismo finché lui avesse capito l’equivoco. Ma comprese che era inutile fare scenate. Se Vrel non voleva tornare con lei, non l’avrebbe fatto in nessun caso. Dare in escandescenze lo avrebbe solo fatto soffrire. E lei non voleva assolutamente dargli altri dolori. «Certo, la penso allo stesso modo» disse, sentendo male al cuore. «Resteremo amici. Ma quando saremo in servizio non potrai più darmi ordini, Tenente... ora ho il tuo stesso grado!» gli ricordò, accennando alla nuova mostrina che aveva sul colletto.

   «Non che ci sia mai riuscito» disse Vrel, abbozzando un sorriso.

 

   «Vrel mi ha raccontato cos’è successo su Pyris» disse Jaylah. Lei e Lyra camminavano accanto a un ruscelletto, nella zona più interna dei giardini, dove si trovavano grandi alberi. «È una fortuna che tu fossi con lui. Altrimenti sarebbe stato capace di andarci da solo, ad affrontare i Devidiani. E si sarebbe fatto ammazzare. È la persona più leale che conosco».

   «Già, anche troppo» annuì Lyra. Dalle parole di Jaylah era chiaro che Vrel non le aveva raccontato tutti i dettagli. «Vi sarete salvati la vita parecchie volte» suggerì la cronista.

   «Non teniamo il conto, ma credo che mi abbia salvata più volte lui» ammise Jaylah. «Vrel è il cuore della Keter».

   «Sì, ora lo vedo» disse Lyra, osservandola. «Sono felice che vi siate ritrovati sulla stessa nave, così da potervi guardare le spalle a vicenda».

   «Non sembravi tanto felice, quando sei salita a bordo» le ricordò Jaylah, ancora un po’ circospetta. Anche se i loro rapporti erano migliorati, la mezza Andoriana continuava a serrare la mente in presenza della giornalista.

   «Ti devo le mie scuse» disse Lyra. «Non avevo compreso quanto fosse importante il vostro lavoro. E soprattutto quanti rischi correte! Pensavo che i racconti dei miei genitori sui tempi dell’Enterprise fossero esagerati, ma ora ho visto cosa dovete affrontare là fuori. Spero di poter girare qualche servizio al riguardo, per sensibilizzare l’opinione pubblica. La gente deve sapere quanti dei vostri si sacrificano per l’Unione».

   «Se tornerai alla frontiera, stai attenta anche tu» raccomandò Jaylah. «Noi andiamo sempre in squadra e siamo equipaggiati. Tu no, quindi bada ai rischi che corri».

   «Farò attenzione» promise Lyra, guardandola di sottecchi. Per anni aveva invidiato Jaylah, per le sue capacità e per il fatto che sembrasse rubarle l’affetto di Vrel. Ma non le era sfuggito che, dopo questa missione, la mezza Andoriana era l’unica superstite della sua squadra. Quindi avrebbe dovuto addestrare altri Agenti, per poi rituffarsi con loro in pericoli del genere. «No... non t’invidio più» si disse la cronista.

 

   Salutata Jaylah, Lyra lasciò i giardini dell’Accademia, ma restò in zona. Prima di rincasare c’era una cosa che voleva vedere. La mezza Xindi raggiunse una vasta zona museale, dove la Flotta aveva raccolto i suoi reperti storici, raccolti da molti pianeti. Il pubblico poteva così ammirare quattrocento anni di storia, dai primi passi della Flotta Astrale terrestre agli anni eroici delle missioni quinquennali, dalla Guerra del Dominio a quella delle Anomalie. Al centro dell’area, su una grande piazza, era esposto il pezzo forte: l’USS Voyager, la “nave dei miracoli” che due secoli prima aveva esplorato il Quadrante Delta. I piloni di atterraggio erano stati rinforzati, per permetterle di restare stabilmente a terra. Lyra l’ammirò, sentendo la stessa emozione che provava da bambina.

   Fu così che Vrel trovò la sorella, quando uscì a sua volta dai giardini. «Bella, vero?» chiese, accostandosi a lei per osservare la Voyager.

   «Sì... ricordi quando ci salimmo da bambini?» chiese Lyra.

   «Come dimenticarlo? Ci nascondemmo ai custodi per esplorarla a modo nostro» ridacchiò Vrel, rammentando quella marachella. «Alla fine ci beccarono... ma solo dopo averci inseguiti nei tubi di Jefferies».

   «Papà e mamma erano furiosi» ricordò Lyra.

   «Lo erano con me, che dovevo tenerti d’occhio. Tu eri abbastanza piccola da sfuggire ai rimproveri» corresse Vrel.

   «Devo essere stata una palla al piede» ammise la cronista. «Sono ancora così?».

   «Qualche volta» rispose il timoniere. «No, scherzo!» aggiunse, vedendola intristita. «Sono lieto che tu abbia trovato la tua strada, dico davvero».

   Lyra sospirò, osservando di nuovo l’astronave di classe Intrepid. «Ricordo quel giorno come fosse ieri. Salire sulla Voyager, dopo tutte le storie che avevo sentito... è stato da brividi. Ho pensato che un giorno anch’io sarei entrata nella Flotta Stellare, come mamma e papà». La mezza Xindi rise sommessamente fra sé. «Ma crescendo ho cambiato idea. Forse sono state le storie poco lusinghiere che ho sentito. Forse la consapevolezza che non avrei potuto eguagliare i nostri genitori. O forse semplicemente la quantità di cose da studiare. Comunque ho capito che non sarei mai stata nella Flotta. Questo ti dispiace? Pensi che io non sia all’altezza della famiglia?».

   «No, te lo dissi allora e te lo ripeto adesso» rispose Vrel con decisione. «Anzi, in un certo senso mi solleva sapere che non corri i nostri rischi».

   «Quando andavo a scuola, tutti mi chiedevano se avrei seguito le orme dei nostri genitori... poi anche le tue...» mormorò Lyra, tormentata.

   «Non si può vivere per soddisfare le aspettative altrui» ribadì Vrel. «Se ti senti realizzata come giornalista, ben venga! Ti chiedo solo d’essere obiettiva, se ti capita di parlare di noi».

   «Lo sarò» promise Lyra. Per un po’ rimasero a guardare la sagoma affusolata e lucente della Voyager.

   «Ti andrebbe di visitarla ancora?» propose Vrel. «Stavolta però non c’infileremo nei condotti».

   «Mi piacerebbe» sorrise Lyra. «Ma si sta facendo tardi, devo andare». Si levò il comunicatore di tasca – la versione palmare usata dai civili – e vi lesse l’ora. «Sì, devo proprio scappare» confermò.

   «Speravo che ti trattenessi un po’ di più» disse il timoniere, dispiaciuto di doverla lasciare proprio ora che si erano riappacificati.

   «Il mio capufficio aspetta ancora l’articolo sulla missione a Suliban» spiegò la cronista. «Non temere, lo rimaneggerò prima di darglielo. Ci sono alcuni... eccessi polemici da rivedere». Era un eufemismo. Quell’articolo andava cestinato e riscritto daccapo.

   «Okay, non ti trattengo» cedette Vrel. «A presto, sorellina. Ricorda che sono in licenza, finché la Keter è in ristrutturazione. A meno che i lavori si prolunghino di molto. In quel caso potrei essere assegnato temporaneamente a un’altra nave. Comunque ti farò sapere. Teniamoci in contatto».

   «Senz’altro» promise Lyra. «A presto, fratellone. Sono orgogliosa di te». Si abbracciarono con affetto, prima di lasciarsi. Intanto il sole cominciava a calare, riverberando sullo scafo argenteo della Voyager.

 

   Tornare a casa fu una sensazione stranissima per Jaylah. Dopo gli anni nello spazio, era arrivata a considerare “casa” il suo alloggio sulla Keter. Ma quella in cui faceva rientro era la vera casa di famiglia, il luogo in cui era cresciuta e in cui vivevano tuttora i suoi genitori. Avrebbe passato lì almeno qualche giorno, mentre la Flotta sbrigava le lungaggini burocratiche. Erano due anni interi che non ci metteva piede, cioè da quando era cominciata la sua tresca con lo Spettro, visto che da allora spendeva le licenze per incontrarlo, anziché tornare a casa. Al suo ingresso si sentì un’estranea, anche se la casa in sé non era molto cambiata. La sua vecchia camera, poi, era identica a come l’aveva lasciata.

   «Sono io che sono cambiata. Vedo le cose in modo diverso» pensò, passando in rassegna gli oggetti familiari. I suoi genitori comunque fecero di tutto per farla sentire a casa. Cenando con loro, quella sera, Jaylah si sentì di nuovo parte della famiglia. «Ah... era da tanto che non mangiavo così» disse a fine pasto.

   «È da tanto che non venivi qui» disse sua madre Neelah con una punta di rimprovero. «So quanto significa per te l’incarico sulla Keter. Ma le licenze, almeno, potresti passarle a casa... sempre che tu non abbia altri progetti». Le sue antenne si tesero.

   Notando questo, Jaylah chiuse ermeticamente i pensieri a ogni tentativo d’intrusione. Sua madre era una telepate eccezionale, tanto che anni prima aveva usato l’Uthat senza nessuna interfaccia. Non doveva intromettersi nei suoi pensieri, scoprendo ciò che non doveva.

   «La tua chiusura è già di per sé eloquente» le trasmise telepaticamente Neelah. «C’è una parte di te che proprio non possiamo conoscere, vero?».

   «Mamma, ti prego!» rispose lei, sempre col pensiero. «So quello che faccio».

   «Lo spero. Stai molto, molto attenta, piccola mia» rispose Neelah, e Jaylah ne avvertì la tremenda preoccupazione. «Se devi dalla tua rotta, potresti perderti per sempre».

   Accanto a loro, l’Ammiraglio Chase si accorse del muto dialogo tra la moglie e la figlia. Non percepiva i pensieri, non essendo un telepate, ma nel corso degli anni aveva imparato a capire quando le due conversavano a quel modo. Si vedeva dalle antenne tese, dagli sguardi fissi e concentrati. Chase aveva anche imparato a non chiedere spiegazioni, perché non le avrebbe ottenute. Doveva semplicemente lasciarle fare, finché la tensione si allentava e la normale conversazione riprendeva. Anche in quel caso andò così.

 

   Dopo cena, Jaylah si ritirò nella sua vecchia camera. Non era solo nostalgia. Seduta al terminale del computer, si connetté a Memory Alpha, la monumentale enciclopedia dell’Unione. Consultò il database storico, cercando informazioni sul Colonnello Green, i Potenziati, l’AEV e la Terza Guerra Mondiale, per confrontarle con ciò che aveva visto. Poiché alcune notizie erano riservate, usò la sua autorizzazione di Agente Temporale per accedere ai file della Flotta Stellare.

   Come le era capitato in precedenza, trovò pochissime informazioni su Kamala Singh. Le sue responsabilità nello scoppio della guerra atomica non erano mai emerse; non si sapeva neppure che fosse una Potenziata. «Le cose cambieranno» si disse Jaylah. «Il mio rapporto missione rivelerà chi era quella donna».

   La mezza Andoriana rilesse poi la biografia di Green, concentrandosi su ciò che era accaduto dopo il Giorno dell’Orrore. Il Colonnello aveva affrontato la Coalizione Orientale nel Kashmir, finendo disperso col suo battaglione. Man mano che i governi mondiali cadevano a pezzi, aveva raccolto un esercito misto, che comprendeva anche molti sbandati dell’ECON. A quel punto era tornato in America, attraverso l’Alaska, impadronendosi del nord-ovest del continente. Era qui che aveva commesso le peggiori atrocità, sterminando milioni di civili colpiti dalle radiazioni. Per qualche anno aveva regnato come un despota post-industriale, somministrando droghe alle sue truppe per spronarle a battersi in quelle condizioni infernali. Infine si era spinto nel Montana, dove era stato ucciso da un cecchino. Gli scopi del suo ultimo viaggio erano ignoti, come anche l’identità del killer. Certo i nemici non gli mancavano: molti non gli avevano perdonato gli eccidi degli ultimi anni.

   Jaylah si chiese se il viaggio nel Montana avesse a che fare con Cochrane e il suo volo a curvatura. Era un’ipotesi stuzzicante. Lei stessa aveva appurato che Green era ben consapevole dell’esistenza degli alieni. Cochrane e i suoi collaboratori avevano costruito la Phoenix, la prima navicella a curvatura, a partire da un missile balistico mai partito, ma non avevano potuto farlo del tutto in segreto. Qualche notizia era certamente trapelata. Forse il Colonnello aveva intravisto nel Progetto Phoenix l’ultima occasione di lasciare il mondo post-atomico e contattare gli alieni. Ma qualcuno l’aveva fermato per sempre. Jaylah non ne aveva prove, eppure se lo sentì nel cuore: era stato Flint. Lei stessa glielo aveva chiesto e il Generale aveva promesso di occuparsene.

   L’Agente Temporale avrebbe dovuto fermarsi, ma la curiosità prese il sopravvento. Sfruttando la sua autorizzazione cercò notizie su Flint e infine le trovò. Lo schivo Immortale aveva lasciato poche tracce dietro di sé, ma nel 2269 era stato trovato da Kirk su Holberg 917-G, un piccolo pianeta del sistema Omega. Si era ritirato lì da qualche anno, auto-esiliandosi in uno splendido palazzo, costruito chissà come. Ma non era rimasto in ozio. Aveva costruito un sofisticato androide di nome Rayna, modellandolo come la sua donna ideale, nella speranza che s’innamorasse di lui. Ripensando al bozzetto nel suo ufficio, Jaylah si disse che evidentemente era da molto che Flint rimuginava su quel progetto. Ma come al solito, creare l’amore in laboratorio si era rivelato impossibile. Rayna, che non sapeva d’essere una macchina, aveva avuto difficoltà a provare emozioni. E quando alla fine si era innamorata, i suoi sentimenti erano rivolti a Kirk. Ma dopo aver scoperto la verità su se stessa, non voleva neanche ferire Flint, il suo creatore. Alla fine lo stress era stato eccessivo per i suoi circuiti e si era disattivata. I federali, inoltre, avevano scoperto che il processo d’invecchiamento di Flint – fino ad allora lentissimo – aveva ripreso la velocità normale. Quale che fosse il delicato equilibrio che gli aveva donato la straordinaria longevità, era cessato quando aveva lasciato la Terra. Pur consapevole di questo, Flint aveva deciso di non tornare sul suo mondo natio. Dopo di allora non c’erano più stati contatti, ma era logico presumere che fosse morto entro la fine del XXIII secolo.

   «Forse dopo tanti millenni era stanco di vivere» si disse Jaylah. «O forse il mondo era troppo cambiato, dopo il volo di Cochrane e la nascita della Federazione. La delusione con Rayna dev’essere stata la spinta finale. Addio, Generale... non ti dimenticherò». Con questo pensiero la mezza Andoriana eseguì il saluto militare, come si usava nel XXI secolo. Lo aveva visto fare più volte ai soldati dell’AEV, mentre era con loro. «Addio a tutti voi. L’AEV non c’è più, ma ora c’è la Flotta Stellare che vigila».

 

   Le manette tintinnarono mentre Juri veniva scortato nella sala degli interrogatori. Era una stanza spoglia, di un deprimente color grigio. Conteneva solo un tavolo, con tre sedie da un lato e una dall’altro. Le guardie costrinsero l’Umano a sedersi su quest’ultima, che era più massiccia delle altre. Gli tolsero le manette, ma solo per avvincergli i polsi ai braccioli. Dopo di che se ne andarono, chiudendo la porta.

   Trascorse un tempo indefinito. Poi l’ingresso si riaprì, lasciando entrare tre alti ufficiali della Sicurezza. Erano un Coridano, un Mazarita e un Sauriano, che si accomodarono sulle tre seggiole. Per un po’ si limitarono a fissare il prigioniero, senza parlare.

   «Mi prude il naso» disse Juri in tono sardonico. «Qualcuno di voi potrebbe cortesemente grattarmelo?».

   «Dottor Smirnov, le sono stati letti i capi d’accusa» disse il Coridano, che aveva il volto nascosto da una maschera respiratoria. «È consapevole che rischia la pena capitale?».

   «E voi siete consapevoli che nessuno come me conosce i Na’kuhl?» ritorse l’Umano, che aveva riflettuto sul consiglio di Jaylah. «Ho passato un anno in mezzo a loro. Conosco le loro tecnologie... le strategie... come sono organizzati... come ragionano. Potrei tracciarvi il profilo psicologico di Vosk, se lo desiderate. Peccato che tutta questa conoscenza debba morire con me» disse in tono fatalista.

   «Non si atteggi troppo» lo ammonì il Coridano. «Abbiamo strumenti, telepatici e tecnologici, per estrarle tutte le informazioni che vogliamo, anche contro la sua volontà».

   «Sarebbe una violazione del regolamento, mi pare» notò Juri, mantenendo la calma. «Non potete neanche invocare la legge marziale, dato che non siamo in guerra. Oh, a proposito... io sono un privato cittadino. Quindi devo essere giudicato da un tribunale civile, non da voi gallinacci della Flotta».

   «Data la natura estremamente riservata delle informazioni in suo possesso, la Flotta gestirà la cosa» spiegò il Mazarita. «Deve capire che non le restano molte opzioni. Se rifiuta di collaborare, le conseguenze saranno spiacevoli. Dovremo estrarre comunque le informazioni dal suo cervello. Dopo di che sarà condannato a morte».

   «Ma l’Ammiraglio Chase le offre un accordo» intervenne il Sauriano. «Se collabora pienamente con noi, la sua pena sarà commutata in ergastolo. Avrà anche qualche piccola comodità in cella. Ad esempio potrà leggere e ricevere visite».

   «Non me ne aspetto molte» disse lo storico senza emozione. «Fatemi capire: lei è il poliziotto buono, mentre lei è quello cattivo?» chiese, accennando prima al Sauriano e poi al Mazarita. «E lei che ci sta a fare?» aggiunse, rivolto al Coridano.

   «Questo atteggiamento non l’agevola, dottor Smirnov» avvertì quest’ultimo. «La sua scelta è semplice: ergastolo o pena capitale».

   «Era stato più generoso Vosk» borbottò Juri. «Lui almeno mi avrebbe lasciato libero, in cambio della mia collaborazione».

   «Vosk detiene un potere assoluto sul suo popolo. Noi, invece, ci muoviamo entro i limiti del regolamento» ribatté il Coridano. «Le ricorderei che, collaborando con noi, aiuterà l’Unione a difendersi dai prossimi assalti Na’kuhl. Ma è chiaro che a lei non importa nulla degli altri».

   «Oh, si sbaglia. Me ne importa eccome» rispose lo storico, increspando appena le labbra. «Ragion per cui non mi fido dell’Unione. Ma sì, accetto il patteggiamento. A una condizione» avvertì.

   «E sarebbe?» chiese il Mazarita, guardandolo con ostilità.

   «Voglio poter seguire i notiziari» rispose Juri.

   «Perché? Aspetta qualche notizia in particolare?» s’insospettì l’ufficiale.

   «Direi di no. Voglio solo accorgermene, quando l’Unione comincerà a sgretolarsi» spiegò l’Umano, dandogli un’occhiata tagliente.

   «La Federazione è durata quattrocento anni» disse il Coridano, con voce tesa. «L’Unione è ancora giovane, ma durerà almeno altrettanto».

   «Lei dice?» chiese lo storico, con aria scettica. «Eppure io sento molti scricchiolii».

   Per qualche secondo calò il silenzio. Poi il Sauriano si schiarì la voce. «Dunque accetta il patteggiamento?» chiese.

   «Sì, lo accetto» confermò Juri. «A patto di poter leggere e seguire i notiziari».

   «Così sia» disse il Coridano, lapidario.

 

   Lyra indugiò sulla soglia dell’ufficio. Dopo il ritorno sulla Terra, aveva riscritto l’articolo sulla missione a Suliban e l’aveva inviato al Federal News. Ne aveva anche scritto un altro sull’incidente temporale, stando attenta a non divulgare informazioni riservate. Poi si era concessa una buona notte di sonno, perché sapeva che la prossima giornata si annunciava impegnativa. Infatti, appena alzata, era stata convocata dal suo principale. La mezza Xindi si fece coraggio ed entrò nell’ufficio. «Buongiorno, signor Brott» disse in tono rispettoso.

   Il capo l’attendeva alla scrivania. Era un Boliano calvo e un po’ corpulento, come molti della sua specie. Solitamente era affabile, tranne quando qualcuno o qualcosa lo contrariava. E quel giorno il signor Brott era molto contrariato. «Si sieda» disse, senza neanche alzare gli occhi dall’oloschermo su cui stava scrivendo.

   Lyra prese posto sulla sedia degli ospiti, in silenzio. Passò un tempo penosamente lungo prima che il superiore spegnesse lo schermo e si degnasse di parlarle. «Signorina Shil, vorrei che riscrivesse l’ultimo articolo» disse.

   «Quello sulla missione a Suliban?» chiese la cronista con aria innocente.

   «No, quello è accettabile» disse Brott, seccato. «Mi riferisco a ciò che ha scritto sull’incidente temporale. Dal suo resoconto sembra che quelli della Keter abbiano salvato l’Unione».

   «Non “sembra”. È così» puntualizzò Lyra.

   «Oh, andiamo! Questa è troppo grossa da digerire» sbuffò il Boliano. «E poi, come ha ammesso lei stessa, nei momenti chiave non era in plancia, quindi non sa cos’è accaduto davvero. Per quanto ne sappiamo, il Capitano Hod potrebbe essere corresponsabile del pasticcio temporale» suggerì.

   «No, lo escludo categoricamente» rispose la mezza Xindi. «Hod ha guidato il suo equipaggio alla vittoria, in una battaglia difficilissima. Ha sconfitto i Na’kuhl e ripristinato la nostra linea temporale».

   «Tutto da sola?!» fece Brott, incredulo.

   «Certo che no. Come ho scritto nell’articolo, gli ufficiali della Keter hanno contribuito in modo determinante» rispose Lyra. «Per non parlare degli Agenti Temporali, che hanno affrontato sfide tremende e si sono sacrificati quasi tutti per la causa».

   Il capufficio aggrottò la fronte. «Uhm... lei deve capire che, in questo momento, non possiamo pubblicare una storia così» disse.

   «Perché no?» volle sapere la cronista.

   «Perché tra poche settimane il Senato voterà sulla Prima Direttiva» spiegò Brott. «La Flotta Stellare vuole mantenerla e i suoi simpatizzanti voteranno di conseguenza. Quindi è indispensabile esporre al pubblico tutte le colpe e le manchevolezze della Flotta. Dobbiamo far capire all’opinione pubblica che la Flotta è il problema, non la soluzione. Così i cittadini, a loro volta, faranno pressione sui loro rappresentanti in Senato».

   «Posso parlare liberamente, signore?» chiese Lyra, inarcando un sopracciglio alla maniera vulcaniana.

   «Prego».

   «Ho sempre pensato che la nostra etica professionale imponga di riferire le notizie in modo imparziale» spiegò la mezza Xindi. «Certo, si può obiettare che l’oggettività assoluta è un miraggio. Ma da qui a schierarsi apertamente per un partito politico, ce ne passa».

   Il Boliano la studiò per qualche secondo, sempre con la fronte aggrottata. «Lei è molto giovane, quindi le perdonerò questo scivolone» disse. «No, la nostra deontologia impone di educare la popolazione, per favorire i comportamenti virtuosi e in generale il progresso sociale».

   «Chi decide cos’è “virtuoso”?» s’insospettì Lyra. «Chi ha stabilito come si misura il “progresso sociale”? Questi sono criteri arbitrari!».

   «No, per niente» rispose Brott. «Virtuoso è tutto ciò che va in direzione dell’inclusione, mentre il progresso sociale si misura con l’innalzamento della qualità di vita e la diminuzione della conflittualità. Tu hai ancora molto da imparare, giovanotta» sospirò, passando a un tono più confidenziale. «Salendo sulla Keter, avevi un solo compito: trovare le prove di qualche crimine della Flotta e darle a noi. Siccome hai fatto fiasco, la tua carriera non sarà rapida come speravi. Scordati di fare la speaker: prima dovrai riguadagnarti la mia fiducia. Ora levati di torno» disse, e riattivò l’oloschermo, riprendendo il suo lavoro.

   Congedata a quel modo, Lyra lasciò la sedia e si diresse verso l’uscita, con il morale sottoterra. Era già alla porta quando il capufficio la richiamò: «Ah, signorina Shil... se per caso sapessi qualcosa – anche solo un sospetto o una voce di corridoio – che non hai messo nell’articolo, questo è il momento di parlare. In fondo gli ufficiali della Keter sono molto ambigui. L’Ufficiale Tattico è un Hirogeno, la cui famiglia uccide per sport. L’addetta ai sensori viene da un famigerato clan del Sindacato di Orione. E come consulente storico avevano il dottor Smirnov, che sta venendo processato come collaboratore dei Na’kuhl! Una vera galleria degli orrori. Quindi... sei certa di non sapere nulla d’interessante?».

   «Al cento per cento» rispose Lyra con freddezza. «Comunque il Capitano Hod giudica gli ufficiali per le loro azioni individuali, non per le parentele. E nemmeno per ciò che dicono di loro i notiziari».

   Ciò detto, la cronista lasciò l’ufficio di Brott. L’incontro le aveva lasciato l’amaro in bocca e non solo per la minaccia riguardo la sua carriera. Quando aveva preso servizio presso il Federal News, la mezza Xindi sperava di entrare nel tempio della verità. Ma ora si accorgeva che gli avvertimenti dei suoi genitori erano veri: lì dentro c’era una mentalità da regime. Non importava quanto fossero nobili e condivisibili i loro ideali: nel momento in cui facevano propaganda per influenzare le scelte politiche degli spettatori, tradivano la loro missione. E c’era nell’aria un problema ancora più grave. «Prima o poi ci sarà guerra aperta fra l’Unione e la Flotta Stellare» si disse Lyra con un brivido, allontanandosi.

 

   Come tutti gli ambienti di lavoro dei Na’kuhl, anche l’infermeria era avvolta nella penombra. Alcuni strumenti medici ronzavano sommessamente, proiettando gli ologrammi con i risultati delle analisi. Vosk si alzò dal lettino, dove era stato disteso mentre i dottori lo curavano. Per sua richiesta lo avevano fatto senza anestesia.

   «Siete di nuovo in perfette condizioni di salute, Leader Supremo» assicurò il medico capo.

   «Uhm...» fece Vosk, tastandosi la mandibola, là dove il calcio di Vrel lo aveva colpito. Questa volta ci era mancato poco. In vita sua aveva combattuto molte battaglie, ma non era mai stato così vicino a farsi uccidere. Se non fosse stato per il sacrificio dei suoi coraggiosi ufficiali, non sarebbe sopravvissuto.

   «Vi sentite bene?» chiese un’infermiera, premurosa.

   «Sì, sono a posto» rispose seccamente il Leader Supremo, scendendo dal lettino. Almeno lo era nel corpo. Ma il suo orgoglio sanguinava ancora. Aveva passato anni a progettare quell’incursione temporale. Aveva investito le poche risorse che gli restavano nella costruzione del Reaper. Ma alla fine aveva fallito su tutta la linea. Non aveva alterato la Storia in modo favorevole, né distrutto la Terra. Aveva avuto tra le mani l’illimitato potere del Tox Uthat e se l’era fatto sfuggire. Peggio ancora, la morte di Kravik e della sua equipe avrebbe rallentato i progressi nella scienza temporale. E non poteva neanche incolpare gli altri dei suoi fallimenti, visto che quando era toccato a lui non era riuscito a vendicare Ifrit. Quest’ultima cosa gli bruciava più di tutto il resto.

   «Torno allo stato maggiore» disse Vosk, diretto all’uscita. Due guardie del corpo erano lì ad aspettarlo. Prima che potesse allontanarsi, tuttavia, l’infermeria cominciò a tremare. Un sordo boato risuonò tutt’intorno a loro. I macchinari tremarono, alcuni strumenti posati sulle mensole caddero e i medici stessi dovettero reggersi alle pareti o ai lettini. Il Leader Supremo vacillò. Sapeva cosa stava accadendo; aveva già vissuto un’esperienza simile, da ragazzo. Le città Na’kuhl erano costruite migliaia di chilometri nel sottosuolo, per sfruttare il calore sempre più fioco del nucleo. A forza di scavare un livello sotto l’altro, i Na’kuhl avevano provocato una grave instabilità geologica. Così, per quante precauzioni prendessero, a volte c’erano dei crolli. E quando interi quartieri di una città sotterranea erano schiacciati sotto milioni di tonnellate di roccia e metallo, le vittime si contavano a migliaia.

   Dopo quella che parve un’eternità, gli scossoni cessarono. «Rapporto danni» disse Vosk con voce rauca.

   «C’è stato un crollo nella sezione 9 della città» riferì subito un dottore, consultando un terminale del computer. «I livelli 10, 11 e 12 sono stati schiacciati». Mentre parlava partì l’allarme dell’ospedale. Presto sarebbero arrivati i feriti, estratti dalle macerie.

   «Può darmi un bilancio delle vittime?» chiese Vosk, pur sapendo che era prematuro.

   «È troppo presto per le cifre» rispose infatti il medico. «Ma la sezione 9 è densamente abitata, quindi dobbiamo prepararci al peggio. Ci saranno migliaia di vittime e ancora più feriti».

   «Fate tutto il possibile. Vi autorizzo a impiegare tutte le risorse necessarie, anche facendole affluire dalle altre città» disse Vosk.

   «Come dobbiamo regolarci coi feriti gravi?» chiese il medico capo.

   «Se le ferite sono tali da renderli invalidi in modo permanente, terminateli» ordinò il Leader Supremo. «Le nostre risorse sono limitate. Non possiamo accollarci questo peso per la società» spiegò.

   «Come ordinate».

   A Vosk parve di cogliere una certa disapprovazione tra i dottori che lo circondavano. Certo nessuno di loro avrebbe osato contestare un suo ordine diretto. Ma probabilmente cominciavano a dubitare della sua leadership. «E non posso biasimarli» pensò il Na’kuhl, ricordando la cocente sconfitta appena subita. «Devo andare. Tenetemi costantemente aggiornato» disse, lasciando la sala.

 

   Una settimana dopo, Vosk riunì a consiglio il suo stato maggiore. Era stata una settimana infernale: i danni del crollo erano ancora più gravi del previsto. Alcune infrastrutture chiave della capitale, come la centrale energetica e le serre idroponiche, erano seriamente danneggiate. C’erano cinquantamila vittime, più altrettanti feriti gravi da terminare. E le previsioni dei geologi erano sconfortanti: il pianeta aveva oltrepassato il punto di non ritorno. Anche smettendo di scavare, il collasso del mantello era inevitabile. I crolli sarebbero divenuti sempre più frequenti e catastrofici, finché sarebbe venuto giù tutto. I Na’kuhl avrebbero dovuto abbandonare il loro mondo, diventando una specie nomade. Di fronte alla rovina incombente, servivano provvedimenti estremi.

   I gerarchi Na’kuhl si riunirono in un grande salone, illuminato da fioche luci rossastre. Come loro abitudine restarono in piedi. Il Leader Supremo parlò loro da un podio leggermente rialzato. «Benvenuti» esordì. «Siete tutti informati sugli eventi degli ultimi giorni, quindi non entrerò nei dettagli. Vi ho convocati per parlarvi del futuro. Il nostro mondo è sempre più instabile, un giorno dovremo abbandonarlo. E con l’Unione che ci preme da tutte le parti, negandoci lo spazio vitale, il nostro destino è infausto. Solo il viaggio nel tempo potrà salvarci. Ma anche questo non sarà facile, perché dovremo scontrarci con gli Agenti Temporali. Ho constatato personalmente quanto siano ostinati e pericolosi» ammise, digrignando i denti. «Purtroppo la morte dello stimato Direttore Kravik e dei suoi più stretti collaboratori costituisce un duro colpo alla nostra ricerca temporale».

   «Dunque quale sarà la nostra strategia, negli anni a venire?» chiese Ghrath.

   «Risparmieremo le risorse. Eviteremo di esporre le nostre forze armate ad altri scontri e rifiuteremo ogni contatto con l’Unione» decretò Vosk. «Intanto continueremo ad affinare il viaggio nel tempo, per renderlo sempre più rapido e difficile da rintracciare. Quando saremo certi che gli Agenti Temporali non possono seguirci, allora cambieremo di nuovo la Storia. La modelleremo in accordo con la nostra volontà. Fratelli miei... per quanto la nostra situazione appaia difficile, vi prometto che alla fine prevarremo!».

   Così dicendo, il Leader Supremo estrasse la vibro-lama e la tenne alta, in segno di augurio. I suoi gerarchi lo imitarono.

   «Mio signore... anche se entreremo in una fase isolazionista, potremmo comunque inviare le nostre spie nella Galassia» suggerì Kraul. «Così carpiranno gli ultimi progressi nella scienza temporale».

   «Sì, questo si può fare» convenne Vosk. «Ma ve ne occuperete voi. Finché durerà l’isolamento, intendo affidare la responsabilità di governo a una giunta militare. Ci sarete tutti voi, sotto la supervisione di Ghrath. Ma non scordate, nemmeno per un istante, che io resto il Leader Supremo, e tornerò al momento opportuno» ammonì.

   A quell’annuncio, mormorii e sguardi di sorpresa percorsero il salone. Nella lunghissima storia della civiltà Na’kuhl era capitato ben di rado che un Leader Supremo delegasse il comando.

   «Accetto l’onore e l’impegno che mi affidate, mio signore» disse prontamente Ghrath, venendogli a fianco. «Durante l’attesa ricostruirò le nostre forze. Ma posso chiedervi che farete voi, nel frattempo?».

   «Sarò sempre fra voi, anche se non potrete parlarmi» rispose Vosk.

 

   Il sarcofago Na’kuhl si aprì con un suono raschiante. Osservandolo, il Leader Supremo inspirò a fondo. Quel giaciglio somigliava in modo inquietante a una bara. Finché vi avesse riposato, sarebbe stato vulnerabile. Certo, si trovava in un bunker ultra-protetto, con sistemi di sicurezza e guardie scelte. Ma doveva comunque confidare che i suoi sottoposti lo avrebbero risvegliato al momento opportuno, invece di lasciarlo lì per sempre, o addirittura di ucciderlo nel sonno. Questa mancanza di controllo lo inquietava. Ma aveva già preso la decisione; era tardi per tornare sui suoi passi.

   «Siete mai stato ibernato?» domandò il medico capo.

   «No, mai» rispose Vosk. «Ma sono bene informato sulla procedura. Conosco gli effetti fisici che avrà su di me».

   «E quelli psicologici?» chiese il dottore. «Al risveglio potreste essere confuso e subire una temporanea perdita di memoria».

   «Tutti sintomi che svaniscono in poche ore» notò il Leader Supremo.

   «Sì, anche se molto dipende da quanto durerà l’ibernazione» avvertì il medico. «Se fosse qualche anno, non avrete problemi. Ma se vi resterete più a lungo... decenni o persino secoli... vi servirà più tempo per riprendervi. Inoltre subirete lo shock di svegliarvi in una Galassia cambiata».

   «Vincerò i disagi fisici e quelli psicologici» disse Vosk con sicurezza. «Ora date inizio alla procedura».

   «Come desiderate, Leader Supremo». I medici premettero i simboli rossi sul sarcofago, attivandolo. Una gelida nebbiolina bianca si levò dal giaciglio, incorniciando la figura di Vosk. I sarcofagi Na’kuhl somigliavano alle capsule di stasi federali, nel senso che rallentavano il metabolismo, permettendo agli occupanti di sopravvivere per tempi lunghissimi. Ciò era facilitato dalla fisiologia dei Na’kuhl, che avevano la capacità di entrare in una stasi naturale. Il sarcofago non faceva che prolungarla. C’erano stati casi di Na’kuhl risvegliati dopo millenni, che con la riabilitazione avevano recuperato appieno le facoltà psico-fisiche. Per la verità c’era stato anche qualche incidente, in tempi remoti, ma l’affinamento tecnologico aveva ormai reso sicurissima la procedura.

   «Sarcofago pronto. Potete accomodarvi, mio signore» disse il medico capo.

   Vosk fece come detto. Si distese nel sarcofago, fatto su misura per lui, ignorando il freddo pungente che gli entrava nelle ossa. Si chiese quanto avrebbe dormito: anni, decadi... forse interi secoli. «In quel caso, gli avversari che mi hanno umiliato saranno morti e sepolti» si disse. Era una prospettiva confortante, anche se gli rimordeva di non essere riuscito a sconfiggerli lui stesso; quel che stava facendo sapeva troppo di fuga.

   Prima che il coperchio si richiudesse, Ghrath gli venne a fianco. «Buon riposo, mio signore» gli augurò. «Al risveglio troverete le vostre forze apparecchiate. E un viaggio nel tempo così evoluto che nemmeno gli Agenti Temporali potranno rintracciarci».

   «Ci conto» disse Vosk, cominciando già a sentirsi intorpidito. «Svegliami anche in caso di grave calamità. Ad esempio se una forza d’invasione nemica minacciasse il nostro pianeta. O se il mantello iniziasse a collassare». Questo gli dava un tempo massimo: i geologi dicevano che il collasso si sarebbe verificato entro due o tre secoli. «Chissà se dormirò così a lungo. E in quel caso chissà cosa troverò al risveglio» si disse.

   «Avete la mia parola, Leader Supremo» promise Ghrath. «Attendo di rivedervi, per consumare la nostra vendetta contro i federali».

   «Vendetta sarà; e poi la vittoria finale!» promise Vosk, mentre la lastra superiore scorreva per richiudersi. Le tenebre lo avvolsero e un suono metallico lo avvisò che il sarcofago si era sigillato. Ghrath era il suo ufficiale più fidato... non lo avrebbe tradito. Anche perché se gli fosse successo qualcosa mentre era in stasi, il suo braccio destro avrebbe dovuto risponderne alla giunta militare. Il Leader Supremo non doveva nemmeno temere che Ghrath invecchiasse troppo e fosse sostituito da qualcun altro. I Na’kuhl erano una specie longeva e sapevano usare la tecnologia per prolungarsi ulteriormente la vita. Due o tre secoli non bastavano a togliere di mezzo Ghrath, Kraul e gli altri fedeli.

   Con questo pensiero, Vosk rallentò il respiro e il battito cardiaco, entrando nella stasi naturale. Sapeva che, una volta fatto questo, il sarcofago avrebbe reso l’ibernazione ancora più profonda. Una sottile brina si formò sulla sua pelle, mentre l’afflusso di sangue ai tessuti diminuiva. Poco alla volta i pensieri si sfilacciarono, mentre scivolava nel sonno. Il suo ultimo augurio, prima di addormentarsi, fu di sognare Ifrit.

 

   Un mese dopo, la Keter era nell’orbita di Plutone, per terminare le riparazioni. Le Work Bee si affaccendavano intorno al suo scafo, parzialmente avvolto da un bacino di carenaggio. A bordo, le sale teletrasporto erano sempre in funzione. Il personale tecnico faceva la spola fra l’astronave e la base sotterranea, portando pezzi di ricambio e nuovi upgrade. In gran parte erano ingegneri di Plutone, ma c’erano anche Dib e alcuni dei suoi, che avevano esperienza della nave. Sale e corridoi erano pieni di tecnici affaccendati, che talora discutevano animatamente. Le zone più danneggiate, quelle che erano state invase dal metano, venivano smontate e ricostruite di sana pianta. Una nuova dotazione di navette – tra cui una navicella temporale – faceva bella mostra di sé nell’hangar, per rimpiazzare quelle distrutte. Anche la dotazione di sonde e boe spaziali veniva rifornita, e così pure le scorte di siluri, quasi esauriti nell’ultima battaglia. Non c’era dubbio che, a lavori ultimati, la nave avrebbe avuto un aspetto diverso.

   In mezzo a quel fervore ricostruttivo, una navetta affusolata uscì dalla cavitazione e sfrecciò verso la Keter. Trasmise alla base i codici di autorizzazione, che furono accettati. «Navicella Ascension, non potete accedere all’hangar, per via dei lavori in corso» avvertì il controllore. «Attraccate al boccaporto numero 2».

   «Ricevuto».

   La navetta si accostò allo scafo corazzato, color blu-violetto. Chi la pilotava dovette fare molta attenzione a non tagliare la strada a qualche Work Bee. Trovato il boccaporto 2, la navetta girò di 90 gradi, attraccando di poppa. La camera stagna si pressurizzò e il portello si aprì, permettendo all’occupante di mettere piede sulla Keter.

   «Ah... finalmente a casa!».

   Il Capitano Hod si guardò intorno. Il corridoio era mezzo sventrato: su un intero lato mancavano le paratie, così che le componenti del computer e della griglia energetica erano in piena vista. Non c’erano tecnici al lavoro, in quel momento, ma forse erano in pausa. «Uhm... avrei dovuto avvisare del mio arrivo con più anticipo» pensò l’Elaysiana. Era un mese che non metteva piede sulla Keter, ma si era sempre tenuta aggiornata sui lavori, grazie ai rapporti di Radek e Dib. Ora che finalmente era riuscita a tornare lo aveva fatto in sordina, più per guardarsi intorno che per altro, visto che mancavano ancora settimane al varo. A riprova di questo, non indossava nemmeno l’uniforme; era vestita da civile, con un soprabito scuro. Solo il comunicatore la qualificava come un ufficiale di Flotta. A quanto sapeva, tra i suoi ufficiali soltanto il Comandante e l’Ingegnere Capo erano a bordo in quel momento. Per quanto li avesse avvertiti all’ultimo, era strano che non fossero lì a riceverla, e che non avessero nemmeno mandato altri.

   «Hod a Radek, sono a bordo» disse, premendosi il comunicatore. Non ci fu alcuna risposta. «Strano... forse è sceso alla base» pensò. «Hod a sala macchine... mi sente, Dib?». Ancora niente. Per essere una nave piena di lavori, la Keter era stranamente deserta.

   «Il Capitano Hod è attesa in sala mensa» l’avvertì il computer.

   «Attesa da chi?» domandò l’Elaysiana, sempre più perplessa.

   «La sua domanda non è riconosciuta. Prego, riformulare».

   «Va beh, lascia perdere. Lo scoprirò da sola» si rassegnò Hod. Il ritorno sulla Keter non era entusiasmante come se l’era aspettato. «Sarà che ci sono i lavori in corso. Lo sapevo che dovevo far depositare la polvere prima di tornare. Mannaggia alla mia impazienza!».

   Lungo la strada per la mensa, il Capitano incontrò solo tecnici di Plutone che la salutarono distrattamente. Alcuni erano così concentrati sul lavoro, o nei loro battibecchi, che non la videro neppure. Con il morale ormai basso, l’Elaysiana raggiunse l’ingresso della sala. Quando le due ante si aprirono, rientrando nella parete, si accorse che dentro era completamente buio.

   «Beh, che scherzo è questo?!».

   In fondo alla sala c’era un bagliore intermittente, come di un circuito difettoso. Il Capitano pensò che, se fosse riuscita a ripararlo, magari le luci si sarebbero accese. Aveva un gran bisogno di vederci chiaro, in questa faccenda. «Non ho gli strumenti con me... ma se vedo qual è il problema, almeno potrò informare i tecnici» si disse. Con questo proposito varcò l’ingresso, che si richiuse alle sue spalle.

   L’Elaysiana si trovò a vagare nel buio pesto. Camminò piano, a tentoni, per non urtare qualche sedia o tavolo. Man mano che avanzava, si accorse che il bagliore non veniva da una parete, ma dal centro di un tavolo. La luminosità intermittente evidenziò una grossa sagoma umanoide, seduta dall’altra parte. Qualcuno l’aspettava nel buio. «Chi va là?!» chiese, preparandosi al peggio. In quella le luci si accesero, abbagliandola.

   «SORPRESA!» gridarono molte voci. Poco alla volta il Capitano tornò a vederci. Radek, Norrin, Dib, Ladya, Jaylah, Vrel e Zafreen erano tutti lì, in abiti civili. Avevano sgombrato la mensa, accostando i tavoli alle pareti e tenendo solo quello più grande al centro. Lo avevano imbandito di prelibatezze, tra cui una torta con la candelina scoppiettante, che lei aveva scambiato per un circuito guasto. Infine si erano raccolti sul lato opposto della tavola. La figura massiccia che Hod aveva intravisto nell’ombra non era altri che Radek. Ora il Comandante e gli altri si erano alzati per accoglierla.

   «Beh, e questo che significa?!» chiese il Capitano, frastornata.

   «Vi avevo detto che gli Elaysiani non hanno familiarità con le feste a sorpresa» commentò Dib. Il Penumbrano indossava la solita tuta termica bianca. Tuttavia qualcuno – forse Zafreen – gli aveva legato al casco un cappellino da festa, di forma conica e dai colori sgargianti.

   «Una festa... per me?» si commosse Hod.

   «Per chi, sennò?» sorrise Ladya, venendole incontro. «Quando mi ha detto che voleva tornare a bordo, non ho resistito alla tentazione di avvisare gli altri. L’abbiamo preceduta per organizzare questa festicciola. Spero che non le sia troppo dispiaciuta l’iniziale mancanza di accoglienza. Serviva ad accentuare la sorpresa» si scusò.

   «No, è... un’idea bellissima. Proprio non me l’aspettavo» ammise il Capitano, asciugandosi una lacrima di commozione. «Grazie a tutti voi, dal profondo del cuore».

   «Vuole fare l’annuncio?» le sussurrò la dottoressa all’orecchio.

   «Sì... penso che sia l’occasione giusta» convenne l’Elaysiana. Un po’ emozionata, si tolse il soprabito. Tutti poterono vedere che non indossava l’esoscheletro di sostegno. Sebbene fosse ancora longilinea, gambe e braccia non erano più gracili come prima. «Adattamento neuro-muscolare!» spiegò, raggiante di soddisfazione. «Me l’ha fatto la dottoressa Mol, al Comando Medico di Flotta. Assieme alla terapia ossea, mi ha liberata da quel problema che tutti voi conoscete, ma che siete stati così gentili da non farmi mai pesare. Ora posso vivere a gravità standard senza alcun disagio. Potrei anche fare le flessioni, ma vi risparmierò lo spettacolo» scherzò.

   In realtà non era stata una passeggiata. Per quanto collaudate, le due terapie erano state lunghe e stressanti per il suo organismo. Per riprendersi le era servito un mese intero, durante il quale la dottoressa l’aveva assistita; ma avevano risolto il problema una volta per tutte.

   Gli ufficiali applaudirono in segno di stima, facendola un po’ arrossire. Fino ad allora il Capitano aveva cercato di mantenere un certo distacco, concedendosi un pizzico di familiarità solo con Norrin e Ladya. Ma dopo quello che aveva passato con loro, non poteva fingere che fossero un equipaggio come un altro. Ormai erano qualcosa di più. Per quanto Hod sperasse con tutto il cuore che la sua scelta non la estraniasse dalla sua famiglia su Elaysia, la confortava sapere di averne un’altra lì sulla Keter.

 

   Placato l’applauso, gli ufficiali accolsero il Capitano alla loro tavolata. Radek le portò una sedia, facendola accomodare al centro del lato lungo. L’Elaysiana ammirò la gran varietà di cibi e bevande, prima di cominciare a servirsi. C’erano pietanze appartenenti a tutte le culture d’origine dei suoi ufficiali, cioè di ben tre Quadranti, visto che gli avi di Norrin e Ladya venivano dal Delta. Solo Dib non mangiava nulla, ma era comprensibile. I Penumbrani si nutrivano d’idrocarburi supercompressi che era difficile inscatolare senza far esplodere il contenitore. E comunque l’Ingegnere Capo poteva togliersi la tuta solo nel suo alloggio pressurizzato. Però i colleghi fecero di tutto per coinvolgerlo nella conversazione.

   «Devo ancora capire cos’è successo di preciso, quando voi due siete stati accelerati nel tempo» disse Vrel, rivolto a lui e Zafreen. «Me lo potresti spiegare in modo chiaro?».

   «Dipende. Ha familiarità con la meccanica quantistica?» chiese Dib.

   «Groan, insomma... intendevo cos’avete combinato» spiegò il timoniere.

   Il Penumbrano iniziò una lunga dissertazione, che lo fece pentire della domanda. Per fortuna ogni tanto Zafreen inseriva i suoi commenti, vivacizzando la narrazione.

   A un certo punto Vrel fece segno a Dib di arrestarsi un attimo. «Buono questo stufato» disse, e in effetti fino all’attimo prima se l’era masticato a quattro palmenti. «È replicato?».

   «No, l’ho fatto io» disse Zafreen in tono casuale, guardandosi le unghie ben curate.

   «La ragazza sa anche cucinare. Se fossi in te, ci farei un pensierino». Vrel si accorse con sorpresa che l’input telepatico veniva da Jaylah, che gli fece pure l’occhiolino. All’inizio la mezza Andoriana aveva avversato la loro relazione, temendo che l’Orioniana gli spezzasse il cuore, come in effetti era accaduto. Ma conoscendola meglio si era ricreduta sul suo conto, tanto da auspicare che quei due tornassero insieme. Al di là delle battute, comunque, la decisione spettava a loro.

   Dall’altra parte del tavolo, Radek posò sonoramente una bottiglia squadrata davanti a Norrin. Non aveva etichetta, né altri contrassegni, e conteneva un liquore verde brillante. Il Comandante fissò l’Ufficiale Tattico, come sfidandolo ad aprirla.

   «Questo cos’è?» chiese prudentemente l’Hirogeno. «E non mi dica che è verde».

   «Whisky di Aldebaran» rispose Radek, tutto soddisfatto. «È vero distillato, non robaccia replicata. Le va di assaggiarlo?».

   Era la prima volta che il Comandante gli proponeva una bevuta. Norrin immaginò che fosse il suo modo di far pace, dopo il grave scontro che avevano avuto nell’ultima missione. «Perché no?» rispose.

   «Ah, splendido!» fece Radek. Non vedeva l’ora che l’altro accettasse, così da avere una scusa per bere anche lui. Con aria solenne, stappò la bottiglia e riempì fino all’orlo i bicchieri. «Alla salute!» disse levando il proprio. Ingollò una gran sorsata.

   «Guarda, guarda... lo sapevo che il nostro integerrimo Comandante doveva averlo, qualche vizietto!» si disse Norrin, cercando di non sorridere. Bevve a sua volta. Doveva ammettere che il Rigeliano aveva buoni gusti: quel whisky andava giù che era un piacere. Probabilmente ne avrebbe pagato le conseguenze l’indomani, col mal di testa, ma per adesso era un ottimo accompagnamento della serata.

   Vedendo quella scena, Ladya sorrise fra sé. Quando aveva proposto la festicciola, uno dei suoi scopi era proprio riappacificare gli animi. Sapeva che non era facile, per tipi ostinati come Radek e Norrin, ma evidentemente farsi una bevuta assieme aiutava. Rivolgendosi di nuovo al Capitano, tuttavia, la dottoressa notò la malinconia sul suo volto. Hod guardava oltre la tavola imbandita, verso uno dei tavolini più piccoli che erano stati allineati lungo le pareti. Lì sopra era posata una scacchiera, proveniente dalla vicina sala ricreativa. La stessa scacchiera con cui lei e Juri avevano giocato tante partite, specialmente nei primi tempi dopo il varo.

   «Tutto bene?» chiese la Vidiiana.

   «Sì e no» sospirò l’Elaysiana. «Vederci tutti riuniti mi fa rimpiangere ancora di più la sua mancanza. Ero una delle persone che lo conosceva meglio. Avrei dovuto capire che stava soffrendo e fare qualcosa, prima che lui...» lasciò in sospeso.

   «Non disperi, Capitano» disse Jaylah. «Mio padre mi ha informata che Juri ha accettato il patteggiamento. In cambio delle sue conoscenze sui Na’kuhl, sarà risparmiato».

   «Risparmiato!» s’indignò Ladya. «La pena di morte non dovrebbe esistere proprio. A prescindere dalle colpe».

   «Sai anche dove l’hanno portato?» chiese il Capitano. «Perché io non sono riuscita a scoprirlo. La Flotta è incredibilmente abbottonata... credo ci siano di mezzo i servizi segreti».

   «Per adesso dovrebbe trovarsi nel penitenziario di Elba II» rispose Jaylah. «Ma gli interrogatori sono ancora in corso. Quando avranno finito non so se lo sposteranno altrove».

   Vedendo che ormai tutti i commensali stavano ascoltando, Vrel si schiarì la voce. «Vogliamo fargli un brindisi?» suggerì. «Quali che fossero i suoi errori, li ha commessi cercando di salvare una bambina innocente. La sua sorellina. E alla fine l’ha sacrificata per salvare noi. Credo proprio che dovremmo perdonarlo».

   «Sì, dovremmo» disse Hod, più a se stessa che a lui.

   «Molto bene» disse Radek. Uno dopo l’altro riempì i bicchieri col whisky di Aldebaran. Quando ebbe finito, i commensali li presero e li tennero sollevati.

   Vedendo gli sguardi puntati su di sé, il Capitano sentì di dover dire qualcosa. «Al nostro sfortunato amico, Juri Smirnov. Che possa trovar pace, ovunque sia» dichiarò. «E a Svetlana Smirnova, vittima innocente della guerra. Amata figlia, amata sorella» aggiunse. Bevve, imitata dagli altri. Dopo di questo, servì molto tempo prima che qualcuno riuscisse a riprendere la conversazione.

 

   A fine pasto i commensali si trattennero ancora a lungo, discutendo del futuro. Dib spiegò che al ritmo attuale le riparazioni sarebbero terminate in tre settimane. La Keter sarebbe uscita dal cantiere più potente che mai. C’era però la questione dell’equipaggio. Con tutte le vittime e le richieste di trasferimento, il Capitano doveva selezionare molti nuovi elementi. La sezione più colpita era ovviamente la Sicurezza.

   «Ci sarà molto lavoro per lei» disse Hod a Norrin. Per quanto sulla Keter arrivassero solo ufficiali scelti, ci voleva sempre un po’ per ottimizzare le squadre.

   «Non sarà un problema» garantì l’Hirogeno. «La vera sfida tocca ad altri» aggiunse, rivolgendosi a Jaylah. «Avrai una squadra temporale completamente nuova. Un sacco di Agenti da conoscere. Dovrai fare un bel po’ di simulazioni, prima di portarli sul campo».

   «Comincerò appena saranno a bordo» promise la mezza Andoriana. «Quanto manca?».

   «Il personale comincerà ad affluire fra due settimane» disse Radek, che gestiva i ruolini di servizio. «Questo vale anche per la Squadra Temporale. Per allora i ponti ologrammi saranno operativi, quindi se vorrai lanciare delle simulazioni per tastare il polso dei nuovi arrivati potrai farlo subito».

   Poco alla volta le conversazioni languirono. Era tardi, ormai, e Hod stava per alzarsi, per ringraziare un’ultima volta gli ufficiali e dichiarare chiusa la serata. In quella però il comunicatore di Vrel mandò un segnale. Non era il comunicatore della Flotta, bensì la versione palmare usata dai civili, che il mezzo Xindi aveva in tasca. Vrel lo consultò discretamente sotto il tavolo. La sua espressione, fino ad allora serena, s’indurì di colpo.

   «Che succede?» chiese Zafreen, notando il cambiamento.

   «È Lyra» spiegò Vrel. «Aveva promesso di avvisarmi, quando sarebbe successa una certa cosa. Beh... è successa». Dal tono sembrava che parlasse della fine del mondo.

   «Di che si tratta?» chiese Jaylah, pur intuendolo.

   «Uhm... non voglio guastarvi la serata. Tanto lo scoprirete domattina» bofonchiò il timoniere, rivolto un po’ a tutti.

   «Ormai faremo fatica a dormire, se ci tiene così sulle spine» disse il Capitano con garbata ironia. «Avanti, ce lo dica».

   «È meglio se ve lo mostro» disse Vrel, alzandosi di malavoglia. «Se volete seguirmi...».

   Il Capitano e gli ufficiali incuriositi lo seguirono nell’adiacente sala ricreativa. Sedettero sui divanetti, mentre Vrel attivava l’oloschermo. Il mezzo Xindi armeggiò con i comandi, accedendo all’Olonet e in particolare al notiziario del Federal News.

   «Ultime notizie!» proruppe lo speaker. «Con un travolgente rush di voti al Senato, la Presidente Rangda ha finalmente abolito la Prima Direttiva, mantenendo così la più attesa promessa elettorale. La sua coalizione di governo ha votato compatta e anche i partiti di centro, dopo tante incertezze, hanno aderito alla riforma. Né sono mancati i franchi tiratori nell’opposizione conservatrice».

   Mentre lo speaker parlava, il notiziario mostrò uno schema del Senato che evidenziava i voti. Due terzi dei senatori avevano votato a favore della riforma. C’era anche un cospicuo numero di astenuti. I contrari erano davvero pochi.

   «Questo storico risultato è stato salutato con grandi festeggiamenti, sulla Terra e sugli altri mondi» proseguì lo speaker, mentre il servizio mostrava una carrellata d’immagini. Folle sterminate riempivano strade e piazze, esibendo cartelli e striscioni olografici con slogan di vittoria. La gente suonava, cantava e ballava, travolta da una gioia incontenibile. C’erano individui di quasi tutte le specie, le età e le professioni. Molti si abbracciavano, piangendo di gioia. C’era chi lanciava coriandoli, chi suonava trombette. Nelle zone in cui era notte, fuochi d’artificio coloratissimi illuminavano il cielo. Le riprese indugiarono sui bambini, che erano moltissimi. I genitori li avevano portati in piazza e stavano ben attenti a mostrarli, ogni volta che passava un drone-olocamera. Vedendo che c’erano così tanti bimbi, gli attivisti si misero a distribuire caramelle e cioccolatini. Scene come questa si ripetevano in gran parte dell’Unione, comprese le colonie e gli avamposti più remoti. Anche chi viveva in climi artici o deserti, o comunque inospitali, era uscito all’aperto per festeggiare. Per la verità c’erano anche mondi in cui la notizia era stata accolta freddamente, come Vulcano. Su altri ancora c’erano proteste: era il caso di Kronos, Nuovo Romulus, Cardassia e Ferenginar, membri importanti dell’Unione. Ma il notiziario tralasciò di mostrarli e persino di menzionarli.

   «Tutti attendono ora il discorso di Rangda» riprese lo speaker. «La Presidente dovrebbe parlare a momenti dal suo studio, dove ha seguito l’emozionante votazione col suo entourage. Ecco, ci dicono che ha cominciato a trasmettere».

   Le immagini delle celebrazioni lasciarono il posto a un primissimo piano della Zakdorn. La sua faccia cavallina riempiva quasi tutto lo schermo. «Cittadini dell’Unione, questo è un giorno storico» esordì con voce stentorea. «Il giorno in cui abbiamo detto no all’egoismo e alla paura del diverso. Il giorno in cui abbiamo detto alla fratellanza. Onorando la promessa fattavi, ho appena abolito la Prima Direttiva, la legge razzista che finora ci ha impedito di aiutare e accogliere i popoli pre-curvatura. Ci tengo a ricordare che nulla di tutto questo sarebbe stato possibile, senza la vostra passione e il vostro impegno. Questa vittoria non è mia, o del mio partito, ma appartiene a tutti. Tutti insieme, di comune accordo, abbiamo deciso di creare un’Unione migliore. Un’Unione in cui le conoscenze saranno condivise liberamente, in cui chiunque potrà andare dove vuole, essere ciò che vuole. Un’Unione finalmente libera dalle paure, dall’egoismo e dai confini che troppo a lungo ci hanno imprigionati».

   La Presidente fece una pausa, poi riprese. «Il primo effetto di questa riforma consisterà nel contattare i popoli pre-curvatura che vivono entro i confini dell’Unione, a partire da quelli più conosciuti. Li informeremo della nostra esistenza, elargendo aiuti e tecnologie. Un’apposita commissione di mediatori culturali s’incaricherà del delicato compito. Specialmente nel caso delle culture pre-industriali, infatti, occorreranno grande attenzione ed empatia per venire incontro alle loro esigenze. Di conseguenza per questo incarico saranno selezionati soprattutto individui telepatici. Il loro ufficio risponderà direttamente a me».

   A queste parole gli ufficiali della Keter fremettero. «Sarebbe a dire che ci scavalca? Scavalca la Flotta?!» ringhiò Vrel, fuori dai gangheri. Poco lontano, il Capitano Hod era come inebetita. Ecco svelata la ragione dello “spirito umanitario” di Rangda: era l’ennesimo stratagemma per rottamare la Flotta.

   «È chiaro, infatti, che la Flotta Stellare non è adatta a quest’incarico, dato che i suoi vertici sono stati i più strenui oppositori della riforma» proseguì la Presidente. Era un affondo diretto all’Ammiraglio Chase. «Alla luce di questi fatti, dobbiamo riconoscere che la Flotta ha fatto il suo tempo. La sua comprovata inettitudine la rende non solo superflua, ma anche pericolosa per quanti, oggi, s’impegnano per la pace e il progresso. Di conseguenza la Flotta sarà ulteriormente ridimensionata. I nuovi progetti saranno cancellati, le astronavi smobilitate o convertite all’uso civile. I finanziamenti così risparmiati saranno ridiretti a scopi sociali, primo fra tutti l’integrazione dei popoli pre-curvatura. Le iniziative di primo contatto, infatti, non saranno affidate esclusivamente ai mediatori culturali. A loro potranno affiancarsi organizzazioni non governative e gruppi spontanei di volontari. Chiunque voglia spendersi per gli altri sarà bene accetto».

   Incapace di resistere oltre, Vrel tolse il volume, sostituendolo con i sottotitoli. «Gruppi spontanei di volontari! Sarà una carneficina. I popoli pre-industriali non sono famosi per la loro pietà. Quella strega manderà dei ragazzi senza preparazione allo sbaraglio!» inveì.

   «Avete sentito cos’ha detto della Flotta? Vuole mandarci tutti a casa!» aggiunse Zafreen, anche lei furiosa. «Cosa succederà alla Keter? Diventerà una nave-scuola?!».

   «Comprovata inettitudine» mormorò Jaylah, in tono più pacato.

   «Come dici?» le chiese Norrin.

   «È questa l’immagine che Rangda ha tratteggiato di noi. Un’organizzazione di “comprovata inettitudine”» ripeté la mezza Andoriana, fissando la Zakdorn che continuava a imbonire le folle. «Sapete che quando noi Agenti Temporali ripariamo un’alterazione di livello 1, come quella di Vosk, il Presidente in carica viene sempre informato? È passato un mese, quindi Rangda ha avuto tutto il tempo di leggere i rapporti della missione. Lei sa che senza di noi la Galassia sarebbe un inferno. Eppure vuole smantellarci lo stesso. È pronta a rischiare un’altra alterazione temporale che la cancelli, pur di ottenere il potere assoluto. Juri aveva ragione: ci sta schiacciando».

   Un cupo silenzio scese sulla sala. Gli ufficiali rimuginavano fra sé, confrontando gli avvertimenti dello storico con quanto stava accadendo.

   «Non capisco la logica della Presidente. È irrazionale esporsi ai rischi della Guerra Temporale, solo per accrescere la propria autorità» commentò Dib.

   «Ti sembra che Rangda agisca in modo razionale?» chiese Ladya. «No... lei agisce in accordo con le sue ossessioni. Sono certa che ha un grave disturbo della personalità. Di sicuro è una sociopatica; ma probabilmente sta scivolando nella psicosi. Persone così non dovrebbero mai occupare incarichi istituzionali».

   «Però non è diventata Presidente per caso» notò Radek. «Una maggioranza di elettori l’ha votata. E anche ora, non ha fatto passare la riforma per pura fortuna. Avete visto il notiziario: Rangda ha vinto con larga maggioranza. E ci sono folle che festeggiano in tutta l’Unione».

   «Questo che vuol dire? Che ha ragione?!» fece Norrin.

   «No, ma che per il momento ha ancora il consenso popolare» spiegò il Comandante. «È il problema della democrazia. A parole, tutti la vogliamo. Ma quando l’esito delle votazioni va contro i nostri interessi, allora non ci va giù. Io penso che, se crediamo davvero nel sistema democratico, dobbiamo accettarne tutte le conseguenze, anche quando non ci fanno comodo. Su, fatevi coraggio. La Flotta Stellare sarà ridimensionata, ma non credo che sarà smantellata del tutto. Siamo troppo utili; non possono eliminarci».

   «Ma possono toglierci l’anima» mormorò Jaylah, fissando il pavimento.

   «L’hanno già fatto» disse il Capitano, prendendo finalmente la parola. «Questa riforma è stata presentata come una svolta illuminata, ma provocherà stragi a non finire. I popoli pre-curvatura otterranno le nostre tecnologie, comprese quelle pericolose. Si doteranno di armi che oltrepassano la loro comprensione e le useranno senza alcuna remora... anche contro di noi. E con la Flotta mezza smobilitata, non avremo la forza per difenderci. Cominciano tempi bui».

   «No, non è possibile» disse Vrel, raccogliendo i pensieri. «Quando si vedranno gli effetti della riforma, la Prima Direttiva sarà ripristinata e Rangda dovrà dimettersi. Questa mossa sarà la fine della sua carriera politica» si augurò.

   «Può darsi, ma non ha importanza» disse Hod, con aria rassegnata. «Anche se Rangda uscisse definitivamente di scena, sarà troppo tardi. A quel punto il danno sarà fatto. Ci sono decine di popoli federali che hanno già annunciato la loro intenzione di abbandonare l’Unione, in caso di vittoria degli Abolizionisti. Conoscendoli, non credo che stessero bluffando. Perderemo i Klingon, i Romulani, i Cardassiani, i Ferengi... le lancette della Storia torneranno indietro di tre secoli». L’Elaysiana si lasciò sfuggire un lungo sospiro. «Vada come vada, questa è la fine della Galassia che conosciamo» concluse malinconica.

 

   
 
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