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Autore: Ksyl    10/02/2020    3 recensioni
Dopo il week end negli Hamptons, Kate Beckett rimane incinta a sorpresa: la loro coppia recentemente formata riuscirà a superare lo sconvolgimento delle loro vite? Seguito di "Un colpo di testa"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
Capitoli:
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19 Castle

Castle tornò al loft dopo un'assenza di un paio d'ore. Uscì dall'ascensore e si fermò davanti alla porta per qualche secondo,. Doveva farsi coraggio. Sapeva che, una volta dentro, la pace che aveva fin lì assaporato sarebbe finita e lui sarebbe stato risucchiato dalle lamentele di una Beckett al colmo dell'esasperazione.

Non che non la capisse. Dopo aver trascorso le ultime settimane in trepidante attesa, convinta che ormai si trattasse di una questione di giorni, perché come ripetevano tutti, ogni momento poteva essere quello giusto, era, invece, scoccata la quarantesima settimana e non era successo niente.
Nessun falso allarme, dolore o contrazione. Niente.
Avevano iniziato proprio quella settimana a fare i monitoraggi in ospedale a giorni alterni, ma la situazione era rimasta invariata: il bambino se ne stava comodo e pacifico nel ventre materno senza apparentemente avere alcuna voglia di palesarsi. Al contrario dei suoi genitori, che bruciavano dalla voglia di vederlo. Dal vivo.
Dopo aver temuto che potesse nascere troppo presto, erano finiti nel girone infernale delle gravidanze che oltrepassavano il termine.

Beckett, che aveva preso pochissimi chili nel corso dei primi otto mesi, nelle ultime settimane si era notevolmente appesantita. Non come un elefante – come aveva temuto all'inizio -, era ancora al di sotto della media, essendo partita sottopeso, ma era più di quello che aveva programmato e che era disposta a tollerare.
Castle comprendeva perfettamente che per lei si trattasse di una situazione difficile. Lo era anche per lui. A breve il loro mondo si sarebbe capovolto ed erano entusiasti all'idea di cominciare una nuova avventura, insieme. Invece erano costretti ad aspettare. E aspettare.

Lui era il bersaglio costante del suo malumore. "Irritabile" non descriveva pienamente la sua condizione. Era più che altro furibonda con il mondo, reo di essere quello che era. Imprevedibile.
Quel mattino era dovuto uscire per sbrigare alcune commissioni. Avrebbe preferito di gran lunga rimanere con lei, ma doveva ammettere che quelle due ore d'aria erano state un toccasana. Si era quasi stupito di non essere rimproverato per qualsiasi cosa ed era stata una sensazione strana vedersi trattare con garbo e gentilezza. Si sentiva vagamente orribile per avere pensieri del genere. Non era colpa di Kate. Non era colpa di nessuno. L'avrebbe rifatto milioni di volte.

Si stampò un sorriso sul volto, che sperò essere credibile, aprì la porta e la trovò distesa sul divano con sui diversi cuscini posizionati strategicamente tra le gambe e dietro la schiena. Un braccio abbandonato sulla fronte lo avvertì che sarebbe stata un'altra meravigliosa giornata di pessimo umore.

Nonostante non desiderasse altro che tenere tra le braccia il suo secondogenito, era sempre emozionante assistere alla trasformazione fisica che Kate aveva subito nel tempo. Era molto diversa, con le forme arrotondate e la pancia tesa a proteggere il loro bambino. Si sentiva rimescolare ogni volta. Forse era un istinto primitivo. O forse era diventato un feticista delle pance. In quel caso sarebbe stato un vero problema, di lì a poco.
L'unica cosa che mancava a rendere perfetta la situazione era riuscire a metterle un dannato anello al dito, perché lui aveva bisogno di sapere che tra loro c'era un impegno, un progetto visibile a tutti. Fuori e dentro di lei. Kate aveva schivato con destrezza l'argomento, ogni volta che il discorso si era fatto serio.

"Smettila di guardarmi come se fossi una qualche Madonna rinascimentale", latrò quando lo sorprese a guardarla con aria sognante, ancora sulla porta.
Lui trasalì per il brusco richiamo.
"Non ti stavo guardando come...", iniziò a ribattere, ma forse dirle che, per essere un quadro di quel tipo, il bambino avrebbe dovuto essere daquesto lato del mondo, non era il modo più opportuno per migliorarle l'umore.
"Come va?", le chiese facendosi spazio in fondo al divano, nell'unico posto lasciato libero.
"Come vuoi che vada?", fu la risposta funerea, che sentì provenire dall'oltretomba.
Domanda sbagliata. Ma se non si fosse premurosamente informato, lei avrebbe dato il via alle recriminazioni: va bene, trattami pure come se non fossi una persona degna del minimo sindacale della cortesia in uso tra estranei. Sono diventata solo un canguro, per te?

Si prese in grembo le sue gambe e iniziò a massaggiarle le caviglie, risalendo lungo il polpaccio, con gesti lenti e concentrici. Lo faceva spesso per darle sollievo. E anche per motivi egoistici, perché le sue gambe continuavano a piacergli molto. In silenzio.
Aveva dovuto imparare velocemente, nel corso del tempo, a non fare alcun riferimento a lei come donna dotata di qualsivoglia attrattiva fisica, perché gli si avventava contro infuriata. Lui la trovava molto attraente e seducente anche adesso, ma aveva saggiamente smesso di dirglielo.

Kate, grazie ai suoi massaggi, parve riprendersi abbastanza da riuscire a mettersi seduta, aggiustandosi la selva di cuscini che portava sempre con sé.
"Castle, fai qualcosa. Subito", lo implorò con voce lagnosa.
Lui capì subito che cosa intendesse e, come sempre, si sentì impotente. Gli spiaceva che toccasse a lei sopportare tutti i fastidi di quell'ultimo periodo.
"Vorrei davvero poterlo fare. Ma ormai è questione di poco, la prossima settimana al massimo ti indurranno il parto".
Lei lo fissò con lo sguardo omicida che gli rifilava almeno una volta al giorno. Eppure non gli era sembrato di aver detto niente di sbagliato. Era stato paziente e incoraggiante, dicendole che sarebbe finita presto, no?
"La prossima settimana?!", esplose. "Pensi che sia facile per me? Vuoi prendere tu il mio posto?!".
Castle rimase zitto. In una occasione simile le aveva risposto che sì, amore mio, certo che vorrei prendere il tuo posto e toglierti tutto il peso di questa situazione, in senso letterale, e vorrei fare qualcosa di più per aiutarti ma lei lo aveva aggredito verbalmente, sbraitando che era facile parlare così per gli uomini, vero? Tanto loro non avevano un utero e, soprattutto, riuscivano ad allacciarsi le stringhe. Per non parlare di vedersi i piedi. Lei i suoi non sapeva nemmeno dove fossero.
"Ho fatto tutto quello che consigliano. Bevo disgustose tisane di lampone da giorni, ho fatto su e giù dalle scale all'infinito e ho camminato intorno all'isolato per ore. Non funziona niente!"
Annuì, comprensivo. Era vero. Era stato quasi sempre testimone dei suoi diligenti sforzi.
"Ti prego, tiralo fuori. Convincilo", lo pregò, cedendo all'irrazionalità.
"Vorrei tanto, Kate, davvero...".
"Tu ce lo hai messo e tu adesso lo devi far uscire. Ora. Non mi interessa come", gli ordinò, come se servisse a qualcosa.
Poteva chiamare in ospedale e corrompere un qualsiasi medico compiacente perché le praticasse un cesareo nel giro di un paio d'ore? Non conosceva qualche tizio che ne conosceva altri che potevano risolvere la situazione senza fare domande?
"Beh, una cosa rimasta da fare ci sarebbe...", le propose invitante. Gli avrebbe urlato addosso comunque, tanto valeva scherzarci sopra.
Lei lo guardò allibita per la sua sfacciata uscita e poi si mise a sogghignare: "Sì, so che quello..." - faccia disgustata, le sue quotazioni erano al ribasso-, "può far partire il travaglio. Ma non posso credere che tu abbia voglia di una cosa del genere".
"Chi sono io per non agevolare il ciclo della natura? Fa' di me quello che vuoi. Sono il tuo eroe", si propose, bello come il sole. O così sperava. Si rincuorò per averla almeno fatta ridere.
"Aiutami a sollevarmi, devo andare in bagno per la centesima volta, oggi", gli chiese, tagliando corto il discorso, con suo rammarico.
L'aiutò a recuperare una posizione eretta, e lei gli appoggiò una mano sul braccio, prima di uscire dalla stanza.
"Scusami. So di essere insopportabile", gli passò le dita tra i capelli. "Ho solo voglia di vedere il suo viso". Le baciò il dorso della mano e la pregò di non preoccuparsi per lui. La capiva benissimo.

In sua assenza allungò una mano verso il cellulare e scorse meccanicamente le ultime notifiche provenienti dal mondo esterno.
Non si accorse, quindi, del tempo che passava e del fatto che lei fosse tornata e se ne stesse in piedi, immobile, accanto al divano e che lo stesse fissando con espressione allucinata.
"Stai bene? È successo qualcosa?". Era pallida e con gli occhi sbarrati.
"Credo... si sono rotte le acque", balbettò, come se non riuscisse a crederci.
Lui perse immediatamente la testa. "Sei sicura? Era proprio quello?". Come era possibile? Era partito tutto così dal niente?
"Non sono sicura, non ci sono mai passata! Credo di sì. Che cos'altro può essere?"

Castle balzò in piedi, fece cadere il telefono sotto il divano, lo recuperò accovacciandosi, si diresse verso la loro stanza, tornò indietro, andò in cucina, girò su se stesso un paio di volte, dando l'idea di essere un grosso merlo che andava a sbattere continuamente contro un vetro. Nel frattempo continuò a farfugliare frasi incomprensibili, ripetendole di stare calma, andava tutto bene, ma che restasse calma per l'amore del cielo, dovevano solo raggiungere l'ospedale, dove sono le chiavi della macchina , Kate non preoccuparti è tutto sotto controllo, se solo trovassi le chiavi, ma le troverò sicuramente, ora usciamo, stai tranquilla, ci sono qui io, non devi preoccuparti di niente.

Riuscì a placarsi solo quando si rese conto che Kate, molto più tranquilla di lui, si era posizionata vicino all'ingresso tenendo in mano la borsa preparata da giorni, osservando divertita le sue bizzarre esternazioni.
"Ti assicuro che sono molto calma. Ti informo però che se non smetti di dar di matto, chiamerò un taxi e andrò in ospedale da sola".
Con tutta la dignità che gli era rimasta, si sforzò di ricomporsi.

...

Nel tragitto verso l'ospedale Castle aveva insultato ogni altro guidatore che aveva avuto l'ardire di mettersi sulla loro strada, rallentandoli. Le aveva ripetuto infinite volte che avrebbero dovuto usare l'auto della polizia e azionare la sirena, perché doveva essere sempre tanto testarda? Stava bene? Aveva dolori? Chiamiamo un ambulanza?

Kate, invece, gli era sembrata l'essenza stessa della perfetta padronanza di sé, solo lievemente annoiata da tutto il trambusto.
Si era finalmente placato, per quello che gli era stato possibile, solo quando aveva parcheggiato, giungendo a destinazione. Era riuscito a non farla partorire in macchina o dentro a un fosso, privi di rete per il cellulare o corrente elettrica, con lui a dover compiere manovre ostetriche con il solo ausilio di una lampada a olio, dovendo tagliare il cordone ombelicale con un coltellaccio sporco trovato in un canale - che erano gli incubi che lo avevano tormentato nelle ultime settimane, al punto da fargli calcolare più volte il tragitto da casa all'ospedale durante l'orario di punta.
Era così concentrato a raggiungere l'ingresso del reparto, con animo più sollevato, che non si accorse di averla persa da qualche parte nel tragitto. Non era più al suo fianco. Ho smarrito la partoriente, si allarmò. Era andato tutto alla perfezione, secondo i calcoli, e adesso gli mancava proprio la protagonista.
Si girò indietro a cercarla e la trovò seduta sul marciapiede. Che cosa stava succedendo? Non sarebbe mai riuscito a sollevarla da lì.
Tornò sui suoi passi di corsa e si accovacciò di fronte a lei.
"Che cosa c'è? Stai male? Hai le contrazioni? Vado a chiamare qualcuno?", le domandò in tono concitato.
Lei alzò la testa a guardalo e lui si spaventò nello scorgere la sua aria assente.
"Beckett, mi senti?". Era normale? Doveva preoccuparsi?
"Castle. Non posso", mormorò Kate, dopo averlo spaventato a morte fissando il vuoto con occhi vacui.
"Non puoi, che cosa?".
"Non posso partorire adesso". Gli spiegò articolando bene le parole, perché il messaggio gli fosse molto chiaro, come se fosse lui quello ottuso.
"Certo che puoi. Ti aiuto ad alzarti".
"Non mi stai prendendo sul serio. Non voglio alzarmi. Voglio andare a casa. Che cosa non capisci di queste frasi?"
Che adesso si mettesse a dar sfoggio di retorica era il colmo.
"Perché vuoi tornare a casa? Il bambino sta per nascere, qui in ospedale", le ricordò, sentendosi un po' idiota a sottolineare questa ovvietà. Non si era sognato che le si erano rotte le acque, no? Altrimenti che cosa ci facevano lì?
"No, ti sbagli".
Castle valutò se lasciarla lì e andare a chiamare qualcuno o se telefonare al centralino dell'ospedale, avvisando che c'era una donna in stato confusionale che vaneggiava in strada, potevano venire a prendersela?
"Kate...".
"No, Castle, lo so che pensi che sono irragionevole. Ma non lo sono. Io mi conosco. Non sono pronta a partorire adesso. Tutto qui. Quindi, per favore, andiamo via". Continuava a mantenere un tono controllato che lo atterriva.
Doveva darle un colpo in testa? Sarebbe servito?
"Non possiamo andare via, lo sai".
"Sì, invece. È semplice. Non è il momento, ci penseremo più avanti. Mi dispiace averti fatto venire qui per niente".
Adesso gli avrebbe offerto una tazza di tè? Delle tartine?
"Kate, non credo che sia una cosa che si possa scegliere, arrivati a questo punto...".
Aveva anche iniziato ad avere delle fitte dolorose regolari, se ne era accorto dalle smorfie che cercava di trattenere e dalla mano che si premeva sulla schiena. Dovevano andarsene da lì. Come?
Le scostò i capelli dal viso e le prese la testa tra le mani, mentre pensava a cosa dirle per sbloccare la situazione.
"Sei spaventata, lo so. Ma adesso ci alzeremo, entreremo, tu sarai molto coraggiosa come sempre e tra poco avremo il nostro bambino. Non vuoi vederlo?", cercò di essere il più persuasivo possibile, giocandosi la carta emotiva.
"Non posso. Non ce la faccio. Non sono capace", gli confessò con voce soffocata contro la sua spalla.
Ok, quindi il problema era questo. Era terrorizzata. Lo era anche lui.
"Certo che sei capace. Tu arresti i cattivi e li sbatti in prigione. Che cosa vuoi che sia un parto a confronto?" Che cosa ne sapeva lui, tra l'altro? Era un uomo. Che qualcuno venisse a salvarlo.
"Portami a casa, per favore. Per favore". Lo stava supplicando, ormai.
Evidentemente, le sue tecniche non stavano avendo successo. Doveva tentare qualcosa d'altro.
"Kate, guardami". Aspettò di avere un contatto visivo. "Non posso portarti a casa. Devi alzarti subito e farlo nascere. Non si può fare diversamente. Fallo per me", ci riprovò con tono più fermo.
Farlo per lui? Da dove gli era venuta?
Con sua sorpresa, Kate sembrò miracolosamente convincersi e non provò più a opporsi, ma gli chiese soltanto: "Tu non te ne vai, vero?"
Dove voleva che andasse? A ubriacarsi al bar?
"No, certo che non me ne vado. Rimango finché mi vuoi".
"Fino alla fine".
Ok. Wow. Wow. Quindi aveva cambiato idea sul parto e lo voleva con lei. Adesso non sapeva chi dei due fosse meno pronto ad affrontare quello che sarebbe presto accaduto.

   
 
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