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Autore: Infected Heart    11/02/2020    4 recensioni
Questo è il seguito ideale di “Ti Chiamerò Hanami” (che potete trovare qui: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3882352&i=1). Proprio non ce l’ho fatta ad abbandonare i personaggi, e quindi ho continuato a scrivere. Ancora non so se riuscirò a dare un futuro a queste anime vaganti nel mondo cartaceo, ma ci proverò.
Grazie di cuore a chi leggerà anche questo piccolo stralcio… così facendo, avrete fatto vivere, seppur in un’altra dimensione, qualcosa che nella mia mente è assolutamente magico. Credo lo sia qualunque Amore nato così, spontaneo come un fiore selvatico.
Un abbraccio e buona lettura,
Infected Heart
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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N.D.A: Questo è il seguito di “Ti Chiamerò Hanami”. Proprio non ce l’ho fatta ad abbandonare i personaggi, e quindi ho continuato a scrivere. Ancora non so se riuscirò a dare un futuro a queste anime vaganti nel mondo cartaceo, ma ci proverò.
Grazie di cuore a chi leggerà anche questo piccolo stralcio… così facendo, avrete fatto vivere, seppur in un’altra dimensione, qualcosa che nella mia mente è assolutamente magico. Credo lo sia qualunque Amore nato così, spontaneo come un fiore selvatico.
Un abbraccio e buona lettura,


Infected Heart


P.s: Vi lascio una nota lessicale necessaria. In dialetto pugliese, la parola “trimone”, è un aggettivo che significa “stolto”, “scemo”… lo ritroverete, e immaginatevelo proprio con l’accento barese, vi assicuro che vi strapperà una risata.




………………………………………………………………………………..




Sono passati sette mesi, e il sole di Agosto imperla le nostre fronti. Io e Loredana passeggiamo sul lungo mare di Bari, costeggiando le antiche mura.
E’ il suo giorno libero dal lavoro, e ci stiamo godendo la reciproca compagnia, tra il vento e la salsedine.
Sono qui da una settimana e da Hanami non ci siamo più tornate, perché non volevo rovinare un ricordo così intenso e vero.
Almeno per me.
Almeno per il mio romanticismo illuso e quasi mai stanco.
Respiro a fondo, e percepisco ogni cosa: le chiacchiere della gente vicina e lontana, i turisti e gli abitanti del posto ancora più chiassosi.
Il profumo del mare che sa un pò di casa, anche se io vengo dai monti.
Il bianco accecante di questa architettura che, ne sono sicura, deve essere quella del Paradiso, se ne esiste uno.
O se non altro di qualche dimensione ultraterrena molto illuminata. Ma non da Led fastidiosi; piuttosto dalla luce del primo mattino o da quella del tramonto. Quella al confine tra due realtà opposte che si chiamano Giorno e Notte. Quell’attimo Eterno in cui ogni velo cade e si può quasi sentire l’Assoluto sussurrare alla Terra.
Ed è per terra che sto guardando, quando qualcosa mi colpisce forte la spalla, sbattendomi contro la ringhiera della passeggiata.
Sento uno scampanellio ed un affastellarsi di suoni metallici che si frantumano sul pavimento in mattoni.
Mi giro per vedere cosa è successo e apro la bocca per parlare, ma ogni parola mi rimane incastrata tra la testa e il velo pendulo.




-…Sei tu?- due occhi color cioccolato mi stanno fissando, sconvolti, seguiti subito da una smorfia di dolore, mentre la persona in questione cerca di rialzarsi dalla bici.




-… Sono io.- rispondo con un filo di voce, mentre porgo la mia mano per aiutarla ad alzarsi.




Il mio sguardo passa dagli occhi, al collo, al braccio. Ai suoi capelli che sotto il sole sono ancora più bianchi di come li ricordavo nella memoria.
E i tatuaggi sempre lì, sempre quelli.
Non sto sognando.
Non mi sta venendo da piangere.
No, signore.
Le sue mani sono spellate e ruvide a causa della caduta, e c’è un silenzio imbarazzante quando ci ritroviamo in piedi l’una di fronte all’altra.


-Scusa, sono sempre in mezzo…- Ma perché devo dire cazzate? Non potevo rimanere zitta? Prima di accampare una stupida scusa avrei almeno potuto chiederle come sta, se è tutto a posto.


-Sto decisamente meglio della mia bici, e tanto basta.- mi anticipa lei, che ancora non mi ha lasciato la mano.




E’ abbronzatissima, e mi scappa da ridere, notando il contrasto tra le nostre carnagioni, la mia più simile al cocco che al suo guscio.




-Mi chiedevo se non ti avrei più rivista.-




Dopo un istante di interdizione, riesco a deglutire e a rispondere a tono.




-E io mi chiedevo se l’audacia fosse un tuo tratto distintivo, ma già mi hai risposto.-




E sì, evidentemente quell’Anima albina non ha paura di esprimersi.
E sì, a me basta la sua man forte per seguirla a ruota.
Con la coda dell’occhio cerco mia sorella, per avere supporto. Mi sento come se avessi sparato l’ultima cartuccia a disposizione, e non so più che fare.




Prendo fiato, dimentica di qualunque regola del buon canto ormai assimilata, che mi ha insegnato a respirare dal centro di me stessa.
Esce un suono affannato, che subito camuffo con un fintissimo colpo di tosse.




-Ti ho pensata spesso.-




Devo aver sentito male. Come le scarpette rosse di Dorothy, il colpo di tosse deve avermi trasportata in un universo parallelo, perché quella è esattamente la risposta che avrei voluto per la domanda silenziosa che mi sono posta in ognuno dei 200 dannatissimi giorni passati. Insomma, nel mondo reale, quali sono le probabilità che qualcosa accada esattamente nelle modalità sperate e disegnate dalla propria immaginazione?




-Scusa?- devo proprio chiederglielo.




-Ti ho pensata… Spesso.- Esita sull’ultima parola, nel ripeterla, e porta una mano dietro il collo. La vedo ricordarsi che il gomito è dolorante e sanguinante, solo quando lo tende a tal punto che un rivolo di liquido rosso le scivola lungo l’avambraccio.




-Io… noi ti accompagniamo al pronto soccorso. Mi sembra il minimo.-



Dio, “accompagniamo”, nemmeno si trattasse di una passeggiata di piacere.
E per la prima volta la vedo sorridere, mentre mi guarda con quello che sembra un misto tra compatimento e tenerezza.




-Non mi sono fatta niente, vedi?- con le mani percorre il profilo della sua figura, quasi a tracciarne una sagoma, e solo ora noto come è vestita.
Shorts di jeans bianchi e maglia nera. E’ ancora più bella di come la ricordavo, e potrei giurare che il suo gesto non sia semplice ironia.
La vedo piegare le labbra in un sorrisetto sghembo, questa volta leggermente compiaciuta. Posso notarlo dall’improvviso scintillio nelle sue iridi.




-Mi medicherò sul lavoro, non vi preoccupate.-


Velocemente si gira per valutare i danni della bici. Rimonta la catena, e raccoglie i pezzi dei pedali sparsi per la strada, per risisistemarli al loro posto.
Una volta finito, lancia uno sguardo fugace a Loredana, e poi si avvicina a me.
Fruga nel pratico borsellino di pelle marrone, e tira fuori un’agenda.



-Io devo scappare, ma… questo è il mio numero. Almeno questa volta, insomma… puoi chiamarmi, se vuoi.-




Strappa il foglio con violenza e me lo schiaffa in mano.




Non ho nemmeno il tempo di salutarla, che già sta volando via sul suo cavallo sportivo, rosa fluo e mezzo zoppicante.




-Ciao…- il mio saluto si perde nel vento, raccolto solo dalla sua mano che si alza per prenderlo velocemente, e portarlo nel luogo in cui tutto ha avuto inizio.
O almeno credo.




……………………………………..




-Io te lo dico, eh. Non andare ad incasinarti. Ascolta tua sorella maggiore, che nella sua vita ha lavorato parecchio di gambe.- col suo modo da signora vissuta e protettiva, Loredana mi ammonisce e tenta di mettermi in guardia.
Come se già non avessi paura.
Tra una settimana sarei tornata in Piemonte, e tanti saluti e baci a tutto ciò che poteva o non poteva essere.




-E se fosse la donna della mia vita? E se… e se, e se, e se…? Sono stufa, degli “e se”, Loi.- Tento di addolcire la dinamica della frase usando il suo nomignolo, ma so benissimo che è una mossa inutile.




-Io faccio solo l’avvocato del Diavolo.- alza le braccia al cielo a sua discolpa.




-Voglio credere che non sia un caso, porca miseria! Cioè, non può essere che per una sacrosanta, fottutissima volta, la vita ha deciso di farmi un regalo? Quante probabilità c’erano di scontrarmi proprio con lei in un punto imprecisato di Bari?-




-Va bene, va bene, Miss Fatalismo. Solo, non voglio che tu ti faccia troppo male. Di trimoni -e trimone- è pieno il mondo. E in quanto a storie a distanza tu hai già dato.-




-Sono un caso perso, lo so.- Con questa frase, esco sul pianerottolo di casa sua e frugo nella tasca della salopette a gonna, quella tagliata con le orecchie da gatto.
Ne tiro fuori il biglietto e me lo giro tra le mani per un pò, studiando la grafia, spessa e frettolosa.
Niente a che fare con gli eleganti ideogrammi sino-giapponesi impressi sulla pelle di chi lo ha scritto.
Chiudo le palpebre mentre resto in apnea, nell’ascoltare lo squillare del telefono in attesa.




Biip… biiip… biiiip… 50… 51… 52…




-Pronto?-




-Ciao… -




-Sei tu?-




Sbuffo, nel trattenere una risata.




-Sono io. Ehi, ma siamo in un loop spazio-temporale o possiamo andare avanti?-




Il suono della sua risata si allontana dalla cornetta, mentre immagino che si sia coperta la bocca per non assordarmi.




-In effetti… -




-Nemmeno ho memorizzato il numero. Non so come chiamarti… - getto l’amo, così. Dopotutto prima o poi dovremo dirci i nostri nomi, no?




-Nemmeno io, ma in fondo a chi importa delle etichette?-




Scrollo le spalle, mente alzo gli occhi verso un cielo azzurrissimo.




-Ok, ok… quindi? Posso tenerti nel telefono come “Innominata” o il riferimento Manzoniano non ti si addice?




-Se proprio vuoi, puoi chiamarmi Hanami.-




Tic
Tac









Tic
Tac









Il cuore mi sprofonda nel petto, e devo appoggiare la schiena al muro per sorreggermi. Di nuovo, non è possibile che nel giro di due conversazioni mi abbia letto i percorsi dell’Anima.
Ok, forse sto correndo troppo, ma io non mi chiamo Adam Kadmon e queste di sicuro non sono coincidenze. Sarebbero troppe pure per lui.




-Pronto? Ci sei ancora?- Mi riscuote, mentre ancora vago nei miei film mentali.




-Sì, scusa. E’ che non me lo aspettavo.- Mia misteriosa Hanami, meglio che io non ti racconti tutta la storia, o mi prenderesti per pazza ancora prima di avermi conosciuta per davvero.




-…e io? Come posso chiamarti?-




-Ah, per questo dovrai aspettare fino a quando ci vediamo. Mi devo pur vendicare, o no?-




-Mh… a rigor di logica, dovresti farti perdonare per avermi fatta cadere rovinosamente, e non viceversa.- fa finta di pensarci, nella sua voce un accenno di fresca ironia.




Io decido di dargliela vinta, e colgo la palla al balzo.




-Quindi? Quando posso farmi perdonare?-




-Ah, ma allora fai solo la finta dura…-




-Lo ammetto… quindi?- cerco di tagliare corto: il caldo sta diventando insopportabile e io mi sono già resa abbastanza ridicola.




-Ma guarda un pò chi non vede l’ora…! - Mi prende in giro, e meno male che non può vedermi, perché sto per sputare un polmone talmente sono rossa in volto.




-Domani ho la mattinata libera… ci vediamo in centro?-




-Va bene. Sotto l’orologio?- ma sì, facciamo finta di avere il controllo della situazione.




-Perfetto, alle sette. Puntuale. Buonanotte, piccola Cherry.-




Bip.




Silenzio.




Rimango a guardare il telefono con un enorme punto interrogativo sulla testa.




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