II ~ Sole
Ruggente
Ma lì
dove c’è il pericolo,
Cresce anche ciò che salva.
Friedrich
Hölderlin
Più
di vent’anni anni prima[1].
«Toshi-chan?»
C’era
una bellissima brezza, fresca e rigenerante: s’infilava sotto
le vesti e
allentava il morso della calura, rendendo quell’anomalo
autunno più
sopportabile. Il mare chiamava a sé, sia da breve che da
lunga distanza, ed era
difficile pensare a qualcosa che non fosse la sua voce.
«Fiorellino…»
Le
mura dell’urbe si alzavano per affrontare la bellezza delle
spiagge, ma erano
inconsapevoli del loro armonizzarsi con esse in una visione suggestiva
— specie
sotto il cielo incendiato dal tramonto o, come in quel caso, indorato
dal
mezzogiorno.
«Mamma
chiama Toshiki, mamma chiama Toshiki: Toshiki, rispondi!»
Finalmente,
l’interpellato sollevò il capo dal libro che stava
divorando pagina dopo pagina,
fissando poi la donna che gli stava davanti. Questa lo
guardò a sua volta, un
dolce sorriso sul volto, e gli accarezzò i capelli.
«Dobbiamo andare a casa,
tesoro.»
Il
bimbo si rabbuiò un poco, tornando a leggere subito dopo.
«No, non voglio. Sto
bene qui.»
«Lo
so, ma è ora della pappa e papà ci sta
aspettando.»
«Ma
non è giusto, non abbiamo neanche fatto un bagno!»
«Questo
perché qualcuno si è mangiato troppi biscotti e
ha passato tutto il mattino a
dormire o leggere…»
Toshiki
fece una piccola linguaccia da dietro la sua protezione di carta,
quindi l’abbandonò
e scattò in piedi. Prima ancora che la madre potesse
fermarlo, era già in corsa
verso la riva a poca distanza e tra le basse, calme onde, le quali lo
accolsero
senza opposizione.
Il
piccolo si rotolò nell’acqua cristallina e si
rifiutò di uscire finché anche la
donna non lo raggiunse, e allora le saltò in braccio per
farsi coccolare e
costringerla a restare con lui. Il sole scivolava sulla gobba del mare
e appena
incontrava la sua pelle si divideva in mille serpenti di luce, che lui
guardava
rapito come se potesse giocarci davvero e senza temere nulla.
«Ti
stai divertendo molto? Se questo posto ti piace così tanto,
l’anno prossimo ci
ritorneremo.»
Il
bimbo annuì, quindi abbracciò il collo
dell’adulta con espressione supplicante.
«Restiamo qui altri cinque minuti…»
«Oh
no, pesciolino: ora che ti ho pescato, vado a metterti subito in
padella.
Su,
usciamo prima che papà si preoccupi.»
Toshiki
tacque e si arrese, obbedì docilmente mentre
l’acqua ruscellava giù dai capelli
e gli solleticava la schiena. Il calore era ormai incontrastabile, ma
lui non
ci faceva caso.
«Sei
felice, fiorellino?»
«Certo.»
E come per confermare quello che aveva appena detto, ai piedi della
madre
spuntarono tre fiori dai colori delle onde più profonde[2].
«Eh
sì… lo vedo», sorrise lei mentre
stringeva
a sé il suo bocciolo e il mare si addormentava, in attesa di
un vivace
pomeriggio e ignaro delle bianche nubi che iniziavano a imbiancare la
sua
superficie.
Non
erano solamente le onde ad attrarre, lì: anche la piccola
città che queste
lambivano catturava l’attenzione e la meraviglia di chi
varcava le sue mura.
La
struttura semplice, ordinata e spaziosa insieme, ricca di angoli verdi
quanto
di costruzioni bianche ed eleganti, rendeva facile il perdersi in
contemplazioni e nella pace delle vie rigonfie di fiori, mentre il
crepuscolo
tingeva case e persone della sua luce viola; e la cinta che abbracciava
l’intero
abitato, ultima rappresentante di un passato che non c’era
più, era il luogo
perfetto per perdersi in passeggiate o fantasie che cadevano
nell’avventura: immaginazioni
dove nella pietra si aprivano passaggi nascosti ai più,
portali interdimensionali
o scale che conducevano a tesori millenari.
I
più grandi erano interessati alla sua storia, mentre i
piccoli s’incantavano davanti
al profumo d’antichità che quella lasciava
spirare; e Toshiki non faceva eccezione
alla regola.
La
casa affittata per quelle vacanze permetteva di godersi la vista sia
della
cittadina che del mare, e di sera il bambino amava mettersi sulla
terrazza per
ammirare il panorama: specie al crepuscolo, quando la luna iniziava a
salire e
sorgeva da dietro quell’anello protettivo, come se abitasse
nel suo grembo e
questo la custodisse fino al calar del sole. Da giorni i sogni lo
chiamavano
là, spuntavano dai libri come i fiori che apparivano quando
provava qualcosa
d’intenso, e le vacanze stavano per giungere al termine:
avrebbe dovuto
muoversi, o la curiosità non se ne sarebbe mai andata.
«Va
tutto bene? Sei silenzioso più del solito.»
Toshiki
si godette la carezza che il padre gli diede, quindi lo
guardò. «Sto bene»,
rispose, prima d’indicare le mura. «Quando andiamo
a vederle?»
«Ci
siamo andati anche ieri sera, piccolo.»
«Sì,
ma quando le potremo visitare?»
«Non
si possono visitare: non c’è niente da vedere al
loro interno.»
«Quindi
non era possibile abitarci?»
«Difficile
dirlo con sicurezza, chi lo sa; forse all’inizio…
ma non ci sono entrate che
possano dircelo, e questa dovrebbe essere già una
risposta.»
Il
piccolo sospirò lievemente. «Allora non ci sono
tesori da scoprire…»
«La
città è stata costruita per i nobili: forse
qualcosa da trovare c’è comunque.»
«Ci
credi davvero?»
L’uomo
sorrise. «Non dovrei farlo?»
Toshiki
guardò il genitore con sguardo attento, poi
accennò a sua volta un sorriso e da
quel momento restò nuovamente in silenzio.
«Se
vuoi restare ancora qui va bene, ma rimani sempre all’ombra,
intesi?»
Lui
annuì e dopo un’ultima occhiata alle mura chiuse
gli occhi nel vento che aveva
ricominciato a soffiare, accoccolandosi sul pavimento fresco. Si
accorse di
cadere nel sonno, ma non dei minuti che iniziarono a passare in tutta
velocità;
così che quando si svegliò si trovò a
osservare la spiaggia e la vita che
ospitava.
Il
cielo era fosco e il mare mosso rispetto al mattino, carico di ombre
verdi e
blu; e da fresca l’aria era divenuta fredda, tanto che lui si
raggomitolò
ancora più strettamente nell’asciugamano che lo
avvolgeva.
«Oh,
il principino si è svegliato! Dormiglione, guarda che
così ti perdi tutti gli
ultimi giorni», sentì dire la voce della madre
mentre si guardava intorno con
leggera confusione, «e non eri tu che non volevi
più uscire dall’acqua?»
«Ma
ora fa freddo!»
«Vieni,
andiamo al sole e vedrai che ti scalderai; e cerchiamo anche
papà, è sceso in
mare da un po’.»
Completamente
sveglio dopo quelle parole, il bambino seguì la donna fin
sulla riva. L’acqua
era calda, ma per qualche ragione avrebbe preferito stare in spiaggia,
lontano
da essa.
«Lo
vedi, per caso?»
Il
bimbo scrutò tutto l’orizzonte, chiedendosi
perché l’uomo avrebbe dovuto
spingersi così al largo; quindi scosse il capo.
«No, io non—»
«Preso.»
Ancor
prima che potesse girarsi, le braccia del padre gli si chiusero intorno
e lo
sollevarono, scatenando urla di sorpresa e poi di entusiasmo mentre lo
facevano
vorticare; richiami e risate che sarebbero continuati ancora per
parecchio tra
giochi sulla riva, corse per prendersi a vicenda e bagni dove il
fondale era
troppo basso per spaventare.
Fu
un pomeriggio di spensieratezza e calore, che donò anche la
visione a distanza
di qualche medusa e smorzò il desiderio di esplorare le
mura; poi, all’improvviso,
tutto mutò.
Accadde
in pochissimo tempo: le onde iniziarono ad agitarsi maggiormente e a
esse si
unirono nubi veloci e oscure, che ricoprirono del tutto il cielo e
distolsero
la gente dalle proprie occupazioni, e il vento si levò
ancora più forte, creando
mulinelli di sabbia e frustando con rabbia chiunque o qualunque cosa
trovasse
sul cammino.
Il
mare s’ingrosso ancora e un tuono spaventoso lo fece tremare
— e Toshiki con
lui, che d’istinto si aggrappò a entrambi i
genitori.
«Presto»,
sentì dire dal padre mentre questi lo prendeva in braccio,
«dobbiamo andarcene
subito.»
«Sta
per arrivare una tempesta, vero papà?»
Iniziò
a piovere appena fece quella domanda: caddero gocce pesanti e nere come
tutto
ciò che li circondava, e nel giro di pochi attimi le nuvole
si sfogarono in una
bomba ghiacciata che trasformò il posto in un inferno. Il
buio fu squarciato da
fulmini; e, prima che tutti potessero mettersi al riparo, venne
l’onda.
Il
bimbo la vide arrivare ma non poteva fare nulla per contrastarla,
così che quasi
non si sorprese quando questa lo travolse e lo strappò dalle
braccia del padre,
trascinandolo in avanti. Il mondo prese a vorticare e lui perse i
riferimenti
spaziali, si confuse e smarrì mentre le orecchie si
riempivano di mille suoni
diversi: della voce del mare che rombava con tutta la sua furia e di
quella dei
genitori che lo chiamavano cercando di raggiungerlo, del canto feroce
della
pioggia sul capo e dello schiocco irato del tuono che l’acqua
attutiva e poi
liberava, a seconda che lo sommergesse o meno.
Le
onde sembravano litigarselo e si portavano via le sue grida, aumentando
la
paura già grande e mostrando il proprio volto mortale; e
quando infine lo
sbatterono sulla riva, a tossire e sputare acqua salata, non per questo
lui
smise di tremare.
Incapace
di reggersi in piedi subito, Toshiki riuscì almeno a
portarsi a discreta
distanza dalla loro forza; quindi si guardò intorno e
cercò di comprendere
qualcosa attraverso il pesante velo dell’acquazzone,
sforzandosi per trattenere
le lacrime e i pensieri impazziti.
«Toshiki!
Toshiki, dove sei?»
Il
bimbo si costrinse ad alzarsi e con tutta la sua disperazione corse
nella
direzione dalla quale proveniva l’altrettanto affranta voce
dei genitori, incapace
di vedere dove andasse realmente e ignaro del freddo che lo mordeva
ovunque.
Urlò in risposta, implorò e gridò di
nuovo, ma non incontrò nessuno né i due
adulti vennero avanti; e continuò a correre tra le raffiche
di pioggia e vento,
senza pensare un istante di fermarsi perché loro non
potevano essere lontani, erano
lì, lì…
Alla
fine non li trovò; la cinta della città, invece,
decise di proteggerlo e gli
aprì il proprio ventre per accoglierlo.
Toshiki
la scoprì solamente perché la pioggia si
calmò per qualche attimo e lui se la
trovò davanti: nella pietra intatta a pochi metri da
sé, una fenditura troppo
piccola perché un uomo ci passasse attraverso ma larga
abbastanza per un
bambino esile come lui. Fradicio e infreddolito, terrorizzato ma
abbastanza
lucido per sapere che doveva trovare immediatamente un riparo o sarebbe
finita
malissimo, Toshiki vi si gettò dentro graffiandosi gomiti e
ginocchia,
avanzando nella penombra fino a quando non andò a sbattere
contro il muro a lui
opposto; dopodiché vi si appoggiò con la schiena
e si lasciò scivolare a terra,
per poi stringersi su sé stesso e nascondere il viso sulle
gambe.
I
polmoni erano in fiamme per la lunga corsa e le gambe avevano degli
scatti
nervosi a causa dello sforzo sostenuto, la gola gli mandava fitte
lancinanti e tremava
tutto; ma era trovarsi solo, senza sapere quando la tempesta sarebbe
finita né
dove fossero i suoi genitori, a fargli male al cuore.
Ti
prego, pioggia, calmati in fretta, ti prego! Voglio tornare a casa e
non
allontanarmi mai da mamma e papà, sarò ancora
più bravo e obbediente…
Fammeli
ritrovare. Ti prego.
Il
bagliore di un lampo lo raggiunse, investendo ogni cosa di luce
spettrale, e
lui sperò che quella non fosse una risposta.
Ti
prego…
«Fa
freddo… tantissimo…»
Il
bimbo sentì il suo stesso respiro bloccarsi e
s’immobilizzò del tutto; quindi
levò il capo, per poi addossarsi completamente alla parete
dietro di sé e
sentire i capelli rizzarsi in testa per lo spavento.
In
piedi davanti a lui stava un’ombra più nera del
buio in cui era immerso, di
piccola statura, tesa a sfregarsi le braccia con energia e a pigolare
con voce
sottile. Un bambino, o…?
Tenere
piante risposero al suo posto e fendettero il suolo, e mentre una parte
di esse
si ergeva a fargli da scudo, l’altra si avventò
sulla figura estranea.
«Ahi…
ehi, mi stai facendo male! Ma quante braccia hai?»
Toshiki
rimase sorpreso da quella domanda come dal fatto che, calata un attimo
la
tensione, non aveva sentito alcun pericolo giungere
dall’altro; quindi provò ad
avvicinarsi e allungò le mani, incontrando quello che
sembrava davvero il petto
di una persona come lui.
«Non
sono uno spirito, lo giuro! Sono solamente un bambino… e no,
no, così mi fai il
solletico! Smettila!»
Il
piccolo esper ubbidì e fece ritrarre le piante, ma non si
mosse da lì.
Una
parziale schiarita del cielo lasciò entrare un poco di luce
nell’ambiente, gli
fece intravedere parte del volto e i capelli neri di chi gli stava di
fronte:
qualcuno all’apparenza più grande di lui e che, a
giudicare dai tratti, sarebbe
diventato molto bello — e che in quel momento era nelle sue
stesse condizioni.
«Chi
sei?»
L’altro
non rispose subito, ma prima allargò la bocca in un
silenzioso verso di
sorpresa. «Oh, ma sei un bambino anche tu!»
«Ovvio,
ti sembro forse un adulto?»
Il
moro si rabbuiò un poco, per un istante soltanto.
«Scusami… io non posso
vedere», mormorò, «sono cieco.»
Toshiki
sentì la voce morire in gola e non seppe come replicare.
Prese il bambino per
le braccia e lo tirò leggermente verso di sé,
fuori dalla penombra: vide che
teneva gli occhi serrati e dovette reprimere con forza la richiesta di
aprirli,
poi aggrottò la fronte in un dubbio improvviso.
«Però sei riuscito a seguirmi e
senza che io ti sentissi… come hai fatto?»
Il
piccolo esitò un attimo, quindi fece un debole sorriso e
alzò le mani come per
difendersi. «Non riesco a vedere nulla, è vero, ma
posso percepire ciò che mi
circonda e prevedere i movimenti della gente, e questo mi aiuta
spesso… specie
se incontro una traccia luminosa come la tua. Mi hai salvato,
perché mi sono
trovato nella tempesta e non sapevo più dove andare fino a
quando non ti ho
sentito.
Anche
tu hai dei poteri, quindi! Prima, per esempio, mi hai legato
con… delle piante?»
«Sì.»
Toshiki abbassò gli occhi sui polsi del bambino e
notò i segni rossi lasciati
da quelle; avvampò d’imbarazzo e colpa, anche se
non lo aveva fatto di
proposito. «Scusami se prima ti ho fatto male… ho
avuto paura, e non so ancora
controllarle bene.»
«Non
fa nulla: io un po’ di paura ce l’ho ancora,
sai.» Una pausa. «Odio i temporali,
i tuoni mi fanno impazzire.» Un altro breve silenzio.
«Io sono Shimazaki Ryo.
Tu come ti chiami?»
«Minegishi
Toshiki.»
Ryo
annuì, quindi allungò entrambe le mani per
toccare il volto di Toshiki, che si
ritrasse un attimo ma poi lo lasciò fare.
«Profumi
di kinmokusei[3]; mi piace
molto.»
«È
così da quando sono nato, dice papà… e
anche la mamma.»
«…
Erano anche loro in spiaggia, vero?»
«Sì,
ma li ho persi.»
Che
stiano bene, ti prego!
Il
moro dovette sentire i suoi pensieri in qualche modo, perché
staccò le mani dal
suo viso e le appoggiò sulle spalle. «Non ti
preoccupare, sono sicuro che li
ritroverai. Io so che la mia mamma sta bene perché sono
andato al mare da solo,
mentre dormiva ancora; però non riuscirò a
ritornare a casa, temo… non posso
nemmeno descriverla.»
Toshiki
tirò su con il naso, quindi si fece forza e
ricacciò indietro le lacrime. «Quando
sarà tutto finito cercherò di aiutarti,
davvero.»
Un
altro tuono li interruppe e fece sobbalzare Ryo, che si strinse di
più a
Minegishi. Questi si allontanò di più dalla
fenditura e trascinò il moro con
sé, e solamente allora si accorse di quanto lo spazio
intorno fosse enorme,
alto e sgombro da qualsiasi ostacolo.
Era
nel luogo che aveva tanto desiderato vedere: eppure, avrebbe dato tutto
perché
questo non fosse successo — non a un prezzo simile.
In
quel momento, Ryo si staccò da lui e girò su
sé stesso. «Comunque, dove siamo? Questo
odore è simile a quello della città, ma molto
più vecchio.»
«Siamo
nelle mura: ho trovato un passaggio e mi ci sono infilato
dentro.»
Il
moro sollevò le palpebre, rivelando vuote orbite nere, e
fece un grande sorriso.
«Oh, le mura! Allora, intanto che aspettiamo che il temporale
finisca, possiamo
cercare il tesoro del principe.»
Toshiki
spalancò la bocca, stupito. «Tesoro?»
Il
piccolo cieco annuì con forza. «Mamma una volta mi
ha raccontato che queste
mura erano collegate al palazzo di un principe straniero, ma che
nessuno
riusciva mai a vederlo o incontrarlo per molto tempo: spariva per ore e
ore, e quando
si mostrava aveva le dita ricoperte di polvere dorata.
Ha
parlato di un passaggio segreto che gli consentisse di passare dalla
sua
abitazione a qui, ma non è stato trovato… forse
alla gente non interessa; ma a
me sì, tantissimo.»
«È
una leggenda o c’è qualcosa di vero?» Sai
bene che tutte le storie, anche le
più fantasiose, sono un po’ reali. E pure
papà ha detto che questa città di
nobili può riservare sorprese…
«Possiamo
scoprirlo!» Il moro tacque, fece una pausa riflessiva che
smorzò l’energia con
cui aveva parlato fino a un istante prima.
«Però… se ci fossero altri passaggi
uguali a questo e andassimo troppo avanti, potremmo perderci o non
trovare più
l’uscita giusta…»
Minegishi
rimase in silenzio e si guardò intorno per quanto la debole
luce glielo
permetteva, per poi passare a osservarsi: non avevano altro che i loro
vestiti
o costumi, e lui era a piedi nudi; ma Ryo indossava scarpe rosse,
visibili
anche da una certa distanza. Da lì trovò la
soluzione. «Togliti le scarpe: lasciale
qui come riferimento, così sapremo da dove uscire.»
«Buona
idea!»
«Anche
se c’è troppo buio per vedere bene, e non
è una buona cosa.»
Il
moro accennò una smorfia che non voleva essere di scherno,
ma di pura consapevolezza.
«Non ti preoccupare», gli disse mentre lo prendeva
per mano e risolvendo a sua
volta il problema, «ti guiderò io
nell’oscurità. Te l’ho detto: i miei
poteri
mi aiutano a percepire i movimenti delle persone e ciò che
ho intorno, ci
aiuteranno loro.»
Toshiki
non replicò e decise di affidarsi a lui; fuori dalle mura,
la tempesta aveva
ripreso a infuriare e preferiva non pensarci troppo.
Iniziarono
insieme il viaggio nelle tenebre, tenendosi vicini per non perdere il
contatto
e scaldarsi un poco, cercando d’impegnare il tempo a parlare
di ciò che veniva
loro in mente e caricandosi a vicenda con l’entusiasmo della
ricerca; e a mano
a mano che luce spariva del tutto, Minegishi sentiva gli altri sensi
acuirsi per
meglio percepire odori e suoni.
Shimazaki
era comunque una guida sicura, che affrontava il velo oscuro innanzi a
sé con
la stessa tranquillità con cui lui camminava nel sole, e
questo lo calmava un
poco e lo riempiva d’ammirazione. Dev’essere
dura non vedere altro che buio,
pensò infatti più di una volta, ma
sembra che tu sappia comunque cavartela.
Proseguirono
nella direzione che avevano scelto per minuti interminabili; ma appena
prima
che le mura iniziassero a incurvarsi, Ryo si fermò e
impedì a Minegishi di
andare a sbattere contro la parete innanzi a loro. «Da qui
non si prosegue»,
disse come per scusarsi.
Tornarono
indietro e passarono nuovamente dal punto di partenza, per poi
procedere nella
direzione opposta e addentrarsi in una nuova oscurità: ma
ben presto il moro si
bloccò nuovamente, questa volta con un grido strozzato.
«C’è…
c’è qualcosa che
non va, davanti a noi: la strada è sbarrata, ma non da una
parete.»
L’esper
delle piante trattenne il respiro a sua volta, quindi gli strinse la
mano che
non aveva mai lasciato. «Che cosa senti?»
Shimazaki
non rispose immediatamente, ma prima si nascose dietro di lui. Toshiki
lo sentì
tremare spaventosamente. «Sono tanti»,
udì poi mormorare, «e non sono umani.
Sembrano animali, li sento ringhiare e dirci di andarcene prima che sia
troppo
tardi… non vogliono farci proseguire.»
«Si
stanno muovendo?»
«No,
sono immobili come statue.»
Minegishi
aggrottò la fronte. «Forse lo sono.»
«Hanno
dei poteri: posso percepirli. Come se uno spirito fosse intrappolato
dentro di
loro e ci stesse minacciando.»
«Va
bene, non temere: torniamo indietro.»
Ryo
fu ben contento di sentire l’amico indietreggiare e non si
staccò di un
centimetro dalla schiena dell’altro, che lo lasciò
fare mentre rifletteva.
Statue che sembravano possedere un’anima… dei
guardiani, forse?
Molte
storie parlavano di protettori di re e tesori che custodivano le tombe
dei
primi e la ricchezza dei secondi, i quali dovevano sottostare per
millenni al
volere dei loro padroni e neutralizzare ogni possibile minaccia: era
questo il
loro compito e avrebbero fatto qualsiasi cosa per rispettarlo, anche
eliminare
dei bambini. Probabilmente il misterioso principe aveva
anch’egli dei poteri e
aveva costruito un esercito di pietra per tenere lontani i curiosi dai
propri
segreti, e i suoi soldati erano pronti a rispondere di conseguenza.
«Ma
noi non siamo qui per rubare nulla», disse allora lui ad alta
voce, «vogliamo solamente
scoprire la verità. Il nostro più grande
desiderio è tornare a casa, non
prendere ciò che non ci appartiene.»
Un
fruscio accolse quelle parole, davanti a sé e non dietro; e
l’esper cieco ebbe
un sobbalzo. «Non-non riesco a muovermi»,
sibilò nel terrore, e Toshiki non
riuscì a rispondere perché anche lui era stato
immobilizzato da una forza
estranea, mentre le sue orecchie iniziavano a percepire il suono
d’innumerevoli
passi in avvicinamento.
Era
il classico rumore prodotto da un grosso animale, e a mano a mano che
quelli si
avvicinavano i bimbi sentivano onde di brividi ghiacciati scivolare
lungo tutta
la schiena. Trattennero il respiro quando udirono le sconosciute
entità
fermarsi a qualche passo da loro, con uno sforzo immane riuscirono ad
afferrarsi le mani e le strinsero in attesa del risvolto peggiore.
“Non
c’è nulla per voi, piccolini. Lasciate in pace
questo luogo.”
«Non
vo-volevamo far nu-ulla di male…»
“Tornate
indietro o vi uccideremo.”
Toshiki
chiuse gli occhi in una smorfia di paura quando udì quelle
parole nella mente,
quindi percepì alcune piante reagire alle sue emozioni e
spuntare dal suolo in difesa;
immediatamente, gli altri indietreggiarono.
“Cosa
sono questi?”
“Hai
anche tu dei soldati a tua disposizione?”
“Chi
sei?”
Minegishi
non osò rispondere, ma rimase in ascolto degli esseri che
riprendevano ad
avanzare e si fermavano in prossimità delle piante. Comprese
che erano
interessate e insieme intimorite da quelle.
“Richiama
i tuoi servitori e andatevene, tutti e due. Non potete
passare.”
I
vegetali schioccarono al suono di quel pensiero, così che il
buio si riempì di
ringhi spaventosi e fitte lancinanti percorsero l’intero
corpo dell’esper
quando opposte energie lo riempirono.
“Richiamali!”
Toshiki
gridò e, rompendo l’immobilità imposta,
si prese la testa tra le mani mentre
questa si popolava di voci e il proprio terrore si fondeva con quello
di Ryo e
dei guardiani; le creature arboree compresero la sua sofferenza e
frustarono
l’aria, furiose.
“Portali
via, non osare proseguire!”
«Ascoltiamoli,
Toshiki…»
“Via!”
«Dobbiamo
scappare!»
“Non
puoi farcela.”
«Ho
paura, andiamocene via!»
“Tu—”
«STATE
TUTTI ZITTI!»
Nel
momento in cui il bimbo urlò, la terra tremò e
fece barcollare tutti coloro che
la calpestavano: un istante dopo, centinaia di fiori enormi spuntarono
da essa,
scatenati da un potere infinitamente più forte rispetto a
quello che fino ad
allora lui aveva posseduto, e si avventarono sugli oppositori con
impeto
assetato di battaglia.
Toshiki
si sentì sbalzato in avanti insieme a Ryo e dopo qualche
attimo si ritrovò a
correre verso una direzione che non poteva riconoscere, trascinando il
moro con
sé in una fuga disperata.
Alle
loro spalle s’inseguivano le grida più orrende che
avesse mai udito, ma non si
fermò fino a quando non udì Shimazaki piangere
sonoramente e vincere tutti gli
altri suoni. Solamente allora si bloccò e voltò,
accogliendo il compagno tra le
braccia e stringendolo forte. «Stai bene?», gli
mormorò.
L’altro
si divincolò per liberarsi, indietreggiando poi di un passo.
«I tuoi poteri…»,
mormorò tra i singhiozzi, «… che cosa
hai fatto?»
Minegishi
tacque, senza sapere cosa rispondere: era successo tutto
così rapidamente che
neppure lui riusciva a comprenderlo appieno. Tremava, ma la corsa non
aveva
niente a che fare con questo; e si sentì girare la testa e
le gambe cedere fino
a farlo sedere pesantemente al suolo. Inoltre, provava
un’enorme colpa per aver
spaventato Ryo. «Mi dispiace», mormorò
partendo da ciò, «ti ho fatto paura.»
«Sì»,
replicò l’altro, «tantissima: davvero
non sapevi di poter…» Esitò, quindi si
riavvicinò di nuovo e s’inginocchiò di
fronte a Toshiki. «Però… ci hai anche
salvato», rivelò mentre si sfregava gli angoli
degli occhi, «e ti ringrazio. Ma
non rifarlo, per favore: non urlare più
così.»
L’esper
delle piante respirò a fondo, asciugandosi la fronte madida
di sudore, e trovò
la forza per mormorare un assenso.
«Sai
dove siamo, comunque?»
Anche
nel buio riconobbe che Shimazaki era smarrito quanto lui; ma dopo
alcuni attimi
questi si riebbe. «Abbiamo superato quelle cose»,
esclamò, «i tuoi amici
ci hanno permesso di avanzare per un bel pezzo. Eppure non percepisco
nulla sul
nostro cammino… che cosa stavano proteggendo?»
«Qualcosa
d’importante di certo. Li hai sentiti anche tu i guardiani,
no? Erano decisi a
scacciarci, anche a costo di ucciderci. Il principe era ben deciso a
non far
avvicinare proprio nessuno.»
«Sì,
è vero, ma la strada è libera, completamente
vuota.»
Minegishi
provò ad alzarsi, ma fu costretto a sedersi nuovamente.
Shimazaki lo prese
sotto le ascelle e lo aiutò a sollevarsi, tenendolo poi
appoggiato a sé. «Devi
riposare.»
«Sì,
ma non qui: loro potrebbero ritornare.»
«Andiamo,
allora: ti tengo io.»
L’esper
delle piante sorrise tra sé. «Non ti
farò più spaventare, promesso.»
«Se
lo farai io correrò via e ti lascerò indietro, da
solo: sei avvisato.»
«Me
lo ricorderò.»
Senza
più parlare, il moro si calmò completamente e
riprese ad avanzare sobbarcandosi
gran parte del lavoro, cercando in ogni modo di far sforzare il meno
possibile
il compagno. Ci riuscì per un tempo che Minegishi, con la
mente che diventava via
via più leggera per la stanchezza, non poté
quantificare; ma quando l’esper
cieco si fermò e si appoggiò contro una parete,
lui non ebbe da obiettare. «Sei
troppo magro per portare entrambi», gli disse comunque per
scherzo.
«Non
prendermi in giro! Posso contarti le costole, e sono pure
più alto!»
«Scommetto
che ti raggiungerò in pochissimo tempo.»
«E
io scommetto di no!»
«So
anche dove soffri il solletico.»
«…
Questa te la faccio pagare.» Una pausa. «Il
temporale…»
«Hmmm?
C’è qualcosa che non va?»
«Non
sento il rumore della pioggia, né i tuoni.»
Era
vero: fuori da lì, il mondo si era quietato. Questo diede a
Minegishi
abbastanza energia per poter compiere un ultimo sforzo.
«Dobbiamo riprendere,
allora, trovare un’altra uscita e…»
«Toshiki.»
D’istinto,
il bambino si voltò dal lato opposto a quello dove si
trovava Shimazaki; appena
lo fece, un respiro caldo e inumano lo investì.
“Nessuno
ci sfuggirà mai.”
«Toshiki,
loro sono qui.»
«…
Lo so.» Come prima, rimase immobile; ma questa volta non
sarebbe giunto niente
e nessuno a salvarli.
In
qualche modo, uno dei guardiani era stato abbastanza fortunato da
riuscire a
vincere lo scontro e sufficientemente silenzioso da seguirli senza
essere
percepito; loro, invece, erano semplicemente spacciati — o
meglio, lui lo era…
ma non Ryo.
Lui
si era voluto fermare, mentre Ryo sarebbe tornato indietro; lui
aveva
sfidato le creature, mentre Ryo le avrebbe rispettate. Lui
avrebbe
pagato per questo, ma senza permettere che la stessa cosa accadesse al
moro.
Lo
aveva appena pensato che ci fu un guizzo, un lampo nel buio, e si
sentì
afferrare alla caviglia e tirare indietro con uno strattone doloroso.
“Hai
osato troppo.”
«Riesci
a muoverti… Ryo?»
«S-sì,
più o meno.»
Fortuna.
«Allora, per quanto possa far male, mettiti a correre:
io…» S’interruppe, la
presa sul piede aumentò. «… Io non
posso più.»
Si
sentì sfiorare la mano dall’altro, ma
rifiutò il contatto. «Scappa, avanti. Ti
ho promesso che non ti avrei più spaventato: allontanati
prima che possa mettermi
a urlare.»
Udì
chiaramente il compagno indietreggiare. «Ma… ma tu
non…»
Minegishi
fece per replicare, ma prima gli scappò un mugolio quando le
zanne della
creatura affondarono nella carne. «Corri!»
«No!»
«Non
puoi restare qui… devi andare.»
“Illusi.”
«Toshiki…»
«Non
ascoltarlo, vai.» Anticipando l’ennesima protesta e
provando a non pensare al
dolore che ne sarebbe seguito, il piccolo chiuse gli occhi e prese un
forte
respiro, incanalando tutte le energie che restavano in una mossa
disperata: le
piante risposero debolmente, ma afferrarono comunque l’esper
cieco e lo
spostarono diversi metri più avanti. Un’ultima
azione che non sarebbe valsa a nulla
contro il guardiano che in quel momento si apprestava a trascinarlo
verso i
compagni, ma che forse avrebbe salvato quell’altro
ostinato… come sperò che
l’incoscienza se lo prendesse prima che venisse fatto a
pezzi, o almeno di non
patire troppo.
Il
freddo s’intensificò e il dolore
diminuì: stava per finire tutto, e non aveva
salutato un’ultima volta nessuna delle persone a cui teneva.
Era
ingiusto.
Mi
dispiace. Mamma, papà, non volevo farvi soffrire
così…
Vi
voglio tanto bene.
Chiuse
gli occhi e lasciò che tutte le lacrime della giornata si
riversassero libere,
perché ormai non aveva più senso trattenerle; e
si concentrò talmente tanto su
questo che solo all’ultimo udì quei lievi passi in
corsa.
Oh
no,
pensò allora con orrore, no no
no…
«Non
abbandono chi mi ha salvato per due volte», urlò
Ryo a pochi centimetri da lui,
«mettetevelo tutti in testa!»
“Siete
più stupidi di quanto sembriate.”
Il
guardiano smise d’interessarsi a Toshiki e gli
liberò la caviglia. Quest’ultimo
urlò quando lo sentì balzare per afferrare
Shimazaki, e fu allora che il moro
lo afferrò per entrambe le mani e tutto il mondo
iniziò a mutare, per poi esplodere
in una bolla di luce che poté appena intravedere prima di
perdere i sensi.
È
questa la fine, dunque?
«TOSHIKI!»
«Tesoro,
calmati…»
«Ma
hai visto la sua ferita? Ha addosso i segni di un morso, è
stato attaccato da
qualcosa!»
«Lo
vedo anch’io, ma sta respirando normalmente e… oh,
ha aperto gli occhi! Riesci
a sentirci, fiorellino?»
Il
piccolo sollevò e abbassò le palpebre due volte;
quindi riconobbe gli sguardi
che lo osservavano con ansia e trepidazione, e sorrise.
«Mamma… papà.»
I
due adulti sorrisero a loro volta e lo abbracciarono sollevandolo,
così che
scoprì che fino a quel momento aveva dormito tra le braccia
della donna e …
aspetta, ma dov’era? Si era salvato, o…
«Va
tutto bene, tesoro», gli disse il padre, «ora sei
al sicuro.»
Il
bimbo gettò uno sguardo intorno a sé: a fatica
riconobbe la spiaggia dove aveva
giocato per tante ore, devastata e sommersa da una distesa di foglie,
piante
sradicate e da tutto ciò che la tempesta aveva portato, e
sgranò gli occhi
nella consapevolezza. Ci sono solamente io. «Oh,
no…»
«Che
cosa c’è, tesoro?»
«C’era
un altro bambino con me…», mormorò
mentre si agitava e costringeva la madre a
posarlo a terra, «dov’è
andato?»
I
genitori si guardarono senza capire, e subito ritornarono a lui.
«Toshiki… cos’è
successo? Ti va di raccontarcelo?»
Il
bimbo si morse le labbra per un istante, consapevole di dover dare una
spiegazione al tempo passato lontano da loro: e sì,
raccontò di Ryo e di tutto quello
che era accaduto, o almeno così fece con la parte degli
avvenimenti prima
dell’incontro con i guardiani; da lì tacque il
resto, inventando di aver messo
il piede in una trappola e di essere svenuto per il dolore, e di
essersi
svegliato lì. Dai loro sguardi comprese che non erano
totalmente convinti della
seconda parte della vicenda, ma era anche abbastanza lucido per sapere
che
ancor meno avrebbero creduto alla verità; e se pure lo
avessero fatto, non
voleva comunque preoccuparli per qualcosa che era ormai lontano.
Però,
Ryo dov’era finito? Era la chiave della sua salvezza e sempre
grazie a lui era
giunto sulla spiaggia… perché non era
lì, al suo fianco?
«È
merito suo se sono qui», mormorò, «e non
so nemmeno come sta.»
«Noi
abbiamo trovato solamente te», gli disse il padre,
«ed è come se tu ci fosse
comparso davanti all’improvviso.»
«Che
cosa vuol dire?»
«…
È difficile da spiegare, però possiamo dirti che
siamo passati tre volte in
questo tratto prima di trovarti; e poi, girando lo sguardo, ti abbiamo
visto a
qualche metro da noi. Eppure, ne siamo sicuri, prima non
c’eri… sei sbucato dal
nulla.
Questo
bambino ha dei poteri come te, non è quello che hai detto
prima?»
«Sì,
ma non quello di spostarsi da un posto all’altro,
lui—»
Ricordati
quello che ti è accaduto laggiù…
qualche ora fa anche tu non avevi le stesse forze
che hai scatenato.
Rinunciando
a parlare ancora, Toshiki abbassò lo sguardo e
così facendo incontrò la ferita
che gli segnava la caviglia.
Non
ci credo che tu sia rimasto là, al posto mio. No…
sei andato a riprendere le
tue scarpe e ora ricomparirai.
Strinse
i pugni e alzò il volto, osservando il mondo devastato che
lo circondava, e
stirò la bocca in un’espressione amara.
Fatti
vedere, avanti.
Chiuse
gli occhi, rimase immobile fino a quando i genitori non lo pregarono di
farsi
condurre lontano da lì; con il cuore pesante dovette
accettare.
Ritorna
indietro, Ryo: ti sto aspettando.
…
Attese quasi una settimana prima che il suo desiderio si avverasse:
s’incontrarono tra la folla di una città priva di
voce marina, si trovarono
fianco a fianco e si riconobbero al solo contatto.
«Stai
bene anche tu, quindi», mormorò Minegishi prima di
girarsi verso di lui, senza
nascondere il sollievo.
«Sì,
anche se dopo averti portato sulla spiaggia mi sono trovato
direttamente a casa
mia.»
«Per
quello non mi hai mai sentito, allora.» Una pausa.
«Mi hai salvato.»
«Tu
l’hai fatto per due volte; e comunque non potevo lasciarti
laggiù. E credo che
sempre grazie a te ora abbia dei nuovi poteri.»
Toshiki
lo guardò, scoprì che l’altro faceva lo
stesso: anche se cieco, seppe che
questo riusciva a vederlo nel suo modo unico.
Si
persero nella medesima folla dopo qualche attimo; non prima, tuttavia,
di
comprendere che quell’avventura era lungi
dall’essere finita, e che il loro
viaggio insieme era appena iniziato: così che quando videro
la città marina per
la seconda volta, fu dopo anni d’incontri.
L’abitare
in due posti diversi non costituì mai un problema,
scambiarsi indirizzi e numeri
di telefono intrecciò le basi per una lunga relazione;
correre insieme sulle
spiagge fu ancora meglio.
In
quella breve vacanza provarono a ritornare nelle mura, ma il ricordo di
quanto
accaduto li distolse quasi subito dall’obiettivo; almeno fino
a quando Ryo non
scoprì che nel cuore di esse c’era solamente
silenzio.
I
guardiani sembravano essersi addormentati per sempre, la via era pronta
ad
accoglierli: ma per quel momento il tesoro avrebbe atteso ancora.
La
terza volta lì, invece, fu subito chiaro che la
realtà stava per mutare:
qualcosa li attendeva, molto più grande e al di
là delle loro forze.
Erano
giovani uomini che non potevano nulla contro le ombre che crescevano
insieme
alle capacità né avrebbero saputo sfuggire alla
più grande di esse, e che quindi
furono le prime vittime illustri di una lunga caccia; e tra i due fu
Minegishi a
sentir l’odore acre della tempesta in arrivo e a comprendere
che i giorni
dell’innocenza erano lontani, ma che non dovevano
dimenticarli completamente. «Facciamo
una promessa, Ryo», disse allora una sera, qualche ora prima
che un uomo
potente li trovasse, «promettiamo che resteremo insieme anche
nel buio.»
L’esper
cieco sorrise, conscio dell’importanza assoluta di quel
patto. «Lo abbiamo già
fatto quando niente ci legava, non smetteremo ora.»
«Prometti,
allora?»
«Prometto.»
«Prometto.»
Un silenzio consapevole, triste. «… Sai, credo che
stiano per giungere tenebre
davvero crudeli: e questa volta, i nemici saremo noi.»
NOTE
[1]
ONE non ha ancora specificato
l’età di nessuno dei due personaggi, ma
è
ipotesi diffusa nel fandom che entrambi siano sulla trentina e nati tra
Ottobre
e Novembre. Ribadisco l’assoluta non certezza di questo, ma
su Twitter mi sono
imbattuta in utenti giapponesi e americani che, credo, sappiano
qualcosa o
abbiano a disposizione materiale che in Italia non è ancora
arrivato. Comunque,
che sia una costruzione fanon o fondata, la trovo apprezzabile.
[42]
Ho il canon — e non solo io — che fiori e piante
siano influenzate dalle
emozioni di Minegishi.
[3]
Nome giapponese dell’Osmanto Odoroso, pianta dai fiori
profumatissimi.