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Autore: Manto    17/02/2020    0 recensioni
❤ Seconda classificata al contest "Il contest degli Haiku" indetto da Juriaka sul forum di EFP.
L'improvvisa lontananza da certe persone può coinvolgere più di quanto si mostri: far risuonare pezzi di sé che non trovano il proprio posto, creare solitudine e incompletezza.
A volte, però, è ancora più difficile se il ritorno altrettanto improvviso rischia di scatenare un nuovo caos, o se la distanza tra i cuori sembra essere divenuta troppa.
Può allora un passato comune riportare una qualche forma d'unione e dimostrare che non è mai troppo tardi per ritrovarsi?
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ryou Shimazaki, Toshiki Minegishi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II ~ Sole Ruggente

 

Ma lì dove c’è il pericolo,
Cresce anche ciò che salva.

 

Friedrich Hölderlin

 

 

Più di vent’anni anni prima[1].

 

«Toshi-chan
C’era una bellissima brezza, fresca e rigenerante: s’infilava sotto le vesti e allentava il morso della calura, rendendo quell’anomalo autunno più sopportabile. Il mare chiamava a sé, sia da breve che da lunga distanza, ed era difficile pensare a qualcosa che non fosse la sua voce.
«Fiorellino…»
Le mura dell’urbe si alzavano per affrontare la bellezza delle spiagge, ma erano inconsapevoli del loro armonizzarsi con esse in una visione suggestiva — specie sotto il cielo incendiato dal tramonto o, come in quel caso, indorato dal mezzogiorno.
«Mamma chiama Toshiki, mamma chiama Toshiki: Toshiki, rispondi!»
Finalmente, l’interpellato sollevò il capo dal libro che stava divorando pagina dopo pagina, fissando poi la donna che gli stava davanti. Questa lo guardò a sua volta, un dolce sorriso sul volto, e gli accarezzò i capelli. «Dobbiamo andare a casa, tesoro.»
Il bimbo si rabbuiò un poco, tornando a leggere subito dopo. «No, non voglio. Sto bene qui.»
«Lo so, ma è ora della pappa e papà ci sta aspettando.»
«Ma non è giusto, non abbiamo neanche fatto un bagno!»
«Questo perché qualcuno si è mangiato troppi biscotti e ha passato tutto il mattino a dormire o leggere…»
Toshiki fece una piccola linguaccia da dietro la sua protezione di carta, quindi l’abbandonò e scattò in piedi. Prima ancora che la madre potesse fermarlo, era già in corsa verso la riva a poca distanza e tra le basse, calme onde, le quali lo accolsero senza opposizione.
Il piccolo si rotolò nell’acqua cristallina e si rifiutò di uscire finché anche la donna non lo raggiunse, e allora le saltò in braccio per farsi coccolare e costringerla a restare con lui. Il sole scivolava sulla gobba del mare e appena incontrava la sua pelle si divideva in mille serpenti di luce, che lui guardava rapito come se potesse giocarci davvero e senza temere nulla.
«Ti stai divertendo molto? Se questo posto ti piace così tanto, l’anno prossimo ci ritorneremo.»
Il bimbo annuì, quindi abbracciò il collo dell’adulta con espressione supplicante. «Restiamo qui altri cinque minuti…»
«Oh no, pesciolino: ora che ti ho pescato, vado a metterti subito in padella.
Su, usciamo prima che papà si preoccupi.»
Toshiki tacque e si arrese, obbedì docilmente mentre l’acqua ruscellava giù dai capelli e gli solleticava la schiena. Il calore era ormai incontrastabile, ma lui non ci faceva caso.
«Sei felice, fiorellino?»
«Certo.» E come per confermare quello che aveva appena detto, ai piedi della madre spuntarono tre fiori dai colori delle onde più profonde[2].  «Eh sì… lo vedo», sorrise lei mentre stringeva a sé il suo bocciolo e il mare si addormentava, in attesa di un vivace pomeriggio e ignaro delle bianche nubi che iniziavano a imbiancare la sua superficie.

 

 

 

Non erano solamente le onde ad attrarre, lì: anche la piccola città che queste lambivano catturava l’attenzione e la meraviglia di chi varcava le sue mura.
La struttura semplice, ordinata e spaziosa insieme, ricca di angoli verdi quanto di costruzioni bianche ed eleganti, rendeva facile il perdersi in contemplazioni e nella pace delle vie rigonfie di fiori, mentre il crepuscolo tingeva case e persone della sua luce viola; e la cinta che abbracciava l’intero abitato, ultima rappresentante di un passato che non c’era più, era il luogo perfetto per perdersi in passeggiate o fantasie che cadevano nell’avventura: immaginazioni dove nella pietra si aprivano passaggi nascosti ai più, portali interdimensionali o scale che conducevano a tesori millenari.
I più grandi erano interessati alla sua storia, mentre i piccoli s’incantavano davanti al profumo d’antichità che quella lasciava spirare; e Toshiki non faceva eccezione alla regola.
La casa affittata per quelle vacanze permetteva di godersi la vista sia della cittadina che del mare, e di sera il bambino amava mettersi sulla terrazza per ammirare il panorama: specie al crepuscolo, quando la luna iniziava a salire e sorgeva da dietro quell’anello protettivo, come se abitasse nel suo grembo e questo la custodisse fino al calar del sole. Da giorni i sogni lo chiamavano là, spuntavano dai libri come i fiori che apparivano quando provava qualcosa d’intenso, e le vacanze stavano per giungere al termine: avrebbe dovuto muoversi, o la curiosità non se ne sarebbe mai andata.
«Va tutto bene? Sei silenzioso più del solito.»
Toshiki si godette la carezza che il padre gli diede, quindi lo guardò. «Sto bene», rispose, prima d’indicare le mura. «Quando andiamo a vederle?»
«Ci siamo andati anche ieri sera, piccolo.»
«Sì, ma quando le potremo visitare?»
«Non si possono visitare: non c’è niente da vedere al loro interno.»
«Quindi non era possibile abitarci?»
«Difficile dirlo con sicurezza, chi lo sa; forse all’inizio… ma non ci sono entrate che possano dircelo, e questa dovrebbe essere già una risposta.»
Il piccolo sospirò lievemente. «Allora non ci sono tesori da scoprire…»
«La città è stata costruita per i nobili: forse qualcosa da trovare c’è comunque.»
«Ci credi davvero?»
L’uomo sorrise. «Non dovrei farlo?»
Toshiki guardò il genitore con sguardo attento, poi accennò a sua volta un sorriso e da quel momento restò nuovamente in silenzio.
«Se vuoi restare ancora qui va bene, ma rimani sempre all’ombra, intesi?»
Lui annuì e dopo un’ultima occhiata alle mura chiuse gli occhi nel vento che aveva ricominciato a soffiare, accoccolandosi sul pavimento fresco. Si accorse di cadere nel sonno, ma non dei minuti che iniziarono a passare in tutta velocità; così che quando si svegliò si trovò a osservare la spiaggia e la vita che ospitava.
Il cielo era fosco e il mare mosso rispetto al mattino, carico di ombre verdi e blu; e da fresca l’aria era divenuta fredda, tanto che lui si raggomitolò ancora più strettamente nell’asciugamano che lo avvolgeva.
«Oh, il principino si è svegliato! Dormiglione, guarda che così ti perdi tutti gli ultimi giorni», sentì dire la voce della madre mentre si guardava intorno con leggera confusione, «e non eri tu che non volevi più uscire dall’acqua?»
«Ma ora fa freddo!»
«Vieni, andiamo al sole e vedrai che ti scalderai; e cerchiamo anche papà, è sceso in mare da un po’.»
Completamente sveglio dopo quelle parole, il bambino seguì la donna fin sulla riva. L’acqua era calda, ma per qualche ragione avrebbe preferito stare in spiaggia, lontano da essa.
«Lo vedi, per caso?»
Il bimbo scrutò tutto l’orizzonte, chiedendosi perché l’uomo avrebbe dovuto spingersi così al largo; quindi scosse il capo. «No, io non—»
«Preso.»
Ancor prima che potesse girarsi, le braccia del padre gli si chiusero intorno e lo sollevarono, scatenando urla di sorpresa e poi di entusiasmo mentre lo facevano vorticare; richiami e risate che sarebbero continuati ancora per parecchio tra giochi sulla riva, corse per prendersi a vicenda e bagni dove il fondale era troppo basso per spaventare.
Fu un pomeriggio di spensieratezza e calore, che donò anche la visione a distanza di qualche medusa e smorzò il desiderio di esplorare le mura; poi, all’improvviso, tutto mutò.
Accadde in pochissimo tempo: le onde iniziarono ad agitarsi maggiormente e a esse si unirono nubi veloci e oscure, che ricoprirono del tutto il cielo e distolsero la gente dalle proprie occupazioni, e il vento si levò ancora più forte, creando mulinelli di sabbia e frustando con rabbia chiunque o qualunque cosa trovasse sul cammino.
Il mare s’ingrosso ancora e un tuono spaventoso lo fece tremare — e Toshiki con lui, che d’istinto si aggrappò a entrambi i genitori.
«Presto», sentì dire dal padre mentre questi lo prendeva in braccio, «dobbiamo andarcene subito.»
«Sta per arrivare una tempesta, vero papà?»
Iniziò a piovere appena fece quella domanda: caddero gocce pesanti e nere come tutto ciò che li circondava, e nel giro di pochi attimi le nuvole si sfogarono in una bomba ghiacciata che trasformò il posto in un inferno. Il buio fu squarciato da fulmini; e, prima che tutti potessero mettersi al riparo, venne l’onda.
Il bimbo la vide arrivare ma non poteva fare nulla per contrastarla, così che quasi non si sorprese quando questa lo travolse e lo strappò dalle braccia del padre, trascinandolo in avanti. Il mondo prese a vorticare e lui perse i riferimenti spaziali, si confuse e smarrì mentre le orecchie si riempivano di mille suoni diversi: della voce del mare che rombava con tutta la sua furia e di quella dei genitori che lo chiamavano cercando di raggiungerlo, del canto feroce della pioggia sul capo e dello schiocco irato del tuono che l’acqua attutiva e poi liberava, a seconda che lo sommergesse o meno.
Le onde sembravano litigarselo e si portavano via le sue grida, aumentando la paura già grande e mostrando il proprio volto mortale; e quando infine lo sbatterono sulla riva, a tossire e sputare acqua salata, non per questo lui smise di tremare.
Incapace di reggersi in piedi subito, Toshiki riuscì almeno a portarsi a discreta distanza dalla loro forza; quindi si guardò intorno e cercò di comprendere qualcosa attraverso il pesante velo dell’acquazzone, sforzandosi per trattenere le lacrime e i pensieri impazziti.
«Toshiki! Toshiki, dove sei?»
Il bimbo si costrinse ad alzarsi e con tutta la sua disperazione corse nella direzione dalla quale proveniva l’altrettanto affranta voce dei genitori, incapace di vedere dove andasse realmente e ignaro del freddo che lo mordeva ovunque. Urlò in risposta, implorò e gridò di nuovo, ma non incontrò nessuno né i due adulti vennero avanti; e continuò a correre tra le raffiche di pioggia e vento, senza pensare un istante di fermarsi perché loro non potevano essere lontani, erano lì, lì…
Alla fine non li trovò; la cinta della città, invece, decise di proteggerlo e gli aprì il proprio ventre per accoglierlo.
Toshiki la scoprì solamente perché la pioggia si calmò per qualche attimo e lui se la trovò davanti: nella pietra intatta a pochi metri da sé, una fenditura troppo piccola perché un uomo ci passasse attraverso ma larga abbastanza per un bambino esile come lui. Fradicio e infreddolito, terrorizzato ma abbastanza lucido per sapere che doveva trovare immediatamente un riparo o sarebbe finita malissimo, Toshiki vi si gettò dentro graffiandosi gomiti e ginocchia, avanzando nella penombra fino a quando non andò a sbattere contro il muro a lui opposto; dopodiché vi si appoggiò con la schiena e si lasciò scivolare a terra, per poi stringersi su sé stesso e nascondere il viso sulle gambe.
I polmoni erano in fiamme per la lunga corsa e le gambe avevano degli scatti nervosi a causa dello sforzo sostenuto, la gola gli mandava fitte lancinanti e tremava tutto; ma era trovarsi solo, senza sapere quando la tempesta sarebbe finita né dove fossero i suoi genitori, a fargli male al cuore.

Ti prego, pioggia, calmati in fretta, ti prego! Voglio tornare a casa e non allontanarmi mai da mamma e papà, sarò ancora più bravo e obbediente…
Fammeli ritrovare. Ti prego.

Il bagliore di un lampo lo raggiunse, investendo ogni cosa di luce spettrale, e lui sperò che quella non fosse una risposta.
Ti prego…
«Fa freddo… tantissimo…»
Il bimbo sentì il suo stesso respiro bloccarsi e s’immobilizzò del tutto; quindi levò il capo, per poi addossarsi completamente alla parete dietro di sé e sentire i capelli rizzarsi in testa per lo spavento.
In piedi davanti a lui stava un’ombra più nera del buio in cui era immerso, di piccola statura, tesa a sfregarsi le braccia con energia e a pigolare con voce sottile. Un bambino, o…?
Tenere piante risposero al suo posto e fendettero il suolo, e mentre una parte di esse si ergeva a fargli da scudo, l’altra si avventò sulla figura estranea.
«Ahi… ehi, mi stai facendo male! Ma quante braccia hai?»
Toshiki rimase sorpreso da quella domanda come dal fatto che, calata un attimo la tensione, non aveva sentito alcun pericolo giungere dall’altro; quindi provò ad avvicinarsi e allungò le mani, incontrando quello che sembrava davvero il petto di una persona come lui.
«Non sono uno spirito, lo giuro! Sono solamente un bambino… e no, no, così mi fai il solletico! Smettila!»
Il piccolo esper ubbidì e fece ritrarre le piante, ma non si mosse da lì.
Una parziale schiarita del cielo lasciò entrare un poco di luce nell’ambiente, gli fece intravedere parte del volto e i capelli neri di chi gli stava di fronte: qualcuno all’apparenza più grande di lui e che, a giudicare dai tratti, sarebbe diventato molto bello — e che in quel momento era nelle sue stesse condizioni.
«Chi sei?»
L’altro non rispose subito, ma prima allargò la bocca in un silenzioso verso di sorpresa. «Oh, ma sei un bambino anche tu!»
«Ovvio, ti sembro forse un adulto?»
Il moro si rabbuiò un poco, per un istante soltanto. «Scusami… io non posso vedere», mormorò, «sono cieco.»
Toshiki sentì la voce morire in gola e non seppe come replicare. Prese il bambino per le braccia e lo tirò leggermente verso di sé, fuori dalla penombra: vide che teneva gli occhi serrati e dovette reprimere con forza la richiesta di aprirli, poi aggrottò la fronte in un dubbio improvviso. «Però sei riuscito a seguirmi e senza che io ti sentissi… come hai fatto?»
Il piccolo esitò un attimo, quindi fece un debole sorriso e alzò le mani come per difendersi. «Non riesco a vedere nulla, è vero, ma posso percepire ciò che mi circonda e prevedere i movimenti della gente, e questo mi aiuta spesso… specie se incontro una traccia luminosa come la tua. Mi hai salvato, perché mi sono trovato nella tempesta e non sapevo più dove andare fino a quando non ti ho sentito.
Anche tu hai dei poteri, quindi! Prima, per esempio, mi hai legato con… delle piante?»
«Sì.» Toshiki abbassò gli occhi sui polsi del bambino e notò i segni rossi lasciati da quelle; avvampò d’imbarazzo e colpa, anche se non lo aveva fatto di proposito. «Scusami se prima ti ho fatto male… ho avuto paura, e non so ancora controllarle bene.»
«Non fa nulla: io un po’ di paura ce l’ho ancora, sai.» Una pausa. «Odio i temporali, i tuoni mi fanno impazzire.» Un altro breve silenzio. «Io sono Shimazaki Ryo. Tu come ti chiami?»
«Minegishi Toshiki.»
Ryo annuì, quindi allungò entrambe le mani per toccare il volto di Toshiki, che si ritrasse un attimo ma poi lo lasciò fare.
«Profumi di kinmokusei[3]; mi piace molto.»
«È così da quando sono nato, dice papà… e anche la mamma.»
«… Erano anche loro in spiaggia, vero?»
«Sì, ma li ho persi.»

Che stiano bene, ti prego!
Il moro dovette sentire i suoi pensieri in qualche modo, perché staccò le mani dal suo viso e le appoggiò sulle spalle. «Non ti preoccupare, sono sicuro che li ritroverai. Io so che la mia mamma sta bene perché sono andato al mare da solo, mentre dormiva ancora; però non riuscirò a ritornare a casa, temo… non posso nemmeno descriverla.»
Toshiki tirò su con il naso, quindi si fece forza e ricacciò indietro le lacrime. «Quando sarà tutto finito cercherò di aiutarti, davvero.»
Un altro tuono li interruppe e fece sobbalzare Ryo, che si strinse di più a Minegishi. Questi si allontanò di più dalla fenditura e trascinò il moro con sé, e solamente allora si accorse di quanto lo spazio intorno fosse enorme, alto e sgombro da qualsiasi ostacolo.
Era nel luogo che aveva tanto desiderato vedere: eppure, avrebbe dato tutto perché questo non fosse successo — non a un prezzo simile.
In quel momento, Ryo si staccò da lui e girò su sé stesso. «Comunque, dove siamo? Questo odore è simile a quello della città, ma molto più vecchio.»
«Siamo nelle mura: ho trovato un passaggio e mi ci sono infilato dentro.»
Il moro sollevò le palpebre, rivelando vuote orbite nere, e fece un grande sorriso. «Oh, le mura! Allora, intanto che aspettiamo che il temporale finisca, possiamo cercare il tesoro del principe.»
Toshiki spalancò la bocca, stupito. «Tesoro?»
Il piccolo cieco annuì con forza. «Mamma una volta mi ha raccontato che queste mura erano collegate al palazzo di un principe straniero, ma che nessuno riusciva mai a vederlo o incontrarlo per molto tempo: spariva per ore e ore, e quando si mostrava aveva le dita ricoperte di polvere dorata.
Ha parlato di un passaggio segreto che gli consentisse di passare dalla sua abitazione a qui, ma non è stato trovato… forse alla gente non interessa; ma a me sì, tantissimo.»
«È una leggenda o c’è qualcosa di vero?» Sai bene che tutte le storie, anche le più fantasiose, sono un po’ reali. E pure papà ha detto che questa città di nobili può riservare sorprese…
«Possiamo scoprirlo!» Il moro tacque, fece una pausa riflessiva che smorzò l’energia con cui aveva parlato fino a un istante prima. «Però… se ci fossero altri passaggi uguali a questo e andassimo troppo avanti, potremmo perderci o non trovare più l’uscita giusta…»
Minegishi rimase in silenzio e si guardò intorno per quanto la debole luce glielo permetteva, per poi passare a osservarsi: non avevano altro che i loro vestiti o costumi, e lui era a piedi nudi; ma Ryo indossava scarpe rosse, visibili anche da una certa distanza. Da lì trovò la soluzione. «Togliti le scarpe: lasciale qui come riferimento, così sapremo da dove uscire.»
«Buona idea!»
«Anche se c’è troppo buio per vedere bene, e non è una buona cosa.»
Il moro accennò una smorfia che non voleva essere di scherno, ma di pura consapevolezza. «Non ti preoccupare», gli disse mentre lo prendeva per mano e risolvendo a sua volta il problema, «ti guiderò io nell’oscurità. Te l’ho detto: i miei poteri mi aiutano a percepire i movimenti delle persone e ciò che ho intorno, ci aiuteranno loro.»
Toshiki non replicò e decise di affidarsi a lui; fuori dalle mura, la tempesta aveva ripreso a infuriare e preferiva non pensarci troppo.
Iniziarono insieme il viaggio nelle tenebre, tenendosi vicini per non perdere il contatto e scaldarsi un poco, cercando d’impegnare il tempo a parlare di ciò che veniva loro in mente e caricandosi a vicenda con l’entusiasmo della ricerca; e a mano a mano che luce spariva del tutto, Minegishi sentiva gli altri sensi acuirsi per meglio percepire odori e suoni.
Shimazaki era comunque una guida sicura, che affrontava il velo oscuro innanzi a sé con la stessa tranquillità con cui lui camminava nel sole, e questo lo calmava un poco e lo riempiva d’ammirazione. Dev’essere dura non vedere altro che buio, pensò infatti più di una volta, ma sembra che tu sappia comunque cavartela.
Proseguirono nella direzione che avevano scelto per minuti interminabili; ma appena prima che le mura iniziassero a incurvarsi, Ryo si fermò e impedì a Minegishi di andare a sbattere contro la parete innanzi a loro. «Da qui non si prosegue», disse come per scusarsi.
Tornarono indietro e passarono nuovamente dal punto di partenza, per poi procedere nella direzione opposta e addentrarsi in una nuova oscurità: ma ben presto il moro si bloccò nuovamente, questa volta con un grido strozzato. «C’è… c’è qualcosa che non va, davanti a noi: la strada è sbarrata, ma non da una parete.»
L’esper delle piante trattenne il respiro a sua volta, quindi gli strinse la mano che non aveva mai lasciato. «Che cosa senti?»
Shimazaki non rispose immediatamente, ma prima si nascose dietro di lui. Toshiki lo sentì tremare spaventosamente. «Sono tanti», udì poi mormorare, «e non sono umani. Sembrano animali, li sento ringhiare e dirci di andarcene prima che sia troppo tardi… non vogliono farci proseguire.»
«Si stanno muovendo?»
«No, sono immobili come statue.»
Minegishi aggrottò la fronte. «Forse lo sono.»
«Hanno dei poteri: posso percepirli. Come se uno spirito fosse intrappolato dentro di loro e ci stesse minacciando.»
«Va bene, non temere: torniamo indietro.»
Ryo fu ben contento di sentire l’amico indietreggiare e non si staccò di un centimetro dalla schiena dell’altro, che lo lasciò fare mentre rifletteva. Statue che sembravano possedere un’anima… dei guardiani, forse?
Molte storie parlavano di protettori di re e tesori che custodivano le tombe dei primi e la ricchezza dei secondi, i quali dovevano sottostare per millenni al volere dei loro padroni e neutralizzare ogni possibile minaccia: era questo il loro compito e avrebbero fatto qualsiasi cosa per rispettarlo, anche eliminare dei bambini. Probabilmente il misterioso principe aveva anch’egli dei poteri e aveva costruito un esercito di pietra per tenere lontani i curiosi dai propri segreti, e i suoi soldati erano pronti a rispondere di conseguenza.
«Ma noi non siamo qui per rubare nulla», disse allora lui ad alta voce, «vogliamo solamente scoprire la verità. Il nostro più grande desiderio è tornare a casa, non prendere ciò che non ci appartiene.»
Un fruscio accolse quelle parole, davanti a sé e non dietro; e l’esper cieco ebbe un sobbalzo. «Non-non riesco a muovermi», sibilò nel terrore, e Toshiki non riuscì a rispondere perché anche lui era stato immobilizzato da una forza estranea, mentre le sue orecchie iniziavano a percepire il suono d’innumerevoli passi in avvicinamento.
Era il classico rumore prodotto da un grosso animale, e a mano a mano che quelli si avvicinavano i bimbi sentivano onde di brividi ghiacciati scivolare lungo tutta la schiena. Trattennero il respiro quando udirono le sconosciute entità fermarsi a qualche passo da loro, con uno sforzo immane riuscirono ad afferrarsi le mani e le strinsero in attesa del risvolto peggiore.

“Non c’è nulla per voi, piccolini. Lasciate in pace questo luogo.”
«Non vo-volevamo far nu-ulla di male…»
“Tornate indietro o vi uccideremo.”
Toshiki chiuse gli occhi in una smorfia di paura quando udì quelle parole nella mente, quindi percepì alcune piante reagire alle sue emozioni e spuntare dal suolo in difesa; immediatamente, gli altri indietreggiarono.
“Cosa sono questi?”
“Hai anche tu dei soldati a tua disposizione?”

“Chi sei?”
Minegishi non osò rispondere, ma rimase in ascolto degli esseri che riprendevano ad avanzare e si fermavano in prossimità delle piante. Comprese che erano interessate e insieme intimorite da quelle.
“Richiama i tuoi servitori e andatevene, tutti e due. Non potete passare.”
I vegetali schioccarono al suono di quel pensiero, così che il buio si riempì di ringhi spaventosi e fitte lancinanti percorsero l’intero corpo dell’esper quando opposte energie lo riempirono.
“Richiamali!”
Toshiki gridò e, rompendo l’immobilità imposta, si prese la testa tra le mani mentre questa si popolava di voci e il proprio terrore si fondeva con quello di Ryo e dei guardiani; le creature arboree compresero la sua sofferenza e frustarono l’aria, furiose.
“Portali via, non osare proseguire!”
«Ascoltiamoli, Toshiki…»
“Via!”
«Dobbiamo scappare!»
“Non puoi farcela.”
«Ho paura, andiamocene via!»
“Tu—”
«STATE TUTTI ZITTI!»
Nel momento in cui il bimbo urlò, la terra tremò e fece barcollare tutti coloro che la calpestavano: un istante dopo, centinaia di fiori enormi spuntarono da essa, scatenati da un potere infinitamente più forte rispetto a quello che fino ad allora lui aveva posseduto, e si avventarono sugli oppositori con impeto assetato di battaglia.
Toshiki si sentì sbalzato in avanti insieme a Ryo e dopo qualche attimo si ritrovò a correre verso una direzione che non poteva riconoscere, trascinando il moro con sé in una fuga disperata.
Alle loro spalle s’inseguivano le grida più orrende che avesse mai udito, ma non si fermò fino a quando non udì Shimazaki piangere sonoramente e vincere tutti gli altri suoni. Solamente allora si bloccò e voltò, accogliendo il compagno tra le braccia e stringendolo forte. «Stai bene?», gli mormorò.
L’altro si divincolò per liberarsi, indietreggiando poi di un passo. «I tuoi poteri…», mormorò tra i singhiozzi, «… che cosa hai fatto?»
Minegishi tacque, senza sapere cosa rispondere: era successo tutto così rapidamente che neppure lui riusciva a comprenderlo appieno. Tremava, ma la corsa non aveva niente a che fare con questo; e si sentì girare la testa e le gambe cedere fino a farlo sedere pesantemente al suolo. Inoltre, provava un’enorme colpa per aver spaventato Ryo. «Mi dispiace», mormorò partendo da ciò, «ti ho fatto paura.»
«Sì», replicò l’altro, «tantissima: davvero non sapevi di poter…» Esitò, quindi si riavvicinò di nuovo e s’inginocchiò di fronte a Toshiki. «Però… ci hai anche salvato», rivelò mentre si sfregava gli angoli degli occhi, «e ti ringrazio. Ma non rifarlo, per favore: non urlare più così.»
L’esper delle piante respirò a fondo, asciugandosi la fronte madida di sudore, e trovò la forza per mormorare un assenso.
«Sai dove siamo, comunque?»
Anche nel buio riconobbe che Shimazaki era smarrito quanto lui; ma dopo alcuni attimi questi si riebbe. «Abbiamo superato quelle cose», esclamò, «i tuoi amici ci hanno permesso di avanzare per un bel pezzo. Eppure non percepisco nulla sul nostro cammino… che cosa stavano proteggendo?»
«Qualcosa d’importante di certo. Li hai sentiti anche tu i guardiani, no? Erano decisi a scacciarci, anche a costo di ucciderci. Il principe era ben deciso a non far avvicinare proprio nessuno.»
«Sì, è vero, ma la strada è libera, completamente vuota.»
Minegishi provò ad alzarsi, ma fu costretto a sedersi nuovamente. Shimazaki lo prese sotto le ascelle e lo aiutò a sollevarsi, tenendolo poi appoggiato a sé. «Devi riposare.»
«Sì, ma non qui: loro potrebbero ritornare.»
«Andiamo, allora: ti tengo io.»
L’esper delle piante sorrise tra sé. «Non ti farò più spaventare, promesso.»
«Se lo farai io correrò via e ti lascerò indietro, da solo: sei avvisato.»
«Me lo ricorderò.»
Senza più parlare, il moro si calmò completamente e riprese ad avanzare sobbarcandosi gran parte del lavoro, cercando in ogni modo di far sforzare il meno possibile il compagno. Ci riuscì per un tempo che Minegishi, con la mente che diventava via via più leggera per la stanchezza, non poté quantificare; ma quando l’esper cieco si fermò e si appoggiò contro una parete, lui non ebbe da obiettare. «Sei troppo magro per portare entrambi», gli disse comunque per scherzo.
«Non prendermi in giro! Posso contarti le costole, e sono pure più alto!»
«Scommetto che ti raggiungerò in pochissimo tempo.»
«E io scommetto di no!»
«So anche dove soffri il solletico.»
«… Questa te la faccio pagare.» Una pausa. «Il temporale…»
«Hmmm? C’è qualcosa che non va?»
«Non sento il rumore della pioggia, né i tuoni.»
Era vero: fuori da lì, il mondo si era quietato. Questo diede a Minegishi abbastanza energia per poter compiere un ultimo sforzo. «Dobbiamo riprendere, allora, trovare un’altra uscita e…»
«Toshiki.»
D’istinto, il bambino si voltò dal lato opposto a quello dove si trovava Shimazaki; appena lo fece, un respiro caldo e inumano lo investì.

“Nessuno ci sfuggirà mai.”
«Toshiki, loro sono qui.»
«… Lo so.» Come prima, rimase immobile; ma questa volta non sarebbe giunto niente e nessuno a salvarli.
In qualche modo, uno dei guardiani era stato abbastanza fortunato da riuscire a vincere lo scontro e sufficientemente silenzioso da seguirli senza essere percepito; loro, invece, erano semplicemente spacciati — o meglio, lui lo era… ma non Ryo.

Lui si era voluto fermare, mentre Ryo sarebbe tornato indietro; lui aveva sfidato le creature, mentre Ryo le avrebbe rispettate. Lui avrebbe pagato per questo, ma senza permettere che la stessa cosa accadesse al moro.
Lo aveva appena pensato che ci fu un guizzo, un lampo nel buio, e si sentì afferrare alla caviglia e tirare indietro con uno strattone doloroso.

“Hai osato troppo.”
«Riesci a muoverti… Ryo?»
«S-sì, più o meno.»

Fortuna. «Allora, per quanto possa far male, mettiti a correre: io…» S’interruppe, la presa sul piede aumentò. «… Io non posso più.»
Si sentì sfiorare la mano dall’altro, ma rifiutò il contatto. «Scappa, avanti. Ti ho promesso che non ti avrei più spaventato: allontanati prima che possa mettermi a urlare.»
Udì chiaramente il compagno indietreggiare. «Ma… ma tu non…»
Minegishi fece per replicare, ma prima gli scappò un mugolio quando le zanne della creatura affondarono nella carne. «Corri!»
«No!»
«Non puoi restare qui… devi andare.»

“Illusi.”
«Toshiki…»
«Non ascoltarlo, vai.» Anticipando l’ennesima protesta e provando a non pensare al dolore che ne sarebbe seguito, il piccolo chiuse gli occhi e prese un forte respiro, incanalando tutte le energie che restavano in una mossa disperata: le piante risposero debolmente, ma afferrarono comunque l’esper cieco e lo spostarono diversi metri più avanti. Un’ultima azione che non sarebbe valsa a nulla contro il guardiano che in quel momento si apprestava a trascinarlo verso i compagni, ma che forse avrebbe salvato quell’altro ostinato… come sperò che l’incoscienza se lo prendesse prima che venisse fatto a pezzi, o almeno di non patire troppo.
Il freddo s’intensificò e il dolore diminuì: stava per finire tutto, e non aveva salutato un’ultima volta nessuna delle persone a cui teneva.
Era ingiusto.

Mi dispiace. Mamma, papà, non volevo farvi soffrire così…
Vi voglio tanto bene.

Chiuse gli occhi e lasciò che tutte le lacrime della giornata si riversassero libere, perché ormai non aveva più senso trattenerle; e si concentrò talmente tanto su questo che solo all’ultimo udì quei lievi passi in corsa.
Oh no, pensò allora con orrore, no no no… 
«Non abbandono chi mi ha salvato per due volte», urlò Ryo a pochi centimetri da lui, «mettetevelo tutti in testa!»

“Siete più stupidi di quanto sembriate.”
Il guardiano smise d’interessarsi a Toshiki e gli liberò la caviglia. Quest’ultimo urlò quando lo sentì balzare per afferrare Shimazaki, e fu allora che il moro lo afferrò per entrambe le mani e tutto il mondo iniziò a mutare, per poi esplodere in una bolla di luce che poté appena intravedere prima di perdere i sensi.
È questa la fine, dunque?

 

 

«TOSHIKI!»
«Tesoro, calmati…»
«Ma hai visto la sua ferita? Ha addosso i segni di un morso, è stato attaccato da qualcosa!»
«Lo vedo anch’io, ma sta respirando normalmente e… oh, ha aperto gli occhi! Riesci a sentirci, fiorellino?»
Il piccolo sollevò e abbassò le palpebre due volte; quindi riconobbe gli sguardi che lo osservavano con ansia e trepidazione, e sorrise. «Mamma… papà.»
I due adulti sorrisero a loro volta e lo abbracciarono sollevandolo, così che scoprì che fino a quel momento aveva dormito tra le braccia della donna e … aspetta, ma dov’era? Si era salvato, o…
«Va tutto bene, tesoro», gli disse il padre, «ora sei al sicuro.»
Il bimbo gettò uno sguardo intorno a sé: a fatica riconobbe la spiaggia dove aveva giocato per tante ore, devastata e sommersa da una distesa di foglie, piante sradicate e da tutto ciò che la tempesta aveva portato, e sgranò gli occhi nella consapevolezza. Ci sono solamente io. «Oh, no…»
«Che cosa c’è, tesoro?»
«C’era un altro bambino con me…», mormorò mentre si agitava e costringeva la madre a posarlo a terra, «dov’è andato?»
I genitori si guardarono senza capire, e subito ritornarono a lui. «Toshiki… cos’è successo? Ti va di raccontarcelo?»
Il bimbo si morse le labbra per un istante, consapevole di dover dare una spiegazione al tempo passato lontano da loro: e sì, raccontò di Ryo e di tutto quello che era accaduto, o almeno così fece con la parte degli avvenimenti prima dell’incontro con i guardiani; da lì tacque il resto, inventando di aver messo il piede in una trappola e di essere svenuto per il dolore, e di essersi svegliato lì. Dai loro sguardi comprese che non erano totalmente convinti della seconda parte della vicenda, ma era anche abbastanza lucido per sapere che ancor meno avrebbero creduto alla verità; e se pure lo avessero fatto, non voleva comunque preoccuparli per qualcosa che era ormai lontano.
Però, Ryo dov’era finito? Era la chiave della sua salvezza e sempre grazie a lui era giunto sulla spiaggia… perché non era lì, al suo fianco?
«È merito suo se sono qui», mormorò, «e non so nemmeno come sta.»
«Noi abbiamo trovato solamente te», gli disse il padre, «ed è come se tu ci fosse comparso davanti all’improvviso.»
«Che cosa vuol dire?»
«… È difficile da spiegare, però possiamo dirti che siamo passati tre volte in questo tratto prima di trovarti; e poi, girando lo sguardo, ti abbiamo visto a qualche metro da noi. Eppure, ne siamo sicuri, prima non c’eri… sei sbucato dal nulla.
Questo bambino ha dei poteri come te, non è quello che hai detto prima?»
«Sì, ma non quello di spostarsi da un posto all’altro, lui—»

Ricordati quello che ti è accaduto laggiù… qualche ora fa anche tu non avevi le stesse forze che hai scatenato.
Rinunciando a parlare ancora, Toshiki abbassò lo sguardo e così facendo incontrò la ferita che gli segnava la caviglia.
Non ci credo che tu sia rimasto là, al posto mio. No… sei andato a riprendere le tue scarpe e ora ricomparirai.
Strinse i pugni e alzò il volto, osservando il mondo devastato che lo circondava, e stirò la bocca in un’espressione amara.
Fatti vedere, avanti.
Chiuse gli occhi, rimase immobile fino a quando i genitori non lo pregarono di farsi condurre lontano da lì; con il cuore pesante dovette accettare.

Ritorna indietro, Ryo: ti sto aspettando.

 

… Attese quasi una settimana prima che il suo desiderio si avverasse: s’incontrarono tra la folla di una città priva di voce marina, si trovarono fianco a fianco e si riconobbero al solo contatto.
«Stai bene anche tu, quindi», mormorò Minegishi prima di girarsi verso di lui, senza nascondere il sollievo.
«Sì, anche se dopo averti portato sulla spiaggia mi sono trovato direttamente a casa mia.»
«Per quello non mi hai mai sentito, allora.» Una pausa. «Mi hai salvato.»
«Tu l’hai fatto per due volte; e comunque non potevo lasciarti laggiù. E credo che sempre grazie a te ora abbia dei nuovi poteri.»
Toshiki lo guardò, scoprì che l’altro faceva lo stesso: anche se cieco, seppe che questo riusciva a vederlo nel suo modo unico.
Si persero nella medesima folla dopo qualche attimo; non prima, tuttavia, di comprendere che quell’avventura era lungi dall’essere finita, e che il loro viaggio insieme era appena iniziato: così che quando videro la città marina per la seconda volta, fu dopo anni d’incontri.
L’abitare in due posti diversi non costituì mai un problema, scambiarsi indirizzi e numeri di telefono intrecciò le basi per una lunga relazione; correre insieme sulle spiagge fu ancora meglio.
In quella breve vacanza provarono a ritornare nelle mura, ma il ricordo di quanto accaduto li distolse quasi subito dall’obiettivo; almeno fino a quando Ryo non scoprì che nel cuore di esse c’era solamente silenzio.
I guardiani sembravano essersi addormentati per sempre, la via era pronta ad accoglierli: ma per quel momento il tesoro avrebbe atteso ancora.
La terza volta lì, invece, fu subito chiaro che la realtà stava per mutare: qualcosa li attendeva, molto più grande e al di là delle loro forze.
Erano giovani uomini che non potevano nulla contro le ombre che crescevano insieme alle capacità né avrebbero saputo sfuggire alla più grande di esse, e che quindi furono le prime vittime illustri di una lunga caccia; e tra i due fu Minegishi a sentir l’odore acre della tempesta in arrivo e a comprendere che i giorni dell’innocenza erano lontani, ma che non dovevano dimenticarli completamente. «Facciamo una promessa, Ryo», disse allora una sera, qualche ora prima che un uomo potente li trovasse, «promettiamo che resteremo insieme anche nel buio.»
L’esper cieco sorrise, conscio dell’importanza assoluta di quel patto. «Lo abbiamo già fatto quando niente ci legava, non smetteremo ora.»
«Prometti, allora?»
«Prometto.»
«Prometto.» Un silenzio consapevole, triste. «… Sai, credo che stiano per giungere tenebre davvero crudeli: e questa volta, i nemici saremo noi.»

 

 

 

 

NOTE

 

 

 

[1] ONE non ha ancora specificato l’età di nessuno dei due personaggi, ma è ipotesi diffusa nel fandom che entrambi siano sulla trentina e nati tra Ottobre e Novembre. Ribadisco l’assoluta non certezza di questo, ma su Twitter mi sono imbattuta in utenti giapponesi e americani che, credo, sappiano qualcosa o abbiano a disposizione materiale che in Italia non è ancora arrivato. Comunque, che sia una costruzione fanon o fondata, la trovo apprezzabile.

 

[42] Ho il canon — e non solo io — che fiori e piante siano influenzate dalle emozioni di Minegishi.

 

[3] Nome giapponese dell’Osmanto Odoroso, pianta dai fiori profumatissimi.

   
 
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