"Questa storia partecipa alla
Valentine's Day Run indetta
dal forum Piume d'Ottone".
Prompt: 1 - Glow!AU (quando si
è vicino alla propria anima
gemella per la prima volta il petto si illumina).
Cap. 6 La luce del cuore
Sono io al timone,
sono io il padrone del mio mare, oh-ooh
La luce della lampadina, tremante,
era circondata da falene,
ed illuminava l’ufficio in penombra.
La lampada sul soffitto era fulminata
e la tapparella rotta,
che ricadeva storta, filtrava le luci della città, lasciando
entrare qualche
spiraglio colorato.
Holmes era seduto in poltrona, con la
schiena appoggiata al
sedile. Indossava un completo nero e un cappello a falde larghe gli
copriva in
parte il viso aguzzo, dal naso pronunciato. Si grattò il
mento tagliente ed
ispirò dalla sua pipa, espirando il fumo dalle narici.
Teneva i piedi appoggiati sulla
scrivania, con i talloni
sopra un dossier ingiallito, e le gambe incrociate.
Sprofondò nella poltrona,
scendendo più in basso. Il suo
volto, particolarmente lungo, aveva dei riflessi vermigli dovuti alla
brace
della pipa.
< Nessun caso ormai da due
settimane. La mia vita è di
nuovo diventata monotona, appiattita in un grigiore ripetuto. I volti
delle
persone si confondono e i dettagli danzano davanti a me, pronti a far
sprofondare
ciò che rimane della mia sanità mentale >.
Si deterse le labbra sottili con
la lingua, facendo delle smorfie.
La lampada sulla scrivania si
fulminò, con uno scoppiettio e
un bagliore, lasciandolo completamente al buio. Imprecando a mezza
voce, si piegò
in avanti, facendo cadere un po’ del tabacco della pipa sul
pavimento lercio.
Frugò nei cassetti e,
tastando con le dita adunche, riuscì a
trovare una candela. Recuperò dal taschino un accendino
d’oro, su cui risaltava
lo stemma della casata Holmes, e l’accese. Si
scottò le dita e la mise nella
tazzina del caffè, ancora un po’ sporca di
zucchero.
Tornò a sprofondare nella
poltrona.
La luce della candela
illuminò una siringa abbandonata su un
laccio emostatico, accanto a quest’ultima c’era un
cofanetto di metallo con
della polverina candida.
< Ho bisogno di applicare la
mia mente, di trovare un
colpevole, di rimuovere ogni informazione non essenziale >
implorò. Si
grattò gli zigomi pronunciati, su cui colava del sudore
gelido. Lo stesso che
percorreva la sua schiena, inumidendogli la camicia.
La sua spina dorsale, come il resto
delle ossa, premeva
sulla pelle ed era ben visibile dal collo in giù.
La porta, su cui si erano staccate in
parte le lettere del
suo nome, le stesse riportate su una targhetta dorata abbandonata su un
divano
sfondato, si aprì con un cigolio.
“S-scusi… Trovo
qui il signor Holmes?” domandò un uomo,
entrando. Era appoggiato ad un bastone, i capelli ricadevano su un viso
segnato
dal tempo.
< Un soldato, sicuramente. In
congedo permanente, a
giudicare dai troppi indizi. Per non parlare del fatto che è
un medico fin
nelle ossa > rifletté Holmes.
“Mi hanno detto che cercava
un coinquilino con cui dividere
le spese del suo appartamento” biascicò lo
sconosciuto.
I suoi occhi incontrarono quelli di
Sherlock, febbricitanti.
Holmes si portò una mano
al petto e rabbrividì, scottandosi.
< Sembra che la mia defunta
lampadina si sia accesa nel
mio cuore. Il mio petto non è solo bollente, ma brilla
> rifletté.
“N-non è
possibile” esalò Watson, vedendo che anche il suo
petto risplendeva.
Sherlock si alzò in piedi.
“Secondo la cultura
corrente, lei è venuto qui per molto di
più che un appartamento. Crede nei soulmates? Dicono che
quando s’incontra la
propria anima gemella la prima volta il petto
s’illumina” disse.
Watson arrossì.
“C-ci credo…
Ecco io… Ci dev’essere un errore,
però…”
balbettò.
Sherlock posò la pipa
sulla scrivania e lo raggiunse.
“Posso sapere il suo
nome?” domandò.
“John”
esalò Watson, con aria sconcertata.
“Sherlock Holmes,
piacere” si presentò Sherlock.