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Autore: Storytime_Love    19/02/2020    0 recensioni
Alec si trasferisce in un nuovo liceo, uguale a tenti altri tranne che per la presenza di un gruppo di ragazzi speciali, la corte dei dorati, guidati da un Re e una Regina. Bellissmo, carismatico, forte e inavvicinabile per Alec Magnus Bane non è un re ma un drago, il suo drago.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Trial


Il giorno del processo Alec era forse più nervoso di Magnus stesso. Nonostante le rassicurazioni di quest'ultimo continuava a essere preoccupato, Magnus sottovalutava l'impatto emotivo del vedere Jeffrey.
Per l'occasione Magnus aveva scelto un look sobrio, almeno per quanto gli era possibile: camicia nera, completo verde militare con giacca alla coreana e pochette nera e rossa, niente collane e un unico orecchino all'orecchio sinistro. Fuori dal tribunale trovarono un capannello di persone venute a dargli supporto psicologico: oltre a Indah Bane c'erano i suoi due migliori amici del liceo, Catarina e Ragnor, alcuni collaboratori dell'atelier e un bel ragazzo messicano sui diciotto anni dall'aria cupa e un po' imbronciata.

Appena lo vide Magnus lo avvolse in un abbraccio dal quale il giovane cercò subito di districarsi.
“Raphael, sono così contento di vederti! Anche se non dovrebbe volerci un processo per passarmi a trovare”. Alec era rimasto qualche passo indietro, stupito dalla reazione così espansiva di Magnus. Il ragazzo era molto attraente anche se, almeno per i suoi canoni, troppo giovane. Che fosse una vecchia fiamma?
Magnus non sembrava minimamente in imbarazzo quando si voltò verso Alec e li presentò:
“Raphi, lui è Alexander, il mio unico amore, te ne avevo parlato vero?”
Il ragazzo rispose alzando gli occhi al cielo: “Sì Magnus, almeno un centinaio di volte”.
“E Alec, questo è Raphael Santiago, il mio figlio adottivo”.
“Non sono tuo figlio Magnus! Smettila con questa storia che mi fai senso!”
L'uomo rise e spiegò: “Questo ragazzino è apparso sulla mia porta...”
“Era l'atelier, non la tua porta”.
“... quattro anni fa, aveva appena quattordici anni ed era già carino da morire. Cercava lavoro come modello, in foto sembrava più grande e con quegli occhioni profondi e il faccino imbronciato era perfetto. Poi una mattina ho scoperto che a fine giornata si nascondeva nel bagno e, appena erano andati via tutti, dormiva sul divano. Cosa dovevo fare? Me lo sono portato casa...”
“Magnus ti assicuro che non sono mai stato un dannatissimo gattino bagnato”.
“Dai Raphi, non te la prendere, è una bella storia”.
“No, non lo è, e sai una cosa? Vi saluto e ci vediamo dopo”.
Magnus rise e si rivolse ad Alec: “Cosa ti posso dire, è adorabile quando fa il duro!”
Alec scosse la testa. Questo era un lato di Magnus che non aveva mai visto ma che si addiceva perfettamente al suo modo di intendere la vita. Un ragazzino aveva bisogno di una mano e lui si faceva in quattro per aiutarlo. Chissà quanto tempo era rimasto a casa sua?
“Un po' più di due anni, non voleva ovviamente, ma anche quando ha cominciato a guadagnare non potevo lasciare che abitasse da solo, era troppo giovane, non credi? Pensa che quando è venuto da me era convinto che volessi qualcosa in cambio,” disse alzando il sopracciglio. “Aveva avuto una vita terribile, il padre abusava di lui da quando aveva sette anni, ogni uomo era un pericolo. Ci è voluto un bel po' prima che iniziasse a fidarsi, mi sembrava di essere il Piccolo Principe con la volpe”.
“Mi sembra ancora un po' scontrosa la tua volpe...”
“Sembra. In realtà stravede per me come io per lui, solo non lo vuole ammettere”.
Sarà. La volpe, schiva e guardinga, e il drago d'oro, forte e lucente, erano un'accoppiata a dir poco improbabile.

Mentre Magnus parlava con la madre, Alec vide arrivare Isabelle.
“Izzy! Cosa ci fai qui?”

“Supporto morale” scherzò lei. “Dopo quello che mi hai detto l'altro giorno, ho pensato che almeno qualcuno della famiglia dovesse darvi il beneficio del dubbio”.
“Sempre così gentile! Non capisco come faccia Simon a non averti ancora messo l'anello al dito!” disse Alec guadagnandosi una linguaccia. “Comunque grazie, davvero”.
“Wow Alec, chi è questo schianto!”
“Giù le mani dalla mia sorellina Magnus! Hai già un Lightwood, fattelo bastare”.
Magnus rise e gli posò un bacio sulla guancia, poi si rivolse a Isabelle con un piccolo inchino: “Enchanté! Adesso capisco perché Alec ti teneva nascosta. Se non avessi visto sia te che Jace al liceo avrei cominciato a pensare che foste frutto della sua illimitata fantasia”.
“Fantasia? Alec?”
“Oh mia cara, Alexander ha un sacco di fantasie...”
Mentre cercava un buco per seppellirsi, Alec guardava il suo ragazzo e sua sorella ridere insieme. Beh, sono contento che vadano d'accordo. Suppongo. Se solo il loro divertimento non consistesse nel prendere in giro me...

Poco dopo la piccola folla si aprì per permettere il passaggio a un ragazzo scortato da due poliziotti. Dietro di loro una donna in lacrime si appoggiava al marito. Jeffrey Harp e i suoi genitori.
Il processo era stato intentato dal proprietario del negozio, il signor Barnaby, che aveva poi chiesto a Magnus di firmare l'accusa senza la quale l'imputato avrebbe potuto essere condannato solo per danneggiamento di proprietà privata e guida pericolosa. Magnus aveva firmato subito: l'uomo che lo aveva quasi ucciso non poteva andarsene in giro impunemente.

All'ingresso del tribunale il gruppo si divise: Magnus andò con il signor Barnaby e l'avvocato dell'accusa a prendere posto al banco, Indah Bane fu accompagnata in un'altra stanza con tutti i testimoni: per garantire l'imparzialità delle dichiarazioni i testimoni non potevano assistere al processo.
Alec e Isabelle entrarono insieme a Ragnor e Catarina. Raphael era già dentro e Alec notò che si era seduto appena dietro a Magnus. Forse il ragazzo gli era davvero affezionato.

Il processo ebbe inizio, l'avvocato dell'accusa prese la parola: al giorno d'oggi i ragazzi sono sempre più irresponsabili, viziati, abituati ad averla vinta su tutto, a ottenere ogni cosa senza sforzo. Per questo è importante che i loro errori, soprattutto quelli che impattano sugli altri, vengano trattati con la giusta fermezza. L'imputato, con la sua guida pericolosa e irresponsabile, aveva rovinato la vita di una persona e distrutto un negozio. Non solo l'uomo che aveva investito aveva rischiato la vita, ma era rimasto menomato in modo permanente. L'avvocato intendeva provare che le ferite del signor Bane avevano avuto gravi ripercussioni psicologiche e che la responsabilità dell'imputato andava ben oltre i meri danni tangibili.
Poi toccò alla difesa: l'imputato era solo un ragazzo, aveva la patente da poco. Un piccolo incidente capita a tutti, era stata sfortuna che in quel momento ci fosse un passante. Inoltre, sebbene il suo cliente avesse urtato la vittima, non era stato lui a ferirlo al volto. La ferita era stata la conseguenza di una vetrina ormai vecchia e poco sicura: con un nuovo vetro anti-sfondamento le lesioni sarebbero state molto più lievi. Per finire, si poteva vedere che nonostante la ferita all'occhio, il signor Bane si era ormai ristabilito completamente. Chiedeva quindi la pena minima di quattro anni di reclusione.

Alec tratteneva il fiato, l'accusa parlava di Magnus come se non fosse nemmeno presente: lesioni permanenti, vittima, danno fisico e psicologico... La difesa al contrario sottovalutava le sue ferite, il rischio di vita, parlava di un semplice urto... Isabelle avvertì la sua tensione e gli strinse la mano.

Furono chiamati i testimoni.
Il signor Barnaby, proprietario del negozio aveva visto l'auto infrangere la vetrina e poi l'uomo a terra, trafitto dai vetri. Sembrava morto, disse. C'era sangue dappertutto. Inoltre la vetrina del suo negozio era stata distrutta, compresi i costosi orologi che vi erano esposti. Alcuni valevano più di cinque mila euro. Rimettere a posto il negozio era stato lungo e complesso, in quel periodo aveva perso parecchie vendite, per questo riteneva di aver diritto a un indennizzo.

Due parole su Magnus e mezz'ora di tirata sui suoi orologi, ma che priorità aveva la gente?


Poi fu il turno di alcuni passanti che avevano assistito all'urto: molti ricordavano il ragazzo alla guida della berlina blu e tutti furono concordi nel dire che l'auto aveva catapultato Magnus contro la vetrina per poi sfondarla col paraurti causando la caduta dei vetri come tante ghigliottine. Una donna affermò di avere ancora incubi in cui rivedeva quella scena terribile.
Alec non riusciva a togliere gli occhi dalla schiena di Magnus, la sua postura era rigida e controllata ma le mani tradivano lo stress sfregandosi incessantemente l'una nell'altra.
Gli unici testimoni della difesa erano amici e professori di Jeffrey che garantirono che il ragazzo era serio, attento, un buon guidatore e una persona responsabile.
Alcuni medici furono chiamati a testimoniare riguardo la salute di Magnus dopo l'incidente, confermarono la prognosi riservata, la frattura del piatto tibiale, la perdita dell'occhio e infine il tentato suicidio e la depressione che aveva portato al suo ricovero presso il centro per malattie mentali di Belleview.
L'accusa chiamò poi la madre di Magnus: la donna, con voce rotta per l'emozione e la tensione, parlò delle condizioni del figlio, dell'angoscia mentre aspettava di sapere se sarebbe sopravvissuto, del dolore terribile che aveva provato quando le avevano comunicato che non era possibile salvargli l'occhio. Il figlio aveva perso la voglia di vivere ma nessuno si aspettava che avrebbe davvero cercato di farla finita. Solo un miracolo gli aveva permesso di uscire dal tunnel e tornare a una vita normale.
Mentre la donna parlava il ragazzo nel banco dell'imputato diventava sempre più pallido e Alec lo vide asciugarsi gli occhi. Non che gli facesse pena.
Seduto dov'era non riusciva a vedere in faccia Magnus ma era abbastanza vicino da notare le spalle che tremavano di tensione repressa, le mani sul tavolo ora strette a pugno fino a far diventare bianche le nocche. I racconti dei testimoni non avevano fatto altro che riportare a galla il dolore e la paura. Alec sapeva che, per qualcuno col cuore grande come Magnus, sentire la madre che rivelava tutta la sua angoscia, che riviveva le ore passate a pregare sulle sedie del manicomio era una tortura, sapeva che Magnus si sentiva responsabile di questa pena. Alec avrebbe voluto poter andare da lui tenerlo stretto fino alla fine di questo incubo.
Isabelle gli strinse un braccio: “Se è il tuo drago, resisterà”. Alec riuscì a sorriderle, a volte Izzy non era poi male.

Quando Jeffrey Harp fu chiamato alla sbarra Alec notò che era molto più giovane di quello che aveva pensato, poco più che sedicenne aveva una zazzera bionda e la magrezza tipica degli adolescenti in crescita. Il ragazzo raccontò la sua versione, un gatto aveva attraversato la strada, lui aveva sterzato per evitarlo e aveva perso il controllo dell'auto. Quando si era trovato davanti l'uomo con la giacca rossa ormai era tardi... Ricordava il momento dell'impatto, il rumore del corpo contro la sua auto, poi lo schianto. Aveva battuto la testa contro il volante, quando aveva rialzato la testa aveva visto solo la vetrina fracassata e i vetri. Solo dopo aveva visto l'uomo, il rosso del sangue sul rosso della giacca... Durante tutta la confessione Magnus non gli aveva tolto l'occhio di dosso per un attimo. Mentre parlava Jeffrey incespicava nelle parole, perdeva il filo del discorso, ricominciava da capo. Era spaventato e si vedeva. “Rosso, tutto rosso...” aveva mormorato, poi si era alzato in piedi e, rivolgendosi direttamente a Magnus, gli aveva gridato di scusarlo, che non voleva, gli spiaceva. Ed era scoppiato in lacrime.

Il giudice aveva decretato una pausa di quindici minuti durante la quale Magnus non aveva voluto vedere nessuno e aveva letto e riletto i fogli che aveva davanti, gli atti del processo, la denuncia, gli appunti dell'avvocato...
Alec capiva il bisogno di stare solo, di mettere ordine nelle emozioni. Solo avrebbe preferito che Magnus avesse deciso di stare da solo insieme lui.

“Va tutto bene, Alec. Per oggi hanno quasi finito...” Alec guardò la sorella e scosse la testa: “Ora tocca a lui testimoniare”.

L'accusa aveva tenuto il testimone più importante per ultimo. Mentre Magnus si avvicinava alla sbarra la giuria lo guardava con simpatia e compassione.
Dopo il giuramento di rito l'avvocato cominciò con le domande. Era brutalmente efficiente: come mai portava la benda all'occhio? Da quanto tempo lo aveva perso? Com'era successo? Aveva visto l'auto che si era schiantata contro la vetrina? Che auto era? Riconosceva l'autista?
Magnus aveva risposto con calma a tutte le domande, sempre fissando Jeffrey Harp.
“Mi dica, Signor Bane, è stato il Signor Harp a procurarle la frattura al ginocchio e a scagliarla contro la vetrina causando la perdita dell'occhio e le ferite che l'hanno costretta in ospedale in prognosi riservata per più settimane?”
Magnus si era alzato in piedi, aveva preso qualcosa dalla tasca e si era rivolto direttamente alla giuria. “Questo foglio è il verbale di denuncia” disse strappandolo a metà. “Ritiro ogni accusa nei confronti di Jeffey Harp”.
Alec era balzato in piedi, con lui la maggior parte del pubblico. Cosa stava facendo Magnus, perché? Solo Raphael Santiago era rimasto impassibile, un lieve sorriso che gli incurvava la bellissima bocca.
L'avvocato dell'accusa provò a parlare di stress post-traumatico, di rinviare il processo ma Magnus era adamantino: non avrebbe sporto denuncia, né ora né mai.
Il signor Barnaby si trovava ora a essere l'unico attore nel processo e, nel caos generale, accusava Magnus di intralcio alla giustizia e di cercare vendetta a sue spese in quanto proprietario del negozio. Non era colpa sua, era quel maledetto ragazzino che...
Con voce tonante e qualche colpo di martelletto, il giudice riuscì a riportare la calma in aula. Davanti alla svolta imprevista, avvocati e giurati si trovarono spiazzati. La maggior parte delle testimonianze perdeva di utilità e il processo finì in meno di un'ora, con un verdetto che obbligava l'accusato a risarcire la vetrina infranta e pagare una multa per guida pericolosa. Magnus si era alzato e aveva applaudito, un piccolo sorriso soddisfatto gli increspava le labbra, poi si era girato verso il giovane Harp e si era portato due dita alla fronte, sopra la benda, in un finto saluto militare. Alec si sentiva confuso almeno quanto Jeffrey.

Il cielo era nuvoloso, un vento freddo spazzava lo slargo di fronte al tribunale. Magnus era uscito con passo deciso e si era fermato prima di raggiungere gli altri radunati accanto alla fontana. Aveva allargato le braccia e alzato il volto al cielo, lasciando che le prime gocce di pioggia gli scivolassero addosso. Alec aveva mosso un paio di passi verso di lui, incapace di resistere. Cosa gli era successo? Non aveva avuto la forza per procedere con il processo, di reggere un secondo giorno di testimonianze e interrogatori? No, la sua espressone era rilassata e - possibile? - compiaciuta. Quella di Alec invece doveva essere molto più facile da leggere. Raphael gli si era avvicinato in silenzio: “Pare che Magnus abbia trovato un altro animaletto ferito di cui prendersi cura”.
Era davvero così? Era, cosa... pietà per il ragazzo?

Alec si avvicinò al suo drago: “Ti vedo felice”.
“Lo sono” rispose Magnus prendendolo sottobraccio.

“Non sono sicuro di capire...”
“Il gatto c'era davvero, ricordo di averlo notato pochi secondi prima. E anche se non ci fosse stato... Rovinare la vita a quel ragazzino non mi avrebbe restituito l'occhio”.
“La legge è legge, chi sbaglia deve pagare”.
Magnus alzò il sopracciglio: “Come siamo inflessibili! Diciamo che rendere felice qualcuno rende felice me”. Una luce gli accese lo sguardo mentre aggiunse: “Mi succede lo stesso con te, adoro renderti felice...” Il doppio senso era fin troppo evidente e Alec sentì le guance tingersi di rosso.

   
 
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