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Autore: FairyCleo    22/02/2020    3 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La confusione
 
Trunks Brief rivangava con ossessione lo svolgersi degli eventi che lo avevano condotto a prendere quella decisione. Sentiva di ricordare ogni cosa con nitore, quasi come se tutto fosse accaduto ieri. Però, Trunks Brief non avrebbe mai ammesso che si era imposto di dimenticare il lavoro che aveva fatto per far sì che qualche particolare di quel ricordo cambiasse. Aveva fatto un lavoro talmente meticoloso da essere riuscito a distorcere le fondamenta di quel ricordo, convincendosi, alla fine, che le cose fossero andate esattamente come le ripeteva a se stesso quotidianamente.
A causa di quel duro lavoro, di quella lenta levigatura che aveva smussato le parti salienti di quella vicenda, Trunks aveva imparato a odiarsi un po’ di meno, alleggerendosi la coscienza. Ma quella finzione, quella falsità, lo aveva segretamente logorato al punto di farlo indurire.
Aveva spesso dei momenti di lucidità, momenti in cui tornava a essere perfettamente consapevole di quello che aveva fatto, momenti in cui precipitava alla velocità della luce in uno spazio indefinito, in un pozzo di disperazione e odio che un bambino della sua età non avrebbe dovuto conoscere. In quelle occasioni, il peso del mondo tornava a ricadere sulle sue spalle. In quelle occasioni, avrebbe semplicemente voluto non essere mai venuto al mondo.
 
Dopo quegli eventi fuori dall’ordinario, aveva dovuto crescere in fretta. Da bambino felice e coccolato, si era dovuto trasformare in un piccolo uomo capace di badare a se stesso. Non c’erano giochi, in quella nuova realtà, non c’erano svaghi o divertimenti, non c’erano grandi case, gelati o dolci. C’erano solo miseria e disperazione, le bestie nere che vedeva quotidianamente sulle guance scavate di suo padre.
L’uomo di un tempo, quello tutto d’un pezzo, quello aitante e vigoroso, quello che doveva domare il suo reale potenziale, non esisteva più, e Trunks si era convinto che non ci sarebbe mai più stata la possibilità di riportarlo indietro.
Avevano perso tutto.
Avevano perso la famiglia, gli affetti, i loro oggetti, la loro stessa vita.
In quello strano posto, in quello strano, fin troppo familiare Altrove, ci si limitava a sopravvivere. In quel mondo senza dei, o imparavi a vivere da lupo o accettavi di morire come un agnello, e lui, Trunks Brief, aveva deciso che sarebbe stato il più famelico tra i lupi.
 
Ieri…
Era determinato più che mai a far sì che le cose andassero come le aveva immaginate. Quel Goku non era degno di essere il padre di Goten, ormai ne era certo. Sua madre avrebbe potuto dire tutto quello che le pareva su quel tizio, ormai non gli importava più del suo parere. Finalmente, aveva raccolto le prove che gli bastavano per sapere che non si era affatto sbagliato sul suo conto.
Prima di agire – e per dare credito alle sue idee – aveva fatto le sue ricerche. Da bravo piccolo investigatore (per non dire da inquietante baby-stalker), aveva seguito i movimenti di Goku per giorni, studiando ogni sua mossa, cercando di entrare nella mente di quel sempliciotto che doveva nascondere qualche terribile segreto. Trunks si era convinto che Goku nascondesse qualcosa, che dovesse esserci un motivo più grande del semplice “non tornando in vita posso proteggervi” che aveva loro propinato, ma non aveva la più pallida idea di quale fosse questo segreto. In un primo momento, aveva pensato di chiedere consiglio a suo padre. Sentire il parere di un altro adulto poteva essere positivo, ma poi, alla fine, aveva desistito. Sembrava che Vegeta fosse terribilmente insofferente all’arrivo del saiyan, e questo gli era parso sufficiente a convincersi che la pensasse esattamente come lui. Goku doveva tornarsene da dove era sbucato, punto e basta.
Nel pedinarlo, aveva scoperto dove andava ad allenarsi quando era da solo, dove andava a meditare, da chi andava a piagnucolare, quali erano i suoi piatti preferiti e aveva scoperto che amava fare il bagno nudo. Completamente nudo.
In buona sostanza, non aveva appreso niente di particolarmente sospetto. In sintesi, Goku gli faceva pensare più a un bambino troppo cresciuto che a un adulto. Non aveva niente a che fare con suo padre. Proprio niente. Come facevano a venerarlo, tutti quanti? Come facevano a trovare in lui qualcosa di speciale? Era così… Così…
 
“Lasciamo perdere”.
 
Una sera, aveva visto come Goku si comportava con Goten, e lì non aveva avuto alcun dubbio. Faceva davvero tanto freddo, ma Gohan aveva insistito per allenarsi con lui dopo la scuola e avevano deciso di coinvolgere anche il piccolo Son. Trunks lo aveva saputo da quest’ultimo e non aveva perso tempo: si era infilato la tuta ed era praticamente fuggito via da casa di nascosto, raggiungendo gli altri saiyan e nascondendosi dietro un enorme albero per non farsi vedere.
Goku e Gohan si stavano battendo come due furie, lasciando Trunks a bocca aperta. Non aveva mai visto uno scontro del genere, MAI. Padre e figlio brillavano nell’oscurità come due fiamme dorate, accendendo la notte con il loro bagliore furente. I colpi erano micidiali, e per un attimo Trunks aveva creduto che si sarebbero uccisi a vicenda. Di tanto in tanto, Goku urlava al figlio di alzare la guardia e stare attento, ma non aveva intenzione di rallentare. Goten, invece, se ne stava in disparte a guardarli. Era come se non esistesse, come se non fosse neppure lì.
Quella era una cosa tra padre e figli, no? Goten era figlio di Goku tanto quanto Gohan, allora perché non era stato incluso? Nonostante lo stupore apparso sul suo viso per via dello spettacolo che stava osservando, il suo migliore amico si sentiva di troppo. Trunks lo conosceva benissimo ed era in grado di leggere ogni sua espressione, anche la più impercettibile. Goten si sentiva di troppo e si sentiva solo e infelice. Questo, con lui e suo padre non sarebbe mai successo. Goten meritava di essere finalmente felice, e lui sapeva esattamente come fare.

 
*

“È permesso?”.
La domanda era giunta all’improvviso, dopo che aveva sentito bussare sulla porta che aveva lasciato socchiusa.
Non sentiva quella vocina inconfondibile da giorni. Era talmente perso nei suoi pensieri da non essersi reso conto dell’avvicinamento della sua aura e del suo imminente arrivo.
Non aveva risposto immediatamente. Che cosa ci faceva lì? Perché non se ne stava con lui a conoscerlo meglio?
Aveva i nervi a fior di pelle. In verità, aveva sempre i nervi a fior di pelle, ma in quell’occasione un misto di sentimenti contrastanti e incontrollabili si agitavano in lui. Era arrabbiato, Vegeta, e non sapeva neanche lui perché. Era arrabbiato con Goku? Sicuramente. Quel decerebrato era capace di farlo arrabbiare sia da morto che da vivo. Anzi, forse più da morto che da vivo. Era anche sollevato, però, e contento, se quel sentimento poteva definirsi tale. Goten era tornato a trovarlo nonostante lì, sulla Terra, ci fosse suo padre.
Suo padre. Come se Goku fosse davvero tale.
 
“Entra” – aveva detto, alla fine.
Era stato perentorio. Fin troppo duro. Era la rabbia a muovere le sue azioni. Forse era arrabbiato anche con Goten. Era una cosa infantile, una cosa sciocca, ma era innervosito anche dall’atteggiamento del bambino.
Da quando era entrato nella sua vita, Vegeta gli aveva dato tutto. Aveva dato a Trunks e al figlio di Goku tutto se stesso. Aveva votato la sua esistenza al figlio del suo peggior rivale. E Goten cosa aveva fatto? Lo aveva considerato una seconda scelta. Perché diamine doveva essere il secondo in tutto e per tutti? Perché?
Quella storia doveva finire, e doveva finire nell’immediato. Basta avere aspettative sugli altri. Basta. Doveva tagliare i ponti, scrivere la parola fine, tornare a essere se stesso, qualsiasi cosa volesse dire. Doveva farlo, ma ci sarebbe riuscito?
 
“Ciao, Vegeta. Stai bene?”.
 
Goten era rimasto in prossimità della porta che aveva aperto con emozione e cautela. Indossava il vestito buono che gli aveva comprato sua madre, quello delle grandi occasioni, e aveva con sé il cagnolino, quello che gli avevano regalato per il suo compleanno. Lo stava stringendo con attenzione tra le braccia, col risultato di aver cosparso di peli il completo costoso che tanto era piaciuto a sua madre ma che lo faceva sembrare un damerino impettito. I gusti di quella donna era discutibili, a volte. Vegeta non aveva potuto fare a meno di pensare che quella palla di peli fosse cresciuta. Era trascorso davvero poco tempo dal compleanno del bambino, ma era sicuro che Ouji fosse diventato più grande.
 
“Ouji”.
 
Era palese che Goten avesse un discutibile senso dell’umorismo. Aveva chiamato quel cane principe, e non era difficile immaginare che lo avesse fatto per far piacere proprio a lui.
 
“Che idiozia”.
 
Eppure, Vegeta si era sentito in ogni modo fuorché offeso. Eppure, segretamente, Vegeta sentiva che quella scelta fosse quasi piacevole.
 
“Ti piace, Ouji, Vegeta? Non è bellissimo? Vorresti tenerlo in braccio?”.
 
Ignorando completamente il silenzio e l’impassibilità dell’uomo che aveva davanti, Goten si era avvicinato, porgendogli il tenero batuffolo di pelo. La scena aveva fatto tornare in mente al principe la sequenza di quello strano lungometraggio animato che gli avevano fatto vedere i bambini tempo addietro, quello con i leoni. Solo che proprio non riusciva a ricordarne il titolo.
Si era concentrato sull’animale per non incrociare gli occhi di Goten. Quelle pozze scure identiche a quelle di suo padre stavano brillando dall’emozione, e un ampio sorriso un po’ imbarazzato si era fatto strada su quel visino così pulito e innocente.
 
“Perché devi essere così tanto uguale a lui? Perché?”.
 
Per tanti anni aveva finto che quella somiglianza non esistesse, sin dal primo istante si era raccontato una bugia dietro l’altra, perché non voleva ammettere a se stesso che un viso fosse in grado di turbarlo, che il demone del suo peggior rivale lo tormentasse ogni secondo della sua vita. E c’era riuscito, Vegeta. Aveva fatto un duro lavoro su se stesso fino a vedere le cose per quelle che erano: Goten non era suo padre, Goten non era Kaharot. Allora, perché adesso non riusciva più a distinguerli?
Una rabbia incontrollabile stava montando in lui.
 
“Vattene via… Ragazzino. Vattene”.
 
“Dai, Vegeta: prendilo!”.
 
Goten sorrideva e il cane scodinzolava con vigore. Il cane scodinzolava e Goten sorrideva.
 
“Ragazzino…” – non era riuscito a dire altro. Non era riuscito nemmeno a muovere un muscolo. Sentiva solo di essere sul punto di perdere il controllo, di impazzire. E questo non doveva assolutamente accadere. Dopo aver preso un lungo respiro, aveva allungato la mano, facendola affondare nel pelo folto e morbido di quella creaturina indifesa e scodinzolante, e un ricordo lontano aveva fatto capolino, raggelandolo. Era un ricordo di sangue e di morte, un ricordo di vite spezzate, di dolore e tormenti inflitti senza pietà.
 
“Mi sei mancato, in questi giorni…” – aveva ammesso Goten, arrossendo, rompendo così il filo dei suoi pensieri – “Sono contento di vederti”.
 
Ancora silenzio.
Perché Goten non se ne andava? E perché lui non aveva il coraggio di mandarlo via? Avrebbe dovuto dirgli di tornarsene da suo padre, che una famiglia l’aveva e che lui avrebbe dovuto odiarlo perché era la progenie di colui che si era divertito a incasinargli la testa e a rovinargli l’esistenza! Invece, era rimasto in silenzio. Invece, si era lasciato sconfiggere, annientare, annullare.
In quella stanza cominciava a mancare l’aria. Tra di loro, ormai, non vi era più alcuna distanza.
 
“Però, sai, non sono qui per Ouji… So che forse non dovrei dire queste cose, Vegeta… So che un padre ce l’ho già, e lui non è tanto male, alla fine ma… Ecco… Vorrei che lo sapessi… Vorrei che sapessi che sei fantastico… E che io… Io… Ti voglio bene”.
 
Inconsapevolmente, con quella coraggiosa confessione, quel bambino dagli occhi di ossidiana aveva superato un confine a cui neanche Trunks aveva mai pensato di avvicinarsi.
Vegeta, nuovamente, era rimasto inerme, immobile, senza parole.
 
“Che cosa devo fare?”.
 
Per la prima volta nella sua vita, avrebbe davvero voluto che qualcuno lo consigliasse e lo guidasse, che gli dicesse cosa fare. Aveva già sperimentato il senso di colpa, ma non era mai stato forte come in quell’occasione. Mente e cuore del principe dei saiyan avevano iniziato a galoppare, producendo pensieri confusi e disordinati. Aveva sottratto qualcosa a Trunks dandola a Goten? Aveva sbagliato con suo figlio? Aveva sbagliato nei confronti di Goten? Aveva offeso Bulma?
Era nel panico. Non sapeva cosa fare, come agire, mentre invece, quel bambino, quel piccolo mezzosangue innocente e puro come l’acqua, sembrava possedere tutta la conoscenza e la consapevolezza del mondo.
Avrebbe voluto avere più tempo per respirare, Vegeta, per calmarsi e capire cosa fare ma, presto, troppo presto, avrebbe scoperto che il tempo a sua disposizione sarebbe scaduto. Presto, troppo presto, lui e Goten avrebbero scoperto che, a volte, sarebbe meglio se i desideri non diventassero realtà.
 
Continua…


Ragazze/i, SCUSATE DI NUOVO PER IL RITARDO!
Sono davvero imperdonabile. Non starò qui ad annoiarvi con mille spiegazioni, voglio solo che sappiate che ci siamo. Ormai, stiamo per scoprire come sono arrivati ad Altrove!
A presto!
Un bacino
Cleo

 
   
 
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