Fanfic su artisti musicali > Greta Van Fleet
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Autore: _Lisbeth_    24/02/2020    2 recensioni
Dal prologo:
"- E anche questa giornata di lavoro è giunta al termine. - la frase della dottoressa Warren fece annuire la giovane tirocinante, che raccolse tutte le sue cose dal divanetto e le sistemò nella borsa.
- A che ora dovrei venire, domani?
- Domani... - Danielle Warren si alzò dalla propria sedia e diede uno sguardo al calendario appeso alla parete, mettendosi in punta di piedi per poter vedere meglio. – Domani non abbiamo pazienti. Però ho una buona notizia da darti: da venerdì potrai tenere tu stessa le sedute."
"Jake prese un sorso dal bicchiere. – Perché sono qui?
- Perché sono il tuo numero di emergenza e ieri sera eri praticamente in coma etilico."
"- Jake. – la ragazza puntò gli occhi in quelli del fratello. – Ti rendi conto che è qualcosa che potrebbe aiutarti?
- No! – si alzò dalla panchina su cui era seduto e sbarrò gli occhi. – Come dovrebbe farmi stare meglio parlare con una persona che non ho mai visto dei cazzi miei? E’ come prostituire i propri neuroni."
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jacob Kiszka, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Potrà sembrare scontato, ma la sera in cui Tracy si sentì dire le parole “ti amo” per la prima volta, pioveva. L’unica differenza stava in un piccolo, minuscolo e futile dettaglio: il ragazzo che glielo aveva detto non aveva un ombrello da metterle sopra la testa, e nei giorni successivi si erano presi entrambi il raffreddore. Tuttavia, a nessuno dei due sembrava interessare più di tanto essere bagnati dalle gocce di pioggia che irrimediabilmente infradiciavano loro i capelli e i vestiti.
- Scusami, avrei dovuto prevederlo – sospirò il ragazzo dagli occhi scuri e i capelli castani che, con la pioggia, sembravano aver raggiunto il doppio della loro normale lunghezza. Tracy rise dolcemente, lasciandogli un bacio a fior di labbra e scuotendo poi la testa. Stava morendo di freddo, nonostante fosse giugno, ma non se ne curò particolarmente. Frequentava Alex da quasi un anno e sentiva una connessione e un affetto che per nessuno aveva provato così forte. E se pensava che si erano conosciuti per puro caso quasi non ci credeva, perché mai avrebbe pensato di innamorarsi dopo un incontro di tennis a cui lei non sarebbe voluta andare per nessun motivo. E per di più del ragazzo che le aveva fatto cadere un hot dog sul jeans.
Hot dog che era inesorabilmente crollato dal carretto giallo che lo trasportava.
Tracy aveva fatto un balzo dopo aver sentito il bruciore del panino ancora caldo sulla sua gamba, scaturendo la risata di quell’idiota del fratello e il dispiacere di Alex. E Tracy non aveva nemmeno avuto il tempo di insultare Will in ogni lingua esistente, che il ragazzo degli hot dog si era immediatamente piegato per darle una mano, scusandosi almeno una decina di volte.
E come lei non si sarebbe mai immaginata di uscire con qualcuno dopo aver quasi ucciso suo fratello con i jeans sporchi di maionese, Alex ugualmente non si sarebbe aspettato di dire “ti amo” alla ragazza che lo aveva visto tra gli spalti con un cappellino ridicolo e un grembiule a righe, brufoloso e con addosso uno spiacevole odore di fritto.  
E se Tracy in un primo momento aveva maledetto ancor di più Will per averla portata lì dentro, ora era grata al fratello e a quella benedetta partita di tennis finita con la vittoria a tavolino di uno dei due atleti.
Quel jeans aveva dovuto buttarlo, ma ne era valsa la pena, perché la sera del sei giugno aveva sentito dire quelle parole dalla persona di cui anche lei si era innamorata.
Alex le aveva preso le mani e aveva cercato di scaldarla come poteva, nonostante stesse a sua volta tremando come una foglia. L’aveva stretta a sé, strofinandole le mani sulla schiena e sulle braccia. Aveva appoggiato il mento sui suoi capelli ricci, aveva sorriso e le aveva lasciato un piccolo bacio sul cuoio capelluto.
E, con la voce tremolante per l’emozione e per il freddo, aveva sussurrato quelle due parole che avevano scaldato il cuore di Tracy nonostante i pochi gradi di quella sera.
- Anche se domani avrò la polmonite, anche io ti amo, Al.
Ma Tracy, ovviamente, nemmeno immaginava cosa sarebbe successo due anni dopo. Tantomeno tre.
 
 
- Quanti caffè hai bevuto oggi, Spremineuroni? Lo sai che se fai così aumenti il rischio di avere un infarto a trent’anni?
Tracy non si voltò nemmeno a guardare Maggie dopo uno dei suoi soliti interventi.
- Dottoressa?
Non una parola.
- Ziegler.
La giovane psicologa prese un altro sorso dalla tazzina.
- Tracy, che cazzo!
- Ma che vuoi?
- Lascia quel caffè e beviti una benedetta spremuta d’arancia!
- Sì, sì, poi, nel pomeriggio.
- Sono le otto di sera.
- Per me è pomeriggio.
- Per me no! – Maggie incrociò le braccia al petto e fece schioccare la lingua sul palato. – Non ho la minima intenzione di sentire alcun rumore proveniente da alcuno spremiagrumi durante la notte.
- Cambia appartamento.
- Sì, poi l’affitto te lo paghi da sola.
- Divento venditrice ambulante come lavoro part-time.
- E che vendi?
- I tuoi vestiti.
- Oh, fai pure, tanto ormai posso dire che il camice sia una seconda pelle.
- Sì, a lavoro. In casa come fai?
- Non ti dispiace vedermi nuda, no?
- E quando devi uscire con Brad?
Gli occhi di Maggie si illuminarono. Sorrise e puntò lo sguardo sul muro. – Nemmeno a lui spiace vedermi nu…
- Cristo, Meg!
- Facendo un discorso serio, a me non dispiacerebbe vivere nella tua stessa casa per tutta la vita. Capisci, tipo quelle vecchie zitelle circondate da gatti. Solo che tu saresti il gatto.
- Se il gatto è libero di spremersi le arance di notte senza rotture di scatole, mi va bene.
- Tres.
- Dimmi.
- Promettimi che non te la prenderai con me.
Tracy aggrottò la fronte, girandosi verso la coinquilina con uno sguardo interrogativo. Maggie si morse il labbro, grattandosi nervosamente un braccio.
- Oh, signore. Che hai fatto, stavolta? A quale stazione ferroviaria hai dato fuoco?
- Peggio.
- Peggio?
- Io… - la ragazza prese un respiro profondo. – Potrei aver minacciato il tuo ex di morte.
La giovane psicologa arricciò il naso e inarcò le sopracciglia. – Non è peggio di dare fuoco a una stazione ferroviaria, e devo dire che hai fatto anche bene, per qualsiasi motivo tu lo abbia fatto. – tirò un respiro profondo e poi puntò lo sguardo nel suo. - Ma perché lo hai fatto?
- Oggi era sotto casa e voleva vederti. Quindi, senza pensarci due volte, gli ho detto che se si fosse avvicinato a te anche solo per chiederti una sigaretta gli avrei ucciso tutta la famiglia, facendolo deprimere e di conseguenza portandolo al suicidio.
- Ma io non fumo.
- Ma non me ne frega niente se fumi o meno! Dovevo pur minacciarlo in qualche modo.
Tracy sorrise appena, grata per ciò che la ragazza faceva per lei ogni giorno, seppur in modo a volte un po’ goffo e altre un po’ esagerato. Abbassò poi gli occhi sul tavolo, respirando profondamente dal naso e facendosi prendere da una leggera malinconia inevitabile. Pensò al rapporto che aveva avuto con Alex per ben tre anni, che si era interrotto dopo essersi vista tradire dal ragazzo che amava e che aveva detto di amarla. Perché Tracy, un po’ innamorata lo era ancora, nonostante non parlasse con Alex da quando si erano lasciati, perché per chi lo aveva preceduto nelle sue relazioni non aveva mai provato emozioni tanto forti. Forse perché prima che lui entrasse a far parte della sua vita era solo una ragazzina, o forse perché aveva pensato di potersi fidare ciecamente. E ora che si era ripresentato, anche se era determinata a non riaprire quel capitolo, aveva bisogno di risposte.
La voce squillante di Maggie le fece sollevare la testa. – Oh, no, non mi dire. Tu non stai seriamente male per quel figlio di puttana. Non ancora.
- Grazie, Meg, davvero. Io ti sono grata, per tutto, ma… Ho bisogno di sapere cosa avesse da dire.
- Tu non hai bisogno di sapere assolutamente un cazzo! Più stai lontana da quel rifiuto umano e meglio starai!
Tracy si alzò dal tavolo, uscendo dalla cucina.
- Ziegler, che cazzo stai facendo? – sbottò la coinquilina.
- Sto andando a prendere il telefono.
 
 
- Cazzo… Cazzo, Tracy! – Alex corse per raggiungere la sua ragazza, prendendole una mano per fermarla e tirarla a sé mentre si lasciava alle spalle la brunetta ignara di qualsiasi cosa, che in quel momento non stava riuscendo a capire assolutamente nulla.
Tracy si voltò di scatto, fulminando il ragazzo con lo sguardo e stampandogli la forma delle cinque dita della mano destra su una guancia, facendolo poi indietreggiare.
- Dammi una cazzo di spiegazione. Dammela. – la ragazza stava tentando di trattenere le lacrime, la voce spezzata come il cuore. – Fammi sentire le tue stronzate, Alex. Vediamo se sono più stupide delle cazzo di frasi romantiche che mi dici ogni giorno a cui io ho creduto per tre anni.
Il ragazzo era nel panico più totale. Non riusciva a spiccicare mezza parola, davanti a lui la sua ragazza e dietro quella con cui la tradiva, a sua volta completamente all’oscuro di tutto. E anche lei, la ragazza dalle iridi color azzurro ghiaccio, che si erano fatte ancor più gelide, gli si avvicinò con un’espressione che faceva trapelare senza alcun filtro la rabbia che stava provando.
Tracy la guardò, con il cuore in gola che le sembrava essersi ridotto ad un cumulo di polvere. Quella ragazza era di una bellezza disarmante. Altissima, con il corpo di un’atleta. I capelli bruni erano raccolti in una coda alta che, tuttavia, le arrivava fin sotto le scapole. Si impose di non guardarla e si accorse che anche lei aveva distolto lo sguardo. Solo che, se l’altra stava fissando Alex, lei non aveva il coraggio di guardare in faccia nessuno dei due.
- Sei proprio una merda. – la voce della ragazza dagli occhi azzurri era quasi adulta, profonda. Dopo averla sentita parlare, Tracy udì il rumore dei suoi tacchi che, pian piano, si faceva sempre più lontano.
Percepì le mani di Alex sfiorare le sue e indietreggiò, non riuscendo ancora a guardarlo. Avrebbe voluto urlare, strillare, piangere, fargli capire quanto arrabbiata e delusa fosse. Tutto quello che riuscì a dire o a fare, con il groppo in gola che si faceva sempre più stretto, fu chiudere gli occhi, girandosi di spalle.
- Non provare più a parlarmi. Perché so che qualsiasi cosa dirai sarà una cazzata.
 

 
Veronica aveva paura. Era spaventata, tremava, non sapeva cosa stesse succedendo e per quale motivo i suoi genitori stessero piangendo così forte. Dopotutto, Josh stava bene. Sua madre le aveva detto così. L’aveva rassicurata, e allora perché ora piangeva, proprio lei? Si portò le ginocchia al petto, con l’ansia che le cresceva nella testa e nel torace.
Sammy, Sammy era vivo e sveglio. Lo aveva visto poche ore prima. E Josh si stava riprendendo, ne era sicura.
Quando Kelly e Karen uscirono dalla stanza dove avevano ricoverato il fratello maggiore, la ragazza puntò immediatamente lo sguardo su di loro. Erano distrutti. Gli occhi rossi, le ginocchia tremanti, la mano di sua madre stretta in quella di suo padre. Vide Karen guardarla e Veronica, incerta, le sorrise.
La donna le posò una mano sulla testa, accarezzandole i capelli. Sua figlia vide le sue labbra tremolare mentre forzava un sorriso.
- Va tutto bene, Ronnie.
Vide i suoi genitori allontanarsi, non aveva idea di dove fossero andati ma iniziò a sentirsi tremendamente sola. Non andava tutto bene. Quello non era uno sguardo felice, sollevato o sereno. Non andava tutto bene, non andava tutto bene.
E capì cosa fosse successo realmente nel momento stesso in cui Jake mise piede fuori da quella camera. Non riconobbe più suo fratello.
Il viso di quel ragazzo così timido e dolce si era trasformato in una maschera di apatia più totale. Non c’erano lacrime, nemmeno tremori. Gli occhi gelidi e immobili, la schiena curva, le spalle pesanti sotto il macigno che gli era appena crollato addosso.
Veronica vide Jake, il suo Jake, il ragazzo che aveva sempre protetto lei e Sam da tutto insieme a Josh prendere aria come se fosse rimasto in apnea per ore. Suo fratello le si avvicinò, deglutendo con difficoltà il nodo che gli stringeva la gola. Veronica lo fissò ancora, finché il ragazzo non le si avvicinò, avvolgendole le braccia esili attorno al corpo scosso dai brividi. Si sentì stringere forte, disperatamente. E a sua volta lo strinse spasmodicamente, scoppiando in un pianto muto, privo di qualsiasi rumore. Solo lacrime che bagnavano la maglia del maggiore e il dolore silenzioso della morte che, in quell’abbraccio, sembrava essere meno spaventoso.
E dopo interminabili minuti, la voce distrutta di Jake interruppe quel silenzio.
- Andiamo a casa, Ronnie.
 
 
La ragazza continuò ad accarezzare dolcemente i capelli di suo fratello, passando le dita tra le ciocche scure mentre lo teneva stretto contro il suo petto, sentendolo respirare lentamente. Quella era una situazione che, da un anno a quella parte, si era ripetuta spesso. Ma a Veronica non dava fastidio. Anche se la preoccupava leggermente, la faceva star bene il pensiero che Jake, dopo essersi svegliato dopo un incubo, le chiedeva di dormire insieme a lei per sentirsi al sicuro. Come fa un bambino che, impaurito dal buio della propria cameretta, sguscia nelle coperte del lettone dei genitori per smettere di avere paura.
Quella sera, il buio aveva spaventato Jake più del solito. Ma appena era scivolato tra le braccia di sua sorella, era riuscito a chiudere gli occhi ed addormentarsi, un po’ più sereno e tranquillo.
Veronica gli aveva cantato una canzone che Karen, quando i quattro fratelli erano piccoli, intonava sempre per farli addormentare. Aveva continuato sottovoce, accarezzandogli i capelli e stringendolo forte fino a che non aveva sentito il suo respiro farsi più lento e più profondo, fino a vederlo addormentarsi tranquillo sul suo petto.
Jake l’aveva protetta per tutta la vita. L’aveva aiutata a rialzarsi dopo le cadute, a reagire quando qualcuno la faceva star male. E se la ragazza era diventata così forte, così sicura e sveglia, era anche per merito di suo fratello e di Josh. Ora che c’era solo Jake, dovevano badare l’uno all’altra. Dovevano sostenersi a vicenda per non crollare.
E, ogni volta che Jake era sul punto di cadere, sentiva sempre la mano di Ronnie afferrare la sua per tirarlo su e viceversa.
Veronica abbassò la testa, sollevando la coperta per tenere Jake al caldo, per proteggerlo dal freddo. Sistemò meglio il cuscino sotto la propria testa per far stare più comodo anche il fratello maggiore, lasciandogli un bacio sulla fronte e restando a guardarlo per accertarsi che dormisse sereno.
Sembrava, effettivamente, tranquillo. Le ciglia scure erano appoggiate sugli zigomi sporgenti, le labbra schiuse da cui, intermittenti, uscivano piccoli sbuffi. Sorrise osservando quella calma che, forse, Jake aveva solo dormendo. Tornò a stringerlo, respirando il suo odore così familiare.
Si accorse delle prime luci del mattino che illuminavano la stanza, e sbadigliando si rese conto di aver dormito poco e niente per vegliare sul fratello. E, tuttavia, le andava bene così.
Rimase in quella pozione per ore finché, finalmente, sentì Jake muoversi tra le sue braccia, e quando abbassò la testa vide due occhi scuri come pozzi guardare la finestra davanti a loro, assonnati e socchiusi. Sorrise, accarezzandogli le ciocche scure per dargli il buongiorno. Aveva dormito tantissimo e questo sollevava la ragazza, la quale non vedeva Jake riposare decentemente da giorni.
Jake batté le palpebre e alzò lo sguardo sulla sorella, sbadigliando.
- Quanto ho dormito? – la voce era flebile, impastata e sottile.
- Quanto dura la primavera?
Jake sorrise appena alla risposta della ragazza, che puntò lo sguardo sull’orologio a muro. - Hai dormito per ben dieci ore, fratellino.
- Addirittura?
- Oh, sì. Pensa che ad un certo punto ho dovuto controllare se respirassi ancora.
Il fratello sbadigliò sonoramente, scivolando via dalle braccia della sorella per stiracchiare gli arti superiori. Poi la guardò, vedendo sbadigliare anche lei. – Sei rimasta sveglia per tutta la notte?
- Diciamo di sì.
Jake spostò lo sguardo sulle coperte. Non avrebbe nemmeno saputo esprimere tutta la gratitudine che stava provando in quel momento e fu fiero della ragazza forte e gentile che stava diventando sua sorella. Si rese conto, in quell’istante, di quanti sforzi facesse Veronica per farlo star bene, per farlo sentire al sicuro. Non era più arrabbiato con lei per aver prenotato la prima seduta al posto suo, le era ancora più grato per non averlo abbandonato dopo tutte le parole avvelenate che le aveva detto. Ma, dopotutto, lo sapeva. Sapeva che non lo avrebbe mai abbandonato e che sarebbe rimasta sempre dalla sua parte, perché era sua sorella come lui era suo fratello. E, come Jake avrebbe fatto qualsiasi cosa per farla sentire al sicuro, sapeva che lo avrebbe fatto anche lei.
- Grazie, Ronnie. – sussurrò. E riconobbe la sua stessa voce, che dall’anno prima gli sembrava non appartenergli più.
La ragazza rise, battendogli un piccolo pugno sulla spalla. – Grazie a te per non aver russato, almeno stanotte.
 
 
- Josh, che cazzo, spostati!
- Nana, dove hai imparato questa parola ignobile?
- E tu dove hai imparato la parola “ignobile”?
- Stai zitto, Jake, tu non c’entri niente.
- Jake, Josh continua a punzecchiarmi con le sue costole!
- Ma sto respirando!
- Mi spiace, io non c’entro niente.
- Sei un gemello davvero pessimo. Te ne lavi le mani come Ponzio Pilato.
- Ha le mani sporche? Jake, mi hai toccato con le mani sporche?
- Sam, sei un cretino.
- Josh, Ronnie mi insulta!
- Che succede, qui? – la voce dolce di Karen attirò gli occhi di tutti e quattro i bambini sulla donna, che era convinta si fossero addormentati da un bel po’.
- Josh mi dà fastidio.
- Non ci credo, sei un’arpia!
- Joshua, non rivolgerti così a tua sorella.
- Ma lei dice bugie!
- Jake non si è lavato le mani, mamma.
- Jake!
- Ma non è vero!
- Oh, beh, se tuo figlio si lamenta perché l’altro tuo figlio non si è lavato le mani ti arrabbi, ma se Josh mi rompe tu non gli dici niente!
- Bene, va bene, formichine. – esordì Karen, facendosi spazio nel grande letto in cui aveva infilato i bambini nella casetta di campagna che avevano affittato per l’estate. Si infilò al centro del letto, con Sam e Jake alla sua sinistra Josh e Veronica sulla destra. I figli la guardarono con aria interrogativa, sospettosi e incuriositi.
- Ve la ricordate la favola dei tre porcellini?
- Sì. – risposero i bimbi, in coro.
- E vi ricordate come fanno, i porcellini, a cacciare il lupo cattivo?
- Voglio dirlo io! – esclamò Sam, ricevendo un’occhiataccia da Jake. – No, lo dico io.
- Io la conosco meglio di voi! – piagnucolò l’unica bimba tra i quattro.
- Bene, visto che Josh non sta litigando, ce lo dirà lui. – s’intromise Karen.
Il più grande sorrise soddisfatto, prendendo un respiro profondo. – I due porcellini che avevano costruito la casa di paglia e la casa di legno si rifugiano nella casa di mattoni del fratello, che il lupo cattivo non può soffiare via.
- Esatto, Josh. E sapete cosa vuol dire?
I bambini guardarono la mamma sempre più confusi. Karen sorrise, abbracciando i quattro fratelli. – Significa che, come ha fatto il terzo porcellino, un fratello non si abbandona mai. Quando gli altri avevano bisogno di lui, il maialino li ha accolti nella sua casa di mattoni e li ha protetti dal lupo. E così dovete fare voi. Non importa se vi fanno arrabbiare, se non si lavano le mani o se vi infastidiscono. Dovete sempre sostenervi, sempre. Perché un fratello è più di un amico, un fratello ci sarà sempre, non vi abbandonerà, se voi non abbandonerete lui.
I piccoli si guardarono, un po’ straniti ma con i visi sereni e pronti a perdonarsi. Karen sorrise, sgusciando via dalle coperte rimboccandole per riscaldare i bambini. Diede a tutti e quattro un piccolo bacio sulla fronte, convinta di lasciarli più tranquilli e più uniti.
Solo che, quando spense la luce, la voce sottile di Jake ruppe il silenzio.
- Comunque, io le mani le avevo lavate.
 
   
 
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