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Autore: Federica_97    26/02/2020    2 recensioni
Strawberry è una ragazza dura, figlia del capo dell'FBI, con un grande dono.
Ryan è un ragazzo con precedenti, il tipico deliquente senza futuro, con precedenti penali e tanto altro.
Come possono due persone così diverse assomigliarsi tanto?
Eppure qualcosa li accomuna: il senso di colpa.
Strawberry porta dento di sè un segreto, un senso di colpa che da due anni l'ha fatta chiudere in sè stessa
Ryan invece è solo al mondo, senza nessuno a prendersi cura di lui.
Potranno gli occhi ghiacciati del ragazzo scongelare il cuore di Strawberry?
E può Strawberry dare a lui ciò di cui ha bisogno?
Un'amore nato nonostante tutto e tutti, loro per primi.
Ma l'incontro non sarà dei migliori, e i loro mondi così diversi potranno mai realmente incontrarsi?
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Ryo Shirogane/Ryan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9

 

 

Non riusciva a ricordare come mai si trovasse fuori in piena notte, a camminare in mezzo al nulla. Da sola.

Il freddo di quella notte le penetrava le ossa, insistente. Riusciva perfino ad entrare da sotto il giaccone pesante, che si era stretta addosso per combattere il gelo.

Potè quasi giurare che avesse iniziato anche a fioccare. La neve bianca e candida si depositava sui suoi capelli rossi fragola, bagnandoli un po'.

Si guardò ancora intorno e riconobbe la stramba struttura: il monastero abbandonato.

Si avvicinò ancora, non sapeva come fosse finita lì, ma si guardava indietro insistentemente come se qualcuno o qualcosa la stesse seguendo.

La porta stavolta non era più sbarrata dalla grossa catena e il lucchetto, bensì spalancata.

''non entrare, Strawberry'' la voce dentro di sé quasi urlava quella frase con insistenza. ''Non entrare Strawberry!'' e si fece sempre più forte, quando lei varcò l'entrata.

Era buio, un corridoio lungo, raccapricciante. Lei rabbrividì ancora, ma stavolta non per il freddo.

Sbirciò un po' attorno ignara -o forse no- di non essere la sola là dentro.

Strawberry...” una voce mascherata le arrivò alle orecchie come un sussurrò, sembrava quasi innaturale.

Si voltò si scattò “Dove sei?” non riusciva a vedere nessuno. Si incamminò verso una flebile luce... candele. Quella luce suffusa, giallastra, proveniva da delle candele.

Riconobbe i volti delle ragazze uccise, in tante fotografie ritagliate e appiccicate a delle cornici. Solo una era ancora vuota. In quel momento capì, mancava l'ultima offerta votiva.

Strawberry...” la voce si fece più vicina, il respiro sul collo le fece gelare il sangue e si voltò lentamente. Spalancò gli occhi...

Non aveva il viso!

 

Scattò a sedere sul letto, con la fronte imperlata di sudore. Il respiro ansimante, i battiti del cuore accelerati. Si porto una mano al petto, quasi a costringersi di calmarsi.

Era stato un sogno, uno stupidissimo sogno.

Si voltò verso la sveglia, segnava le 06.45 del mattino, i flebili raggi solari iniziavano ad illuminare la stanza.

Un indumento attirò la sua attenzione: un maglioncino blu elettrico che era chiaramente maschile giaceva a terra, poco lontano da suoi vestiti.

Sgranò gli occhi voltandosi a guardare l'altra parte del suo letto a due piazze, dove il ragazzo dormiva beatamente a pancia in giù con le braccia sotto al cuscino.

In un lampo le tornò in mente la sera prima. I loro baci, le loro carezze, i sospiri, i gemiti...

Si sistemò meglio il piumone addosso, vergognandosi del fatto che sotto avesse solo l'intimo (infilato poco prima di addormentarsi).

Ryan emanava calore e il suo respiro era calmo e rilassato. Dormiva profondamente.

Sorrise, giocherellando con i suoi capelli biondi, lisci e profumati.

Quel ragazzo si era così tanto insinuato nella sua vita che ormai pensare di stargli lontana le sembrava quasi una cosa irreale.

Lo sentì mugugnare qualcosa, schiudendo le labbra.

Il suono della sveglia la fece sobbalzare e prontamente lo interruppe.

“Ryan” lo scosse leggermente. “Ti prego svegliati o siamo nei guai”.

Gli occhi azzurri del ragazzo si aprirono con una lentezza innaturale.

“Uhm?” biascicò girandosi. “Che succede?”

“Succede che mio padre sarà in camera mia tra meno di cinque minuti” si alzò iniziandosi a vestirsi rapidamente.

“Ma è domenica”, si tirò su coi gomiti senza nascondere il sorrisetto malizioso che ormai gli apparteneva.

“Ci svegliamo presto” gli lanciò il maglione “per favore!” lo supplicò.

“E va bene, micetta dispettosa” si stiracchiò e si mise a sedere sul letto dandole le spalle.

Divenne rossa quasi quanto i suoi capelli notando che la schiena del ragazzo era leggermente graffiata. E lei sapeva come si era procurato quelle ferite. Il fatto che avesse addosso solo l'intimo non aiutava.

“Sì, sei stata violenta” ammise lui, dando voce ai suoi pensieri. “Però non mi è dispiaciuto”. In un attimo fece il giro del letto, trascinandola a sedere sulle sue gambe nude. “Ti ho fatto male?” chiese infine, premuroso.

Lei scosse la testa, incapace di proferire qualsiasi parola.

“Come mai così zitta?” sussurrò allora lui, provocandola. Le lasciò un bacio sul lobo dell'orecchio, facendole chiudere gli occhi.

“Non...” mormorò qualcosa di incomprensibile, ma la verità era che per la prima volta da quando la conosceva, l'aveva davvero lasciata senza parole.

Il bussare alla porta la fece rinvenire dai suoi mille pensieri poco casti e sobbalzò, ancora.

“Tesoro sei sveglia? Posso entrare?”.

“Un attimo papà, non sono vestita!”, scattò in piedi lanciando i pantaloni a Ryan che in tutta fretta se li mise.

Ebbe appena il tempo di infilarsi la maglietta che suo padre spalancò la porta.

Il sorriso che aveva sul volto sparì nell'istante esatto in cui vide il ragazzo abbottonarsi i jeans.

Fissò la figlia che non era poi in condizioni migliori: la maglia, infilata di fretta, era alla rovescia.

Spalancò la bocca capendo in pochi secondi quello che era successo tra quei due.

Shirogane non disse nulla, grattandosi il capo imbarazzato. E Rick, dal canto suo, ad occhi sgranati lasciò la stanza.

Il biondo scoppiò a ridere all'espressione della ragazza, imbarazzata come non l'aveva mai vista.

“Io non ho parole, davvero” lo piantò lì, uscendo dalla stanza, mentre lui continuava a ridere.

 

 

 

 

“Perché ci segue?” chiese Rick alla figlia, parcheggiando l'auto vicino al suo distretto.

“Perché lui è Shirogane. Non lo manderesti via neanche a calci”, dallo specchietto retrovisore vide il ragazzo spegnere il motore della sua moto e togliersi il casco.

“Non mi piace” gli occhi scuri dell'uomo fissarono la rossa che in risposta roteò gli occhi.

“Lo avrai detto mille volte. Che deve fare per farsi accettare?”.

“Non infilarsi nel letto della mia bambina, per prima cosa”. Non avevano parlato di quello che era successo quella mattina fino a quel momento.

“Papà io...”

“No Strawberry, ascoltami. Ho avuto la vostra età e sono ben consapevole di cosa si prova. Ma insomma, Shirogane? Ha precedenti, è una testa calda. Ho paura che possa ferirti”.

La rossa lo guardò di sottecchi “quindi tu non sei arrabbiato per...quello?”.

“Certo che sono arrabbiato! Insomma avete...avete...” prese un bel respiro. “Ma non è questo il punto”.

“Hai paura che possa ferirmi, sì”. La ragazza ispirò a fondo. “Papà ascolta... sono consapevole che sei arrabbiato e preoccupato però... lascia che io cresca”.

“Sì tesoro ma...”. La ragazza gli prese la mano che aveva poggiata sul cambio.

“Ma niente papà. Lascia che io cresca, lascia che io soffra se è necessario. Ryan è un bravo ragazzo. In queste settimane ho avuto modo di conoscerlo meglio di quanto tu creda. Ha sofferto molto”.

“Per via dei genitori?”.

Lei annuì. “Lascia che io mi scotti, se succederà allora sarà un'altra esperienza nella mia vita”.

Rick sospirò e distinto l'abbracciò. In quella posizione poco comoda tra i due sedili, Strawberry ricambiò l'abbraccio.

Non lo abbracciava da anni ormai.

“Se ti fa soffrire, gli sparo”.

Lei ridacchiò annuendo.

Il bussare al finestrino li fece destare dal loro momento padre-figlia e sciolsero l'abbraccio.

Ryan se ne stava fuori ad aspettare che uscissero.

“Allora?”. Li spronò a scendere.

Strawberry fu la prima ad abbandonare l'abitacolo, seguita da Rick.

Sbattè la portiera e lei la fissò.

Quasi subito si imbambolò col vuoto negli occhi.

“Sssh!” Rick fermò immediatamente Ryan che stava andando da lei.

“Sta avendo...?”.

L'uomo annuì.

La figlia tornò tra di loro sbattendo la palpebre più volte.

“Hai un volto?” chiese Ryan.

Lei scosse la testa.

“Un nome?”.

Scosse ancora.

“Un qualcosa che può esserci utile?”.

La rossa guardò il padre. “Ho visto un incidente d'auto”.

 

 

 

Antonio digitava sulla tastiera. “Non è arrivata nessuna segnalazione di incidenti d'auto”.

“Sei riuscita a capire se è successo da poco?” chiese Rick.

“O se magari deve succedere?”. Azzardò il biondo.

Lei fece segno di no con la testa. “Un dettaglio sul cruscotto ha attirato la mia attenzione. Il termostato segnava trentaquattro gradi. Non è successo adesso”.

Antonio si avvicinò alla ragazza. “Quindi hai avuto la visione di un incidente successo mesi fa?”.

Lei annuì.

“Straw...” Ryan la chiamò. “Sicura che fosse un incidente? E se fosse la persona che si è suicidata?”.

La ragazza sospirò. “E' successo tutto così in fretta. Ricordo la targa parziale dell'auto”.

Rimasero in attesa.

“Se magari la dici, cerchiamo riscontri” la riprese il padre.

“Oh, sì. B47...6... o forse era un 9 non ho visto bene”.

“Okay, cercherò qualsiasi macchina targata così che abbia avuto incidenti negli mesi successivi” Antonio lasciò la stanza portandosi dietro il taccuino con l'appunto.

La rossa sospirò sedendosi sulla poltrona dell'ufficio del padre. Si massaggiò gli occhi, stanca.

“Tesoro tutto bene?” chiese l'uomo.

Lei annuì: “questa visione mi ha sfinita. Non era mai successo”.

“Magari devi riposare, che dici?” chiese il biondo.

“Non andrò da nessuna parte, che sia chiaro. Voglio solo risolvere questo caso. Sono a tanto così da capire chi c'è dietro a tutto questo”, si alzò guardando fuori la finestra, il traffico scorreva tranquillo.

“Come fai a dirlo? Secondo me siamo ad un punto morto” Rick la imitò.

“Non lo so, me lo sento” mormorò. “C'è qualcosa che mi sfugge” sbuffò. “Sono sicura che questo qualcosa è la chiave per risolvere tutto”.

Ryan si stiracchiò. “Che ne dici se io torno a casa nel frattempo? Mi faccio una doccia e poi magari torno ad aiutare”.

Strawberry lo guardò, annuendo. “Vai non preoccuparti”.

“Magari non torni? Non sarebbe meglio?” fece ironico il padre.

“Papà” lo riprese lei.

Lui alzò le mani al cielo in segno di resa.

“Allora a più tardi” fece l'occhiolino alla ragazza ed uscì. La rossa rimase imbambolata a fissare la porta ormai socchiusa, con un sorrisetto un po' rassegnato ad incurvarle le labbra.

“Oh” Rick schioccò le dita davanti al viso della figlia “sei proprio cotta” sospirò, ormai l'aveva persa.

“Ma non dire fesserie” lo spintonò. “Va a vedere se Antonio combina qualcosa invece, io rimango qui a leggere un altro po' il libro” si sedette sulla grande poltrona con il pesante libro sulle gambe, iniziò a sfogliare le pagine.

“Ma non lo hai già letto?”.

Ignorò il padre che in tutta risposta scosse la testa con fare rassegnato e lasciò sua figlia assorta nella lettura.

Gli occhi cioccolato di lei scorrevano veloci da una parola ad un'altra.

Sbadigliò un paio di volte prima di prendere una posizione più comoda. Lentamente scivolò in un sonno disturbato, mentre il libro si adagiava a terra ancora aperto.

 

 

Quando riaprì gli occhi quasi aveva dimenticato dove si trovasse. Il dolore alla schiena per la cattiva posizione in cui era rimasta, però, glielo ricordò senza farsi attendere troppo.

Si alzò, stiracchiandosi. L'orologio appeso alla parete segnava le 15.30, aveva saltato il pranzo e aveva dormito praticamente un'eternità.

La centrale era stranamente silenziosa, si affacciò dall'ufficio del padre in cerca di lui o del suo collega Antonio, ma non vi era traccia di nessuno dei due.

“Anna scusa, mio padre?”.

La ragazza dai capelli color rame alzò gli occhi dal computer.

“Tesoro tuo padre mi ha detto di dirti che è andato a racimolare prove, Antonio è con lui”.

“Ah” fece lei. Sbuffò infastidita del fatto che non l'avesse svegliata. Poteva essere utile. “Grazie” si allontanò dirigendosi alle macchinette, aveva fame e il sandwich già confezionato che acquistò, faceva a caso suo.

Entrò dentro l'ufficio di Antonio, dove prima avevano lavorato i due uomini. La sua scrivania era ricolma delle foto dei casi e due fascicoli che non aveva visto prima.

Per lo meno, uno no ma l'altro sì.

La sua attenzione fu catturata da quella cartellina di colore blu. La aprì, la foto dei genitori di Ryan era in primo piano. Il rapporto del caso diceva ''incidente stradale''. Avrebbero dovuto essere in tre ma i cadaveri ritrovati furono solo due.

''Ashley Shirogane non fu ritrovata'', continuava a leggere mentre addentava il suo panino.

Si grattò la tempia cercando di capire perché Antonio avesse tirato fuori quel fascicolo.

Poi lesse la data dell'incidente. 22 luglio.

Quasi si strozzò. Rilesse la piccola nota ''Ashley Shirogane non fu ritrovata''.

Sgranò gli occhi richiudendo quel fascicolo.

Lasciò l'ufficio di Antonio e rientrò in quello del padre cercando il suo cellulare.

Il libro giaceva ancora a terra ed all'improvviso lei ricordò lo strano sogno che aveva fatto la mattina. Gettò via il panino ed afferrò lo smartphone. Provò a chiamare suo padre, ma il cellulare era irraggiungibile. Antonio lo aveva dimenticato in centrale.

Scrisse un messaggio a Ryan in tutta fretta.

Sto andando al vecchio monastero, vieni con mio padre non appena leggi il messaggio. Forse ho capito”

Rovistò nei cassetti del padre e prese la pistola di scorta che teneva lì. La infilò dietro ai pantaloni e si infilò il giubbotto.

“Anna se arriva Shirogane sa dove condurvi” non disse altro, scappò via.

Prese il primo taxi che si fermò.

 

 

L'aria iniziava a farsi più fredda del solito e dopo aver pagato la corsa al taxista si diresse verso l'ingresso sbarrato del monastero.

Nel suo sogno era aperto, ma evidentemente nella realtà non fu così.

“Accidenti” borbottò, strattonando le catene che non volevano saperne di aprirsi.

Fece il giro della struttura nella speranza di trovare un ingresso alternativo. Ed effettivamente lo trovò. Si infilò dentro una finestra rotta, accendendo la torcia del suo cellulare. Quel posto metteva i brividi. Era buio nonostante dalle finestre filtrasse ancora la luce del sole.

I muri erano malandati ricoperti di muschio ed erbacce lasciate crescere.

Camminò piano, ma tutto sembrava tranquillo. Forse si era sbagliata, ancora.

Percorse lentamente un lungo corridoio dove attaccati al muro c'erano degli strumenti così strani che poteva giurare fossero per torturare la gente.

Una piccola luce soffusa attirò la sua attenzione e perse qualche battito ricordandosi che nel suo sogno l'aveva vista anche.

Si avvicinò lentamente e come previsto in precedenza delle cornici con le foto delle vittime vi erano poggiate su un altarino. Solo una di loro era ancora vuota.

Si voltò di scattò, spaventata e solo in quel momento si rese conto di quanto stupida fosse stata l'idea di non aspettare suo padre o qualsiasi altro agente.

Tirò fuori il cellulare ma non ebbe il tempo di comporre nessun numero che qualcuno alle sue spalle la tramortì, colpendola alla testa.

Cadde a terra e vide solo una figura asciutta e longilinea fissarla dall'alto.

Perse i sensi.

 

 

Quando riaprì gli occhi la prima cosa che notò fu che non si trovava più nella stanza dove aveva perso i sensi, adesso era in quello che sembrava un enorme e umido seminterrato.

Cercò di alzarsi ma solo in quel momento capì che era legata alla sedia dove era seduta. I polsi legati dietro la spalliera le facevano male per via delle corde troppo strette.

Era nella stessa posizione delle vittime.

Strattonò le braccia cercando di liberarsi.

“Strawberry” una voce la chiamò e lei alzò gli occhi, accorgendosi solo in quel momento delle scale. “Benvenuta piccola” la figura continuò a scendere lentamente.

“Speravo di conoscerti” la voce chiaramente da donna si fece più vicina e lei si agitò di più.

“Smettila o ti farai male” si abbassò il cappuccio nero come la pece e la rossa quasi si sentì male. Gli occhi azzurri, i capelli biondi. Si somigliavano un sacco.

“Ashley” mormorò. “Sei Ashley Shirogane, vero?”.

Lei annuì, scostandole i capelli dal viso. “Certo che sei bella” mormorò. “Per questo mio fratello ha un debole per te”.

Strawberry sbatté le palpebre.

La bionda intuendo i suoi pensieri sorrise, quasi gentile. “Io so tutto, tesoro. So che hai una relazione con lui e conoscendo mio fratello tu gli piaci molto”.

“Lui sa di tutto ciò?” fece quella domanda quasi timorosa della risposta. Se Ryan era a conoscenza di tutta quella storia, ciò significava che era suo complice.

“No” sorrise lei. “Lui non sa niente, probabilmente non sa nemmeno che io sia viva”.

Strawberry sospirò sollevata. “Lasciami andare” le ordinò, dura. “Lasciami andare e troviamo insieme una soluzione davanti al giudice”.

Ashley scosse la testa voltandosi a preparare qualcosa. La rossa non vedeva cosa stesse facendo ma udì distintamente il suono di una lama.

“Sei la mia ultima offerta, non posso lasciarti andare”.

 

 

Buon salve a tutti!!!! Non aggiorno da tipo novembre, me ne rendo conto.

Come state? Io tutto bene grazie! Siamo a febbraio e ormai l'inverno e agli sgoccioli!

Ma comunque! TAH DAH, mistero svelato e assassinA scoperta.

Nel prossimo (ed ultimo) capitolo spiegherò un paio di cose. Sarà probabilmente più corto ma ho voluto suddividerlo per non renderlo noioso.

In ogni caso, vi è piaciuto?? fatemi sapere!

P.S. Questo capitolo è cominciato con un momento ansia assoluto.

Ho scritto quel pezzetto (il sogno di Strawberry) in un momento in cui era prese di ansia per tutto. Non che ora non lo sia (purtroppo l'ansia è mia amica fidata da sempre), però sto meglio!

Vi mando un grosso bacio e a presto!

  
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