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Autore: Naco    28/02/2020    1 recensioni
Quando la sua professoressa di tesi propone a Lucia - seria e coscienziosa laureanda in Lettere - di dare ripetizioni di francese al proprio figlio, la ragazza capisce subito che, accettando, rischia di cacciarsi in un mare di guai: Giulio Molinari è il classico figlio di papà che pensa solo alle ragazze e assolutamente disinteressato a costruirsi un futuro Insomma, il tipo di persona che lei detesta.
Ma è davvero così impossibile che due persone così diverse possano avvicinarsi? In una girandola di battibecchi, scontri e incomprensioni, tra parenti ficcanaso e fedeli amici, tesi da preparare e lezioni di francese da seguire, Lucia e Giulio si renderanno presto conto che non sempre l’altro è poi così diverso da noi e che, forse, la nostra anima nasconde un ritratto molto più bello di quello che noi preferiamo mostrare agli altri.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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XVIII


“Giorni di fuoco” è l'espressione giusta per definire quel periodo prima della seduta di laurea. Avendo sprecato ben tre giorni, dovevo recuperare il tempo perduto; perciò, mettendo da parte la sensazione alla bocca dello stomaco che avevo avvertito vedendo Giulio con quella ragazza, m'impegnai con tutte le mie forze per dedicarmi soltanto allo studio e, dopo anni di allenamento, non fu difficile riprendere il ritmo. Il cielo, inoltre, fu tutt'altro che clemente con noi: la temperatura raggiunse i 40°C e, nonostante avessi l'aria condizionata sia in biblioteca che a casa, ingurgitavo ingenti quantità di frutta per sopperire alla perdita di liquidi; in quei giorni, mi ritrovai più volte a ringraziare mia nonna che, previdente, mi aveva riempito di roba da mangiare: anche se ormai erano passate oltre due settimane, le mie scorte erano tutt'altro che esaurite.
Il lunedì successivo la segreteria ci comunicò che la nostra seduta si sarebbe svolta alle 15:00 del 19 luglio e che avevamo poco più di una settimana per sistemare gli ultimi dettagli: quel pomeriggio portai la tesi in copisteria, pregando di aver eliminato tutti i refusi, ma sicura di averne lasciati ancora parecchi; tuttavia, non me ne curai troppo: prima di spedire la tesi completa alla professoressa Galanti, l'avrei riletta ancora una volta.
Martedì 18 luglio, a mezzogiorno, io, Andrea e Claudia uscivamo dalla stanza della professoressa con la nostra chiavetta usb contenente la presentazione che avremmo mostrato durante la seduta e la gola secca per aver più volte ripetuto il nostro discorso che ormai conoscevamo a memoria come un mantra.
«Andrà bene, vedrete!» ci disse Antonio strizzandoci l'occhio, ma io ero sicura che quel commento fosse più destinato ad Andrea che a me e a Claudia; in ogni caso, servì comunque ad alleggerire la tensione.
La mia famiglia accettò la mia decisione di voler stare da sola nelle ore che avrebbero preceduto la seduta, perciò arrivò a Bari soltanto alle due del pomeriggio e mi raggiunse in aula I; io e i miei amici eravamo già lì che continuavamo a ripetere il discorso l'un l'altro.
«Lulù, tesoro!» incurante della gente che aveva iniziato a riempire l'aula, mia nonna mi raggiunse e mi strinse in un forte abbraccio.
«Ciao nonna. Il viaggio è andato bene?» chiesi, soddisfatta di essere io, per una volta, a rivolgerle quelle parole. Mia nonna rise e si rivolse ai miei amici: «Mia nipote si preoccupa sempre troppo per me!»
Claudia e Andrea, mi raccontarono dopo, furono subito conquistati da mia nonna e la intrattennero finché io salutai i miei: con mia grande sorpresa anche Laura si era unita a loro. Ci salutammo con un bacio sulle guance e mi resi conto che ero davvero felice che fosse venuta. «Purtroppo Emanuele lavora e non ha potuto prendersi il pomeriggio libero, ma mi ha pregato di dirti che, se non prendi il massimo, non ti perdonerà mai di avermi fatto viaggiare con il pancione.» Risi e accarezzai la piccola protuberanza che, dall'ultima volta che ci eravamo viste, era cresciuta ancora di più.
«Fatti vedere,» mi salutò mia madre costringendomi a compiere un giro completo per studiare il mio abbigliamento. «Non male» decretò al termine della sua ispezione e io lanciai un'occhiata complice ad Andrea. Era stato lui ad accompagnarmi in giro per negozi per trovare qualcosa di carino da mettere e, dopo avermi costretta a provare abiti per ore, alla fine aveva approvato quel vestitino blu cobalto con la gonna che mi arrivava fin sopra il ginocchio e le spalline larghe.
«Io odio le gonne!» avevo protestato, ma Andrea aveva ribattuto che, se non l'avessi preso, mi avrebbe tolto il saluto per sempre.
Il mio amico, intanto, era stato raggiunto da sua madre; anche i genitori di Claudia erano arrivati e io vidi la mia amica presentar loro Massimo, non senza un certo imbarazzo.
«E Giulio, non c'è?» se ne uscì d’un tratto mia nonna, guardandosi intorno.
Ci fu un attimo di silenzio, ma io ero preparata a una simile eventualità e «No, nonna, Purtroppo è fuori città» risposi atona.
In un primo momento, avevo pensato di dire semplicemente la verità: purtroppo, avevamo capito di non essere fatti l’uno per l’altra e ci eravamo lasciati. Tuttavia, avevo scartato quasi subito una simile opzione: di sicuro, mia nonna avrebbe riempita di domande a cui non mi andava ancora di dare delle risposte, perciò avevo preferito quella piccola bugia; ci avrei pensato in seguito a trovare il modo giusto per raccontarle di come la nostra breve e intensa storia d’amore fosse giunta alla sua conclusione.
Nonostante questo, la delusione sul volto di mia nonna mi spezzò il cuore. «Ah. Quindi non è scoccata, eh?»
La fissai per un attimo senza capire: «Cosa?»
«Ma la scintilla, cara,» ribatté come se fosse una risposta ovvia; peccato che per me non lo fosse per niente. «Ma quale…?»
E, all'improvviso, compresi.
«Lo sapevi?!»
Mia nonna ridacchiò: la mia faccia doveva aver assunto un’espressione comicissima, perché mi resi conto che avevo la bocca aperta.
«Ma certo, cara. Me ne sono accorta appena vi ho visti: due fidanzati non si comportano come voi, sono più... come posso dire? Vicini.»
«Oh, nonna. Mi spiace, non ti volevamo prendere in giro, ma...»
Ma lei scosse una mano, come se non avesse importanza. «Lo so, cara, lo so. Però, se devo dirla tutta, a me Giulio piaceva tanto: era così gentile e voi due stavate benissimo insieme. Mi sarebbe piaciuto tanto che...» sospirò «Ma pazienza, cara. Sei giovane, troverai di sicuro un ragazzo che amerai come io ho amato tuo nonno. Adesso pensa a laurearti, dài!»
La mia nonnina. La donna testarda che continuava a credere che io avrei trovato il vero amore e che non riusciva a capacitarsi del contrario. L'abbracciai con tutta la forza che potei. «Mi dispiace, nonna,» avrei voluto dirle, ma in quel momento sentii alle mie spalle una voce ben nota che attirò la mia attenzione.
«Margherita!»
La signora Margherita mi sorrise a dir poco radiosa e mi strinse anche lei in un abbraccio fortissimo.
«Ma... non mi dire che sei venuta per me?»
«Certo, cara, mi sembra ovvio! La signora è stata così gentile da dirmi quando ti saresti laureata e ho preso un giorno di permesso per venire a vederti. Fatti guardare:» fece un passo indietro per ammirarmi «stai benissimo!»
«Grazie. E tu come stai?»
La donna alzò le spalle: «Solita vita. Sai com'è.»
Uno strano silenzio imbarazzato cadde tra noi: non avevo una precisa idea di quanto fosse a conoscenza dei rapporti tra me e Giulio, ma quella reazione mi convinse che le avesse riferito qualcosa.
«A proposito. Non ho mai avuto modo di ringraziarti per questo.» Sollevai il braccio e le indicai il bracciale che mi aveva dato Giulio, ormai una vita fa. «È bellissimo, è l'unico gioiello che indosso.»
Margherita mi guardò in modo strano: «Oh, cara. Mi fa piacere che ti piaccia, ma quello non è un mio regalo.»
Come? «Ma... l'hai fatto tu, no?»
Margherita assentì. «Sì, certo.»
«Ma Giulio...»
Per tutta risposta, lei rise della mia lentezza.
«Vedi, cara, qualche settimana fa, mentre creavo alcuni braccialetti come questo per le nipoti dei signori, Giulio venne da me e mi pregò di farne un altro perché “voleva regalarlo a una persona”. Io gli domandai per chi fosse e mi rispose che “si era comportato molto male con una persona e voleva scusarsi in qualche modo”» rise ancora e gli occhi le brillarono «Avevo capito subito che parlava di te, sai? Così gli dissi che non c’erano problemi e gli chiesi di che colore lo volesse. “Blu”, mi rispose senza neanche pensarci su “Perché lei è sicura e inarrestabile come le onde del mare”» squadrò il mio tailleur e sorrise «Ed è anche il tuo colore preferito, suppongo.»
Non era possibile. Eppure, che motivo avrebbe avuto Margherita di mentirmi?
«Ma perché non me l'ha detto?»
Margherita scosse la testa: «Non lo so. Forse si vergognava. Sa essere davvero timido, quel ragazzo.»
I docenti della commissione entrarono in quel momento e io e gli altri candidati prendemmo posto ai primi banchi; tuttavia, la mia mente era ormai tornata indietro nel tempo, fino a quella giornata di quasi un mese prima, quando io e Giulio ci eravamo diretti a casa dei miei.
«Potresti farlo tu stessa. Le manchi molto.» aveva replicato quando gli avevo detto di ringraziarla da parte mia. Ma perché? Margherita mi avrebbe subito svelato il mistero, come poi aveva fatto pochi minuti prima.
Perché voleva che io lo scoprissi.
In quel momento, lui non poteva sapere che io non avrei più visto Margherita per molto tempo a causa della decisione che avevamo preso quando il nostro rapporto si era all’improvviso trasformato.
Ma perché non me l'aveva detto subito?
«Noi uomini siamo fatti così. Non amiamo mostrare le nostre debolezze agli altri, soprattutto a chi vogliamo bene.»
Era anche di se stesso che stava parlando quella volta, mentre confortava la mia amica? Era soltanto quello il motivo?
Un'improvvisa gomitata nelle costole mi riportò al presente: la prima ragazza aveva appena terminato il suo discorso, di cui io non avevo ascoltato una parola, e il presidente della commissione stava facendo il mio nome. «Tocca a te!» mi sussurrò Andrea nell'orecchio «Va' e spacca tutto!»
Ispirai a fondo. Non era quello il momento di pensare a Giulio Molinari e al bracciale che portavo al polso; dovevo concentrarmi sul discorso: lo dovevo a me stessa e, soprattutto, a tutti coloro che mi erano stati accanto e che mi avevano permesso di arrivare fin là. D'accordo, per i più quella era solo la presentazione di un lavoro che era già stato giudicato, ma per me, invece, era il coronamento di un lungo, meraviglioso e complicato percorso di studi.


Penso che una delle sensazioni più difficili da spiegare sia cosa significhi, per un candidato, il momento della proclamazione. Qualsiasi sia il voto scelto dalla commissione, l'attimo in cui ti rendi conto che il tuo percorso quinquennale è finito, che non seguirai più con i tuoi colleghi le lezioni di docenti che hai imparato a conoscere prima per sentito dire e poi dal vivo, che non spenderai più intere giornate in coda per andare in segreteria e ore e ore in biblioteca, a leggere volumi che sono passati e passeranno tra le mani di milioni di studenti prima e dopo di te, provi un'emozione che nessuno potrà mai rendere a parole. Certo, la laurea non è che un tassello, nel percorso di formazione di chiunque, e la vera sfida comincia dopo; ma quel momento, quel singolo attimo in cui ti senti libera, ma anche profondamente triste per quello che lascerai dietro di te, lo conserverai per sempre, come un dono prezioso.
Nell’attimo stesso in cui, dopo la proclamazione, la gente poté battere le mani – era vietato farlo mentre il presidente pronunciava le parole di rito – io, Andrea e Claudia ci guardammo e ci ritrovammo avvinghiati in un solo abbraccio; sentivo le guance umide di lacrime e non mi era chiaro se appartenessero solo ai miei compagni di avventura o se, tra le loro, ci fossero anche le mie. Ero diventata una piagnucolona in quell'ultimo periodo, ma con mia sorpresa mi accorsi che non me ne fregava un accidenti.
Appena ci staccammo, Claudia venne rapita dalle braccia di Massimo, mentre Andrea fu raggiunto da sua madre; mia nonna, invece, era scoppiata a piangere come una bambina e mia madre e Margherita cercavano di consolarla; mio padre, dal canto suo. mi diede una pacca sulla spalla, mentre Laura, la più lucida, mi scoccò un semplice bacio sulla guancia. Anche se non era davvero lì, per un secondo, avvertii anche la presenza di mia sorella che mi sorrideva, felice.
“Questo traguardo è anche merito tuo, Giovanna”, non potei fare a meno di pensare in quel momento.
A un certo punto, vidi Antonio avvicinarsi al nostro gruppo per complimentarsi con noi.
«Permette?» chiese avvicinandosi ad Andrea e, senza aspettare la risposta della madre, afferrò il mio amico, lo voltò verso di sé e lo baciò, lì, davanti a tutti. Beh, se non era questo il modo più eclatante per fare coming out, non riesco a pensare quale potesse essere.
Io e Claudia ci guardammo per un attimo e applaudimmo neanche fossimo a teatro e avessimo appena assistito a un magnifico spettacolo; mia nonna commentò che era sempre bello vedere dei giovani innamorati e che avrebbe tanto voluto, ai suoi tempi, avere un bacio come quello, ma purtroppo all'epoca si doveva mantenere un certo contegno e Margherita si disse d'accordo con lei; mia madre, invece, non disse nulla, ma considerai un gran progresso il fatto che non avesse assunto strane espressioni.
Antonio, nel frattempo, si era avvicinato anche a me e a Claudia.
«Congratulazioni: sei stata grandiosa,» mi disse dandomi un bacio sulla guancia; poi, mentre la sua pelle toccava la mia, «Non gliel’hai detto» mi bisbigliò.
Mi allontanai da lui non capendo. «Di che cosa stai parlando?»
«Di quella ragazza, Valeria. Giulio non le ha mai detto che disegna. Né che avrebbe voluto farle un ritratto.»
L'aula piena, la seduta di laurea, i miei genitori e i miei amici all'improvviso scomparvero e rimase solo Antonio che mi teneva ancora la mano.
«Come... cosa…?» Avrei voluto porgli mille domande, ma il cuore aveva iniziato a battere all'impazzata e non ero riuscita a formulare una frase di senso compiuto.
Antonio mi fece un occhiolino, capendo al volo. «Non aver fatto coming out prima di oggi pomeriggio ha avuto i suoi vantaggi. Andrea mi ha descritto chi fosse la famosa ragazza, sono andato da lei e, fingendo di avere una cotta per te, l'ho ringraziata perché era riuscita a separare te e Giulio e le ho chiesto come avesse fatto. È stata molto loquace, devo ammetterlo, e non si è neanche chiesta come facessi a sapere che era stata lei. Mi ha detto che, una volta, aveva beccato Giulio che stava scarabocchiando un disegno, mentre era soprappensiero. Il disegno le era piaciuto tanto e gli aveva proposto di farle un ritratto, ma lui le aveva risposto laconico: “Farò un ritratto solo alla persona per me più cara al mondo”. È stato un episodio così insignificante che lui deve averlo rimosso ma lei, gelosa, non l’ha mai dimenticato e l'ha sfruttato contro di te.»
«Non... non...» tornai con la mente a quella mattina: quella stronza aveva gettato l'amo per caso e, vedendo la mia reazione, aveva capito subito che Giulio mi aveva sul serio proposto di farmi un ritratto e aveva inventato tutto quel teatrino. E io c'ero cascata come una stupida. Giulio mi aveva detto che, quando andava a scuola, imbrattava i libri di disegni ed era più che plausibile che quella mania gli fosse rimasta nel corso degli anni, anche se lui non se ne rendeva conto. Come avevo fatto a non pensarci?
«Spero perdonerai Andrea per avermi esternato i suoi dubbi, ma quel giorno, a casa sua, eri così sconvolta che non ho potuto far finta di nulla. Tu, con le tue parole, mi hai spinto a credere in quello che sono e io non potevo lasciare che tra di voi finisse in questo modo. Avrei voluto dirtelo giorni fa, per risparmiarti tante giornate dolorose, soprattutto in questo periodo, ma purtroppo è stata furba e ha evitato di farsi vedere da queste parti per qualche tempo, forse temendo di incontrare te o Giulio o forse per colpa degli esami. In ogni caso, spero di averti fatto un piccolo regalo di laurea.» mi sorrise gentile.
Annuii solo con la testa, non sapendo bene cosa dire, i miei pensieri rivolti solo a Giulio.
«Ti fidi così poco di me, dunque?»
Avevo avuto così poca fiducia in lui da permettere alle chiacchiere di una stupida ragazzina di confondermi. Come avevo potuto? Lui aveva fatto così tanto per me. Ricordai quella notte a casa dei miei, il suo abbraccio, caldo e dolce, mentre i miei singhiozzi piano piano si calmavano e la sua mano che mi accarezzava la testa. Mi aveva cullata come una bambina e non mi aveva chiesto nulla; aveva intuito le mie paure e, anche se nel frattempo avrebbe potuto avere centinaia di donne, aveva aspettato che io fossi pronta, per fare l'amore con me. Ricordai quella sera, nella sua casa di campagna: aveva organizzato tutto per farmi una sorpresa, perché dalle mie parole aveva percepito quanto amassi guardare le stelle e che mi sarebbe tanto piaciuto farlo ancora. Rivolsi la mia attenzione al bracciale che portavo al polso: mi era stato accanto in silenzio, mi aveva trascinata fuori dalle mie paure più grandi, mi aveva fatto scoprire l'amore e io... io cosa gli avevo dato in cambio?
“Farò un ritratto solo alla persona per me più cara al mondo”
Ed era stato così. Tra gli schizzi di Giulio su quel blocco da disegni, e tra quelli che poi lui stesso mi aveva mostrato, c’era solo un ritratto, ripetuto più volte: quello di Christine, la ragazza che aveva amato per anni; l’unico altro ritratto che aveva realizzato era stato il regalo che aveva fatto a Margherita – una donna a cui voleva bene come una madre, forse anche di più – anni prima.
Quel sabato mattina avevo liquidato l’idea di Giulio come una sciocchezza, un capriccio, e invece per lui aveva avuto un significato molto più profondo. Ero davvero così importante per lui, tanto da meritare un onore che fino ad allora aveva riservato solo a due persone? Com’era possibile? E, soprattutto, cosa avevo fatto io perché ciò avvenisse, a parte riempirgli la testa di nozioni di francese di cui non aveva neanche bisogno?
«Scusami» una mano mi toccò il braccio e mi accorsi solo allora che Antonio si era allontanato e gli altri avevano continuato a parlare senza che io vi stessi prestando attenzione. «Sei tu Lucia Astolfi?»
«Sì.» Constatai che doveva avere all'incirca sedici anni. Ma chi era? Non mi pareva di averla mai vista.
«Scusami se ti disturbo, ma... un ragazzo, poco fa, mi ha detto di consegnarti questo pacchetto.»
Lo presi come in trance. «Per me?»
«Sì. Mi ha detto di darlo alla ragazza con un vestito blu cobalto.»
Il cuore iniziò a battermi all'impazzata: «Potresti descrivermi questo ragazzo, per favore?»
Lei arrossii. «Oh, era un bel ragazzo: capelli corti, castani, alto, con due bellissimi occhi celesti.»
Giulio era lì. Aveva assistito alla seduta, era venuto per me.
Con dita tremanti, aprii il pacchetto che avevo tra le mani. Si trattava di un acquerello dalle tinte pastello e rappresentava... me.
“È solo che mentre lavori sembri così... felice.”
Ed eccola lì, la Lucia che aveva visto quel giorno, i ricci capelli castani che le ricadevano sulle spalle, le palpebre socchiuse, l'espressione concentrata sul lavoro che stava svolgendo, un sorriso leggero che le danzava sulle labbra. Nel ritratto non avevo davanti il mio computer, ma solo un foglio di carta e una penna. Era bellissimo.
Ero bellissima.
Era così che mi vedeva lui?
«Che cos'è?» s’incuriosì mia nonna avvicinandosi per vedere meglio. «Oh mio Dio, ma sei tu! È meraviglioso! Chi te l'ha fatto?»
«È di Giulio, vero?» indovinò invece Claudia. «Sì, ne sono sicura, è suo! Non ho mai visto un suo disegno, ma da questo ritratto traspare così tanto amore... È splendido!»
Ormai una piccola folla mi aveva accerchiata per ammirare il disegno di Giulio, ma io non ci badai. Dovevo trovarlo. Dovevo scusarmi con lui. Non c’erano dubbi che adesso mi odiasse come all'inizio, anzi anche di più, ma dovevo parlargli, dovevo...
«Scusate... vi dispiace se cominciate a festeggiare senza di me?»
   
 
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