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Autore: PrincessintheNorth    01/03/2020    1 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ARYA
 
Non sapevo molte cose riguardo a Katherine, Principessa del Nord e duchessa del Tridente, né era la mia prima preoccupazione: con una nazione da gestire, nobili da tenere in riga, Galbatorix e Firnen avevo abbastanza cose di cui occuparmi. Di lei sapevo che era una giovane ragazza valorosa (aveva sconfitto una flotta di pirati a soli quindici anni) e determinata, che non si tirava mai indietro quando c’era da prendere qualche decisione importante o un’iniziativa e che sottovalutava sempre i rischi delle situazioni in cui andava a cacciarsi. Aveva quasi quattro figli ed era una mamma amorevole, ma anche estremamente protettiva, visto che aveva impedito a tutta la sua famiglia di avvicinarsi a lei per due anni per il timore che la separassero dai piccoli. Era una delle donne umane più forti che avessi mai conosciuto, al pari di Nasuada: Eragon mi aveva raccontato che aveva portato avanti la gravidanza del suo secondo figlio da sola, il tutto mentre Belle era ancora molto piccola, e di questo non si era mai lamentata.
Una cosa la differenziava dalla maggior parte delle altre umane: la riservatezza. Katherine, avevo notato, parlava molto poco e si apriva con gli altri ancor meno. Quando frequentavo i Varden, la maggior parte delle sue simili inondavano le persone di chiacchiere inutili: lei no. Ancor meno esternava agli altri i propri sentimenti: caratteristiche che sentivo di avere in comune con lei.
Proprio per questo motivo, quando la trovai nel campo d’arceria, in lacrime, intenta a centrare ogni singolo bersaglio, mi insospettii.
«Chi stai immaginando?» le chiesi avvicinandomi a lei.
«Mio padre» ringhiò lei immediatamente, facendo centro. Quello mi sorprese: visto che era una persona molto chiusa e riservata, non immaginavo mi avrebbe risposto così sinceramente.
Perché parli di queste cose con una persona che conosci a malapena?
«Mia madre» proseguì con una risatina che grondava tristezza. «Mio fratello, i miei suoceri, mio marito, suo fratello, mio cugino … molte persone».
Qualcosa di grave dev’essere successo, commentò Firnen. La piccola-umana trema d’ira.
«Come mai?»
Lei rise, asciugandosi una lacrima. «Murtagh si è sognato che mi sarei alleata con Galbatorix. Allora ne ha parlato con mio padre ed insieme hanno deciso di non dirmi che mia figlia sta morendo di polmonite. Oh, non solo: hanno fatto promettere a tutti di non dirmelo, e comunque chi si è rifiutato di giurare non ha certo pensato di avvisarmi. Come se non bastasse sono sicura che si fa un’altra e pensa che stia impazzendo. I suoi genitori sono arrivati stamattina e non è che abbiano pensato di dirmi “ehi, Belle sta male” … hanno preferito insultarmi e prendermi in giro. Sua madre si è messa a fare la carina, proponendosi di farmi le trecce quando … quando la mia bambina sta morendo …» la risata l’abbandonò, e rimasero solamente le lacrime ed i singhiozzi.
Impovvisamente, soprendendo pure me stessa, mi ritrovai ad abbracciarla: avevo il cuore in gola, gonfio di dolore per ciò che mi aveva appena raccontato. Era una cosa orribile quella che le avevano fatto: le avevano impedito di stare accanto a sua figlia nel momento in cui aveva più bisogno di sua madre, e la cosa peggiore era che il padre, che avrebbe dovuto impedire tutto ciò, era stato tra i primi a cospirare contro di lei: come se non bastasse, l’aveva insultata e, molto probabilmente, tradita. Tutte le persone su cui avrebbe dovuto fare affidamento l’avevano abbandonata, lasciandola in balia delle proprie paure: proprio ciò su cui Galbatorix amava fare leva.
«Non mi hanno nemmeno detto se stava bene o male …» singhiozzò. «Ma la cosa peggiore è che … che Murtagh ha ben pensato di fare una scenata dicendomi quanto si sentisse solo e spaventato … ma lui non si è sentito dare del pazzo, non è stato ignorato, non … lui poteva vedere i bambini ogni volta che voleva, maledizione!» urlò. «Come osa parlare di paura a me?! Si è persino permesso di incolparmi di aver abortito, quando … quando a conti fatti, se lui fosse stato lì a Lionsgate non sarebbe successo! Oh, ma gliel’ho detto» un sorriso perverso le incurvò le labbra. «Se Belle non ce la dovesse fare dovranno pregare per il tiranno … perché altrimenti ad attenderli ci sarò io».
La porterò a casa, Fìrnen si offrì. Il suo drago non è qui con lei e ha bisogno di riunirsi ai suoi figli.
Lo faresti davvero?
Ha il cuore distrutto. Non sarebbe dovuta essere la sua famiglia a ridurla così. Se riportarla a casa potrà alleviare il suo dolore sarò ben felice di portarla in groppa.
Verrò con voi, decisi. E porteremo un guaritore.
«So che non ci conosciamo molto» le dissi. «Ma sarebbe per me e Fìrnen un piacere riportarti a casa. Con noi verrà Nearia, è un’esperta guaritrice».
Le lacrime s’interruppero, e Katherine mi guardò con gli occhi ricolmi di stupore.
«Davvero?» sussurrò, come se non ci credesse.
«Volentieri …»
L’attimo dopo mi soffocò in un abbraccio. «Non so come ringraziarti» ansimò.
«Non devi. Se posso provare a darti ciò che la tua famiglia avrebbe dovuto garantirti …»
Un sorriso le addolcì i tratti, prima deformati dall’ira, e annuì piano.
«Grazie»
«Partiremo tra un’ora» decisi. «Il tempo di avvisare i nobili e di nominare qualcuno che assolva ai miei doveri».
 
 
 
KATHERINE
 
 
Non mi sembrava vero: in quella stupida foresta avevo trovato qualcuno a cui, evidentemente, importava di me più di quanto importasse a coloro che, in linea teorica, avrebbero dovuto volermi bene più di tutti.
Quando ero riuscita, tramite lo specchio di Vanir, a contattare mia madre il mio primo istinto era stato quello di vomitare dopo aver sentito tutta la sequela di scuse e frigne che aveva emesso: non avrebbe voluto mentirmi, ma secondo lei e papà era la cosa migliore da fare, sperava che tutto si potesse risolvere, che non ci fossi rimasta troppo male … aveva persino trovato il coraggio di dire che sapeva di aver fatto una cosa orribile, ma che in fondo in famiglia ci si perdona a vicenda.
Il mio perdono sarebbe arrivato con l’andarmene, avevo deciso. Non sarei mai riuscita a cacciarli dal Tridente, visto che erano tutti coalizzati contro di me, ragion per cui me ne sarei semplicemente andata, avendo cura di schermare me e i bambini dagli incantesimi di divinazione e localizzazione. La mia casa sul Dente di Squalo, per quanto graziosa, era troppo ovvia come nascondiglio: nei boschi del Tridente, però, c’era una piccola casetta che sarebbe stata perfetta. Tutti avrebbero pensato che fossi andata chissà dove: invece sarei rimasta proprio sotto il loro naso. Una volta che si fossero allontanati dal mio castello per cercarmi me lo sarei ripreso, e questa volta nessuno sarebbe riuscito ad entrarci. Avrei dichiarato la secessione dell’Ovest, così da sganciarmi definitivamente da quei bastardi, avrei cambiato cognome e sarei diventata regina, e i miei figli dei principi. I commerci del Nord avvenivano principalmente per via marittima: se Derek avesse voluto indietro i porti avrebbe dovuto vendersi pure le mutande.
«Dama Katherine?»
Un giovane elfo mi si avvicinò, con un fagotto in mano. «Cosa c’è?»
«Un dono della regina, mia signora, e della mia famiglia» mi si sedette accanto, svolgendo i lembi di stoffa dell’involucro e rivelando una magnifica spada dalla lama blu scuro, lo stesso colore delle squame di Antares. Il metallo rifletteva la luce in maniera particolare: i raggi del sole danzavano sulla lama come se fossero onde, non raggi, creando gli stessi effetti che avrebbe avuto sull’acqua. La guardia crociata era decorata da due draghi dal collo inarcato che sputavano fuoco, da cui scaturiva la lama, e l’elsa era decorata da un lucente diamante blu oltremare.
«Io non … non posso accettare …»
«Insisto» sorrise. «Mi risulta che la spada attualmente in vostro possesso non abbia il colore delle squame della vostra dragonessa. Provatela».
Con titubanza mi alzai e provai a sollevare la spada: in quel momento capii che non ne avrei potuto fare a meno.
Era leggera, tuttavia resistente, come ogni spada dei Cavalieri, e perfettamente bilanciata: non mi sembrava neanche di averla in mano, era come un’estensione del mio stesso braccio.
Era perfetta.
Era la spada giusta per me.
«Come immaginavo» l’elfo sorrise. «Vi dona come un abito».
«Come posso …»
«Sconfiggete il re Nero» disse, serio. «Vendicate la prima portatrice di quella spada, mia sorella. Recuperare Maeslingr è costato molte sofferenze alla nostra famiglia. Abbiatene cura».
«Lo farò» promisi.
«Katherine».
L’elfo fremette nel sentire quella voce. «Vi lascio» disse, e se ne andò.
Io sospirai, cercando di contenere l’istinto che suggeriva ad ogni fibra del mio corpo di sollevare la spada.
«Vattene»
«Piantala con questa scenata e torna dentro» sentenziò Morzan, la voce dura.
«A fare cosa, se mi è lecito chiedere?»
«Scusarti» fece, con un tono che non ammetteva repliche. «Con tua madre e Selena, per il modo indegno in cui le hai trattate».
In quel momento avrei voluto piangere: in una maniera o nell’altra, era sempre colpa mia. Tutti loro mi avevano mentito e presa per i fondelli, io gli avevo risposto a tono e dovevo essere io a scusarmi?! Non ero stata io la prima a venir trattata in modo indegno?!
«Ed è degno il modo in cui avete trattato me?» chiesi infatti, ricacciando indietro le lacrime. «Solo loro meritano scuse?»
«L’abbiamo fatto per proteggerti» fece sbrigativo.
«Quindi dovrei ringraziarvi, vero?» commentai cercando di mascherare la tristezza con una risata. «Non lo so, fare a tutti voi anche una riverenza e darvi una medaglia?»
«Se sono scuse quelle che vuoi, allora scusa. Adesso rientra» sbuffò, accennandomi con la mano ad avviarmi verso l’ingresso del palazzo.
Nel sentire quelle parole mi sentii letteralmente ribollire d’odio, e per istinto strinsi la mano sull’elsa della mia nuova spada. Non faceva nemmeno finta di mostrarsi sinceramente dispiaciuto per quanto lui e la sua allegra compagine avevano fatto: era convinto che fossero nel giusto, che fossi io quella che stava esagerando, che non mi meritassi nemmeno delle scuse, per cui me ne aveva rivolta una sbrigativa, falsa, detta con il tono che si usa per zittire ed accontentare i bambini capricciosi.
Quello ero? Una bambina capricciosa?
«Togli le mani dalla spada» disse sospirando, con il tono di un padre stanco del figlio che pesta i piedi. «Il banchetto sarà tra poco e devi ancora prepararti».
Come se l’andare ad uno stupido banchetto fosse la mia priorità. Lo sapeva, almeno, che nemmeno Arya avrebbe presenziato a quella cena? Al pensiero mi venne da sorridere.
«Non ci vengo, al banchetto».
«Tu rappresenti il Nord e verrai al ricevimento» ringhiò. «Anche se dovrò trascinartici».
«Puoi provarci. Che figura, il grande Morzan che non sa farsi ascoltare ed è costretto a trascinare una fanciulla al banchetto» lo schernii.
«Ricordati che la potestà sui bambini appartiene a Murtagh e, ancor più che a lui, a me» mi avvisò. «Assenziati dalla cena e sposterò le loro stanze in un’altra ala del castello, dando disposizione che le guardie blocchino ogni tuo tentativo di …» la sua frase venne troncata dal clangore delle spade. Era tutto avvenuto in una frazione di secondo: mentre mi minacciava, come già Selena ed Eragon avevano fatto, di portarmi via i bambini, il mio sguardo era caduto sulla spada e la sua voce si era ovattata, sostituita dal rumore del pulsare del mio cuore nelle orecchie: quel rumore, il suono del sangue, e la visione della spada che rifletteva la luce del tramonto cantavano una canzone terribile e tuttavia lussuriosa, un canto di guerra e morte. Non mi ero nemmeno resa conto di aver sollevato il braccio che reggeva l’arma: fu il sentirne il percorso bloccato da Zar’roc a riportarmi alla realtà.
Devi sbarazzarti di lui, una voce risuonò nella mia testa: un pensiero contemporaneamente mio ed estraneo. O ti toglierà i bambini.
«Non combatterò contro di te» ringhiò, ma potei scorgere un pizzico di preoccupazione nei suoi occhi. «Calmati, ora. Non sei in te …»
Non ascoltarlo.
Liberai la spada dalla sua difesa e riattaccai.
 
 
 
 
MURTAGH
 
 
Forse era troppo per me volere semplicemente un po’ di tranquillità. Tre anni prima, quando era nata Belle, pensavo di avercela fatta: avevamo sconfitto Grasvard, avevo una moglie, una bimba ed un futuro sereno davanti.
Galbatorix, nuovamente, aveva fatto di tutto per far crollare quel piccolo, vago sogno.
Tornare a casa dopo due anni dai bimbi e da Katie era stato meraviglioso: come in ogni famiglia c’erano alti e bassi, certo, ma era bello. Passavamo le giornate a ridere, divertirci e correre dietro ai piccoli.
Poi Derek ci aveva mandati nella foresta, Belle si era ammalata e avevo, a malincuore, preso parte alla cospirazione. Non avevo realizzato quanto davvero Katie si fosse sentita abbandonata e tradita fino alla lite nel corridoio, quando mi aveva rinfacciato quanto fossi stato stronzo a lamentarmi della mia situazione quando lei ne viveva una, a conti fatti, ben peggiore. Non le avevo mai davvero chiesto come stesse: mi ero sempre fossilizzato solo su un unico problema, senza capire che però, a farla stare davvero male, era tutto il corollario che lo circondava. Sapevo che si sentiva sola e non le avevo mai fatto capire di essere lì per lei, che si sentiva tradita, sia moralmente che a livello fisico, e non le avevo mai fornito prove del contrario, riuscendo solamente ad incancrenire il suo disagio.
Il risultato?
Dalla rabbia era riuscita a ferire gravemente mio padre e a sfuggirgli, insieme ad Arya.
Io ed Eragon avevamo trovato Morzan sotto un albero, poco distante dal campo di tiro con l’arco, con una profonda ferita sul fianco e il tendine della mano destra, la mano della spada, lesionato.
L’avevamo riportato dentro al palazzo per guarirlo, e poco dopo aveva svelato l’arcano segreto per cui Kate aveva perso la testa: per farla venire al banchetto le buone non avevano funzionato (anche se, secondo me, non le aveva nemmeno utilizzate), così aveva ritenuto intelligente minacciarla di separarla definitivamente dai bambini.
Venire a conoscenza di quell’episodio aveva completamente cancellato ogni desiderio di riappacificazione che potessi avere: io almeno mi rendevo conto che era Katie ad aver ragione e che noi le avevamo fatto un torto che non avrei augurato nemmeno a Galbatorix, ma loro no: sebbene non gli piacesse tanto l’idea di Derek, per loro le sue buone intenzioni erano sufficienti a rendere lui l’eroe e Katie, la vittima, il nemico da sconfiggere. Era davvero così difficile vederla per com’era, ovvero una mamma preoccupata? Non era con le minacce che avrebbero evitato l’avverarsi del mio sogno, sempre che di premonizione si trattasse: Katherine era furibonda perché triste ed abbandonata, e tutti sembravano fare in modo di allontanarla sempre più da tutti, me compreso (anche se, in gran parte, non per mia volontà).
Quando avevo commentato che, secondo me, Katie aveva fatto bene a suonargliele di santa ragione, mia madre aveva dato di matto: avevo perso il conto di quanti “ragazzino viziato” e “figlio ingrato” mi aveva urlato contro.
Io almeno a Kate avevo detto la verità, alla fine: lei, come mia moglie aveva detto ad Arya, aveva ben pensato di giocare alla suocera-amica, di non dirle niente e farle le trecce. Conoscendo Katie, non potevo pensare a qualcosa di più offensivo per lei: nonostante mia madre sapeva benissimo che Kate ormai aveva scoperto la verità, non solo non aveva ritenuto opportuno non dirle niente di Belle, ma aveva cercato di sviare il discorso, cercando di ingraziarsela.
Dopo che era uscita, aveva riversato tutta la sua rabbia su di me e da entrambe le parti erano volate parole che non avrebbero dovuto mai essere state pronunciate; infine Morzan aveva saggiamente deciso di spargere del sale sulla ferita, trattandola come una bambina che frigna e minacciandola. Cosa si aspettava? Che lei avrebbe sorriso e l’avrebbe seguito, facendo la bambolina per la corte degli elfi? C’era da ringraziare che avesse deciso di usare la spada e non la magia, per sfilettarlo.
Eccoli, li vedo, Castigo mormorò.
Avendo ormai compiuto venticinque anni, avevo ritenuto che starmene lì a sorbirmi le urla di mia madre non fosse produttivo: almeno, non quanto inseguire Kate e cercare di porre rimedio al disastro che tutte le persone che avrebbero dovuto amarla avevano fatto. Così ero uscito e, con Castigo, ero partito verso nord.
Non ci era voluto molto per trovare Fìrnen, e dunque Kate, Arya e la guaritrice che stavano portando con loro. Loro, per fortuna, avevano deciso di parlarmi, sperando che, mediando tra me e Katherine, si potesse ristabilire qualcosa che assomigliasse ad una tregua.
Nonostante Kate si fosse opposta, le due elfe avevano avuto la meglio e si erano accampate per la notte in una piccola radura.
Atterra in quella, se riesci, feci indicandogli uno spiazzo poco distante. Così almeno potrò arrivare da lei indisturbato.
Potremmo sempre rapirla, osservò. Atterriamo, la prendiamo e andiamo al Tridente.
Se ti senti pronto a gestirne la furia asseconderò volentieri il tuo piano.
No.
Immaginavo.
Pochi minuti dopo, ero già al limitare della radura, accuratamente nascosto: Katie era sola, le altre due probabilmente erano andate a cercare legna per il fuoco. Era seduta appoggiata ad una roccia, avvolta in una coperta, una mano sulla pancia. Mi era difficile vederla in viso: lo teneva voltato dall’altra parte.
Il momento perfetto.
«Kate?» la chiamai uscendo da dietro gli alberi e avvicinandomi al suo accampamento.
Inutile dire che non la prese bene.
«Vattene» gridò, la voce piena di lacrime.
«Non ti riporterò ad Ellesmèra, amore, verrò con te a casa … sono qua solo per parlare».
«Non è vero! Sei in combutta con loro!»
«Se sono qua è perché ho scelto te» cercai di spiegarle. «Lo so che abbiamo fatto una cosa orribile … che ho fatto una cosa orribile. Non avevo alcun diritto di tacerti la verità né di aggiungerti anche il peso dei miei problemi».
«Bravo» sibilò. «Ora vattene pure».
«Te l’ho già detto, non lo farò. Sono qui per fare pace … che hai in faccia?»
Non si era ancora girata, ma un piccolo movimento mi aveva permesso di vedere che, sul lato destro del viso, aveva una pasta giallognola.
«Niente …»
«Non è vero, c’è qualcosa …»
«Chiedilo a tuo padre, allora» ringhiò. «è stato il suo regalo di commiato».
Quella frase mi fece ghiacciare il sangue nelle vene: Morzan aveva alle spalle quasi un secolo di abilità con la spada e non si poteva dire che fosse uno spadaccino mediocre. Sapeva come non far del male a qualcuno.
«Kate … fammi vedere»
«No»
«Non voglio farti del male!»
Murtagh, la voce di Arya risuonò nella mia mente, carica di dispiacere. Nearia tenterà ogni rimedio di sua conoscenza, ma come ben sai, non si possono cancellare le tracce del passaggio della spada di un Cavaliere.
«Fammi vedere, cara …» l’elfa che le accompagnava, di ritorno proprio in quel momento, le si avvicinò, con in mano un panno di cotone. Rimosse delicatamente la pomata gialla dal volto di Katherine, storcendo in maniera impercettibile la bocca alla vista. «Ci vedi bene?»
Lei annuì.
«Va un po’ meglio di prima, e questo è un bene, ma sai che …»
«Che rimarrò così per sempre. Sì, lo so» Katie sbottò.
«Che le è successo?» insistetti, anche se, in cuor mio, conoscevo già la risposta.
Arya sospirò. «Nello scontro, Morzan l’ha sfregiata» fece. Nel sentire quella parola, Kate fremette.
«Non lo voglio qui … mandatelo via …» si lamentò.
«Non vuole altro se non il tuo bene e la tua felicità» Nearia la rassicurò sulle mie intenzioni. «A differenza degli altri sa di aver sbagliato, e porta con sé scuse sincere».
Kate sembrò crederle ed annuì lentamente, così feci un passo verso di lei e verso la sua destra: nel poter vedere finalmente il suo viso, il cuore mi salì in gola, ma mi sforzai di mandarlo giù.
Sulla sua tempia destra la pelle, fino a poche ore prima nivea ed intatta, era di un malsano rosa tendente al rosso, quasi livida, e raggrinzita: dove la punta di Zar’roc l’aveva incisa, una lunga fila di punti di sutura teneva insieme i lembi di pelle lacerati, da cui usciva qualche goccia di siero.
«Per fortuna non ci sono danni all’occhio» Nearia mormorò. «E con questa crema il processo di cicatrizzazione si compirà in un paio di giorni al massimo. Non le resterà altro che un segnetto».
Ma sapevo benissimo come sarebbe apparso quel segno: una cicatrice rossastra, lunga dall’attaccatura dei capelli fin quasi allo zigomo. La stessa dell’incubo.
Come posso ancora considerarlo un sogno?
Puoi sempre modificare il destino, Castigo fece. Ritrova quell’amore che sembra essere perso, e tutto andrà bene.
«La pagherà per questo» le promisi prendendole la mano. «Ti giuro che la pagherà».





 
   
 
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