Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: SimonaMak    02/03/2020    2 recensioni
Clara Stella aveva venticinque anni quando si trasferì da Padova a Milano per coronare il suo sogno. Avrebbe frequentato un costosissimo Master in sceneggiatura che le avrebbe consentito di collaborare con le aziende più famose produttrici di film e serie tv, con i maggiori produttori e registi, attori e sceneggiatori. Inoltre, le offrivano la possibilità di lavorare ad una sceneggiatura originale per un film che sarebbe stato girato, montato e coordinato con lei presente.
La sedentarietà, la monotonia, la prevedibilità erano i fantasmi da cui scappava: non avrebbe mai immaginato che la passione, il proibito, l'ossessione, il desiderio e l'impulsività che tanto cercava, le avrebbero creato dipendenza.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 


Capitolo 1
MILANO

 


Poteva sembrare uno stupido e superficiale luogo comune, ma la prima cosa che vidi uscendo dalla stazione fu la nebbia; e per quanto facesse freddo a Padova, non era umido e fitto come quello di Milano, o magari ero solo condizionata. L’unica cosa che sapevo era che tutto sarebbe stato diverso da quel momento in poi.
-“Aspettaci Clara, non vorrai lasciare i bagagli qui!”- mi disse mia madre.
Mi girai verso di lei e mi venne quasi da ridere nel vederla lottare contro la pesantezza delle valigie, seguita da mio padre.
-“Invece di sghignazzare, aiuta tua madre!”- mi rimproverò.
Andai verso di lei e la liberai dal peso più consistente. Si strinse nel suo cappotto bordeaux, disturbata come me dal freddo improvviso.
-“Taxi!!!”- urlò mio padre, cercando di attirare l’attenzione.
-“Roberto cosa urli, ti guardano tutti!”- lo ammonì la donna.
Scoppiai a ridere: tutto ciò mi sarebbe mancato parecchio, ma non l’avrei ammesso facilmente.
Effettivamente un taxi si fermò subito e un uomo robusto e annoiato ci aiutò a mettere i bagagli dentro il cofano. Mio padre gli comunicò la destinazione e subito impostò il tassametro.
-“Sei nervosa?”- mi chiese mamma, sedendosi dietro accanto a me.
-“E’ che non ho ancora realizzato, quindi per adesso sono tranquilla”- risposi, guardando il finestrino.
Vedevo gli edifici della mia nuova città scorrere davanti ai miei occhi: una miriade di gente si affrettava ad andare a lavoro; chi accompagnava i bambini a scuola; chi prendeva un caffè al volo e lo portava in giro per non perdere tempo al bar.
Non erano nemmeno le otto, infatti avevo parecchio sonno; avevamo deciso di partire presto in modo da poter sfruttare la giornata al meglio.
Venti minuti dopo, il tassista ci lasciò davanti l’Università di Lingue e Comunicazione. Vi erano tantissimi corsi di laurea triennali e magistrali, per non parlare di Master, come quello che stavo per fare io.
-“Che spettacolo!”- esclamò papà.
In effetti era una struttura davvero all’avanguardia: moderna, fresca, enorme. Per nulla simile all’Università di Padova che invece era tra le più antiche al mondo, medievale e artisticamente statuaria.
L’ambiente era proprio illustre lì a Milano, fin dal sito online della facoltà si capiva quanto fossero precisi e accurati. Il complesso era talmente perfetto simmetricamente e strutturalmente che sembrava freddo, finto.
Una volta entrati, la nostra impressione fu subito confermata: luci ovunque, scale mobili, tecnologia di altissimo livello e tutto curato nei dettagli. Spazioso e arioso.
-“Mi scusi, il dipartimento di Comunicazione, arti e media?”- chiese mia madre alla donna dietro il bancone dell’atrio principale.
La maledissi mentalmente: avrei potuto chiedere io stessa, perché doveva sempre pensarci lei?!
La giovane donna occhialuta ed elegantemente abbigliata, spiegò come raggiungere il dipartimento e anche i dormitori che offriva l’università agli assegnatari della borsa di studio.
Infatti non tutti potevano avere questo “privilegio”. Sia perché erano limitati, sia perché erano riservati a coloro i quali si fossero laureati con il massimo dei voti e possedessero conoscenze ed esperienze in numerosi campi, con certificazioni e titoli che lo attestassero. Fortunatamente ero rientrata tra loro, sennò avrei dovuto prendere in affitto un appartamento distante dall’università e sicuramente costosissimo!
Ci dirigemmo verso la struttura apposita, sapendo che la mia camera sarebbe stata la S6 e l’avrei condivisa con una ragazza. Di lei ancora non sapevo nulla, non avevo avuto l’occasione di mettermi in contatto e parlarle.
Quasi ci perdemmo tra i vari piani, prendendo tre volte l’ascensore e facendo innervosire mio padre che trascinava le valigie privo di qualsiasi voglia. I corridoi erano bianchi e luminosi, ricchi di vetrate che lasciavano intravedere l’esterno.
Alla fine trovammo le stanze con la S, quindi ci toccava solamente entrare nella numero 6.
Non appena varcai la soglia, fui travolta dal caos più totale: era grande per essere una camera di un dormitorio universitario, forse anche più di quella di casa mia. Su entrambi i lati c’erano due letti, sommersi da valigie e vestiti. Le due scrivanie erano colme di libri, dischi, foto e matite. Quella che credevo fosse la mia coinquilina stava rovistando dentro uno degli armadi che vi erano, in modo frenetico e quasi infastidito.
-“Ehilà?”- attirai la sua attenzione, facendola girare di scatto.
Era una ragazza minuta rispetto a me, dai capelli scuri e corti sulle spalle con qualche ciuffo color prugna. Magra e bellina in viso, con lentiggini sparse qua e là.
Mi guardò allarmata, consapevole di aver fatto un disastro che sicuramente aveva previsto di sistemare prima del mio arrivo.
-“Ciao! Sei qui! Oh ecco, io stavo mettendo un po’ in ordine…”- era in imbarazzo.
-“Dai, non preoccuparti. Adesso ti do una mano io. Mi chiamo Clara”- mi presentai, porgendole la mano che non teneva una delle valigie.
-“Clara! Piacere, io sono Agnese”- me la strinse con un sorriso eccentrico e rassicurato dalle mie parole.
-“E noi siamo mamma Miriana e papà Roberto! Lasciamo qui le valigie e poi ci incontriamo al bar di sotto, ok?”- disse mia madre, rivolgendosi prima ad Agnese e poi a me.
-“A dopo”- li liquidai con un saluto.
-“Ti aiuto io!”- si offrì subito la ragazza, prendendo alcuni bagagli e portandoli al centro.
-“Che lato hai scelto?”- le chiesi, essendo entrambi ricoperti dalle sue cose.
-“Oh scusami ancora, è che non sapevo dove mettere tutto in un primo momento. Prendi il letto che preferisci!”-
Andai verso quello di sinistra e lei subito prese i suoi effetti personali e li buttò in quello di destra.
Poggiai le valigie al di sopra e man mano le svuotai, riempiendo l’armadio e i cassettoni della mia parte. Sulla scrivania sistemai il portatile e alcuni libri. Avevo portato delle foto e le appesi sulle ante: io e la mia famiglia durante i nostri viaggi; io e mia sorella Ginevra da piccole, io e Ruggero mentre eravamo a scuola o durante le nostre uscite; io e la squadra di ginnastica artistica durante i concorsi; io e Irene, una mia cara amica, intente a divorare un enorme panino. Ricordi, che sarebbero rimasti tali. Ormai era tutto parte del passato. Probabilmente non sarei più tornata a Padova.

-“Cosa studi tu?”- mi chiese Agnese all’improvviso.
-“Sono qui per il Master di sceneggiatura e cinema, tu?”-
-“Oh che figata! Io sono per quello di Lingue e culture orientali!”- rispose entusiasta.
-“Hai fatto l’università qui?”-
-“No, l’ho fatta a Bologna, tu nemmeno sei di Milano, vero?”- ridacchiò.
-“Sono di Padova infatti. Spero che non si senta chissà quale accento strambo”- le sorrisi.
-“Ma figurati! Non avrei mai indovinato da sola!”-
Si avvicinò a vedere le foto che stavo appendendo sull’armadio.
-“Sono pazzesche! Fai ginnastica artistica?”- domandò con ammirazione.
-“Facevo. Con il trasferimento ho dovuto lasciare tutto”- al ricordo mi feci travolgere da un po’ di malinconia.
-“Che peccato, mi dispiace tanto, so quanto sia dura. Però cavolo, ecco perché sei così magra e slanciata!”-
Ridacchiai a quel suo commento. Dovevo la mia muscolatura e la mia fisicità proprio a quello sport che avevo cominciato fin da piccola. Ero alta 1,77, fin troppo per poter indossare dei tacchi senza apparire una giraffa. Però ero fiera del mio corpo, ci tenevo parecchio; mangiavo sano e sicuramente avrei iniziato a fare palestra non potendo continuare ginnastica artistica.
-“Quello è il tuo ragazzo?”- mi chiese, indicando Ruggero.
-“No no, il mio migliore amico”- precisai, sorridendo.
Lo conoscevo fin dall’asilo, mi aveva accompagnato durante tutta la mia vita e in quel momento non avrei più potuto contare sulla sua presenza. Solo via messaggi e videochiamate. Conservavo talmente tanti ricordi di lui che alcune foto non sarebbero mai bastate!
-“Sono sicura che ti farai un sacco di nuovi amici e non per questo dimenticherai quelli vecchi!”- mi incoraggiò.
Prese delle sue foto e me le mostrò:
-“Questi sono i miei; questo è mio fratello minore, un diavoletto che amo alla follia; lei una mia cara amica; lui il mio ragazzo Giancarlo, non è un amore?”-
Mi indicò un giovane dai capelli rossicci e occhialuto che la stringeva mentre si trovava sulle sue gambe.
Era una tipa parecchio socievole e dopo pochi minuti si mostrò subito a suo agio con me, raccontandomi tranquillamente la sua vita.
Viveva a Bologna prima di trasferirsi definitivamente anche lei a Milano; aveva studiato lingue, specializzandosi alla magistrale in quelle orientali. Il Master che aveva scelto le consentiva di studiare insieme a ragazzi giapponesi madrelingua, fare Erasmus nel loro paese e organizzare eventi internazionali.
-“Non ti preoccupa l’idea di vivere per conto tuo, lontano da tutto e tutti?”- mi chiese, guardando in basso.
-“Un po’ sì ma…avrei comunque dovuto farlo in base a quello che voglio fare. Prima o poi sarebbe successo. Alla fine non sono più una ragazzina”- cercavo di convincere me stessa più che Agnese.
Riuscii a sistemare le mie cose senza ulteriori disastri, lasciando tutto ordinato.
A separare i due lati della stanza, c’era la porta per il bagno: spazioso e pulito, dotato di vasca con doccia e tutto il necessario per la cura igienica. Mi diedi una sciacquata, rendendomi conto solo in quell’istante che quel poco di trucco che avevo messo la mattina presto, era del tutto scomparso. Fortunatamente avevo le ciglia molto lunghe e folte, il che mi permetteva di lasciarle senza mascara.
Per il resto, avrei voluto indossare un rossetto o un burrocacao per ammorbidire le labbra carnose che, a causa del freddo che avevo preso, erano ancora più gonfie e arrossate. Che bruciore!
Pettinai con le dita la frangetta che ricadeva quasi fino alle sopracciglia e ravvivai il resto dei capelli ondulati e biondastri che si stavano scurendo a causa della mancanza del sole dell’estate. Mi cambiai la felpa un po’ sudata e lasciai la maglia a maniche corte che avevo sotto. All’interno della struttura faceva parecchio caldo a causa dei riscaldamenti impostati al massimo.
-“Sto scendendo dai miei”- informai la mia coinquilina, mentre uscivo dalla stanza.
Ripercorsi quei corridoi all’incontrario fino a scendere al piano zero dove c’era l’area relax per gli studenti del dormitorio. I miei genitori erano seduti ad un tavolino, sorseggiando un caffè e facendo la videochiamata con Ginevra.
-“Eccomi qua”- mi annunciai, salutando mia sorella dallo schermo.
-“Mostro! Com’è la tua nuova amica?”- si illuminò.
-“Sembra simpatica”- la informai.
Aveva, come sempre, legato i capelli corvini in modo da non ricaderle sul dolce viso che mostrava i suoi appena diciotto anni. Non portava gli occhiali a scuola perché se ne vergognava e al loro posto indossava le lenti a contatto che mettevano in risalto i suoi occhi azzurri come quelli della mamma.
Parlottai un po’ con lei dallo schermo finché non chiuse la chiamata perché doveva ritornare in classe.
-“Ci sentiamo presto eh, non ti dimenticare di me!”- mi avvertì.
-“Tesoro, hai sistemato le tue cose?”- mi domandò papà.
-“Sì, quasi tutto. La stanza è grande e luminosa”-
-“Qui niente non lo è! Sono contenta che almeno potrai studiare in un ambiente ben curato”- si aggiunse mamma.
-“Ma sì, man mano mi ambienterò”-
-“Quando cominciano i tirocini e le lezioni?”- mi ricordò mio padre.
Cavolo. Ero talmente presa dal cambiamento, nuova città e nuove persone, da dimenticare che dovevo pure studiare in quel posto.
-“La prossima settimana”- gli risposi.
Da un lato ero stanca, perché avevo passato cinque anni tra triennale e magistrale a studiare in quasi ogni momento della mia vita; dall’altro lato ero entusiasta perché sarebbe stato diverso: avrei seguito lezioni sulle tecniche del cinema e sulla narrazione tenute da famosi scrittori e produttori; vi erano i tirocini alla Rai, Sky e Netflix, alla Mondadori e al Milano Film Festival. Inoltre, come se non fosse abbastanza, per due giorni a settimana avrei dovuto lavorare ad una sceneggiatura originale scritta da me e seguita da un regista, con la sua troupe di produttori e attori in un vero e proprio set! Quella probabilmente era l’attività più elettrizzante. Sarebbe stato come realizzare il mio sogno all’improvviso.
-“Così hai un po’ di tempo per prendere confidenza con quella ragazza, conoscere qualcun altro e il dipartimento stesso!”- sorrise mia madre.
-“Voi quando andate?”-
-“Già ci cacci?”- papà finse di offendersi.
-“Ma no, per regolarmi un po’ con le varie cose”- lo abbracciai, chinandomi da dietro essendo lui seduto.
-“Credo che andremo a fare un giro e poi ritorniamo a Padova”- disse mamma, guardando l’orologio da polso.
-“Che giro vorresti fare, Miriana?”- protestò il marito, già scoraggiato all’idea di essere trascinato per negozi.
-“Dai, andiamo solo al centro, niente di che!”- sbuffò lei.
Risi dei miei genitori, pensando a come tutto questo sarebbe stato totalmente lontano.


 
*


-“Mi raccomando, qualsiasi cosa chiamaci: se ti senti male, se non ti trovi bene, qualunque problema ok?”- insistette mia madre, mentre mi sistemava i capelli dietro le orecchie.
-“Lo so lo so, tranquilla che non accadrà niente”- la abbracciai.
-“Io non devo dirti nulla. Sai benissimo cosa fare. Mi mancherai piccola mia”- mi strinse papà, inondandomi con il suo profumo di marca riconoscibilissimo.
-“Anche voi, vi voglio strabene”-
Cercai fino alla fine di trattenere le lacrime, che vidi fuoriuscire dagli occhi chiari di mia madre. Fissai nella mia testa i loro volti, consapevole che non li avrei visti ogni giorno come ero solita: i capelli scuri di mio padre che circondavano un viso magro e appuntito, gli occhi grandi e castani identici ai miei, nascosti da un paio di lenti spesse e che gli consentivano di vedere meglio da lontano. Mia madre, con i capelli biondi da cui avevo preso, un po’ ritoccati a causa del passare del tempo, che a differenza dei miei, portava corti e lisci; viso stanco e rigato in alcuni punti, rispecchiando ormai la cinquantina di anni. Entrambi alti, seppur mio padre molto più snello rispetto alla mamma che però si manteneva asciutta.
Non appena uscirono dal campus e salirono sul taxi, lasciai che le guance si inumidissero. Non ero solita manifestare i miei sentimenti in pubblico, ma una volta sola scoppiai a piangere.
Da anni dicevo alla mia famiglia che me ne sarei dovuta andare, che non avrei più vissuto con loro e sembravo così tranquilla mentre lo sbandieravo a tutti. Ma in realtà non avevo immaginato davvero la situazione, come l’avrei affrontata. A venticinque anni si dovrebbe essere maturi e indipendenti, tanto da potersela cavare da soli. Ma solo in quel momento avrei potuto scoprirlo davvero.
Ritornai nella mia camera, notando che Agnese non era al suo interno. Ne approfittai per fare una telefonata.
-“Finalmente! Adesso puoi degnarmi della tua attenzione?”- mi accolse scherzando Ruggero, dall’altro lato del telefono.
-“Se ne sono andati”- gli sussurrai, con la voce impastata dal pianto.
-“Amore mio. Lo so. Ma pensa a tutti i lati positivi; dura comunque un anno questo Master eh!”-
-“Ma secondo te se mi farò conoscere e apprezzare, potrò mai tornare a Padova?”- gli feci notare, frustrata.
-“Allora, calmati. Va bene, e allora? A parte che sono solamente due ore e mezza di treno; non sei mica dall’altra parte del mondo!”- sbuffò.
-“Lo so”- ammisi.
-“Ci può stare, al momento sei scossa e stai pensando a tutti i cambiamenti che dovrai affrontare, ma sei in gamba ok? Non hai problemi a fare amicizia e sono certa che ci manterremo sempre in contatto”- mi tranquillizzò il mio amico.
-“Sì, infatti adesso mi passa. Era solo uno sfogo. Tu che mi dici?”- cambiai argomento, tirando su col naso.
-“Un cazzo, come al solito ah ah. Ho mandato curriculum a qualsiasi azienda e devo solo aspettare”-
Si era laureato in Economia, con un po’ di ritardo, e stava cercando in tutti i modi di trovare un lavoro nel suo campo.
-“Dai che ti prendono subito. La tua laurea è molto valida per questo”-
-“Così dicono. Vediamo. Su, adesso riprenditi un po’ e va’ a lavarti quella faccia che sarà uno scempio come al solito”- scherzò.
-“Ci sentiamo, ti voglio bene”- gli dissi, prima di attaccare.
Ansia e panico improvviso a parte, dovevo solo calmarmi. Non ero né sola, né dall’altra parte del mondo come aveva detto Ruggero, né triste di ciò che mi aspettava. Ero fortunata ad essere lì per quella nuova esperienza!
La porta si aprì ed entrò Agnese con il sorriso stampato sul viso.
-“Clara! Bene, ascoltami…ma hai pianto?-“ si incupì.
-“Tranquilla. Dimmi, cosa c’è?”- le sorrisi, alzandomi dal letto.
-“Stasera andiamo al centro insieme ad alcuni ragazzi come noi che vengono da altre città e ci faremo accompagnare invece da studenti milanesi che si sono offerti di farci fare un giro!”-
-“Oh, ottima idea!”- approvai
-“Si! Sapevo che fossi intraprendente!”- si entusiasmò.
-“Sono ragazzi che faranno il Master con te?”-
-“In realtà solo una di questi. Gli altri sono sparsi tra i vari dipartimenti, così almeno facciamo amicizia con persone diverse”-
Si diresse verso la sua scrivania e aprì il beauty colmo di trucchi e pennelli.
Aveva uno stile molto particolare; oltre ad avere qualche ciuffo colorato di viola scuro, indossava tanti anelli e bracciali e stivali alti fino al ginocchio pieni di cinghie e nastri. Per il resto indossava un maglione sistemato all’interno dei pantaloni. Io ero ancora con la maglietta a maniche corte, ma avrei dovuto cambiarmi e mettere qualcosa di più carino e soprattutto caldo.

-“Che dovrei mettere?”- le chiesi, guardando dentro l’armadio che avevo riempito con i vestiti.
-“Semplice ma interessante. Io credo di mettere una gonna di velluto con le calze fin sopra le ginocchia così da non sentire freddo”-
-“Penso di indossare un maglioncino in lurex color avorio e abbinarlo con i pantaloni a vita alta”- scrollai le spalle, prendendo ciò che avevo elencato.
-“Mi piace!”- mi lanciò un’occhiata d’approvazione non appena uscii i vestiti.
Passai anche io dallo specchio per coprire il rossore sulle gote con un po’ di fondotinta e decorare gli occhi con una linea di eyeliner molto fine.
Indossai in fretta gli abiti, abbinando degli stivaletti. Capovolsi in basso la testa per ravvivare i capelli che avrei lavato solamente il giorno dopo, con più calma.
La mia coinquilina si era sistemata di conseguenza, truccandosi di viola per riprendere le ciocche dei capelli che scendevano ad onde.
-“Siamo in macchina con i milanesi, ci aspettano all’entrata del dormitorio”- mi informò.
Scendemmo al piano terra dove c’erano quattro ragazzi e tre ragazze, quasi tutti della nostra età, super giù.
Mi presentai, dimenticando quasi subito i loro nomi. Tranne quello della ragazza bruna e paffutta, Sofiasole, perché era molto particolare, così come un certo Pascal, dai riccioli in testa e brillanti occhi verdi.
-”Voi salite in macchina con Sergio, così non vi traumatizzo con la mia guida”- scherzò un tipo dai capelli neri che si diresse verso l’altra macchina.
In quella dove ci sistemammo io e Agnese, davanti era seduto Pascal e un’altra ragazza dietro con noi.
-”Tranquille, ci stiamo un attimo ad arrivare”- ci informò il guidatore.
Portava degli occhiali da vista un po’ arrotondati che si sistemò guardandosi nello specchietto.
-”Andiamo da Barney’s?”- chiese la bionda accanto a me.
-”Sì, sicuramente è lì che sta andando Leo. E’ fissato ultimamente”- rispose Pascal, girandosi verso di noi.
Effettivamente non ci volle molto prima di raggiungere il pub di cui parlavano. Dall’esterno sembrava un luogo anonimo e passava inosservato, ma all’interno era colmo di giovani seduti ai tavoli che divoravano panini giganti e scolavano alcool senza fermarsi. Vi erano luci esagerate e le mura decorate di un rosso acceso, come le divise dei barman e dei camerieri. Un bel locale e per nulla minuscolo come sembrava inizialmente.
Un cameriere ci fece accomodare nella zona con i divanetti e i tavolini rotondi, un po’ più buia rispetto alle altre.
-”Vi prego fatemi mangiare qualcosa che sto morendo”- disse quella che doveva chiamarsi Carlotta. Aveva il septum al naso e le sopracciglia così folte da ricordarmi Lily Collins.
-”Pascal al ritorno guida te sennò non posso bere”- gli diede una gomitata il ragazzo dai capelli neri, Leo.
-”Non cominciare a rompere”- lo spinse di rimando.
-”Quindi siete arrivate oggi?”- chiese a me e ad Agnese la bionda di prima, Emma.
-”Sì, pian piano mi ambienterò”- le sorrisi.
-”Mi è sembrata pazzesca l’università. Voi cosa studiate?”- domandò la mia coinquilina.
-”Io, Emma e Leo ci stiamo specializzando nel Marketing”- rispose Pascal.
Sofiasole invece disse di aver scelto il Master in culture orientali proprio come Agnese; Carlotta e quello che si presentò come Vittorio con il suo accento fiorentino, erano alla magistrale di Traduzione.
-”Però il Master più figo è quello di Editoria e produzione musicale, mi dispiace ma vi batto”- aggiunse Sergio, il ragazzo che guidava in macchina con noi.
-”In realtà, Cinema e Sceneggiatura è il più interessante! Lo farà Clara”- mi indicò Agnese, facendo ricadere l’attenzione su di me.
Non che mi dispiacesse, però fu piuttosto imbarazzante essere fissata in quel modo.
-”Porca vacca, come hai fatto ad essere scelta?”- mi guardò Leo con occhi spalancati.
-”Boh, ho fatto domanda e avevo i requisiti per fare il colloquio”- alzai le spalle, fingendo modestia.
Mi ero solamente spaccata il culo per cinque anni in modo da riuscire nel mio intento e, fortunatamente, andò come previsto. Se fosse andata diversamente, credo che mi sarei ammazzata. Non avevo un piano B, o se c’era una mezza idea speravo proprio di non dover ricorrere all’insegnamento. Sentir parlare mia madre della sua esperienza mi bastava anche troppo.
-”Sì, hai vinto tu effettivamente. Farei cambio volentieri”- sogghignò Emma.
Durante la serata divorammo panini super elaborati e le birre finirono in un lampo nel nostro tavolo. Risi parecchio alle battute sottili di Pascal e all’eccentricità di Leo che si divertiva a fare il cascamorto con tutte e a prendere in giro Sergio. Anche Agnese entrò in sintonia con il gruppo e si consultò con Sofiasole per eventuali corsi da seguire. Emma e Leo mandarono giù un po’ troppo alcool e per questo motivo facevano sbellicare ancora di più con le loro frasi insensate e facce idiote.
-”Venite fuori a fumare una siga?”- propose la bionda, ridacchiando insieme al suo compare di bevute.
Si alzarono Pascal e Carlotta e ci guardarono interrogativi, come a chiederci se volevamo fare lo stesso.
-”E’ da un po’ che non fumo”- confessai, tentata dalla proposta.
-”Io mai fatto, quindi rimarrò con gli altri”- rispose la mia coinquilina.
-”Dai solo qualche tiro!”- mi incitò la ragazza, tirandomi da un braccio.
Rassegnata, li seguii fuori dal pub e ci appoggiamo alla ringhiera del cortiletto. L’aria fresca di ottobre mi solleticò la pelle scoperta e mi feci cullare dalla serenità della notte senza stelle.
-”Oh tendina, ci sei anche tu!”- si rivolse a me Emma.
-”Tendina?”- le feci eco, confusa.
-”Certo, quella frangetta è proprio una tendina”- rise barcollando.
La assecondai, anche perché non sembrava per nulla un’offesa.
-”Inutile che ci provi con lei, si vede in faccia che è etero”- le disse Leo, sghignazzando.
-”Non vuol dire niente! Allora se io ti guardo in faccia devo dedurre che ti piaccia il cazzo!”- lo canzonò Pascal, mentre si rollava la sigaretta, facendo scoppiare tutti noi a ridere.
-”Sei un bastardo!”- lo spintonò amichevolmente, di rimando.
-”Giuro che comunque non ci sto provando con te, però mi stai simpatica zia!”- mi sorrise la bionda, impastata dall’ubriachezza.
Pascal mi offrì la sua sigaretta e aspirai: non fumavo da quando stavo ancora con il mio ex, Stefano, quindi da quasi un anno. Fu lui a convincermi di smettere, che non mi faceva bene. Quando lo lasciai, cinque mesi prima, non ripresi a fumare perché si erano messi in mezzo i miei genitori, la laurea e tutto il resto. In quel momento però accolsi grata il fumo che inondava i miei polmoni, come un vecchio amico di sventure.
-”Ti vedo assorta”- puntualizzò il riccioluto.
-”Sì, mi tranquillizza molto fumare”- mi sentii sollevata.
-”E’ dura, vero? Io e quei due svalvolati siamo di Milano quindi non possiamo sapere come ci si sente a cambiare aria”- mi prese dalle mani la sigaretta e fece un tiro.
-”Lo è, ma è solo questione di abitudine. Non appena prendo il ritmo mi sembrerà tutto normale, fin troppo”-
-”Nah, questo mai. Soprattutto se frequenti noi: niente sarà normale”-
-”E questo posso confermarlo! Li frequento da pochi mesi e hanno reso la mia vita qui un inferno! In senso buono però”- aggiunse Carlotta.
-”Io direi anche in negativo”- strascicò Leo.
-”Solo per colpa tua!”- gli diede un colpetto sul braccio.
-”Se te lo stessi chiedendo, sono io quello normale”- mi fece notare Pascal.
-”Hai detto che niente è normale con voi, presumo quindi che nemmeno tu lo sia”- lo punzecchiai io.
-”Touché”-
Dopo aver terminato di fumare, rientrammo, tirandoci dietro i due ubriachi. Come previsto al posto di Leo guidò Pascal e finimmo in macchina con loro, mentre Sergio si portò dietro Sofiasole, Vittorio e Carlotta.
-”Raga tra una settimana cominciano le lezioni”-
-”Ti prego Agnese, non me lo ricordare”- rispose Emma, portandosi una mano sugli occhi.
-”Dai non sarà così male, alla fine abbiamo scelto cose che ci piacciono”- intervenni io.
-”Insomma, mica io volevo fare Marketing. Quel cazzone di mio padre ha insistito che seguissi questa strada”- disse Leo.
-”Non mi sembri un tipo che fa decidere gli altri per se stesso”- continuai.
-”Infatti ma… è una storia lunga”- fece corto, distendendosi sulle mie gambe.
-”Non fare l’ubriaco pervertito”- lo ammonì Pascal, guardandolo dallo specchietto.
-”Ho solo bisogno di distendermi altrimenti potrei sboccare, non rompere”- si lamentò, chiudendo gli occhi.
-”Non diciamolo a Carlotta sennò si ingelosisce”- sogghignò Emma dal sedile davanti.
Ci guardammo interrogative per cercare di capire la situazione.
-”Sono convinti che vada dietro a Leo”- ci spiegò il guidatore.
-”Ma è sicuro dai! Da quando ci siamo baciati alla festa mi sta incollata porca troia”- mugugnò lui.
-”Cazzi tuoi che ti fai pure i cactus!”- si sbellicò la sua amica.
-”Sh zitta non urlare che mi fa male la testa!”-
Arrivammo al dormitorio che erano quasi le tre di notte e andammo ognuno nelle proprie stanze, scoprendo che quella dei due ragazzi era la S11, mentre quella di Emma e Carlotta era la R2. Gli altri stavano in piani diversi rispetto ai nostri.
Una volta toccato il letto, non avevo nessuna voglia di cambiarmi e struccarmi.
-”Che ne pensi quindi dei ragazzi?”- indagò Agnese.
-”Mi sono divertita molto, sembrano a posto”-
-”Concordo! Anche se non ho calcolato Giancarlo e per questo potrebbe avercela con me”-
-”Sarebbe ridicolo se te lo rimproverasse”- le dissi, mentre decisi di andare a fare una doccia prima di dormire.
L’acqua tiepida lavò via l’odore di fumo rimasto impresso nella mia pelle, così come aiutò la sonnolenza a venire fuori. Tutto sommato fu una lunga giornata, piena di sensazioni contrastanti che mi scombussolarono come se fossi loro preda. L’unica cosa che mancava e che non mi aspettavo minimamente di vedere era l’anteprima di un messaggio da parte di Stefano.
“Padova non è più la stessa senza di te”.
Io stessa sarei cambiata molto, lì a Milano.


 
Spazio dell'autrice:
Eccomi qui gente! Sì, so quanto sia difficile scrivere due long contemporaneamente ma voglio provarci perché le idee che ho per questa storia sono infinite e sentivo il bisogno di pubblicare un piccolo assaggio. Che ve ne pare? Vi sembra interessante come trama? Fatemelo sapere!
Cercherò di aggiornare più spesso possibile anche se al momento ha la priorità "Ti ho incastrata, principessa". 
Sarei lieta di conoscera le vostre opinioni e suggerimenti per questo nuovo percorso del tutto nuovo, sia per quanto riguarda lo scenario, i personaggi, i luoghi e la descrizione. Eh va be', usiamo il passato! Ma non potevo cambiare la mia amatissima prima persona perché è davvero indispensabile per me. 
Adesso vi lascio, ci leggiamo prestissimo! Grazie per l'attenzione :)


SimonaMak
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: SimonaMak