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Autore: BeaterNightFury    02/03/2020    0 recensioni
«Tra un po' di tempo in stazione passerà il mio amico Sora...»
«Lo scemo?» Shiro rispose quasi di scatto.
Riku dovette trattenersi per non darsi una manata in testa.
«In effetti è un po' scemo.» Si costrinse a sorridere, poi si tolse un borsellino dal mantello. «Dagli questi soldi, e prendi assieme a lui e ai suoi compagni il treno che parte dal binario zero.»

Sora apre gli occhi dopo un anno di sonno, e si accorge immediatamente che qualcosa è cambiato.
Riku abbraccia il suo nuovo scopo e la sua missione, guardando ad essi per non vedere sé stesso.
Un Nessuno guarda negli occhi la sua vittima, e trova le risposte ad una tragedia di una vita prima.
Una studentessa di una città che non dorme mai incontra un ragazzo dai confini delle tenebre, e la scintilla tra i loro cuori prelude ad echi di una vita mai vissuta.
Viaggi cominciano, continuano, e si concludono, o forse non sono che piccole tappe di un'unica, grande avventura.
Ricominciare a viaggiare non è poi così difficile...
(Sequel di "Legacy" - ancora non sono riuscita a metterle come serie...)
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Kairi, Nuovo personaggio, Riku, Sora
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts, Kingdom Hearts II, Più contesti
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Journey – Capitolo 4
Piani di un’Avventura
 
«So, if you care to find me, look to the Western sky! As someone told me lately, everyone deserves the chance to fly…»
Il barbone di Broadway – o così lo aveva chiamato Luna – arrancava su e giù per il marciapiede, con in mano una bottiglia di quello che doveva essere un qualche imprecisato alcolico, e biascicava una canzone che per quanto stonava sarebbe dovuta appartenere ad una voce femminile.
Prompto alzò gli occhi al cielo e si chiese quanto ancora avrebbero dovuto pazientare prima di ripartire. Sembrava che Strange stesse aspettando che accadesse qualcosa, ma cosa?

 
 
Sora rimase sdraiato per terra, con gli occhi verso il cielo dove batuffoli di nuvole stavano venendo sparsi da una brezza mattutina, e iniziò a contare fino a dieci per cercare di calmarsi.
L’Organizzazione XIII aveva preso Kairi. Quello che aveva detto Shiro su Kingdom Hearts – vero e confermato. Non solo: per ogni Heartless che lui e Shiro abbattevano con il Keyblade, i cuori che liberavano finivano dritti in mano a Xemnas.
Topolino sapeva qualcosa su Riku – e a quanto pareva, anche la stessa Shiro.
Sora sarebbe tornato di filata alla Fortezza Oscura dopo che Malefica li aveva spediti nel Reame Oscuro per allontanarli da Saïx, ma l’uscita data loro dalla figura misteriosa li aveva come naufragati su una spiaggia che Sora non riconosceva.
Anzi…
Si tirò su a sedere.
Riconosceva quella spiaggia.
Forse il mare era leggermente diverso, forse era coperta di detriti da una recente tempesta, ma gli ricordava la spiaggia solitaria dei suoi sogni, quelli in cui era seduto in riva al mare, con un uomo adulto dai capelli chiari alla sua sinistra, e un bambino con i capelli scuri alla sua destra.
«Paperino… Pippo…» Sora si alzò in piedi e si guardò attorno. «… dove… dove siamo?»
«Su una spiaggia, ovvio!» Paperino sbottò, scrollandosi via la sabbia dalle piume.
«Questo posto mi sembra familiare.» Sora confessò. «Come se io ci fossi già stato.»
«Sono d’accordo con te, yuk.» Pippo lo affiancò e fissò per un momento l’oceano.
Un ragazzo, di qualche anno più grande di Sora, con i capelli neri, una camicia bianca, e un paio di calzoni da marinaio, si stava aggirando su e giù per la spiaggia, fissando la risacca. Con lui c’era un grosso cane peloso che gli correva attorno.
L’animale sembrava allegro, ma il volto del ragazzo era la maschera della preoccupazione.
«Hey, bello!» Sora si chinò verso il cane mentre quello si avvicinava a lui. Sembrava abbastanza amichevole a giudicare dal suo comportamento – per non dire che piantò le due zampe anteriori sulle spalle di Sora e prese a leccargli la faccia.
«Torna qui, Max.» Il ragazzo richiamò il cane. «Non ti stava disturbando, vero?»
«No, affatto.» Sora camminò verso il giovane. «Piacere, il mio nome è Sora. Io, Paperino e Pippo arriviamo da abbastanza lontano, temiamo di esserci persi.»
Il ragazzo fece una smorfia imbarazzata. Evidentemente doveva aver capito qualcosa che loro non avevano compreso.
«Ahem… mi chiamo Eric.» Ammise. «Secondo un po’ di gente qui intorno sarei il principe di queste terre, ma preferirei essere noto come un uomo di mare e il padrone di questa palla di pelo.»
«Ahem… piacere.» Sora si strinse nelle spalle. Non sapeva come comportarsi, se passare al formale o continuare con il suo solito registro, principalmente perché il ragazzo aveva detto di non voler venire trattato come un reale.
«Qualcosa non va, Vostra Altezza?» Pippo non sembrò farsi di questi problemi.
«Ho incontrato… una ragazza, alcuni giorni fa.» Eric si sedette su uno degli scogli che affioravano dalla sabbia e si mise a giocherellare con un flauto. «Credo mi abbia salvato da una tempesta. Non la ricordo bene, forse un po’ la sua faccia, sicuramente la sua voce.»
«La stai cercando, eh?» Sora si sedette su un’altra roccia a qualche passo. «Io ho perso i miei amici. Ho paura che possano essere in pericolo.»
«Sora. Ordine.» Paperino gli diede una gomitata.
«Il mio tutore dice che potrei averla sognata.» Eric non sembrava voler prestare molta attenzione a quella storia. «Ma è successo. Qui. Su questa spiaggia.»
«Io ho sognato questa spiaggia, tempo fa.» Sora si mise in piedi. «O almeno, credo sia qui. Ma… non ho idea di cosa volesse dire quel sogno.»
«Magari i tuoi amici sono qui.» Eric si strinse nelle spalle e sorrise, poi portò il flauto alla bocca e iniziò a suonare una successione di note, lenta, quasi triste.
A Sora sembrava quasi di averla già sentita… ma non in un sogno.
Sì, quel mondo gli era familiare, anche se ancora non ne aveva compreso il perché.
«Dammi una barca a remi e mi faccio un giro da queste parti. Cerco io un po’ per te. Che faccia ha questa ragazza?» Sora si stiracchiò e scosse la testa.
«Ha i capelli rossi.» Eric provò a descrivere. «Lunghi, tenuti sciolti. Ha gli occhi verdi, scuro. Di un verde che non ho mai visto prima.»
«Ricordi che vestiti aveva?» Sora chiese, ma Eric scosse la testa. Ahia. I vestiti avrebbero potuto aiutare. «Età? Più o meno?»
«Le avrei dato quindici o sedici anni.»
«… e quindi è mia coetanea. Okay.» Sora si sfregò il mento con una mano. «Nessun problema, Eric. Sono cresciuto in riva al mare proprio come te. Magari non conosco questa spiaggia come conoscerei casa mia, ma sono capace di setacciarla!»
«Davvero mi daresti una mano?» Eric si illuminò e si mise in piedi a sua volta, poi indicò un gruppo di scogliere. «C’è una barchetta lì dietro. Puoi prenderla. Uhm… ma sta’ attento. I marinai qui raccontano storie strane. Parlano di un re sotto il mare che può scatenare tempeste se viene contrariato.»
«Ah, non è un problema.» Sora marciò allegramente verso il punto che il principe gli aveva indicato. «Trattare con un re sotto il mare non sarebbe la cosa più strana che ho fatto in vita mia.»
«SORA!» Paperino gli diede una lieve randellata sulla testa, poi guardò Eric e fece una risatina nervosa. «Devi scusarlo, a volte le spara davvero grosse.»
Fu soltanto quando furono al largo, fuori portata d’orecchio, che Paperino si decise a riprendere a sgridarlo.
«Potrebbe davvero essere tutta una leggenda per quanto ne sappiamo. A quel ragazzo non interessa che tu abbia duellato con un pirata nonmorto o che tu conosca Babbo Natale o sconfitto il dio dei morti con l’aiuto di Ercole!»
«Sì, però noi abbiamo realmente trattato con un Re sotto il mare.» Pippo puntualizzò mentre Sora continuava a remare.
Un gabbiano spennacchiato volava in cerchi sopra le loro teste, fino a posarsi su un’isoletta e fissarli con uno sguardo un po’ idiota.
Doveva avere il nido lì, Sora si disse. Aveva un po’ di cianfrusaglie e rottami di legno sull’isoletta, alcuni ammucchiati nel suo stesso nido – la cosa doveva essere dovuta al recente naufragio che Eric aveva menzionato.
«Non capisco.» Sora ammise, mettendosi in piedi sul fondo della barca. «Eric ha detto di aver visto una ragazza. Una ragazza che non conosce. Eppure è il principe e da quanto ho capito è anche abituato a viaggiare. Ma qui andiamo avanti da un po’ e tutto quello che vedo è soltanto acqua
«Eh, certo. E che ti aspettavi, fuoco?» Paperino alzò gli occhi al cielo.
«Se stessimo giocando ad acqua, fuochino, e fuoco, sì, mi aspetterei fuoco.» Sora ribatté, poi smise di remare. Davvero non riusciva a capire. Eric sembrava sincero quando aveva parlato di una ragazza, ma le circostanze in cui l’aveva incontrata erano improbabili come un ago in un pagliaio.
E probabilmente quella stessa ricerca era un ago in un pagliaio.
«Il solito Sora.» Paperino protestò. «Dovevi proprio accettare una simile perdita di tempo?»
Il gabbiano, che stava fissando un punto dietro il suo scoglio, guardò Paperino e Sora con gli occhi sbarrati, ed emise uno stridio che suonava orribilmente come: «Sora?»
Sora rimase a fissare l’uccello. Non aveva mai visto quel gabbiano, ne era certo, ma forse Roxas era stato in quel mondo? Forse era qualcosa che aveva dimenticato, o forse…
Qualcosa ruppe la superficie del mare dietro di lui.
«Sora… sei davvero tu?»

 
 
New York non era Crepuscopoli, ma il cielo fuori dalla finestra sembrava quasi lo stesso ora che calava la sera. In un qualche modo, al tramonto Noctis si sentiva sempre a casa.
«Siamo alle solite,» Ignis protestò dalla cucina del loro appartamento. «Noct, tanto lo so che sei stato tu!»
«Cosa hai combinato?» Luna, seduta accanto a lui al tavolino del soggiorno, fissò Noctis con una lieve aria d’accusa. Prompto, dall’altro lato, soffocò una risatina.
«Credo che al nostro amico Noctis non piaccia la verdura.» Strange, a capotavola come ospite d’onore, rise sotto i baffi. «Sarà anche discreto, ma durante tutta la cena ha scartato o sputato i broccoli nel tovagliolo.»
«Già, il solito Noctis.» Gladio si alzò da tavola e tolse le posate. «Niente bignè per te.»
Noctis stava per ribattere qualcosa quando il cacatua che Luna e Ravus avevano regalato ai ragazzi emise uno stridio assordante dal suo trespolo.
«KWEH! BISCOTTO… BISCOTTO!»
«E sta’ un po’ zitto, Cookie!» Noctis alzò gli occhi al soffitto. Non si fosse mai lasciato scappare davanti a Luna che lui e Prompto avevano sempre adorato i pappagalli. Dovevano aver preso il pennuto più vorace e loquace di tutto l'allevamento, perché da quando era arrivato in casa loro, non faceva che urlare a gran voce di voler venire nutrito.
Il nome "Cookie" era venuto da lì.
«Andiamo, ragazzi, non è mica un bambino.» Luna commentò, anche se suo fratello si era unito alle risate generali.
«D'accordo, per stavolta lo graziamo.» Ignis tornò con il vassoio dei bignè.
«Ma soltanto perché voi due stasera siete di pattuglia assieme e altrimenti finirebbe per lamentarsi con te tutto il tempo,» Gladio precisò.
«E voi quattro sareste sopravvissuti un anno e mezzo, sulla strada, badando in questo modo a voi stessi?» Ravus commentò arraffando un pasticcino. Se lo infilò in bocca, masticò un po', poi sgranò gli occhi. «Dove siete andati a prenderli, in Louisiana?»
«Li ho fatti io.» Ignis si sistemò gli occhiali e riprese il suo posto. «Una ragazza di nome Tiana mi ha insegnato la ricetta, credo il posto dove siamo stati si chiamasse New Orleans.»
«Beh, New Orleans è in Louisiana.»
«Sì, ma sembrava tutto molto più vecchio.» Prompto ribatté. «Come se fosse stato un secolo fa o poco meno.»
«Non è la New Orleans che conosci tu, Ravus.» Strange concluse. «È un altro mondo. Il che mi rammenta, c’era una ragione per cui volevo parlare con voi ragazzi prima della pattuglia di stasera.» Non sembrava affatto interessato ai dolci.
Noctis approfittò per prenderne tre o quattro prima che Gladio e Ignis cambiassero idea.
«E a buona ragione, vi devo un po’ di spiegazioni.» Lo stregone tirò un sospiro. «Stessa cosa per voi, Luna e Ravus. Ricordate quando vi menzionai che Thanos e la sua armata sono spariti da questo mondo e hanno trovato la loro fine in un’altra dimensione? Beh, in quella dimensione, Noctis, Luna, voi non avete mai messo piede a New York.»
«Cosa?» Fu Luna la prima a scattare in piedi. «Non è possibile. Sono nata qui.»
«Non scenderò nei dettagli. Non vi voglio spaventare più di quanto non siate già smarriti.» Strange non batté ciglio. «Nella dimensione in cui Thanos è sparito… voi siete tutti nati nello stesso mondo, un mondo chiamato Eos che in questa dimensione non è mai esistito. Ora, qualcosa o qualcuno sta fessurando i confini tra i mondi e la cosa ha conseguenze anche sulle dimensioni… il che magari è la ragione per cui tu, Prompto, hai capito che avresti potuto fidarti di Noctis fin dal tuo primo giorno di scuola, anche se eri rotondo, portavi gli occhiali, e sei stato adottato…»
«Hey! Come fa a saperlo?» Prompto quasi perse l’equilibrio sulla sua sedia.
«… o che la tua peggiore paura, Ignis, è perdere la vista…» il dottore continuò. Ignis quasi si strozzò con un bignè.
«… o che tu, Gladio, sapevi già da bambino che avresti avuto una sorella quando tua madre ti disse che aspettava un bambino.» Strange concluse con un sogghigno. «Sono tutte cose che non avevate detto a nessuno. In un altro universo, queste cose sono già accadute ad altri di voi, e in un qualche modo lo sapete. Quanto a te, Noctis…»
Noctis si affrettò a deglutire, lo sguardo penetrante dello stregone fisso su di lui. Per come lo stava guardando, avrebbe sicuramente detto qualcosa di grosso. Tipo, come aveva preso a battergli il cuore quando Luna gli era stata presentata. O di come diverse notti aveva avuto incubi in cui veniva pugnalato più volte, che spesso si erano conclusi con Papà che lo svegliava e lui che gli piangeva addosso. Oppure ancora…
«Hai un prozio anziano che vive in casa tua.» Il dottore fece un sorrisetto. «Lui non sopporta di dire il tuo nome, e tu non sopporti il suo.»
Noctis tirò un sospiro di sollievo, afflosciandosi contro lo schienale della sedia. Tutto qui?
Zio era un tipo a posto, dopotutto.
«Probabilmente la causa dell’aumento degli Heartless e delle dimensioni instabili è la stessa.» Strange spiegò. «Ma qui siamo ancora troppo lontani per intervenire appieno. Però qualcuno potrebbe essere vicino abbastanza. Prompto, hai detto di avere un fratello a cui hai inviato delle lettere, no?»
«Sì… Pence. Perché?»
«Ho trovato questa al largo di Manhattan.» Ravus estrasse una bottiglia di vetro da una borsa.  Dentro al vetro c’era un messaggio, arrotolato stretto, ma non abbastanza per non distinguere la calligrafia ordinata di Pence sulla carta.
Prompto prese la bottiglia e la stappò, dando due colpetti al vetro per farsi piovere la lettera in mano. Posò la bottiglia e aprì la lettera.
 
Caro Prompto,
Spero che questa lettera ti raggiunga. È arrivata qui una ragazza da un altro mondo. Dice di chiamarsi Kairi, e mi ha suggerito di provare ad affidare la mia posta al mare perché ti arrivi.
Avrei un SACCO di cose da dirti. Ora che Ignis non lavora più allo stand dei gelati lo sostituisce tale Comet. È una sagoma, ma non ci fa sentire la mancanza di Iggy, stanne certo. Ha detto che presto lascerà il lavoro alla cassa a qualcun altro, ma credo che aprirà un locale in città, quindi non credo sia un addio.
E poi Sora. È un ragazzo che è giusto passato in città, ma sia io che Hayner e Olette lo abbiamo sentito vicino, come se già fosse nostro amico. Un po’ come te e Noctis immagino.
Kairi è stata presa da un brutto ceffo con una cappa nera. Io e gli altri stiamo cercando di capire dove possano averla portata, ma la nostra ipotesi è sempre più improbabile ogni volta che ci pensiamo.
Secondo te è possibile che possa esistere un’altra Crepuscopoli? Che qualcuno possa averla copiata?
Ti voglio bene. Torna presto.
Pence
 
«Copiare Crepuscopoli?» Gladio sgranò gli occhi. «Come è possibile?»
«Pence non scriverebbe cose del genere se non fosse convinto di quel che pensa.» Prompto chiuse la lettera. «E non affiderebbe una lettera al mare se non fosse convinto di avere una possibilità che mi arrivi. Questa è la prima volta che mi risponde, Gladio.»
«Ho visto un sacco di cose nella mia vita che reputavo impossibili o assurde.» Strange si premette la base del naso. «Prompto, rispondi a tuo fratello. Digli di non fare niente di azzardato… e di cercare di capire quanto una cosa del genere sia probabile. Se c’è un’altra Crepuscopoli, ci sarà anche un modo di arrivarci.»
Noctis chiuse gli occhi e si premette una mano sulle palpebre. Perché non li lasciava tornare a casa?
Dire a Pence e ai suoi amici di non fare niente di azzardato sarebbe stato come aspettarsi coccole da un coccodrillo!
«Va bene, Noct, ora della pattuglia.» Luna lo tirò per una manica e lo fece alzare. «Maestro, credo che per stasera basti. Li avete già terrorizzati abbastanza.»
Lanciò un’occhiata a Prompto.
«Scrivi a tuo fratello, comunque. Se non altro perché gli farebbe piacere.» Gli sorrise. «Noct, andiamo.»
Noctis prese la sua giacca e il suo berretto dall’appendiabiti dietro la porta, se li infilò in fretta e furia, e seguì Luna fuori dalla porta.
Come ogni volta che era da solo con lei, si sentiva le orecchie calde, e ringraziò di avere il cappello e di non essersi mai tagliato i capelli troppo corti. Strange aveva fatto dei turni di pattuglia del quartiere tra loro sei, e lui finiva sempre con Luna.
«Mi ripeti com’è che tu e tuo fratello siete finiti a lavorare per uno stregone?» Noctis si infilò le mani nelle tasche per non imbarazzarsi a gesticolare come un bambino.
«Quando eravamo ragazzi, un’armata di mostri attaccò la città. Arrivarono fino a casa nostra.» Luna abbassò il capo. Non doveva essere una bella storia da raccontare, a giudicare dal suo tono di voce. «Io e Ravus vivevamo da soli con la mamma, e… beh, hai visto le sue cicatrici. Aveva cercato di tirare mamma via. Venimmo portati all’ospedale dove Strange lavorava da medico. Avrebbe potuto salvargli il braccio, ma non lo fece… e quando venne a sapere che mi ero iscritta a medicina al college… mi venne a cercare. Ma non era l’uomo che si era rifiutato di salvare mio fratello. In un qualche modo, era cambiato, sia fuori che dentro. Mi disse che aveva visto qualcosa in me, nel mio passato e nel mio futuro.»
Si fermò al centro del parco. Una enorme fontana circolare, delimitata da gradini che scendevano verso il basso, era circondata da adulti e ragazzi che si facevano gli affari propri.
«Quando sono arrivati gli Heartless, temevo che sarebbe stato come con i Chitauri. Che avremmo perso qualcos’altro. E se è vero quello che Stephen dice, ci sarà molto da fare per sistemare le cose.» Luna si girò verso Noctis. «Sembra che niente più importi… il college, le Arti Mistiche, o i cosiddetti Vendicatori…»
«Beh, io e Prompto abbiamo abbandonato la scuola per venire qui.» Noctis si strinse nelle spalle. «Avrei chiesto a Zio di aspettare un altro anno, ma non ha voluto sentire ragioni. È uno svitato, un po’ come il tuo dottor Strange. Non è nemmeno realmente mio zio, è tipo un prozio alla lontana che vive nella villa di famiglia. Tecnicamente dovrei chiamarlo Ardyn e basta, ma tutte le volte che dico il suo nome mi dà ai nervi.» Si fermò quando vide che anche Luna aveva sobbalzato. Gli venne quasi da ridere… anche lei?
«… ma nemmeno lui è tanto felice di dire il mio nome. Anziché Noctis o Noct mi chiama sempre nipote o ragazzo
Tirò un sospiro.
«Comunque penso che lo strozzerei se mi chiamasse Noct.»
Poco lontano da loro, un duo di artisti di strada aveva tirato fuori una tastiera e una chitarra, attaccato i loro strumenti a un generatore, e cominciato a suonare.
«Quindi… pare che ci siamo. A Crepuscopoli finalmente accadono cose.» Noctis decise di cambiare argomento. «Verrai con noi quando torneremo là?»
Il modo in cui Strange cercava di tenere sempre lui e Luna vicini, la maniera enigmatica in cui aveva parlato di più linee temporali diverse e di come qualsiasi cosa le avesse rese instabili aveva fatto comunicare i ricordi, il pappagallo, l’arrangiamento dei posti per quella sera… era tutto così confuso eppure tutta la serie degli eventi – da quando Strange li aveva letteralmente risucchiati da San Fransokyo, aveva chiesto a Luna di trovare a loro quattro un alloggio, e con il passare dei giorni stesse cercando di far passare sempre più tempo da soli ai due…
… non che la cosa a Noctis dispiacesse, nonostante avesse tre o quattro anni più di lui, Luna era una bella ragazza, una dei migliori combattenti che lui conoscesse, aveva una mente straordinaria ed era una persona incredibilmente dolce nonostante tutto quel che le era successo…
«I had a dream the other night, ‘bout how we only get one life… it woke me up right after two, stayed awake and stared at you, so I wouldn’t lose my mind…» uno dei due artisti aveva preso a cantare mentre premeva i tasti del piano.
Luna sbuffò, guardando gli artisti di strada. Noctis fu certo di averla sentita sibilare “Strange…” tra i denti, poi la ragazza guardò verso di lui.
«Se ti stai chiedendo per quale ragione tutto questo discorso, e questa situazione, possa inequivocabilmente sembrare la scena clou di un film romantico per adolescenti, sappi che potrebbe esserci lo zampino di qualcuno.»
«Eh?» Noctis pensava di aver capito cosa intendeva Luna, ma la domanda gli venne spontanea.
«You’ve got something I need, in this world full of people there’s one killing me…»
Luna lo guardò, si coprì con una mano la bocca e si mise a ridere.
«… and if we only die once, I wanna die with you…»
Fu in quel momento che Noctis si rese conto che si era messo nel sacco da solo.
Si era innamorato.

 
 
«Allora, fammi capire. Sei tu la ragazza che Eric sta cercando?» Sora tirò i remi nella barca e si sporse di lato, abbassandosi un po’ per restare al livello di Ariel. «Ha! Avevo azzardato a dire che magari i miei amici erano qui.» Si sforzò di ridere un po’. Era ancora preoccupato per Riku e Kairi, ma non avrebbe mai negato che vedere una faccia amica non lo avesse fatto star meglio.
«Puoi aiutarmi a rivederlo?» Ariel si aggrappò al bordo della barca e si tirò su.
«Va bene, va bene, ma non buttarmi giù.» Sora ridacchiò, strofinandosi la nuca con una mano.
Paperino rise.
«Come se ti dovessi preoccupare.» Starnazzò. «I tuoi vestiti non sono gli stessi, ma la magia che è dentro sì. Stavolta siamo semplicemente atterrati anziché ammarati.»
«Sora?» Sebastian il granchio fece capolino da sotto l’acqua. «Quel Sora? Oh, siamo sssalvi!» Si aggrappò con le chele a una cima che pendeva dalla barca e si issò sul bordo. «Sembra che Ursula stia tenendo la testa bassa da quando l’hai cacciata dal regno, ma nessuno di noi vuol dire pesce gatto finché non l’abbiamo nel sacco.»
Guardò Sora da capo a piedi.
«Quindi è così che sei realmente. Quale buona onda vi porta da noi?»
«Non sappiamo se è buona, yuk.» Pippo commentò. «Siamo naufragati. Senza modo di tornare finché non abbiamo modo di contattare casa.»
Sebastian fece schioccare una chela.
«Beh, finché siete qui… stiamo preparando uno spettacolo musicale, e avevamo proprio bisogno di altre tre comparse maschili.»
Sora prese una corda dal fondo della barca e la ormeggiò allo scoglio per evitare che venisse portata via dalla corrente.
«Ottimo. Quando ero a scuola, io, Riku e Kairi eravamo nel coro.»
«Uhm, Sora, ti si è rotta la voce.» Paperino gli fece notare.
«Tsk. Un maestro di musica mio pari gliela rimetterà a posto in un nulla!» Sebastian si ributtò in acqua. «E solitamente chi da bambino ha un bel tono da soprano, crescendo diverrà un tenore niente male! Vogliamo andare a palazzo a fare le prove?»
Sora si morse il labbro. Probabilmente già accettando di aiutare Eric aveva perso tempo che avrebbe potuto usare per trovare un modo di tornare alla Fortezza Oscura. Adesso Sebastian sembrava essere determinato a farlo partecipare allo spettacolo ad Atlantica, e Sora faticava a capire perché. Sapeva soltanto che avrebbe perso altro tempo.
Sebastian risalì sul bordo della barca e prese Sora da parte.
«Dite di sì, vi supplico. Ariel è inquieta ultimamente. Se ci siete voi… magari si calmerà e farà le prove.»
«Paperino, che bisogna fare?» Sora si mise in piedi sulla barca.
«Fare cosa?» Il papero corrugò il becco.
Sora fece gesto di compiere una magia con una bacchetta immaginaria. Paperino roteò gli occhi, alzandoli al cielo, e si diede una manata in fronte.
«La magia è già nei vestiti! L’anno scorso dovetti fartela perché te li eri portati da casa!»
Oh. Sora rimase per qualche momento in imbarazzato silenzio, poi scese dalla barca sullo scoglio per evitare di rovesciarla saltando.
«Uhm, Ariel, è abbastanza profondo per tuffarsi o rischio di battere la testa?» azzardò la domanda. «Non sarebbe un bello spettacolo se anziché cantare passo la mattinata a urlare di dolore.»
«Nessun problema.»
«Va bene.» Sora si dondolò sui piedi. Prese un po’ di rincorsa e si buttò in acqua di testa.
Per un momento rimase sott’acqua, come un idiota, trattenendo il fiato e chiedendosi perché non accadeva nulla. Decise di mantenere la testa sotto e aspettare… e nulla. Vedendo che ancora non succedeva niente, gli passò per la mente il pensiero di riemergere e chiedere a Paperino se i vestiti non escludessero quel genere di magia – anche se no, non poteva essere, dopotutto era successo più e più volte che i suoi vestiti cambiassero forma passando dalla Città di Halloween alla Città di Babbo Natale, e quando era finito nelle Terre del Branco si era addirittura ritrovato quadrupede, quindi…
probabilmente era perché stava trattenendo il fiato.
Si costrinse con uno sforzo non trascurabile ad aprire la bocca e inalare l’acqua, aspettandosi che gli avrebbe bruciato la laringe e lo avrebbe fatto tossire fino a vomitare, ma invece il suo respiro non trovò alcun impedimento, e sentì la sensazione, già provata una volta, dei suoi vestiti che sparivano e della parte inferiore del suo corpo che veniva pressata fino a cambiare.
«Vogliamo andare?» Scosse la testa e guardò verso la superficie, attendendo che anche Paperino e Pippo si tuffassero.
Neanche mezz’ora dopo, erano nel cortile del palazzo di Atlantica, e, approfittando di Ariel che iniziava a fare “m’ama, non m’ama” con le piante acquatiche, Sebastian ficcò un pacco di fogli nelle mani di Sora.
«Sai leggere uno spartito, dico bene?» borbottò il granchio. «Se i tuoi compagni non ne sono capaci, leggi loro le note.»
Sora prese le partiture in mano e iniziò a dare una rapida lettura. Erano principalmente quelle riguardanti la voce, ma c’era un’altra riga riguardante l’accompagnamento principale.
Tuttavia, era il testo a non piacergli.
«Sebastian, con tutto rispetto.» Aggrottò le sopracciglia e fece una capriola in acqua. «Se pensi che una canzone del genere faccia cambiare idea ad Ariel, beh, campa cavallo.»
«Cavallo?» Sebastian scosse la testa.
«Poi ti spiego cos’è.» Sora lasciò galleggiare lo spartito e incrociò le braccia. «Ma sembra che tu abbia scritto tutto questo apposta per scoraggiarla, e peraltro hai scritto tante leggende quante ne ho sentite alla Fortezza Oscura sulle fate.»
«E cosa penseresti di fare, scusa?» Il granchio gli lanciò un’occhiataccia.
«Scrivere un’altra canzone.» Sora si incrociò le braccia dietro la testa. «Ma chi sono io per obiettare? Sono soltanto un semplice corista…» Fece un sorrisetto.
Passarono delle ore nel cortile, con il granchio che mise a dura prova la pazienza di Sora con almeno un paio d’ore di scale e vocalizzi. Nei momenti di pausa, gli faceva schiacciare le guance con i palmi delle mani, muovere la mascella, e prendere respiri profondi.
Insistette poi per far provare la canzone per cui Sora aveva alzato gli occhi al cielo, e a quel punto fu Flounder a fare gesto a Sora e Ariel di nuotare via per un po’.
Approfittando del ballo collettivo come distrazione, Ariel condusse Sora alla sua grotta.
Il piccolo covo era come Sora lo ricordava: la collezione di Ariel era ancora accumulata sugli scaffali naturali, ma c’era una statua che sembrava essere caduta lì dalla superficie.
«Quella è finita in fondo qualche giorno fa.» Ariel spiegò fermandocisi vicino.
«Gli somiglia.» Sora commentò immediatamente. Ariel sorrise.
«Sarebbe bello potergli stare realmente accanto.» Rimase per un po’ a guardare la statua, poi si girò di nuovo verso Sora. «Cosa mi racconti? Hai visto altri mondi? Conosciuto altre persone?»
«Esiste qualcun altro come me. Una bambina.» Sora si decise a sorridere. «Si chiama Shiro. Ha quasi tredici anni, ma gliene avrei dati dieci. La stiamo aiutando a cercare i suoi genitori.»
«E i tuoi amici?» Ariel si sedette su una delle panche naturali nella roccia e fece gesto a Sora di fare lo stesso. Sora nuotò vicino a lei, ma tirò un sospiro.
«Sembra quasi che… io li abbia persi.» Fece una smorfia. «Non so dove sia Riku, e pare che Kairi sia stata presa da brutte persone. E adesso siamo precipitati qui senza alcuna maniera di segnalare la nostra posizione.»
«Potresti chiedere un aiuto a papà.» Ariel si coprì il mento con una mano. «Se la serratura è realmente qui dentro, forse ci sarebbe un modo di lanciare un segnale.»
«Beh, per il momento sono qui. Tanto vale che io aiuti te.» Sora si incrociò le braccia dietro la testa. «Allora, hai detto che ami questo ragazzo. Com’è che ti senti?»
Ariel si passò una mano tra i capelli.
«Tutte le volte che penso a lui mi vengono le meduse nello stomaco. Mi batte forte il cuore quando lo vedo… e non riesco a toglierlo dalla mia testa.»
«Ed è da qualche giorno ormai che lascia il piatto a metà a tavola.» Flounder intervenne girando attorno a loro. «E sai qual è la cosa peggiore?»
Sora premette le mani sul bordo della roccia.
«Che non ne puoi parlare a nessuno.» Le fece un sorriso di comprensione. «Anche Eric dice che il suo tutore l’ha preso per svitato.» Si girò un dito attorno alla tempia.
«Sono serio, dovreste parlarvi. Faccia a faccia, entrambi da svegli. Se vuoi posso dirgli dove incontrarvi, ci ho parlato.»
«Lo faresti davvero?» Ariel praticamente si sporse su di lui, in un gesto che Sora aveva visto fare solo a Wakka quando Riku si era offerto di aiutarlo a chiedere a Lulu un appuntamento. Poi si ritrasse quasi immediatamente, appena finito di parlare, e si mise la testa tra le mani. «Sì, ma cosa gli dico? Ciao, sono stata io che ti ho salvato dalla tempesta, mio padre ti odia, io ti amo, non so come raggiungerti ma passerei tutta la mia vita con te?»
Sora si strofinò la nuca con una mano. «Non è troppo difficile. Ci stai pensando troppo,» le disse. «Spiegagli le cose, come le stai spiegando a me. Mio padre dice sempre che per costruire una vita con qualcuno, devi sia amare che voler bene. Non devi soltanto capire che ti sta battendo il cuore… pensa a come ti sentiresti se lui fosse la prima persona che vedi quando apri gli occhi al mattino. Se davvero ti renderebbe felice immaginarvi tra parecchi anni, sedervi uno accanto all’altra, ricordare di quando eravate ragazzi e vi siete incontrati… pianificare insieme la vostra avventura e le vostre vite…»
Come noi tre avevamo fatto prima che tutto andasse all’aria… un pensiero gli invase la mente. Ricordava ancora di quando Kairi gli aveva proposto di prendere la zattera e andarsene, ma lui aveva rifiutato per non lasciare Riku indietro. Era il piano di tutti e tre e lo avrebbero portato a termine insieme…  perché stava pensando proprio a loro in quel momento?
«Wow…» Ariel commentò. «Che belle parole. Quindi è così che gli esseri umani si corteggiano tra loro?»
«Non credo sia molto diverso.» Sora si strinse nelle spalle. «Credo che l’amore resti quello che è… amore e basta… non importa il mondo, o chi lo prova.» Tirò un sospiro. «Per questo penso che tu abbia una possibilità.»
Nuotò verso l’ingresso della grotta per uscire a cercare Paperino e Pippo.
«Vediamoci domattina alla scogliera del gabbiano. Vedrò di portarlo da te in un qualche modo!»
Avevano una missione da portare a termine.

 
 
Prompto finì di passare la spugna sull’ultimo piatto e lo passò a Ignis, che lo infilò sotto il rubinetto dell’acquaio. Era finalmente finita.
«Ricordatemi di non invitare più quei tre a cena qui. Abbiamo lavato più piatti stasera che nelle ultime tre settimane.» Gladio si abbandonò sul divanetto nel soggiorno e prese un libro dal tavolino.
«Senti, non me ne parlare. Mi sembrava di essere di nuovo a casa a dovermi dividere le faccende con Pence.» Prompto alzò gli occhi al cielo.
«A proposito di Pence. Scrivigli quella lettera. Adesso.» Ignis ricordò a Prompto.
«Agli ordini, agli ordini.» Prompto cercò una biro sulle mensole e strappò un foglio da un notes. Si sedette al tavolo e masticò un po’ il fondo della penna, poi prese a scrivere. Caro Pence, scrisse, ho ricevuto la tua lettera. Strange deve aver trovato un modo di attirarla a sé, perché uno dei suoi due apprendisti l’ha pescata nel mare al largo di Manhattan.
«Hey, ragazzi,» Gladio alzò gli occhi dal libro dopo una manciata di minuti. «Noct. Che gli è preso oggi, secondo voi? Già un poco mi puzza che abbia invitato Strange e i suoi qui a casa nostra.»
«Quella era cortesia, Gladio, dato che Luna è stata tanto gentile da trovarci un alloggio universitario e per giunta uno grande abbastanza per tutti e quattro.» Ignis ribatté passando lo straccio sui banconi.
«Passi.» Gladio si stiracchiò sul divano come un gatto particolarmente grosso. «Ma non appena è entrata Luna in casa si è come ristretto. Hai visto come si stringeva nelle spalle? E quando Strange li ha fatti sedere vicini… era come se la guardasse di sbieco. Tutto il tempo.»
«Pensi che abbia qualcosa contro di lei?» Prompto posò la penna e si girò verso i due amici. Sperava così non fosse – Luna era una ragazza simpatica, e nonostante fosse un po’ troppo formale, un po’ troppo accademica rispetto a loro, gli ispirava fiducia. Era incredibilmente diversa, eppure Prompto la sentiva quasi parte della loro banda.
Il fatto che avesse continuato a parlare dei suoi due cani tutta la serata, o che alcuni giorni prima avesse regalato loro Cookie, non era affatto un dettaglio trascurabile.
Prompto era abbastanza sicuro che ci sarebbe rimasto male, se fosse uscito fuori che Noctis non la sopportava.
Ignis mise a posto lo straccio e sogghignò.
«Elementare, Prompto. Noctis è innamorato cotto.» Ignis uscì dalla cucina con le mani nelle tasche dei pantaloni.
Nell’appartamento calò il silenzio. Noctis. Innamorato?
Nel loro piccolo gruppo, fin dai tempi in cui Prompto e Noctis andavano alle superiori, avevano fatto una specie di giro di scommesse su chi sarebbe arrivato per primo oltre la prima base con una ragazza.
Prompto aveva fatto del suo meglio per sfondare, facendo la corte per tutto il periodo scolastico alla nipote del manutentore dei treni (senza speranza, fino ad allora). Gladio aveva mostrato un certo interesse per la figlia di due dei loro professori, anche se nessuno era stato in grado di dire se lo aveva fatto sinceramente o per non farsi bocciare in scienze dopo che si era rifiutato di dissezionare un rospo. Quanto a Ignis… lo avevano preso in giro fino alla morte dopo che si era intrattenuto per un po’ con un’anziana e cieca sacerdotessa vudù che sosteneva di conoscere un modo per tenere gli Heartless a bada… o forse era solo una nuova ricetta.
«Parli sul serio?» Gladio chiuse il libro e quasi lo lanciò via.
«Beh, è continuamente distratto.» Ignis prese una sedia e si sedette accanto a Prompto. «Testa tra le nuvole. E, Prompto, non dirmi che non hai neanche notato che ti sta prestando un po’ meno attenzione del solito. Sono giorni che non fate un raid su quel vostro giochino agli smartphone.»
«Beh, non è più divertente da quando bisogna pagare per passare i livelli.» Prompto tirò un mezzo sospiro.
«A difesa di Prompto, New York è tanto piena di piccioni che notare due piccioncini in più è abbastanza difficile.» Gladio ridacchiò. «Ragazzi, siamo seri. Non appena Noct torna, si attacca a coro. Noctis e Luna, seduti sotto un pino, si guardano negli occhi e si scambiano un bacino!»
Sul suo trespolo, Cookie il cacatua iniziò a fare un balletto sul posto, sbattendo le ali e alzando la cresta.
«Seduti… pino… bacino… bacino!»
Ignis alzò gli occhi al cielo e si diede una manata in fronte.
«Gladio, ti sei appena dimenticato che dividiamo l’appartamento con un pennuto parlante. Sai che adesso non la smetterà più, vero?»
Un quarto d’ora più tardi, dalla porta d’ingresso provenne lo scatto di una chiave, e Noctis entrò nell’appartamento con un sorriso idiota dipinto sul volto e giocherellando con il cappello.
Stava cantando. Tra sé e sé.
«You’ve got something I need… in this world full of people there’s one killing me… I know that we’re not the same… but I’m so damn glad that we made it…»
Quasi ignorò i suoi tre amici mentre buttava la giacca sull’attaccapanni e incedeva verso camera sua. Si chiude la porta alle spalle e continuò a cantare.
Prompto rimase per qualche minuto a fissare la porta chiusa, poi guardò Ignis e Gladio, visibilmente rimasti di stucco quanto lui.
«Stava cantando?» Gladio mormorò.
«Ragazzi…» Prompto si mise in piedi e camminò verso il centro della stanza. «È ufficiale. La situazione è drammatica.»

 

Era già da qualche ora che il sole scaldava gli abiti di Sora e si rifletteva sulla tavola dell’oceano, eppure sullo scoglio c’erano solo lui, i suoi compagni di avventura, e il gabbiano.
«Ariel è in ritardo.» Il suddetto gabbiano commentò, posandogli sulla spalla. «Forse prima di arrivare vuole darci dentro con l’arricciaspiccia. Sai come sono le ragazze
Seduto sulla sabbia con la schiena contro lo scoglio, Sora raccolse le ginocchia al torace e se le strinse con le braccia. Voleva pensare che l’uccello avesse ragione, ma non poteva evitare di sentirsi preoccupato.
L’ultima volta che degli amici avevano mancato un appuntamento…
Aveva ancora stampato nell’occhio della mente il momento in cui Kairi era sparita tra le sue braccia, ancora gli echeggiava nelle orecchie la voce di Riku che gli diceva di non temere le tenebre.
Paperino e Pippo di tanto in tanto facevano su e giù per l’isoletta, tenendo la barca pulita e scrollando la sabbia dalle rocce, quasi facendo cose inutili per impiegare il tempo. Sora aveva notato che nessuno di loro parlava, e probabilmente anche loro si stavano facendo la stessa domanda che lui si poneva da ore.
Qualcosa deve essere andato storto.
Probabilmente la cosa più sensata da fare sarebbe stata tuffarsi – come Sora aveva preso la barca ed era corso alla cala un anno prima, trovando quel che aveva temuto e anche di peggio.
Non sapeva se fosse più la paura che qualcosa fosse accaduto o la speranza che Ariel stesse semplicemente arrivando, in ritardo, magari in silenzio e con il dovuto tempo per non insospettire il padre, a mantenerlo lì immobile su quella scogliera.
Se fosse andato a cercarla, Re Tritone avrebbe potuto insospettirsi.
Ma erano d’accordo per vedersi là.
E allora perché non c’era?
 
 


 
 
Hello worlds!
Un abbraccio a distanza a tutti i lettori vecchi e nuovi (oltre che EFP, questa serie è anche in inglese su Archive Of Our Own e ff.net) e spero vi stiate divertendo!
Le due canzoni citate nel capitolo sono “Defying Gravity” di Idina Menzel e “Something I Need” degli OneRepublic. La canzone che, invece, Sora ha descritto come "piena di luoghi comuni" è ovviamente "In Fondo al Mar", che ad un osservatore esterno, oltre alla melodia giocosa, è effettivamente un ricettacolo di stereotipi.
Fun fact: le scene a New York, per come le scrivemmo nella role da cui viene tutta la storia, non dovevano riguardare Noctis, Luna e il Dottor Strange, ma il film del 2010 “L’Apprendista Stregone”, nel quale – per chi lo ha visto – c’è un’altra canzone degli OneRepublic presente come colonna sonora della scena di innamoramento, “Secrets”. Anche l’ambientazione è rimasta, perché la trama che doveva esserci originariamente si prestava meglio agli altri personaggi.

“Something I Need” in particolare è stata scelta sia per il testo che per la melodia: il suo giro di accordi è esattamente lo stesso di Stand By Me – addirittura le due tracce sono felicemente sovrapponibili. E se Stand By Me è stata usata in FFXV per descrivere l’amicizia tra i quattro protagonisti, allo stesso modo Something I Need potrebbe essere “adattata” a Noct e Luna per come compaiono in questa storia.
   
 
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