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Autore: Roscoe24    03/03/2020    5 recensioni
“Non mettere alla prova la mia pazienza, Maryse. Ne ho poca. Molto poca.”
Maryse sospirò.
Era il suo ultimo tentativo, quello. Aveva provato di tutto, negli anni. Magie di ogni tipo, ma nemmeno l’Angelo aveva potuto aiutarla. La sua condizione era irreversibile. Tutti gliel’avevano detto, tranne il libro bianco.
Il Grimorio Proibito aveva detto che dove non arriva la magia angelica, arriva quella demoniaca.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Maryse Lightwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Alec era confuso.
Aveva passato tutta la notte in bianco a fissare il soffitto, mentre nel suo cervello pensieri si accavallavano prepotentemente su altri pensieri.
E Magnus li abitava tutti.
Lo confondeva. Era così complicato provare a capirlo che Alec avrebbe voluto sapergli leggere nel pensiero.
Prima lo rapiva, strappandolo alla sua famiglia, poi gli salvava la vita e poi tornava a comportarsi come… il demone che era? Suggerì una voce nella sua testa.
Magnus era un demone, almeno per metà. E sembrava che tutto il suo carattere venisse dominato da quella sua natura.
Ma Alec aveva l’impressione che ci fosse di più – e davvero non capiva il perché ci stesse pensando. Avrebbe dovuto odiare Magnus per quello che gli aveva fatto – e in effetti una parte di sé lo detestava profondamente – ma c’era qualcosa, in lui, che lo attirava. Sentiva come una strana forza crescere dentro di sé ogni volta che l’aveva vicino.
Sfiorò il ciondolo che portava al collo. Forse era la magia che aveva addosso a sé che gli faceva questo effetto. Magari quel miscuglio di sangue e magia sentiva la vicinanza del suo proprietario e voleva tornare al suo posto, ovvero insieme a Magnus.
Sì, sicuramente era così.
E allora perché non riusciva a smettere di pensare al tono di voce che aveva usato quando gli aveva detto di provare mai più a farsi del male? Perché era quasi ossessionato dal fatto che quella frase sembrasse più una supplica?
Alec non sapeva dare un senso a tutto questo. Non sapeva come orientarsi, come gestire tutto questo.
Sbuffò, passandosi una mano sulla faccia. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte, di certo non avrebbe dormito ora che era mattina presto – o almeno così sembrava dalla luce che filtrava dalla finestra. Ancora non sapeva se il tempo ad Edom scorreva nello stesso modo della sua dimensione. In ogni caso, decise di alzarsi. Doveva farsi una doccia. Si stropicciò gli occhi e si passò una mano tra i capelli scompigliati, poi si incamminò verso il bagno.



L’acqua calda aveva un effetto benefico sulla sua pelle. Alec rimase sotto il getto d’acqua con gli occhi chiusi, godendosi quella piacevole sensazione. Era bello potersi rilassare almeno per qualche istante, non avere in sensi in allerta, o non dover pensare ad un certo paio di occhi felini e dorati su di sé.
Alec aprì i propri, di occhi. Osservò la sua pelle coperta di rune, sfiorò quella sul collo, e pensò alle parole che gli aveva detto Magnus.
Almeno non condanno qualcuno perché ama una persona del suo stesso sesso.
Amore… Alec non sapeva nemmeno cosa significasse. Almeno, non in quel contesto. Amava la sua famiglia, i suoi fratelli, ma… non si era mai innamorato di qualcuno nel senso romantico del termine. Non pensava nemmeno di meritarsi un sentimento simile. Le leggi del Clave gli avevano sempre inculcato quanto l’amore tra persone dello stesso sesso fosse sbagliato e lui era cresciuto con questa idea che poi aveva fatto sì che interiorizzasse tutto dentro di sé, quando, da adolescente aveva capito che a lui le ragazze proprio non facevano effetto. Nemmeno un minimo. Jace diceva sempre che una bella ragazza ti fa accelerare il cuore e ti fa sudare le mani.
L’unica volta che il cuore di Alec aveva battuto più forte del previsto era stata quando… si vergognò al solo pensiero. Sentì l’imbarazzo crescergli dallo stomaco fino ad arrivare alla punta delle orecchie. Era certo che stesse avvampando.
E trovò quasi patetico che l’unico che fosse stato in grado di fargli provare un’emozione così pura fosse stato… Magnus.
Quando era venuto a bussare per dirgli che avrebbe tenuto una festa, qualche giorno prima, ed era vestito in quel modo, Alec aveva visto quanto fosse bello. E per un attimo si era persino dimenticato di tutto l’orribile contesto che lo circondava.
E se il suo cuore aveva cominciato ad accelerare e i suoi palmi avevano iniziato a sudare, significava che quello che aveva davanti doveva essere necessariamente un bel ragazzo.
Ed era così. Magnus era bellissimo, con i suoi tratti orientali e la pelle color caramello, la voce calda e suadente. E i suoi occhi.
I suoi occhi erano qualcosa di meraviglioso.
Alec scacciò quei pensieri con prepotenza. Spense il gettò d’acqua calda e uscì quasi di corsa dalla doccia. Il vapore riempiva la stanza e lui cercò un asciugamano da legarsi in vita. Passò una mano sullo specchio appannato e guardò il suo riflesso. Aveva il viso scavato per via del poco cibo che aveva mangiato in questi giorni – e non perché Magnus non gliene portasse, se si esclude il giorno prima in cui aveva praticamente digiunato. Semplicemente, non gli veniva fame.
I suoi occhi erano circondati da occhiaie e la sua pelle era tirata, tesa. Aveva un aspetto orribile. E sicuramente tutti quei pensieri dovevano essere frutto della sua malnutrizione e della sua insonnia, altrimenti non sapeva proprio come spiegarseli.
Quei pensieri non potevano essere reali. Non poteva davvero pensare certe cose su Magnus. Era sbagliato.  
E di certo non perché fosse un ragazzo.
Era sbagliato perché lui era crudele, spregevole, un essere che l’aveva strappato via dalla sua vita.
Respirò a fondo, perché all’improvviso l’aria sembrava pesante. Doveva calmarsi. Tutto sarebbe andato bene. Tutto si sarebbe sistemato, a tempo debito. Con quel mantra in testa, Alec uscì dal bagno con l’asciugamano avvolto in vita, per dirigersi verso l’armadio. Avrebbe cercato un altro maglione, qualcosa che lo facesse stare comodo, ma…
“Beh, ma buongiorno…”
…la voce lasciva e decisamente allusiva di Magnus lo fece sussultare sul posto. Alec si pietrificò a metà strada tra il bagno e l’armadio. Lo Stregone se ne stava seduto su quello che era diventato il letto di Alec e lo stava guardando come si potrebbe guardare un dolce. Cosa che fece sentire Alec profondamente in imbarazzo. Se avesse potuto si sarebbe sotterrato.
“A quanto pare avevo ragione…” indicò con un indice anellato l’intera figura di Alec, “Sotto quegli abiti noiosi c’è davvero qualcosa di interessante. Anche se la realtà è decisamente migliore di quello che avevo immaginato.” Magnus parlava quasi come se le sue parole non avessero un effetto devastante su Alec e continuava a guardarlo come se i suoi occhi non facessero sentire in imbarazzo il Nephilim.
Lo Stregone guardò ogni piccolo dettaglio, dalle rune, alle cicatrici; dalla peluria che ricopriva il suo petto definito, fino agli addominali.
E Alec, sotto quello sguardo così intenso, si coprì istintivamente con le braccia.
“Esci.”
“No. È casa mia, ho tutto il diritto di stare qui.”
“Ma non hai diritti su di me. Quindi esci e smetti di guardarmi così.”
Magnus non si mosse e piazzò i suoi occhi su quelli di Alec con aria di sfida. “Così, come?”
Alec sostenne il suo sguardo e lo fulminò. “Lo sai come.”
“Come se fossi desiderabile? O bellissimo? Te l’hanno mai detto? Ti hanno mai guardato come se ti volessero avere ad ogni costo?”
Alec avvampò e deglutì. La voce di Magnus gli risuonò calda e ipnotica nelle orecchie. I pensieri che aveva avuto poco prima intasarono di nuovo il suo cervello in un modo invasivo e prepotente – e il Nephilim non poté fare nulla per impedirlo. Ne fu assalito. E percepì di nuovo il suo cuore accelerare e i palmi delle sue mani sudare. Sentì le sue difese crollare, quasi come se le mura costruire intorno al suo cuore diventassero argilla nelle mani di Magnus, che improvvisamente era in grado di modellarle o distruggerle a proprio piacimento.
E proprio perché aveva la capacità di disintegrarle, Alec rispose con una sincerità che aveva sempre e solo riservato ai suoi fratelli e mai agli estranei.
“No.” Sussurrò, rispondendo alle sue domande. Avrebbe voluto gridargli addosso, intimargli di farsi gli affari suoi, di smetterla di giocare in quel modo con lui, ma non ci riuscì. Dalla sua bocca non uscì più un suono e Alec non sapeva spiegarsi il motivo di quella sua reazione. Era come se quella semplice, sincera, risposta, l’avesse prosciugato di tutte le sue energie.
Osservò Magnus alzarsi dal letto e avvicinarsi a lui. Alec non riuscì a muoversi e rimase pietrificato sul posto fino a quando Magnus non fu così vicino che dovette alzare lo sguardo per riuscire a guardare il Nephilim negli occhi.
“Inizio a pensare che tu abbia solo frequentato degli idioti, in vita tua. Dei bigotti con il paraocchi che hanno perso l’occasione di avere tutto questo.” Magnus non lasciò mai i suoi occhi, mentre parlava. Alzò una mano e Alec pensò che l’avrebbe accarezzato. Quel pensiero lo fece fremere ed irrigidire allo stesso tempo, come se provocasse in lui sentimenti contrastanti.
Come se avesse allo stesso tempo voluto e non voluto che Magnus sfiorasse la sua pelle umida e nuda.
Ma Magnus non lo toccò. Non lo sfiorò nemmeno. Alec avvertì solo il calore della sua magia addosso e si rese conto che lo stava solamente riscaldando e asciugando. E quando si chiese il perché, si rese anche conto che la sua pelle era coperta di brividi. Non sapeva se fossero di freddo o dettati dalla vicinanza di Magnus, ma evidentemente lo Stregone doveva aver pensato che fosse infreddolito e aveva risolto il problema.
Ancora una volta, si era preso cura di lui.
C’è dell’altro, in quest’uomo, gli suggerì una voce timida che partiva dal suo cuore.
“Vestiti e poi vieni giù. Devi mangiare. Facciamo colazione con quello che vuoi.”
Magnus non gli lasciò il tempo di rispondere. Si voltò e uscì dalla stanza, lasciando dietro di sé una scia profumata, che solo in un secondo momento Alec riconobbe anche sulla propria pelle.


Alec era scosso.
Il comportamento di Magnus lo destabilizzava e ancora di più lo destabilizzava il proprio cuore, che reagiva a quelle strane attenzioni svegliandosi dal suo torpore e comportandosi non più solo come un organo involontario. I suoi battiti, infatti, erano aumentati ferocemente, quando Magnus gli era stato così vicino, e Alec era riuscito a percepire il proprio cuore in ogni parte di sé: dentro alle orecchie, poi fermo in gola, e infine nel petto, dove aveva continuato una corsa frenetica e inarrestabile – un tamburo da guerra indomabile che aveva persino aumentato il suo respiro. Il suo cuore e il suo corpo, reagivano istintivamente alla vicinanza di quell’uomo, senza che Alec avesse il minimo controllo su di loro.
Erano loro a controllare lui.
Ma perché?
Perché il suo cuore si comportava in quel modo? Perché reagiva a quell’uomo, per il quale invece, avrebbe dovuto provare indifferenza – o, al massimo, avversione?
Perché era così che doveva andare, giusto? Se davvero era destinato a provare qualcosa, se davvero l’indifferenza era destinata a stare fuori da questa assurda equazione, il sentimento in questione non avrebbe dovuto essere la totale avversione?
Avrebbe dovuto essere così.
Il suo cuore, tuttavia, non la pensava nello stesso modo. A quanto pareva, il suo cuore trovava giusto reagire alla vicinanza di quell’uomo, trovava opportuno ritenerlo bellissimo.
Il suo cuore era un gigantesco stupido, per questo non lo ascoltava mai. Per questo Alec lo zittì. Non avrebbe permesso alle sue emozioni di prendere il sopravvento – anche se, quando c’era di mezzo Magnus, sembrava che fossero l’unica cosa di cui era fatto Alec. Davanti a lui, il Nephilim si trasformava in un ammasso caotico di emozioni, spesso contrastanti tra loro, ma tutte ugualmente forti.
Emozioni che non sapeva gestire e che prendevano il controllo.
Lasciale fare – suggerì la voce timida che abitava il suo cuore.
NO! Non l’avrebbe ascoltata, quella voce, perché Alec aveva appena deciso di zittire il suo cuore stupido e ingenuo.
Si infilò le mani nei capelli e le lasciò lì per qualche istante con l’intenzione di calmarsi. Poi infilò dei vestiti a caso – jeans e maglione – e uscì da quella stanza diretto al piano di sotto.
Avrebbe fatto colazione con lui, ma si sarebbe impegnato a soffocare qualsiasi emozione. E magari avrebbe persino ricominciato a stare in silenzio, per evitare che qualsiasi interazione potesse provocare anche il minimo effetto su di lui.



“Ce ne hai messo di tempo.” Commentò Magnus, seduto al tavolo della cucina, quando Alec lo raggiunse. Cercò di ricordarsi il suo intento, ciò che aveva deciso di fare prima di scendere. Il silenzio, tuttavia, in quel momento non sembrava una soluzione conveniente. Decise che avrebbe mantenuto la conversazione su un piano del tutto formale, come se davanti a lui ci fosse un qualsiasi estraneo.
Perché in effetti è così. Lo conosci da solo sei giorni e guarda dove sei finito.
Giusto, poteva essere una corretta osservazione.
Alec sarebbe stato educato, niente di più.
“Scusa.” Disse solamente, perché non sapeva esattamente come rispondere. Non poteva dirgli che in realtà aveva impiegato tre secondi a vestirsi, e che il tempo che aveva passato in camera sua l’aveva usato solo per rimuginare sui suoi pensieri improvvisamente estremamente rumorosi e impossibili da chetare.
“Siediti,” Iniziò Magnus, indicando una sedia di fronte a sé. Alec fece come gli veniva detto. “Cosa vuoi mangiare?”
“Pancake, per favore.”
Educazione. Nient’altro.
Magnus non commentò la sua scelta, semplicemente mosse le mani e fece comparire sul tavolo una quantità esagerata di pancake.
Alec osservò la pila che stava davanti a sé e alzò un sopracciglio con fare dubbioso, ma prima ancora che potesse dire qualcosa, Magnus parlò.
“Devi mangiare. Non stai mangiando abbastanza.”
“Forse perché essere stato rapito mi stressa. E lo stress mi chiude lo stomaco.”
Alla faccia del rimanere solo educato. Dannazione, Alec! Che ti prende? Ancora le sue emozioni. Non riusciva a controllarne nessuna, nemmeno la rabbia. E di solito ci riusciva egregiamente.
Lo sguardo di Magnus si indurì. “Puoi, solo per una volta, provare a non essere così ostinato? Sto cercando di…” Magnus guardò altrove, mordendosi l’interno della guancia. Quasi come se non fosse sicuro di voler continuare quella frase, ma Alec era curioso, troppo curioso per lasciar correre.
“Di fare cosa, Magnus?”
Lo Stregone portò di nuovo il suo sguardo su Alec. “Di farti sentire a casa.”
“Non mi sentirò mai a casa. A casa ci sono i miei fratelli, i miei genitori, c’è il mio arco, e i miei libri. Qui non ho niente. E mi hai proibito di andare in biblioteca, l’unico posto dove potrei fare qualcosa di normale che facevo anche a casa.”
Magnus provò una sensazione strana. Proprio estranea a se stesso. Anzi che provare il desiderio di zittirgli quella bocca insolente gridandogli contro, o rispedirlo nella sua stanza dove almeno sarebbe stato in silenzio, sentì la necessità di… accontentarlo.
Era un sentimento assurdo, che lo spaventava anche un po’ – perché poteva essere la conferma di quelle implicazioni che si erano formate in un angolino del suo cervello e che lui, ancora, si stava impegnando ad ignorare. Quelle sarebbero state davvero troppo da gestire al momento.
Ed era già destabilizzante dover avere a che fare con questo lato empatico di sé stesso. Non aveva mai provato empatia per nessuno.
“Darti un arco è escluso. Ho visto come tiri. Potresti usarlo contro di me, magari mentre dormo, o mentre sono distratto. Ma… revoco il divieto di andare in biblioteca. Puoi andarci quando vuoi e leggere i libri che preferisci. Puoi persino portarci Presidente, che a quanto pare ha un debole per te. Tra scorbutici, evidentemente, vi capite.”
“Non sono scorbutico!” Si mise sulla difensiva Alec.
“Lo sei, invece.” Tagliò corto Magnus. “Allora, può andare?”
Alec guardò perplesso lo Stregone di fronte a sé, non sapendo bene che significato dare a quel cambiamento.
“Può andare,” concordò, “Grazie.”
Magnus gli rivolse un cenno del capo. Poi agitò di nuovo le mani e fece comparire una brocca con del succo d’arancia e due bicchieri.
“Adesso mangia.” Ordinò. E Alec obbedì.




I pancake erano buonissimi. E Alec riuscì a mangiare decentemente dopo giorni passati a piluccare del cibo o a digiunare. Magnus lo guardava con un sorriso sulle labbra e Alec, con la bocca piena, se ne accorse.
“Che hai da ridere?” gli domandò, dopo aver ingoiato il suo boccone.
“Non sto ridendo, sto sorridendo, Alexander. C’è differenza.”
“Non vedo differenza se il tuo intento è schernirmi. E io mi chiamo Alec.”
“Non voglio in alcun modo schernirti. Trovo carino il tuo modo di mangiare, tutto qui. E il tuo nome è Alexander. È così bello, non vedo perché devi accorciarlo.”
Alec arrossì. “Io mangio in modo normale,” borbottò, “E non lo so perché, in realtà mi chiamano tutti così da tanto tempo. Mi piace Alec come suona. Alexander sembra troppo formale.”
“Io trovo sia un nome elegante, capace di trasmettere una certa forza. Secondo me ti si addice molto.”
Il Nephilim avvampò di nuovo. Non li sapeva gestire i complimenti, o qualsiasi cosa fossero. “Non mi hai ancora detto come fai a saperlo, comunque.”
“E nemmeno te lo dirò, zucchero.”
Alec gli riservò un’occhiata severa, a causa di quel nomignolo. “Ho il diritto di saperlo.”
Magnus agitò con un movimento circolatorio il proprio bicchiere, guardando il succo d’arancia che vorticava per qualche istante, prima di prenderne un sorso.
“Magari te lo dirò a tempo debito. Ora, cambiamo argomento, per cortesia.”
“Il tuo per cortesia è il meno sincero che abbia mai sentito. In realtà mi stai imponendo di cambiare argomento, celando il tuo essere despota con finta educazione.”
“Quanto sei pungente, dolcezza.” Commentò Magnus, stranamente per nulla indispettito da quella reazione. Quasi come se si aspettasse che Alec parlasse in quel modo. “E non sono un despota.”
“Lo sei, invece.” Tagliò corto Alec, proprio come Magnus aveva fatto poco prima con lui, definendolo scorbutico. “E di cosa gradirebbe parlare, Sua Altezza Reale?”
Magnus si appoggiò allo schienale della sedia e studiò il viso del ragazzo. Si prese del tempo per guardare la sua bellezza, per cogliere i suoi dettagli. Notò una cicatrice sul sopracciglio sinistro.
“Come te la sei fatta?” gli chiese, indicando il punto in questione.
“Vuoi davvero parlare di me?”
“Perché no? Magari scopro che sei una persona interessante e non solo un Nephilim scorbutico.”
Alec alzò gli occhi al cielo, ma non rispose a quella provocazione. “Me l’ha fatta mia sorella. Non di proposito, ovviamente.”
“Sai, di solito, questo è il momento della conversazione dove spieghi com’è andata.” Lo spronò a continuare Magnus. Alec reagì a quel tono sarcastico assottigliando gli occhi. Magnus era strano. Era capace di essere crudele e pungente, ma nei suoi strani modi di fare si percepiva un certo interesse. E Alec non capiva davvero il motivo dietro al fatto che fosse interessato a lui.
Sbuffò. “Eravamo bambini. Lei stava imparando ad usare la frusta, io mi sono trovato involontariamente tra lei e il suo obiettivo e ha preso me invece dell’oggetto che doveva afferrare. Non mi ricordo nemmeno cos’era, mi ricordo solo che ho sentito un dolore improvviso e lei che si era messa ad urlare, terrorizzata di avermi cavato un occhio.”
“Ti è andata bene.”
“Direi di sì.”
“Parlami di lei.”
Alec si mise immediatamente sulla difensiva. Aveva timore che una richiesta simile avesse delle implicazioni, tipo voler portare anche Isabelle ad Edom. Non l’avrebbe mai permesso. “Perché?”
Magnus si accorse del suo cambiamento. “Rilassati. Sono solo curioso.”
Ma Alec non gli credeva.
“Alexander. Non farò del male a tua sorella. Puoi credermi.”
“E allora perché vuoi che ti parli di lei? Hai detto che le famiglie sono una maledizione, quindi non sei proprio un fan dei rapporti umani.”
“Non sono un fan di moltissime cose, questo non significa che desideri distruggerle.”
“Dimmene una.” Si affrettò a chiedere Alec, per cambiare argomento e distogliere l’attenzione da Isabelle.
Magnus aveva capito il suo giochetto, ma decise di accontentarlo. Per qualche strano, e anche un po’ spaventoso, motivo provò il desiderio di conquistare la fiducia di Alec. E non l’avrebbe mai fatto, se non si fosse mai esposto e avesse continuato, invece, a voler che fosse l’altro ad esporsi.
“Odio i jeans scoloriti. Sono orribili. Avrei persino il potere di cancellarli dalla faccia della Terra, ma non lo faccio.”
“Quanto sei magnanimo,” commentò Alec, con sarcasmo.
Magnus lo ignorò. “Ti basta come prova della mia tolleranza?”
“Ovviamente no! Non puoi paragonare la sicurezza di mia sorella a degli stupidi jeans!”
Magnus sospirò. Alec era così cocciuto e ostinato che andava a minare la sua già poca pazienza. “D’accordo. Eviteremo il discorso sorella. Quanto sei difficile!”
“A quanto pare ho un sacco di difetti. Sono scorbutico, difficile… c’è qualcos’altro?”
“Sì, in realtà. Sei cocciuto, ostinato e insolente.”
“Oh, come se tu invece fossi una persona piacevole! Sei arrogante e sfacciato, per non parlare di quanto tu sia dispotico e megalomane!”
“Megalomane?”
“Sì, e se non te ne accorgi significa anche che sei ottuso!”
“Ottuso! Senti da che pulpito. Hanno inventato quella parola per descrivere la tua gente, in pratica!”
“Io non sono la mia gente. Non siamo tutti uguali sai? Ma immagino che per te sia più facile metterci tutti dentro ad una categoria, così almeno puoi odiarci tutti indistintamente.”
Alec era furioso. Sentiva il cuore martellargli con ferocia nel petto, mentre il respiro accelerava. Improvvisamente gli venne difficile anche solo stare seduto e, diamine, avrebbe pagato il suo peso in oro per avere un arco a disposizione e andare a sfogare la sua rabbia da qualche parte, colpendo più oggetti possibili. Il suo piano di mantenere la calma era andato in frantumi. Tutto il suo corpo era in preda alle emozioni e lui si sentiva improvvisamente schiacciato da esse. Non sarebbe riuscito a resistere un attimo di più. Si alzò, finalmente, dalla sua sedia e si voltò per andarsene.
“Oh, no!” Esclamò Magnus, seguendolo. “Non te ne andrai di nuovo!”  Con un gesto della mano creò una barriera magica al posto della porta. Alec si fermò giusto in tempo, un secondo prima di rischiare di andarci a sbattere con il naso.
Si voltò verso Magnus, arrabbiato. “Lasciami uscire di qui!”
“No. Non puoi andartene ogni volta! E non provare a toccare di nuovo quel ciondolo, o giuro che questa volta ti lascio soffocare!”
Alec deglutì, cercando di buttare giù tutta la rabbia che gli si era bloccata in gola, come un sasso ricoperto di spine. “Cosa vuoi da me, Magnus?”
Le parole uscirono dalla bocca di Magnus ancora prima che lui potesse controllarle. “Non lo so. L’unica cosa che so è che voglio che tu ti senta a tuo agio, qui e con me.”
“È assurdo.”
“Credi che non lo sappia? Lo provo e basta. E devi smetterla di fuggire via da me ogni volta che litighiamo.”
“Allora smettila di essere così irritante. Prova ad essere meno demone e più umano.”
“E se quella ad essere irritante fosse la mia parte umana?”
“La tua parte umana è quella che mi ha salvato due volte. È quella che si è assicurata che mangiassi. Forse, in profondità, sei diverso da quello che credi.”
“Tu non sai di cosa stai parlando.” Magnus fece cadere la barriera magica. “Esci, Shadowhunter. Va’ dove ti pare. Ma lasciami solo, per favore.”
Alec avrebbe voluto dirgli che non poteva comportarsi così, non poteva gridargli di non andarsene e poi comportarsi come se gli desse fastidio. Ma non lo fece. Perché notò qualcosa nello sguardo luccicante di Magnus, un lampo di… sofferenza, che lo spinse ad accontentarlo. Uscì da quella stanza in silenzio e Magnus lo osservò andare via.
Non poteva dirgli come stavano davvero le cose.
Non poteva dirgli ciò che aveva capito nel momento esatto in cui aveva visto Dennis fargli del male e aveva provato il desiderio di proteggerlo. Non poteva dirgli che aveva un effetto devastante su di lui, sulle sue emozioni, o che avesse risvegliato una parte di sé che pensava non esistesse più.
Magnus aveva allontanato certi pensieri fin da subito, negandoli, relegandoli nella parte più remota del suo cervello. Aveva messo le briglie a quei pensieri che lo terrorizzavano, ma poi era comparsa Vocetta e lei aveva parlato poco, ma gli aveva fatto notare cose che già sapeva e che si era impegnato sempre a nascondere. Con Vocetta le briglie non avevano funzionato e aveva dato voce a quella consapevolezza che gli faceva paura.
Lui era diverso, diceva sempre Vocetta.
E Magnus sapeva che era vero.
Alec era diverso da tutti gli altri perché aveva qualcosa nel suo cuore. Una cosa che Magnus non aveva mai avuto.
La sua umanità.
Alexander Lightwood era venuto al mondo ignaro del fatto che dentro al suo cuore era contenuta l’umanità di Magnus Bane.
E adesso, lo Stregone non poteva più fare finta di non saperlo.




C’era una leggenda, tra i demoni superiori.
Per almeno uno di loro, nasce sempre un essere umano mortale che porti con sé la loro umanità.
Si da per scontato che dal momento in cui si nasce ad Edom, l’unica cosa di cui siano fatti i demoni sia, appunto, icore e malvagità. I demoni, in particolare quelli superiori, non sono capaci di provare emozione alcuna, nessun tipo di affetto, nessuna empatia; non sono capaci di un gesto gentile, o premuroso. Perché, per essere in grado di provare emozioni simili, bisogna innanzitutto provare emozioni.
E i demoni non le provano.
I demoni non hanno un cuore capace di renderli più buoni.
E per bilanciare questo equilibrio squilibrato, il Fato ha ben pensato che debba nascere un essere umano in grado di rendere i demoni più umani a loro volta, una persona in grado di completare il lato emotivo della creatura, quasi come il pezzo mancante di un puzzle.
Alcuni lo trovano, altri passano secoli a cercarlo, altri sono ben felici di non trovarlo mai.
Magnus aveva sempre pensato fosse una sciocca leggenda, qualcosa inventata dalle altre razze per non far apparire i demoni così mostruosi, qualcosa che servisse a dare speranza in una possibile redenzione.
Non pensava che questa cosa valesse anche per lui, però. Dopotutto, prima di essere un demone superiore, era uno Stregone. Lui era un mezzo sangue, di conseguenza avrebbe già dovuto avere una parte umana.
Non se hai lasciato che quella demoniaca la divorasse. Forse lui è qui solo per risvegliarla.
Ancora Vocetta… Magnus non riusciva più a zittirla, ormai non ci provava più nemmeno. Se avesse avuto ragione, il Destino gli aveva tirato un grosso tiro mancino.
Gli aveva fatto incontrare Maryse, che gli aveva chiesto di avere un figlio, lui l’aveva resa capace di ciò e vent’anni dopo, lui si era ritrovato ad avere a che fare con il suddetto primogenito, che si era anche rivelato il custode della sua umanità.
In pratica, Magnus si era fregato con le sue stesse mani.
Se avesse mandato Maryse al diavolo, quel giorno, Alec non sarebbe mai nato e adesso… adesso non esisterebbe un essere umano in grado di avere un qualche potere sul grande Magnus Bane.
Era lui quello che controllava gli altri, di solito.
Era spaventoso sapere che al mondo esistesse una persona in grado di poterlo manipolare, volente o nolente.
Alec non si era ancora reso conto del potere che poteva avere su Magnus, ma se un giorno l’avesse fatto? Quali sarebbero state le conseguenze di questa sua scoperta? Avrebbe usato questa possibilità a suo vantaggio?
Magnus non lo sapeva. Sapeva solo che era spaventato e odiava quella sensazione. Lui non aveva mai paura di niente.
Un miagolio lo distolse dai suoi pensieri. Magnus era ancora seduto in cucina e Presidente si stava strusciando alle sue caviglie. Lo Stregone si chinò per prenderlo in braccio e il gatto si sistemò sul suo grembo.
“Cosa devo fare con lui, mh? Sembra che a te piaccia tanto. Sapevi già chi era, non è vero? Certo che lo sapevi, tu sai sempre tutto…”
Il gatto miagolò, come a dare conferma a quelle parole. Strusciò la testa contro il petto di Magnus.
“Sei un gatto scorbutico, ti avvicini solo a me. E a lui. L’hai percepita, non è vero? Quella parte di me che abita dentro al suo cuore. Per questo ti piace tanto.”
Un altro miagolio.
Magnus lo prese come un’altra conferma. Affondò una mano nel pelo del gatto, riservandogli una carezza tranquilla, mentre con l’altra si massaggiò le tempie.
Doveva fare qualcosa.
Uccidilo, e risolvi ogni tuo problema.
Cerca di conoscerlo, e capisci che persona è. Magari non vuole farti del male.
È una cosa stupida! Perché rischiare? Attacchiamo per primi e togliamoci il pensiero!
NO!

Magnus sentiva le sue coscienze sovrapporsi una all’altra. Era così confuso e frustrato, ma di una cosa era certo… l’idea di far del male ad Alec diventava sempre più impensabile, per lui.
Era una cosa così estranea a se stesso, il desiderio di proteggere qualcuno che non fosse lui stesso.
Desiderava che Alec fosse al sicuro. Desiderava che Alec fosse felice. E per quanto potesse suonare assurdo, era quello che voleva.
Avrebbe dato retta a Vocetta. Avrebbe cercato di conoscerlo, di capire che persona fosse. E poi magari gli avrebbe persino detto la verità, se Alec si dimostrava degno di fiducia.
E se invece non si dimostrasse degno di fiducia?
Magnus ignorò quella domanda. Perché la risposta che avrebbe dovuto dare non gli piaceva.



Magnus uscì dalla cucina, con Presidente appresso, e si mise a cercare Alec. Aveva la sensazione che non l’avrebbe trovato in camera sua, ora che gli aveva dato il permesso di muoversi liberamente nel castello, quindi decise di dirigersi in biblioteca, l’unica altra stanza che Alec conosceva.
Lo trovò dove si aspettava. L’ultima volta che l’aveva visto in quella stanza, l’aveva trovato sulla sua poltrona. Adesso, il Cacciatore se ne stava seduto a terra, davanti al camino spento, con le gambe incrociate e lo sguardo basso su un libro. Non si era accorto del suo ingresso, troppo concentrato sulla sua lettura, e Magnus per un attimo si domandò cosa stesse leggendo, cosa attirasse così tanto la sua attenzione.
Lo Stregone rimase in silenzio ancora qualche istante, guardando il giovane di fronte a sé. Tolto ogni pregiudizio che potevano avere l’uno nei confronti dell’altro, dettato da anni di guerre tra le loro specie, Magnus riusciva chiaramente a vedere un ragazzo.
Era così giovane, e così indubbiamente bello che il suo cuore reagì a quel pensiero ancora prima che lui se ne rese conto. Lo sentì… sfarfallare. Il suo cuore non aveva una reazione simile da…sempre.
Nessuno aveva mai avuto nessun tipo di effetto sul suo cuore immortale, nessuno era mai stato in grado di suscitargli emozione alcuna.
E adesso… ad Alec era bastato starsene seduto a leggere un libro, con i suoi vestiti neri addosso – di tutti quelli che Magnus gli aveva messo a disposizione, lui aveva scelto, e sempre sceglieva, quelli meno elaborati – i suoi capelli scuri e scompigliati di fronte agli occhi. Due occhi bellissimi, che erano stati il primo campanello di allarme, per Magnus.
Gli occhi di Alexander, di quel colore così particolare, un misto di verde e nocciola, erano stati i primi a fargli venire i dubbi – per il semplice fatto che erano stati i primi a suscitargli un qualche effetto. Alec lo guardava e lui sentiva dentro di sé un tremito indefinito. Non sapeva ancora che significato dargli, ma sapeva che era un’emozione già troppo forte, dal momento che gli era suscitata da qualcuno che conosceva da soli sei giorni.
Magnus guardò Alec girare pagina, e l’avrebbe osservato in silenzio ancora per qualche istante, se Presidente non avesse trottato fino a lui per sistemarsi quasi con prepotenza sulle sue gambe. Il suo gatto non sapeva accettare un no come risposta, quindi non lasciò molta scelta ad Alec, se non quella di lasciarlo accomodarsi su di lui.
“Ehi, hai di nuovo aperto la porta?” domandò, accarezzando la schiena dell’animale. Magnus capì che non si aspettava che il gatto non fosse solo, quindi si schiarì la gola, attirando la sua attenzione.
Alec alzò il viso da Presidente e portò la sua attenzione su di lui. “Oh, ciao. Non sapevo ci fossi anche tu. Non ti ho sentito.”
“Ho fatto piano. Non volevo disturbarti, sembravi molto preso.”
Alec annuì e sollevò il libro per fare in modo che Magnus leggesse il titolo. Uno studio in rosso di Arthur Conan Doyle. “Mi incuriosisce molto.” Alec fece una pausa. Era chiaramente teso, e si vedeva che non sapeva cosa dire, visto come si erano lasciati l’ultima volta. Ma decise comunque di provare a fare conversazione. Non sapeva perché, ma la rabbia per Magnus, dopo aver visto la sofferenza solcargli gli occhi brillanti, era svanita. Adesso per lui provava… compassione. Continuava a chiedersi quale fosse la causa della sua sofferenza. Continuava a pensare al fatto che se un demone superiore riusciva a soffrire, allora forse, limitarsi a guardare solo la sua natura demoniaca potesse essere sbagliato. E se ci fosse stato altro, in lui?
E perché, improvvisamente, Alec sentiva la necessità di scoprirlo?
“Chiuso nella mia stanza, ho letto Il ritratto di Dorian Grey due volte, in questi giorni. Volevo cambiare genere.” Sussurrò, cercando di risultare il più normale possibile. Non voleva che il suo sbilenco tentativo di fare conversazione sembrasse un’accusa mal velata.
Magnus abbozzò un sorriso e si sedette al suo fianco, sul pavimento. Con un gesto della mano accese il fuoco nel camino e Alec fu immediatamente avvolto nel calore confortante emanato dalle fiamme.
“A che punto sei arrivato?” Gli domandò Magnus, sporgendosi verso il libro. Alec lo chiuse, tenendo un dito in mezzo alle pagine per tenere il segno, e si strinse il libro al petto.
“Non sbirciare. Prova ad indovinare.”
Magnus lo guardò con un sopracciglio alzato. A dire la verità, era andato lì per scusarsi, per provare a spiegarsi, per cercare di iniziare a conoscerlo e capire che persona fosse per provare ad intuire le sue intenzioni, o capire se poteva fidarsi di lui. Ma adesso… adesso sembrava così naturale assecondare il suo gioco, quasi come se le scuse non servissero, quasi come se Alec avesse capito già da solo il motivo per cui Magnus era tornato da lui.
Pensò che forse era meglio così, visto che le volte che avevano provato a legare, sentendosi in qualche modo costretti dal fatto che dovessero farlo, li aveva portati solo a discutere e litigare.
Forse era meglio ricominciare in questo modo informale e puerile. Forse era meglio non pianificare un modo per conoscersi e lasciare che tutto scorresse in modo naturale.
“Non saprei…”
“L’hai letto, giusto?”
“Dolcezza, io ho conosciuto Arthur. Vuoi che non abbia letto i suoi libri?”
Alec si morse la lingua per non lasciare libero sfogo alla sua curiosità. Avrebbe voluto chiedergli un sacco di cose: com’era stato Doyle, cosa si provasse a camminare nelle epoche, cosa si prova a sapere di poter vivere per sempre. Ma decise di non spingersi in quel territorio, timoroso di risultare invadente, o di far chiudere Magnus di nuovo a riccio.
Ed era ridicolo che proprio lui accusasse un’altra persona di chiudersi a riccio, dal momento che era sempre lui il primo a farlo. Eppure… in mezzo a tutte le sue emozioni contrastanti, in quel momento quella che riusciva a percepire più chiaramente delle altre era il desiderio di non far allontanare Magnus.
Era assurdo, proprio come aveva detto poco prima allo Stregone quando gli aveva detto che voleva che lui fosse felice, lì, con lui. Eppure era così.
Non riusciva a controllare le sue emozioni e francamente era stanco di analizzarle di continuo.
“Allora se, come dici, l’hai letto, sai cosa succede. Prova ad indovinare.”
Magnus ci pensò su. Pensò alla trama del libro e notò che il segno che stava tenendo Alec non era troppo in avanti nel libro, quindi forse…
“Alla parte dove stillano i rispettivi difetti?” Magnus non riuscì a trattenere un sorriso. L’ironia della cosa era troppa, per non suscitargli una reazione simile.
“Sì,” Alec sorrise a sua volta, “È strano, vero?”
“Un po’. Hai scelto un libro dove due persone elencano i rispettivi difetti, proprio dopo che l’abbiamo fatto anche noi. E a tal proposito…”
“Va tutto bene,” lo interruppe Alec, “Entrambi abbiamo detto qualcosa. Non serve che ti scusi.”
“E chi ti dice che sono venuto per scusarmi e non per ricevere delle scuse?”
Alec lo guardò di traverso. “La tua espressione, Magnus.” Affermò, deciso. “Scuse accettate, comunque. Spero tu possa accettare le mie.”
Magnus annuì. “Certo. Dovrei essere un po’ più comprensivo con te.”
“Sì, dovresti. Decisamente.”
Si guardarono, in silenzio. Nell’aria aleggiò qualcosa per qualche istante, qualcosa che nessuno dei due riuscì a identificare. Ebbero comunque la sensazione di aver appena stabilito una tregua. E per adesso andava bene così. Ad entrambi.
Magnus si sporse verso il Cacciatore per agguantare il suo gatto, ma Presidente gli soffiò contro e si sistemò di nuovo su Alec, tornando a sonnecchiare. “Traditore,” sibilò al felino, facendo ridacchiare Alec.
Magnus lo guardò. Ebbe l’impressione che Alec non ridesse tanto, ed era un vero peccato, perché il suo viso si illuminava, rendendolo ancora più bello.
“Leggi per me, Alexander. Ti va?”
Alec annuì e cominciò a leggere.
Per quanto assurdo fosse, Alec si dimenticò del suo piano iniziale di cercare una via di fuga, e Magnus si dimenticò di tutte le sue preoccupazioni.
Per quanto assurdo fosse, in quella biblioteca, esisterono solo Alec e Magnus, come se fossero due normalissimi e comuni esseri umani.




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Ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo. Ho cercato di sviluppare il loro avvicinamento, ma non so se ci sono riuscita come avrei voluto. Volevo che la cosa fosse graduale, e spero che risulti almeno un pochino credibile.
Ad ogni modo… si sono avvicinati! E Magnus ha ammesso almeno a se stesso il motivo per cui si sente spinto verso Alec. Lui è la sua umanità. E quando ho pensato a questa storia, ho pensato in automatico al fatto che Alec potesse rendere Magnus-demone più vicino al Magnus che tutti conosciamo. Non so se come idea alla fine faccia schifo, non so nemmeno se per ora è stata sviluppata in modo decente. Ho un sacco di dubbi!
Ad ogni modo, non so quanti capitoli verranno ancora fuori. Tecnicamente ne avevo pensati sei, ma non so se uno mi basterà a sviluppare il loro rapporto. Forse ce ne saranno altri due.
Non lo so, abbiate pazienza con una persona disordinata come me, vi prego! XD
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate di questo capitolo, se vi va ovviamente! Io intanto vi saluto e ringrazio immensamente chiunque legga, recensisca o abbia messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate. Lo apprezzo moltissimissimo *v*
Un abbraccio, alla prossima! <3
 
   
 
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