Una mano, leggera, si appoggiò sulla spalla di Claudio, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Il giovane, d’istinto, si girò e i suoi occhi d’ardesia si fissarono nelle iridi di carbone, dal taglio rotondo, di un giovane uomo alto e robusto, il volto circondato da una criniera di ricci castani, che, umidi di pioggia, si abbandonavano sul suo collo taurino. Diversi tagli si aprivano sul suo volto, macchiandolo di sangue e la sua divisa, strappata, era rossa di sangue sulla spalla. – Gabriele… – sussurrò Claudio, il tono vibrante di commozione. Il suo caro amico, figlio della splendida città di Napoli, era sopravvissuto a quella battaglia, che aveva richiesto le vite di tanti loro compagni… Gli prese le mani e gliele strinse. Poteva sentire il calore delle sue grandi mani contro le proprie. Non era un sogno, ma una luminosa realtà, in quell’incubo insanguinato. La sua mente, in quel momento, era inondata dai ricordi dolci e amari della loro comune infanzia… Forse, era rimasto un frammento dei suoi sogni. L’altro esorcista, silenzioso, allargò le braccia e lo strinse contro di sé. – Ce l’hai fatta… – mormorò Gabriele, la voce lenta e calma. Durante la battaglia, erano stati separati e, nel corso dei suoi combattimenti, aveva temuto per la vita del suo sagace amico piemontese. Grazie alla sua fedele amicizia, era riuscito a superare i momenti più duri del suo addestramento. Quando erano bambini, si erano ripromessi di combattere sempre insieme, ma, nel corso di quella battaglia, avevano scoperto la dissonanza tra le loro aspirazioni e la crudele realtà. Quale orribile scoperta era stata la guerra. E, presto, il suo amico sarebbe stato costretto a sopportare un’ulteriore pena…
Ad un tratto, con un lungo gemito, Gabriele si afflosciò su stesso, come un sacco privo d’aria. Claudio, allarmato, lo strinse con più forza contro di sé, poi si lasciò cadere a terra e, pur con fatica, lo aiutò a sollevare il busto e gli fece appoggiare la testa sulle sue ginocchia. Il suo sguardo, sgomento, indugiò sul corpo dell’amico. Certo, era ferito, ma le sue ferite, per quanto gravi, non parevano mortali… Vedendo l’espressione sgomenta negli occhi dell’amico, l’esorcista napoletano accennò ad un sorriso. – Vorrei poterti seguire, amico mio… Ma la sorte ha preteso altro… – mormorò, il tono dispiaciuto. Certo, entrambi avevano liberato il mondo da una potenziale minaccia, che aleggiava sul mondo, ma tale risultato aveva richiesto uno straziante tributo. Claudio sarebbe rimasto solo e il peso degli Arcieri di Sirio si sarebbe abbattuto sulle sue spalle. L’esorcista piemontese provò a muovere le labbra, ma le parole si persero in un flebile mormorio, e lacrime rigarono le sue guance, portandosi via il sangue. No, amico mio… Non voglio perderti…, pensò il giovane esorcista. La chiarezza della situazione si esplicava nella sua crudeltà… Presto, la solitudine sarebbe stata sua compagna. E lui, in quel momento, desiderava gridare il suo dolore, ma la sua forza si spegneva nella sua gola, come una candela priva di ossigeno. Con uno sforzo supremo, sollevò le braccia, scosse da tremiti. – Claudio… Te ne prego… Dammi la tua mano… – lo supplicò. In quell’estremo momento, desiderava una ulteriore intimità col suo fraterno amico… Serrando a stento i gemiti di dolore, questi allungò il braccio sano e Gabriele sfiorò la sua mano con le proprie dita. Poi, girò un poco la testa e i suoi occhi si specchiarono nelle iridi, lucide di lacrime, dell’altro. – Sei stato per me un fratello… Addio, figlio delle Langhe… – sussurrò. Qualche istante dopo, le sue braccia caddero al suolo, con un sinistro tonfo, e il suo corpo si rilassò nella morte.
Claudio rimase immobile, lo sguardo vitreo. – No… – soffiò, il tono stralunato. In quel momento, avrebbe desiderato precipitare nella silenziosa oscurità della morte, pur di non avvertire nessuna sensazione. Invece, la chiarezza della realtà, come un mostro crudele, urlava la perdita delle sue illusioni e dei suoi sogni. Ormai non poteva più cullarsi in fantasie d’eroismo e di gloria. Quel grido spietato si mescolava con la pioggia novembrina, che, crudele, straziava il suo corpo ferito di brividi di freddo. Aveva creduto di potere mantenere il legame terreno con Gabriele, ma l’imperscrutabile volontà divina aveva preso altre decisioni. Quale disegno era celato dietro simili scelte? Una risata stridula, isterica, folle ad un tratto, risuonò sulle sue labbra e il suo corpo, di scatto, si inarcò all’indietro. Perché perdeva tempo in simili, stupidi quesiti? La realtà, sincera, urlava la sua infinita crudeltà e pretendeva il suo cuore. E, forse, era meglio così. Le emozioni lo condannavano ad un atroce tormento ed era meglio liberarsene... – Sì, Dio… Prenditi le mie illusioni… Fai quello che devi… Affinché io non soffra più! – urlò. Un tuono esplose in una violenta detonazione e le sue parole si persero nella pioggia.