Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: _Zaelit_    04/03/2020    0 recensioni
[What if? in cui tutta la squadra di Bucciarati è sopravvissuta agli eventi di Vento Aureo.]
Irene è una ragazza cresciuta per strada e dal carattere ribelle che conduce una vita monotona e pericolosa. A salvarla dalle sue condizioni è Bruno Bucciarati, ora braccio destro del boss di Passione, Giorno Giovanna. Irene comprende di poter ricominciare daccapo e di poter far parte di una famiglia ma, non appena entra a far parte dell'organizzazione, una nuova minaccia ostacola Passione e i suoi membri. Una nuova organizzazione criminale, infatti, sta muovendo guerra a Giorno e ai suoi sottoposti, i cui fili vengono tirati da una figura misteriosa soprannominata "Arcangelo". Irene comprende di ritrovarsi in una battaglia che la coinvolge in prima persona e dovrà quindi scavare nel suo passato e trovare la forza e il coraggio necessari per impedire la sconfitta di Passione, tutto ciò in compagnia del saggio e protettivo Bruno e dei suoi formidabili compagni: Guido Mista, Narancia Ghirga, Leone Abbacchio e Pannacotta Fugo.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bruno Bucciarati, Giorno Giovanna, Leone Abbacchio, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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[ REMEMBER TOMORROW ]

 

Una sera più tardi dall'incontro tra Irene, Bruno e Giorno, la ragazza si trovava nella sua nuova casa, seduta tranquillamente nel salone al piano terra, accanto alla sala da pranzo, con la televisione accesa che non prendeva bene qualche canale. Poco importava, perché Irene non la stava né ascoltando né guardando: i suoi occhi erano persi al di fuori di una delle finestre luminose, da cui ora filtrava la calda luce del crepuscolo, e sulla strada al di fuori di essa, in quel momento poco affollata. C'erano solo i soliti passanti, abitanti che avevano deciso di fare una passeggiata, turisti oppure fotografi volenterosi di catturare nelle macchine digitali un ritratto della splendida costa dall'altro lato del viale.
Non era triste né pensierosa, nemmeno agitata per lo stato in cui si trovava. Aveva elaborato in fretta l'idea che qualcuno, là fuori, la stesse cercando per far di lei chissà cosa. Non era la prima volta che finiva nei guai e, benché questo fosse un problema ben più grande, non era sola. Stavolta aveva con sé degli alleati. Un gruppo di persone che, con il tempo, sperava di poter chiamare amici. O famiglia. Si sentiva tremendamente bene quando era con loro.
Per cui non stava affatto male, se ne stava lì a guardare un punto indefinito realizzando soltanto di essere calma e in pace con se stessa. Un evento più unico che raro, perciò sperò potesse durare per sempre.
Si distrasse solo quando sentì la porta principale aprirsi. Quel pomeriggio era in casa con Narancia, che da circa un'ora si era praticamente rinchiuso in camera sua ad ascoltare musica con un piccolo stereo e un paio di cuffie. Ogni tanto, dalla porta chiusa, si sentiva arrivare un qualche assolo stonaticcio che cantava in preda all'emozione, per lo più si trattata di parole inglesi a casaccio.
Il rumore della porta presagiva che qualcuno fosse entrato e, considerato che bisognava avere delle chiavi per accedere all'atrio, Irene pensò di alzarsi dalla poltrona dove si era accomodata e, senza spegnere la TV, di andare a dare un'occhiata in tutta cautela.
Bucciarati le aveva spiegato che, quando la gang era occupata in altri affari come ad esempio la riscossione delle tasse di protezione dai cittadini, lei sarebbe rimasta in casa con almeno uno di loro, in questo caso per l'appunto Narancia, ma ora il rumore di passi sembrava appartenere a una singola persona.
Fece capolino dall'angolo del soggiorno e, con un sospiro di sollievo, scoprì che nessun nemico aveva trovato la casa di Bruno, era solo Fugo che faceva ritorno dai suoi impegni.
«Ehylà, Fugo.» salutò allora con più calma, appoggiandosi a uno dei lati di una grande porta scorrevole che garantiva il passaggio dall'atrio al salotto.
Per poco il ragazzo non sobbalzò e le urlò contro. Non l'aveva vista arrivare e dovette respirare a fondo prima di risponderle.
«Dov'è Narancia?» chiese secco.
Neanche un saluto. Non un minimo riguardo.
Irene sollevò un sopracciglio, poco contenta. Si era già fatta una mezza idea di quel Fugo: aveva due anni in meno di lei ma era già un piccolo genio, lo si vedeva semplicemente notando la facilità con la quale offriva sostegno come tutor di studio di Narancia in materie complesse quali l'algebra e la geometria o addirittura la fisica, benché fosse più piccolo d'età. Se non aveva capito male, Mista e Narancia avevano accennato al fatto che avesse anche frequentato l'università ma lei non aveva chiesto dettagli in più. Non si spiegava, quindi, come mai avesse abbandonato gli studi e scelto di entrare a far parte di Passione pur avendo un brillante futuro da intellettuale davanti. Altra cosa che non comprenda, oltre alla sua irrazionale quanto palese poca tolleranza nei confronti delle donne all'interno della squadra se non forse in generale, era ciò che Bucciarati e Giorno avevano accennato durante il loro incontro: Fugo si sentiva in colpa per qualcosa e, a quanto pareva, aveva trascorso un notevole periodo di tempo da solo, voltando le spalle alla loro squadra. Sicuramente era stata una decisione dovuta al conflitto con il precedente Boss, tuttavia avrebbe voluto saperne di più per curiosità. Il problema era che Pannacotta Fugo non le avrebbe mai e poi mai parlato a cuore aperto delle sue vicende passate.
«Al piano di sopra, in camera sua.» rispose con altrettanta impassibilità lei, facendosi da parte.
«Allora vado ad avvisare anche lui.» sospirò Fugo togliendosi le scarpe.
«Avvisare? Di cosa?»
«Giusto... Bucciarati non te lo ha ancora detto. Stasera ha deciso di invitare tutti a casa sua, faremo una cena con la squadra al completo.»
Irene batté le ciglia, confusa.
«Perché, fa il compleanno qualcuno?» domandò indiscreta.
«Al capo non servono inutili pretesti per riunire il gruppo. Ha sempre avuto un dono nel creare legami fra le persone...» riferì l'altro, passandole accanto e perdendosi con lo sguardo nel vuoto per qualche secondo. «Ad ogni modo, dai una sistemata al salone intanto. Alla cena ci penseremo noi due, ho portato qualcosa.»
Fugo fece dondolare una busta che pendeva dal suo braccio. Era senz'altro la spesa. Irene la prese per ordinare gli elementi nel frigo e nel congelatore, notando una significante quantità di lattine di birra all'interno, nonché una di vino.
"Scommetto che questa è per Abbacchio." pensò tra sé e sé la ragazza, ricordando come quell'uomo avesse sempre portato con sé, da quando lo aveva incontrato due giorni prima.
Come aveva fatto quell'uomo a ridursi così? Irene ne era sicura, era lo stesso Abbacchio che l'aveva scortata fuori dalla centrale di polizia tempo prima. Era stato un poliziotto, uno fedele alla sua causa, quindi perché adesso era caduto così in basso?
Quella riflessione la portò ad avere un'idea brillante. Quella sera avrebbe trovato il momento adatto per parlare con lui e avrebbe risolto questo suo dubbio. Sempre che lui avesse collaborato...
Quel pomeriggio trascorse in fretta. Fugo e Narancia prepararono la cena in attesa del rientro degli altri, Irene diede loro una mano e riuscì anche a dare una sistemata alla casa.
Quando voltò le spalle ai fornelli, Narancia afferrò un cucchiaio e in tutta furtività rubò un po' di riso da un piatto che la ragazza aveva preparato, assaggiandolo. Un secondo dopo mandò giù e i suoi occhi brillarono.
«Cavolo! Non sapevo che cucinassi così bene, René!» esclamò massaggiandosi lo stomaco per enfatizzare il concetto.
Irene batté le ciglia. Non riuscì a essere arrabbiata con lui, quindi si soffermò su quel soprannome molto curioso.
«René?» ripeté quasi a voler provare a nominarlo anche lei.
«Ah, scusa! Se ti dà fastidio, posso sempre chiamarti-»
«No, no. René va benissimo.»
Le piaceva quel soprannome. Le dava l'impressione che appartenesse a una nuova Irene.
Fugo colpì le nocche di Narancia con un cucchiaio di legno.
«Ahia! Ma che fai, imbecille?»
«Non toccare il cibo nei piatti finché non saranno arrivati tutti. È disgustoso.» lo riprese il più giovane.
Narancia si difese subito, a mani alzate. «Ma non potevo resistere! La cena ha un profumo meraviglioso. La colpa è della bravura della cuoca.» ridacchiò guardando la ragazza, «Allora? Hai seguito qualche corso di cucina o roba del genere?»
Lei quasi si abbandonò a una piccola risata.
«No, nulla di simile. Ho vissuto da sola per molto tempo quindi ho imparato a cucinarmi il pasto da me. Quello... o il digiuno.» sospirò poi.
«Allora mi dispiace per te, perché dovrai assolutamente insegnarmi a cucinare.» Narancia incrociò le braccia e Fugo sbuffò.
«Così potrai dare fuoco alla cucina? Lo sappiamo tutti che sei una frana ai fornelli.»
«Solo se non mi viene spiegato quel che devo fare! Fidati un po' di René!»
Fugo storse il naso, tutto meno che convinto. "Fidati" era una parola che non gli piaceva affatto se attribuita a un estraneo. Irene aveva l'impressione di non stargli affatto simpatica, al contrario: la sua presenza in casa di Bucciarati era per lui fonte di fastidio. A quanto pare la sua aggiunta alla squadra gli ricordava un evento passato. Un'altra ragazza lo aveva diviso dai suoi compagni. Una ragazza l'aveva segnato a vita, non perché vi fosse stato qualcosa tra di loro, ma perché non avevano mai sviluppato un legame.
Per ripicca, quello fu proprio l'argomento che Irene scelse di trattare mentre tornava a controllare che l'acqua per la pasta stesse bollendo.
«Allora, Narancia, l'altro giorno hai nominato una certa Trish. Posso chiederti chi è? Non sarà mica la tua ragazza?»
Fugo s'irrigidì nel sentire quel nome e Irene sogghignò nascondendosi dietro una tendina di capelli rossi.
Narancia invece divenne di colpo più rosso.
«No che non è la mia ragazza! Trish è solo la mia migliore amica!»
«La tua unica amica, vorrai dire.» lo corresse l'altro.
«Almeno io ci ho fatto amicizia invece di abbandonarla al suo destino.»
Il cucchiaio cadde dalle mani di Fugo, colpendo il ripiano di marmo sottostante e rimbalzando fino a finire a terra, sporcando il pavimento e facendo un fracasso incredibile.
Narancia si morse la lingua e poi riprese a parlare.
«Fugo... non volevo, scusami, non intendevo...»
«Lascia perdere.» sospirò lui, sistemando il casino creato.
Narancia tornò a guardare Irene e abbassò la voce.
«Meglio se non parliamo di Trish, okay? Fugo non va molto d'accordo con lei. In ogni caso lei non vive più qui, si è trasferita in Calabria ed è in tour all'estero al momento...»
Irene si cucì le labbra, capendo di aver esagerato un po'. Si pentì di aver toccato quel tasto dolente solo per fare un torto a quello che ormai era diventato un suo alleato e, come se non bastasse, uno dei suoi protettori. Avrebbe dovuto essergli grata e non prendersela con lui.
Continuarono a cucinare parlando d'altro e, quando il sole tramontò del tutto, rincasarono i restanti membri della squadra.
«Bucciarati! Ragazzi!» Narancia corse a salutarli all'ingresso, «Puntuali come la morte, la cena è pronta!»
«Lo immaginavo, c'è un profumo delizioso qui in casa.» sorrise Bruno, poggiando una mano sulla sua spalla per ricambiare il saluto, dopodiché raggiunse la cucina con gli altri.
Mista era tranquillo alle sue spalle, iniziò subito a parlare con gli altri del menù, mentre Abbacchio si lasciò letteralmente cadere su una sedia e, incrociate le braccia e le gambe, rimase in silenzio ad aspettare di essere servito, senza neanche salutare.
Irene gli lanciò un'occhiata preoccupata. Non lo conosceva bene, ma quello non era più l'uomo di una volta. Del Leone che aveva incontrato lei non vi era più la minima traccia, il che le fece stringere il cuore.
«Ciao, Cacciatore.» Bucciarati si avvicinò a lei, strappandola ai suoi pensieri. Per un attimo seguì il suo sguardo e strinse le labbra, probabilmente condividendo il suo stesso pensiero. Quando si fu ripreso tornò a guardarla, più sereno. «Narancia dice che è opera tua. Ti ringrazio per aver aiutato i ragazzi. E i miei complimenti.» commentò.
Irene abbassò il viso. «Ma no, figurati... aiutare mi sembrava il minimo, considerato che mi avete ospitata in casa vostra. E che mi avete probabilmente salvato la vita, certo.» sospirò. «Allora? Com'è andata oggi?»
«Un giorno come un altro. Non c'era l'ombra di un possibile portatore di Stand, in città.»
Mista s'intrufolò tra i due, mostrando di aver rubato qualche arachide da una ciotolina. Poggiò un gomito sulla spalla della ragazza e parlò mentre ancora aveva le guance piene, senza farsi alcun problema.
«In cofpenso... affiamo fovuto fare i confi con un ladronfolo da nienfe.» deglutì e si massaggiò la pancia, «Quel furbastro ha scippato la borsa di una nonnetta ed è praticamente andato a finire contro Abbacchio mentre scappava a gambe levate. Potremmo dire che si è lanciato dalla padella alla brace.»
Irene sollevò un sopracciglio. «Fatemi indovinare, al momento è all'ospedale?»
«Ha avuto quello che si meritava.» commentò gelidamente Abbacchio dall'altro lato della stanza.
Bruno respirò a fondo. «Starà bene, non è conciato troppo male. L'anziana ha riavuto la sua borsa ed è tornata a casa sana e salva.» assicurò.
Mista ridacchiò. «È stata parecchio fortunata, Abbacchio è il più calmo di solito... ma quando si infuria non lo ferma più nessuno!» raccontò come fosse un vanto, «Comunque adesso mettiamoci a tavola e ceniamo. Ho una fame da lupi. Narancia, porta qui quei piatti!» continuò dopo.
Tutti andarono a cercare il proprio posto a tavola. Quando Bruno si mosse a sua volta, Irene tirò piano una delle sue maniche.
«Bucciarati, aspetta...» mormorò appena, avvicinandosi per non essere sentita. «Scusami se te lo chiedo ma... Abbacchio è sempre stato... così?»
Lui la osservò per un attimo confuso, dopodiché si rabbuiò notevolmente. Sembrava che le sue iridi azzurre fossero diventate di un blu più scuro all'improvviso.
«Posso solo dirti che ne ha passate di tutti i colori. Non lo biasimo per il suo carattere, non ha avuto una vita facile. In ogni caso, se vorrà, un giorno sarà lui a raccontarti la sua storia.» si mantenne vago, rispettando l'amico e non scendendo nei dettagli.
Irene annuì, pensierosa.
«Allora? Vi sbrigate o no?» li richiamò Mista dal tavolo, scuotendo una mano.
«Tanto hai già iniziato a mangiare!» rispose Irene provocatoria.
«Io l'ho detto che la colpa è della cuoca. Il cibo è troppo invitante. Vi conviene darvi una mossa o vi resteranno solo le briciole.» gli diede man forte Narancia.
«E tu non dargli ragione!» rise Irene, andando a sedersi accanto a lui.
La cena iniziò in un'atmosfera calorosa. La squadra era un'unica, bizzarra famiglia riunita finalmente a tavola. Vennero raccontate storie e battute, si rise e si mangiò a volontà.
Irene non aveva mai provato quella sensazione. Non era mai stata così bene con nessuno. Non aveva mai avuto amici o parenti che la facessero sentire a casa. 
Quando a Bruno venne chiesto di fare un breve discorso, sentì quasi di stare per piangere.
«È difficile spiegare quanto io sia contento di vederci riuniti stasera, tutti insieme, dopo tanto tempo e dopo tutto quello che abbiamo affrontato nell'ultimo anno.» aveva esclamato alzando un bicchiere di vino, «Ne approfitto per ringraziarvi di essere sempre al mio fianco, di non temere mai nulla e di seguirmi in qualsiasi decisione, non importa quanto essa sia rischiosa. Sono fiero di tutti voi.» I suoi occhi si erano poi posati sulla ragazza, guardandola come nessuno aveva mai fatto prima. Come se anche lei fosse parte di quella famiglia. «E voglio ringraziare anche Irene che, in un certo senso, ci ha riuniti in una nuova missione e non ci ha giudicati come invece molti altri hanno fatto. Ti proteggeremo, è una promessa, perché adesso fai parte della nostra squadra.» terminò.
A quel punto Mista sollevò la sua lattina di birra con talmente tanta forza da far volare sul tavolo alcune gocce della bevanda. «A Irene, allora!» propose il brindisi.
«A Irene!» gli fece eco Narancia.
Fugo e Leone non si unirono al coro, ma sollevarono i bicchieri e bevvero senza fare polemica.
"A me?" pensò lei con gli occhi lucidi.
Si coprì il viso fingendo di nascondere un sorrisetto. "Sono io che non vi ringrazierò mai abbastanza..."
Bevve un sorso dal suo bicchiere quasi come stesse singhiozzando, mascherò bene le sue intenzioni.
La cena procedette. Venne chiesto a Narancia del suo percorso scolastico e lui spiegò come stesse migliorando notevolmente in alcune materie. Fugo gli spiegò con calma l'importanza dell'educazione e dell'apprendimento e lo fece in maniera così convincente da far pentire Irene di non aver proceduto con gli studi liceali quando ne aveva avuto l'occasione.
In seguito Bruno domandò ad Abbacchio e Mista di raccontare quanto successo il giorno precedente, quando erano andati a svolgere le loro mansioni in città, ma fu praticamente solo il secondo di loro a parlare. A Napoli sembrava andare tutto bene: a parte la minaccia che incombeva su Irene, non vi erano stati crimini degni di nota in città.
La discussione riprese normalmente e Narancia decise di fare qualche domanda a Irene per curiosità.
«René, hai detto di non essere di Napoli, giusto?»
«Esatto.»
«Allora da dove vieni?»
Irene si massaggiò il collo, ricordando per un momento la sua infanzia.
«Siracusa, in Sicilia.»
Fugo parve stringere le labbra per un momento, come se rimembrasse qualcosa.
«Siracusa...» sorrise Bruno, in tutta tranquillità, «Dicono sia una città bellissima.»
«È un luogo molto bello, ma la gente che la abita non lo merita.» chiarì lei, ricordando sua madre e il suo patrigno, nonché le sue compagne di scuola e le maestre.
«Mi spiace per te, ma Napoli non è da meno!» la mise in guardia Mista prima di divorare un altro boccone della cena.
«Non è così male, qui.» ribadì Irene, «Insomma... voi non sembrate cattive persone.»
Di nuovo il silenzio. I ragazzi si lanciarono qualche occhiata furtiva, senza fiatare. Era chiaro però cosa intendessero: "Non siamo dei santi. Siamo gangster. Abbiamo ucciso, rubato e commesso molti altri atti orribili". Irene si domandò se fosse possibile essere buone persone anche con un passato del genere alle spalle. Strano ma vero, non le sembrava affatto strano.
Senza dire nulla, Abbacchio si alzò dalla sua sedia e sempre in religioso silenzio uscì dalla cucina, poi dalla porta principale.
Irene lo guardò confusa, finché Bucciarati non abbassò gli occhi e le spiegò meglio la situazione.
«Non preoccuparti per lui. A volte ha bisogno di stare un po' da solo. So che può sembrare scontroso, ma...»
«No, non lo sembra affatto.» lo interruppe lei, aggrottando le sopracciglia. "Anzi, lo capisco eccome", avrebbe voluto aggiungere, ma tacque.
Due minuti più tardi al massimo, si alzò anche lei e con la scusa di dover usare il bagno lasciò la cucina, per poi raggiungere l'atrio. Era il momento perfetto per parlare con Leone, o almeno credeva che lo fosse. Voleva essere sicura di non aver sbagliato persona. Voleva sapere se lui aveva memoria del loro incontro.
Spinse piano la porta e uscì a sua volta di casa, notando subito Abbacchio nel cortiletto, appoggiato con le spalle e un piede a una delle pareti dell'edificio. Non aveva con sé le cuffie né la fedele bottiglia di vino, solo una sigaretta che fumava con lo sguardo perso nel vuoto.
Non si accorse della ragazza finché lei non mosse un passo avanti, calpestando la stradina dinnanzi a lei.
A quel punto gli occhi dell'ex-poliziotto, a metà tra il violaceo e il giallino, la inchiodarono infastiditi.
«Ehi...» salutò lei, cauta.
«Cosa vuoi, novellina?» rispose lui brusco, abbassando il braccio destro e irrigidendosi di colpo.
Irene piegò la testa. Fosse stato qualcun altro, avrebbe risposto a quella scortesia per le rime. O con un bel pugno in viso o allo stomaco.
«Magari ho solo pensato che avessi bisogno di un po' di compagnia.» replicò sarcastica.
«Ma per favore.» continuò lui, «Come se ne avessi bisogno. Torna dentro a parlare con gli altri, sembra che la maggior parte di loro ti trovi simpatica.»
«Tu no?»
«Se c'è una cosa che ho imparato negli ultimi tempi è che non sopporto i nuovi arrivati.»
La ragazza sospirò con forza e si appoggiò a sua volta al muro, incrociando le braccia.
«Ho capito. Non ti vado a genio.»
Abbacchio tacque. Chiaro segno che le stava dando ragione.
E lei sbuffò.
«Almeno dimmi perché. Non mi sembra di aver mai fatto qualcosa per infastidirti.»
«Te l'ho detto,» riprese Leone, cercando di non innervosirsi, «Non tollero i novellini.»
Irene finì per brontolare sottovoce.
«Non ti stavo troppo antipatica tempo fa, però.»
«Hai detto qualcosa?» chiese lui, drizzando improvvisamente le orecchie.
La giovane si maledì per essersi fatta scappare quel dettaglio. Non voleva necessariamente spiegargli il loro primo incontro, avrebbe preferito scoprire qualcosa su di lui in tutta calma.
«Nulla.»
«Che intendi dire con "tempo fa"? Ti ho conosciuta solo avantieri.» pretese però il giovane uomo, mostrando di aver sentito ciò che gli conveniva.
Lei sospirò, capendo che cercare di aggirare l'argomento non avrebbe fatto altro che innervosirlo ancor di più.
«Non te lo ricordi proprio, eh?» chiese guardando la luna che, in lontananza, si rifletteva sulle acque del golfo.
Abbacchio strinse gli occhi come un felino interessato. Il fumo della sigaretta sparì confondendosi con un rapido soffio di brezza primaverile.
«Cosa dovrei ricordare?» domandò, forse curioso, forse arrabbiato. Sembrava perennemente infuriato, il che rendeva difficile riconoscere i suoi stati d'animo e i suoi toni di voce.
Non era uno a cui piacesse tirare a indovinate. Essere vaghi nel dargli una risposta avrebbe solo aggravato la situazione.
«Ci siamo conosciuti molto prima dell'altro giorno. Tu... eri un poliziotto, dico bene?» domandò cercando di porre con una certa delicatezza l'interrogativo.
Incredibile ma vero, parve che Abbacchio avesse la pelle d'oca. Il suo sguardo cambiò completamente una volta che lei gli pose la domanda, sbalordendola.
«Una volta mi venne chiesto di rubare una macchina da due piccoli criminali che credevo miei compagni. In realtà volevano liberarsi di me, quindi mi incastrarono mandandomi incontro a un poliziotto in borghese. Dopodiché fui portata in centrale...»
«E con questo? Mi hai riconosciuto dopo avermi visto in centrale?»
«Sei stato tu ad accompagnarmi fin lì. E a scortarmi fuori, quando poi qualcuno pagò la mia cauzione.» sospirò Irene, stringendosi nelle proprie spalle.
Abbacchio lasciò cadere la sigaretta e la calpestò, trattenendo un colpo di tosse e infilando le mani nelle tasche del giaccone nero che arrivava al di sotto delle ginocchia. Si morse il labbro inferiore e le sue lunghe ciglia nere tremarono.
«Prima di lasciarmi andare mi hai rivolto delle parole che non scorderò mai.» continuò poi lei, tornando a osservarlo, «Mi hai detto "Non sprecare questa occasione". Nessuno si era mai preoccupato per me o per il mio futuro, prima d'allora. Se non fosse stato per quelle parole, probabilmente adesso sarei ancora un reietto della società, occupata a menare le mani in qualche vicolo di periferia pur di avere un po' di soldi con cui mangiare.»
Abbacchio separò lentamente le palpebre, realizzando quanto gli veniva raccontato.
«Tu...» fiatò poi, «Sei quella ragazzina che provò a convincermi a lasciarla andare prima di arrivare in centrale. Con metodi alquanto discutibili.»
Irene si sentì piovere un macigno addosso e avvampò da capo a piedi per la vergogna. Leone non si sbagliava: lei lo aveva dimenticato, ma aveva provato a sedurlo pur di distrarlo e riuscire a scappare a gambe levate.
«E- ecco... non fraintendere, non sapevo che fare... s- sono molto cambiata da allora, in ogni caso...»
«Bah, lascia perdere.» la interruppe lui, allontanandosi dalla parete. «In ogni caso non è quello il motivo principale per il quale ho ricordato il nostro incontro.» continuò poi, «In realtà quello fu un giorno molto importante per me. Il primo giorno... in cui incontrai Bucciarati.» rivelò.
Irene sbarrò gli occhi, confusa.
«Cosa? Ma... tu eri un poliziotto e lui un malavitoso! Come è possibile che vi siate conosciuti?»
«Non ti sei mai chiesta chi abbia pagato quella cauzione pur di salvarti dal riformatorio?» sbuffò lui, come se fosse ovvio.
E all'improvviso, come se qualcuno avesse spalancato una finestra luminosa davanti ai suoi occhi, Irene comprese cosa Leone intendesse dire.
«Stai... stai dicendo che quella volta, a pagare per la mia scarcerazione, fu proprio...»
«Non dovresti sorprendertene. Bucciarati è sempre stato un uomo fin troppo buono. Se vede qualcuno nei guai, anziché puntargli il dito contro, lo aiuta a redimersi.» sospirò l'altro, «Come ha fatto con tutti noi, d'altronde...»
Irene quasi non lo sentì. Era semplicemente sconvolta. Aveva trascorso anni a domandarsi chi fosse il suo salvatore. A volte, la notte, era rimasta sveglia per ore e ore a pensarci. Si rivoltava fra le lenzuola fredde del suo monolocale e, intanto, sperava di poter un giorno incontrare quella misteriosa persona. Quell'eroe nelle tenebre. Voleva ringraziarlo e mostrargli di essere diventata una persona migliore, chiunque esso fosse.
E quella sera scoprì che, per tutti quegli anni, era stato Bruno Bucciarati ad averla salvata da un destino inesorabile. Ad averle cambiato la vita.
Non sapeva chi lei fosse, non la conosceva affatto e non poteva essere sicuro che avrebbe colto il suo messaggio, ma lei l'aveva fatto. Era cambiata: per lui, per il poliziotto che le aveva regalato quel prezioso consiglio e per se stessa.
Aveva cambiato il suo fato. Quello stesso fato che, adesso, l'aveva condotta fino a loro. Come poteva non credere nel potere del destino, adesso?
«Quando accadde, Bucciarati preferì restare anonimo. Non voleva che lo rincorressi per "essere come lui", diventare come lui, sai come la pensa. Ma ora fai comunque parte della squadra quindi non ha più senso nascondere la verità.» raccontò Leone per concludere la storia. Subito dopo fu chiaro che stesse per andar via, tornando a tavola prima di finire la cena e tornare a casa. «Se non altro abbiamo qualcosa in comune. Bucciarati ha salvato anche te. Almeno non sei come quell'idiota di Giorno, con i suoi sogni bizzarri...»
Ancora Irene non riusciva a prestargli la dovuta attenzione. Fissò il vuoto per un minuto intero, riflettendo sulla scoperta appena fatta. E, finalmente, si sentì libera di un peso che gravava sulle sue spalle da troppo tempo. Ora poteva ripagare il suo debito servendo e aiutando chi l'aveva salvata.
Abbacchio notò quanto fosse assorta nei propri pensieri e per questo pensò di allontanarsi senza aggiungere altro.
All'improvviso, poi, lei girò su se stessa e lo chiamò a gran voce.
«Abbacchio?»
Lui si fermò senza voltarsi. La stava ascoltando.
«Perdonami se te lo chiedo in modo così diretto, ma... cosa ti è accaduto dopo? Perché non sei più nella polizia?»
Per un momento l'unico rumore a risponderle fu il vento leggero e lo sciabordare delle onde contro la spiaggia in lontananza. Qualche voce nei paraggi, di passanti spensierati, e le macchine che sfrecciavano sulla strada in tutta fretta.
Leone incurvò le schiena per un momento, non mostrando a Irene la sua espressione, nascondendo quell'esplosione di emozioni che lo investì di colpo.
«Perché...» respirò a fondo, «...ho scoperto di non essere in grado di cambiare il mondo da solo. E i sogni sono sono delle idiozie che ci vengono insegnate da piccoli. Ecco cosa succede, a inseguire le proprie ambizioni...»
Senza aggiungere altro si ritirò all'interno della casa, lasciando la porta aperta alle sue spalle, non sapendo se Irene volesse entrare a sua volta o meno.
Lei, però, rimase lì dove si trovava, con il cuore spaccato a metà.
Da una parte riuscì a cogliere la sofferenza caratterizzante la vita di quel pover'uomo, il fardello che si portava dietro, qualunque esso fosse. Dall'altra, si sentì riscaldare da una gioia mai provata prima. Aveva forse trovato il suo posto del mondo? Non lo sapeva ma, in quell'istante, non avrebbe voluto essere da nessun altra parte. Era proprio lì dove desiderava trovarsi: con le persone che si erano prese cura di lei, in silenzio e a distanza, per tutto quel tempo. E nulla le era mai sembrato più simile alla sensazione di aver trovato finalmente la sua famiglia, le "persone giuste" che da tempo cercava.

***

Spazio Autrice
Rieccomi dopo un periodo fin troppo lungo di attesa con un nuovo capitolo! Vi chiedo scusa per averci messo così tanto a scriverlo :(
In ogni caso, ecco un'altra parte abbastanza leggera, perché ADORO vedere la gang al completo (manca Giorno purtroppo, ma gli altri sono tutti a tavola come se fosse Natale) e di conseguenza dovevo inserire almeno un momento di tranquillità prima della tempesta. Cosa sia questa, però, lo scoprirete più avanti.
Abbiamo anche scoperto chi è il famoso eroe di Irene, benché non fosse difficile immaginarlo, e sembra che Leone stia prendendo più in simpatia la nostra protagonista pian piano... è già un buon inizio!
Nei prossimi capitoli avremo più azione, è una promessa, e la bizzarra avventura di Irene e i suoi amici procederà verso verità celate, contro il destino e il passato che ritorna. Per adesso vi chiedo solo di lasciare una recensione se vi va e ringrazio chiunque sia arrivato fin qui, Arrivederci!

 

   
 
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