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Autore: Fanny Jumping Sparrow    07/03/2020    8 recensioni
Com'è germogliato e si è evoluto il profondo sentimento di affetto, attrazione, fiducia, stima, amore che lega i nostri due sweeper preferiti? Hojo ha lasciato molti punti in sospeso, sia sull'inizio, sia sul durante che sul dopo la loro convivenza. Con questa raccolta di one-shot mi propongo di trattare alcuni missing moments, ispirati dalle tavole del manga o da episodi dell'anime, oppure di mia spontanea invenzione.
Commenti e opinioni sono sempre graditi :D
Buona lettura!)
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Buon fine settimana ^_^
Eccomi finalmente tornata con una nuova one-shot (forse leggermente più lunghetta, ma non sono riuscita a tagliarla!^^"), in cui ci sarà anche la comparsa di due "special guest" :D
Non voglio anticiparvi troppo, perché temo di svelare un risvolto essenziale della trama che ho elaborato, anche se credo che, attente come siete, riuscirete facilmente a capire chi possa essere il fantomatico ospite attorno a cui ruota questo capitoletto ben prima che arrivi ;) Mi riservo di rispondere ad eventuali considerazioni nei commenti ^-^
Come sempre ringrazio immensamente voi lettori, silenti e scriventi, per la partecipazione con cui state seguendo questo mio progettino: non mi aspettavo potesse suscitare tanto interesse ^//^

Dunque vi auguro buona lettura e spero che vi piaccia anche questa mia ennesima incursione nella vita casalinga dei nostri amati beniamini :)


V– Ospiti indesiderati

La porta si spalancò di botto e lei entrò spedita, portando con sé una folata di aria fresca e profumata. Oramai si muoveva nella penombra della sua camera con una certa confidenza, evitando abilmente gli ostacoli che lui disseminava sul pavimento prima di coricarsi. Poteva vederla anche ad occhi chiusi dirigersi all’armadio e sistemargli camicie e pantaloni sulle grucce, piegarsi a raccogliere pazientemente riviste e bottiglie sparpagliate in giro, rimettendo ogni cosa al suo posto, con quella sua mania innata di rassettare. Aveva smesso quasi da subito di chiedergli il permesso di entrare e le sue irruzioni, ora furtive ora fragorose, puntualmente lo svegliavano con una sensazione di rassicurante disturbo.

«Sono quasi le dieci», scandì a mo’ di cantilena, alternando il suo nome ad una serie di colorati appellativi, per lo più insultanti nei riguardi della sua pigrizia e trascuratezza, issando senza tante cerimonie gli oscuranti della finestra, ma quella mattina lui non riusciva proprio a sollevare le palpebre.
Aveva ceduto a troppi bicchierini di whisky e sakè, bighellonando in troppi night clubs fino alle tre del mattino, tra conigliette e furfanti, e il risultato di tutti quei bagordi era un pesante cerchio alla testa che la breve dormita non era riuscita ad affievolire. Gli pareva di sentire il rullo di una grancassa rimbombargli dentro il cranio, e quella sua voce stridula era peggio di un trapano che gli si infilava nelle tempie pulsanti.

«Maiale ventiquattro ore al giorno!», mugugnò schifata ed estenuata, quando all’ennesimo richiamo gli sentì emettere un verso gutturale, a metà tra un ronfo e un grugnito di piacere.
Ryo si ribaltò a pancia sotto con un mugolio insoddisfatto, schiacciando il viso sbattuto sotto il cuscino e allungando una gamba fuori dal materasso con l’intento di rifilare uno sgambetto alla sua petulante assistente, ma, anziché capitombolare per terra, lei gli piombò sulla schiena nuda, mentre la caffettiera che reggeva le volò dalle mani e un liquido bollente si rovesciò addosso a tutti e due in mille schizzi.
Le urla che scaturirono da quello scontro fecero tremare le pareti e svolazzare una coppia di corvi che si erano posati sul davanzale ad osservarli.

«Non mi avevi sentito? Che cos’hai in quella zucca bacata?!» borbottò Kaori, non senza un lieve rossore, togliendosi la camicetta bianca oramai chiazzata di marrone e restando con un top nero smanicato che faceva spiccare ancora di più la sua carnagione quasi diafana e le braccia magre, impegnate a ripulire alla bell’e meglio quel pasticcio e a racimolare i cocci sparpagliati della tazzina, frammentatasi in pezzi nell’impatto.

Lui balzò a sedere, le sopracciglia aggrottate per la pelle che ancora bruciava: «Non è giusto! Stavo facendo un sogno stupendo e adesso per colpa tua è diventato un orrendo incubo!» guaì scontento, abbracciando con voluttà il guanciale che non era stato risparmiato dal riversarsi dell’aromatica bevanda.

«Santa pazienza! Sei proprio un disco rotto! Dici sempre le stesse cose!», sbuffò rassegnata la coinquilina, tirando via con foga le lenzuola macchiate, che avrebbero dovute essere sottoposte a più lavaggi con la candeggina per tornare linde.

Ryo non poté fare a meno di indirizzarle uno sguardo indagatore e perplesso. Si aspettava che sarebbe andata su tutte le furie, invece, tutto sommato, per i suoi canoni era rimasta piuttosto calma. Forse era troppo indulgente e imbranata per sospettare che lui avesse premeditato di farla inciampare. Tuttavia aveva la netta sensazione che qualcosa non quadrava. Gli aveva perfino portato il caffè a letto …

Kaori piantò energicamente i palmi sul materasso, riscuotendolo da quelle supposizioni: «Beh, riprenditi. So io come consolarti», gli garantì con accento amorevole e un’irresistibile faccia da furbetta, sporgendosi verso di lui che se ne stava ancora seduto a gambe incrociate contro la spalliera del letto con il cuscino in grembo, a fissarle alternativamente gli occhi vivaci e, per un riflesso incondizionato, la casta scollatura abbassatasi giusto quel minimo da stuzzicarlo, anche non volendolo.
Deglutì a vuoto. Quando faceva l’ambigua, comportandosi in maniera dolce e affabile, gli incuteva una strana ansia addosso. Si domandò se stesse tramando qualche sotterfugio o se volesse farsi perdonare qualcosa, ma lei riprese a parlare con lo stesso tono carezzevole: «Di sotto c’è Saeko che ci ha portato ben due clienti», gli rivelò con un sorrisetto trionfante, distanziandosi e raddrizzandosi, sapendo di aver già ottenuto il suo totale interesse.

«Due clienti?», chiese subito conferma lui, sentendosi già molto meno debilitato dai sintomi quella folle nottata insonne che lo aveva sfiancato e gli aveva lasciato in pegno un tremendo mal di testa e lo stomaco sottosopra.
La socia gli scippò la federa, arrotolandola con il resto della biancheria sporca: «Proprio così. Sono due sorelle di diciotto e vent’anni, figlie del nuovo ambasciatore coreano. Hanno chiesto di essere scortate da un’infallibile guardia del corpo durante la loro prima visita alla nostra città», gli spiegò in tutta fretta, come recitando un copione già noto, consegnandogli il suo completo giacca e pantalone preferito, fresco di stiratura.

Quel solerte accorgimento passò quasi inosservato all’animo spregiudicato dell’irriducibile donnaiolo, la cui vista si era già annebbiata prospettando l’appetitosa opportunità: «Due delicate e innocenti fanciulle più la splendida Saeko … Questa volta farò tris!», si fomentò senza controllo, saltando giù dal letto e filando in bagno per darsi una veloce rinfrescata e poter così sfoggiare il suo migliore look da rubacuori.
«Ma tu non vieni?» esclamò stupefatto, quando, conclusa la breve sosta alla toletta, notò che, anziché scendere con lui, la sua assistente stava attardandosi, caricandosi la cesta del bucato e imboccando la lavanderia.

Kaori ruotò appena il collo: «Eh no, mi spiace. Ho un mucchio di faccende da sbrigare. E poi tra te e quella super poliziotta, non sarei di molto aiuto», spiccicò dimessa.

Era davvero insolito sentirle esprimere certi ragionamenti, ma non voleva contraddire la buona sorte, una volta tanto che pareva essere benevola nei suoi confronti: «Brava! Finalmente ti sei resa conto dei tuoi limiti», infierì umiliante, dandole una leggera pacca sulla spalla, per poi allontanarsi con un sogghigno sardonico che gli si allargava sul volto.
Avvertì un sinistro sibilo fendere l’aria e un secondo dopo un oggetto contundente molto pesante cozzare contro i suoi lombi, scaraventandolo direttamente al piano inferiore. Atterrò sul mento tra due vistose scarpe smaltate col tacco a spillo su cui si ergeva un paio di polpacci inequivocabilmente femminili, velati da calze sottili: «Sai sempre come fare un’entrata d’effetto, Ryo Saeba», lo salutò senza tanto scomporsi la fascinosa detective Saeko Nogami, piegandosi e porgendogli una mano.

Si era ritrovato svariate volte a bramare di poter morire tra quelle sue bellissime gambe, ma adesso a quella visione celestiale non riservò che una fugace occhiatina, ogni fibra del suo corpo era protesa dall’impellenza di conoscere le due giovanissime clienti bisognose della sua virile protezione. Scattò prontamente in piedi, inghiottendo l’eccesso di saliva e ravviandosi con gesti compassati la folta capigliatura pece, deciso ad accogliere nel migliore dei modi le sicuramente spaesate e vulnerabili ospiti straniere, ma la sua esuberanza si ritrasse in un battibaleno. Non riusciva a credere alle sue fosche pupille.
Le due sorelle erano accomodate sul divano e sorseggiavano sdegnosamente una tazza di tè. Vedendolo avvicinarsi si alzarono per ossequiarlo con compostezza. Una era allampanata e smilza, l’altra bassina e tarchiata ed erano abbigliate come due collegiali, con tanto di treccine, occhiali e zainetto al seguito. Sembravano anche più piccole della loro età ed erano piene di brufoli.

«Ma è uno scherzo?! Sono perfino più racchie di Kaori!», strepitò inorridito, la mascella che cascava inerte e il mokkori appena accennato che si ritirava nei meandri più oscuri del suo addome, pietrificato dalla demoralizzazione.

Saeko si precipitò a tappargli la bocca: «Imbecille! Vuoi scatenare un incidente diplomatico internazionale? Menomale che non capiscono bene la nostra lingua», sospirò esasperata, strattonandolo per tentare di scongelarlo, mentre le ragazzine gli sorridevano languidamente, mostrando i dentoni sporgenti.

Tanto bastò a trasmettergli la certezza che, suo malgrado, col suo innegabile fascino aveva già colpito nel segno e quelle due bruttarelle gli si sarebbero attaccate come piattole. Di riflesso guardò in alto, sicuro che quella piccola bugiarda, dopo averlo per bene infinocchiato, si stesse godendo la scenetta ridendosela a crepapelle.

«Questa me la paghi cara, Kaori!», la minacciò fuori di sé, venendo sospinto a forza dall’inflessibile investigatrice, che tentava di rabbonirlo con le sue inaffidabili promesse.

Solo quando fu certa di non essere vista, Kaori si affacciò a sbirciare, intercettando Saeko inviarle un occhiolino e trascinare via con le sue movenze flessuose quell’impenitente sfaticato. Si accertò che se ne andassero davvero, rassicurandosi solo quando li vide partire a bordo della fiammante auto sportiva della Nogami. Nonostante avesse appreso dei suoi trascorsi con suo fratello e di un affetto reciproco che li aveva legati, quella donna manipolatrice e opportunista non le andava molto a genio, ma per una volta aveva accettato di accordarsi con lei, pur di tenere il collega e coinquilino per qualche giorno lontano, sapendolo occupato a svolgere un vero lavoro retribuito. Ne aveva sin sopra i capelli di tutte quelle smorfiose clienti di cui lui s’innamorava come un adolescente, esentandole dal pagamento dei suoi rischiosi servigi.

Anche se non si sarebbe certo tirato indietro dal tentare di assaltare la seducente poliziotta. Ma a lei non importava più di tanto ciò che avrebbero combinato quei due. Almeno in quell’occasione avrebbero ricevuto in cambio un compenso tangibile e spendibile, cercò di confortarsi, riempiendo il cestello della lavabiancheria.
Forse stava diventando una persona arida e cinica a forza di convivere con quell’inguaribile dongiovanni da strapazzo. Una questione era provata: d’amore, o meglio dei suoi ridicoli innamoramenti, non potevano continuare a campare. E lei non voleva continuare ad essere il suo zimbello. La trattava come una nullità, senza curarsi di riconoscere che aveva imparato tante cose, sforzandosi anche di mettere da parte il ribrezzo per certi sgradevoli personaggi e frangenti in cui erano rimasti invischiati. Nel sordido ambiente in cui si districavano bisognava essere duri, meticolosi, pronti a tutto, ad arrangiarsi e ad anticipare gli avversari con i più disparati espedienti.

A questo la stava addestrando il suo nuovo mentore, e lei non poteva che essergli grata per la sua gratuita disponibilità. Con Ryo altrove, avrebbe avuto maggiore libertà di movimento per recarsi da lui e continuare a perfezionare le abilità e conoscenze che le stava tramandando.
Finì di dare una sistemata in giro, indossò una comoda salopette a jeans e scese in garage. Però mentre metteva in moto la panda instradandosi al luogo concordato, sentiva di starsi comportando in maniera sbagliata. Non le piacevano i sotterfugi e sapeva che in verità non piacevano neanche a lui, soprattutto se ne era vittima. Sospirò dispiaciuta.
Le sembrava di tradirlo, tenendolo all’oscuro di quello che stava facendo, di chi stava frequentando. Nonostante tutti i dispetti, gli screzi e le derisioni, non era capace di covare rancore nei suoi riguardi. Forse era fin troppo buona e onesta, ma non poteva farci niente se era fatta così.
Avrebbe rimediato in qualche modo, anzi aveva già in mente una possibile soluzione per appianare sue eventuali recriminazioni. Sperò solo di riuscire a mettere in pratica tutto ciò che aveva pianificato.



Ryo uscì dalla doccia sentendosi leggero e ritemprato. Era stato un vero supplizio accudire quelle due viziate e sgraziate figlie di papà, scarrozzandole a zonzo per un’intera settimana, e nel frattempo dover sottostare alle incontentabili pretese di Saeko, ma adesso potersi rilassare e dedicare alle sue amate letture nella tranquillità del suo appartamento lo ripagava di tutta quella fatica.
Qualcun altro, però, non aveva i suoi stessi progetti. Il rombo ininterrotto dell’aspirapolvere dal piano inferiore lo stava infastidendo non poco. Non capiva perché, con tutti i giorni in cui lui era mancato, si fosse ridotta a fare pulizie straordinarie proprio di domenica mattina. Lo stava facendo di proposito, ce l’aveva con lui: non c’erano altre spiegazioni!
Maledicendo il suo eccesso di zelo, s’infilò le ciabatte e scese di sotto per andarla a sgridare e chiederle di rimandare quella superflua attività ad un momento in cui lui non ci sarebbe stato, ma quando giunse in sala da pranzo la trovò già intenta in altre occupazioni e precisamente a svuotare le ingombranti sacche della spesa che un prestante garzone aveva consegnato a domicilio. Aveva appena fatto in tempo ad incrociarlo mentre usciva dalla porta d’ingresso e lei gli lasciava una mancia.

«Vedo che non hai perso tempo a scialacquare quello che io mi sono sudato», si pizzicò palesando il suo persistente disappunto per quello sgradito incarico che aveva mal digerito.
La ragazza si difese immediatamente, con grande sincerità: «Ma ti pare che sono una spendacciona? C’era il 3x2 e ne ho approfittato», gli comunicò chiudendo il frigorifero, non prima di avergli offerto una lattina della sua birra prediletta per tentare una pacificazione.
Lui la accettò senza replicare, scrutandola astioso. Il suo umore era visibilmente incrinato e Kaori si sentì in difetto, anche se non aveva poi chissà quale colpa. Possibile lui stesse sospettando qualcosa? Per impedirsi di far trapelare ciò che la agitava, provò a sviare il discorso.
«Allora dimmi, ti sei divertito a lavorare gomito a gomito con la tua adorata Saeko?»

Ryo si passò il dorso della mano sulle labbra che si schiusero in un’espressione inorgoglita: «Ci puoi giurare. Sono anche riuscito a farmi pagare. Con la mia moneta. Non sono venale come te».

Uno sgradevole pizzicore le percorse la gola, ma lo ricacciò perché non aveva senso di esistere. Probabilmente lui stava millantando, come al solito, e a lei premeva  informarlo su un’altra faccenda: «Ah, senti, avremo un ospite stasera a cena», gli annunciò col massimo della serenità, aprendo gli stipetti e valutando la scelta delle pentole da usare e dei piatti da mettere in tavola.
«E quando pensavi di dirmelo?» farfugliò lui, preparandosi intanto un sandwich con quanto poté sgraffignare dagli ingredienti che lei aveva predisposto per cominciare a cucinare.
«Te lo sto dicendo adesso. È un problema per te?», lo incalzò innocentemente, sottraendogli il barattolo di maionese.
«Per me puoi invitare chi vuoi», affermò sostenuto, spostandosi a mangiare quello spuntino in soggiorno.

Kaori rimase interdetta: il socio sembrava essersi leggermente indisposto. Avrebbe potuto dirgli di chi si trattava, ma temeva che si sarebbe indisposto ancora di più. Da quel poco che aveva potuto capire, quei due capoccioni avevano un rapporto conflittuale.
«Vorrei ben vedere! Pago metà dell’affitto, le bollette sono tutte a nome mio … A tutti gli effetti potrei ritenermi la vera proprietaria di questo appartamento. Ho diritto di invitare chi voglio», si risolse allora a rimarcare mordace. «Naturalmente lo stesso vale per te», si premurò di precisare, temendo di essere stata un po’ troppo prepotente, anziché addolcirlo e prepararlo per la rivelazione che lo aspettava.

Ryo però stranamente non aveva risposto alle sue provocazioni. Stravaccato sul divano, masticava il suo panino, sfogliando con grande concentrazione un catalogo di fotomodelle in lingerie: «Non c’è neanche bisogno che me lo dici tu. Io esco. Ho già un appuntamento per stasera», smozzicò a bocca piena, spargendo briciole ovunque, che lei avrebbe dovuto ripulire.

Un’idea balzana attraversò la mente di Kaori e, senza pensarci su troppo, gliela espose: «Falla venire qui. La ragazza con cui devi vederti stasera, intendo».
Il coinquilino sbarrò gli occhi, spiazzato da quell’impensabile proposta: «No, non è il caso», si oppose aspramente. «Ce ne andremo in un albergo. Così anche tu potrai avere la tua intimità, con chiunque sia lo sfortunato che hai accalappiato», le suggerì salace, recuperando la sua imperturbabile sfacciataggine.

Il viso di Kaori si tramutò, passando dal viola all’amaranto: «Insisto, dai! Con tutto quello che cucinerò, potremo mangiare benissimo anche in quattro», insistette con una risatina isterica, nello strenuo sforzo di mantenere il sangue freddo e non cedere alla tentazione di spaccare qualcosa. Almeno quella sera voleva che non ci fossero mobili rotti, sospirò, riponendo a malincuore il martello da 100 t che aveva già istintivamente brandito.

Il collega, completamente assorto dalla “lettura”, seguitava ad ignorarla, come se avesse i tappi alle orecchie e il paraocchi, e lei, sconfitta, se ne tornò desolatamente in cucina: «Scusami, sono stata indiscreta».

Contro le sue aspettative, però gli sentì poi pronunciare in un mugugno arrendevole: «Proverò a proporglielo, ma non ti garantisco nulla».

L’eventualità che quell’invito si concretizzasse la gettò nel panico. Poteva immaginare quali fossero le sue abituali frequentazioni, con chi andasse a folleggiare e fare le ore piccole. Era lei a smacchiare tracce di fondotinta e rossetti appariscenti dai colletti delle sue camicie, impregnate di profumi speziati e dolciastri. Ripensandoci, non era poi così propensa a volerne conoscere qualcuna e magari assistere al loro nauseante scambio di smancerie ed effusioni.
Non avrebbe potuto rendergli pan per focaccia con quello lì. Ad essere onesta, neanche con qualcun altro. Lei non era capace di civettare con gli uomini e non sapeva nemmeno perché stava perdendosi in simili congetture: mica doveva fare le presentazioni del suo fidanzato!
«Allora ci conto», gli schioccò con finto entusiasmo dall’altra stanza, cercando di scacciare quegli stupidi pensieri per dedicarsi alla preparazione del ricco menù che aveva deciso di realizzare per sdebitarsi col suo ospite.

Ryo cambiò posizione sul sofà, sistemandosi in modo tale da avere un punto di vista agevolato che gli consentisse di spiarla. Già da un paio di settimane aveva subodorato delle avvisaglie. Si comportava in maniera un po’ diversa, spesso tornando dalle sue passeggiate sembrava trafelata, pensierosa, pur restando sempre scrupolosa nelle sue mansioni. D’altronde quando non lavoravano insieme, lui ne approfittava per svagarsi altrove e lei aveva tanto tempo libero in cui rimaneva da sola, tempo che poteva dedicare a frequentare qualcuno e perfino portarlo lì, anche se stentava a credere che qualcuno etero e sano di mente potesse interessarsi a una tipa mascolina e scontrosa come lei. Magari invece si trattava di qualche farabutto che voleva irretire quell’ingenua per arrivare a lui. Voleva assicurarsi che non fosse così. In ogni caso non poteva permettere che uno sconosciuto qualunque scoprisse dove abitava. Aveva una reputazione e un’identità da tutelare, era fondamentale mantenere il più stretto riserbo per continuare a soccorrere chi si affidava alla sua protezione.

Se invece lei avesse seriamente incontrato qualche sciagurato che le piaceva, allora lui non avrebbe esitato a dimostrarle che esistevano donne che lo apprezzavano. S’incamminò nella sua camera e iniziò freneticamente a consultare l’agendina in cui teneva i contatti di tutte le ragazze che era riuscito ad adescare, e a cui era riuscito ad estorcere il recapito telefonico. Attrezzandosi di speranza e pazienza inforcò la cornetta, cominciando a comporre i primi numeri in ordine casuale. Non sarebbe stato facile trovarne una disponibile ad aiutarlo gratis e soprattutto che fosse presentabile.

Impiegò buona parte del pomeriggio a fare quel giro di telefonate, poi, avendo ormai i timpani fusi e i muscoli del braccio intorpiditi, decise di schiacciare un pisolino ristoratore. Il cielo era già screziato dai colori tenui del tramonto, quando ridiscese a curiosare cosa stesse combinando la sua stramba coinquilina.
Aromi di cibi fritti e al forno invadevano le mura, insieme alla fragranza fruttata del detersivo per pavimenti. Kaori stava ancora affannandosi ad apportare gli ultimi ritocchi a quel ricco banchetto. Si era sbizzarrita ai fornelli, preparando di tutto e di più, eppure lui notò che non era vestita in maniera particolare o tanto diversa dal solito: non indossava niente di provocante o appariscente, a parte il maglioncino forse un po’ troppo corto che lasciava intravedere una piccola porzione di addome e il minuto ombelico, appena sopra il cinturino dei jeans. Probabilmente non era così presa da quel tipo, oppure nel suo guardaroba non aveva abiti di uno stile differente.

Si era eclissato per ore, senza prendersi la briga di informarsi su chi fosse l’ospite. Forse aveva qualche sospetto o semplicemente non aveva il minimo interesse di saperlo. E adesso era ritornato per mettersi a ronzare come un moscone attorno ai quei piatti succulenti, assaggiandoli con il solo scopo di criticare le sue abilità culinarie, questionando ogni cosa, dalla cottura alla sapidità. Voleva proprio farle perdere le staffe.
Kaori recitò mentalmente un mantra per resistere, considerando anche che era trascorso poco più di un mese dalle ultime riparazioni che avevano dovuto far eseguire nell’appartamento, ridotto quasi in macerie.
Il trillo del campanello arrivò provvidenzialmente a salvarla.
«Ryo? Ti secca andare ad aprire?», lo pregò, destreggiandosi tra teglie e tegami.

Il socio si attardò ad intingere le dita in una ciotolina di salsa teriyaki, che giudicò troppo zuccherosa, per poi obbedirle svogliatamente, strascicando i piedi verso l’uscio di casa.
Davanti al suo naso si stagliò l’enorme stazza di un uomo che ben conosceva: «Umi?»
«Buona sera, Ryo», mormorò rigidamente l’ex mercenario, standosene impettito nella sua uniforme, la mascella serrata e lo sguardo insondabile dietro le lenti scure.
Lo sweeper si inalberò: «Vieni a rompere le palle anche di domenica, adesso? Non se ne parla, ho avuto una settimana tremenda! Oggi ho il sacrosanto diritto di riposare!».
«Mi fai entrare o devo spiaccicarti?», lo minacciò truce il corpulento collega.

Kaori sopraggiunse in una manciata di secondi, richiamata da quegli schiamazzi: «Ah, Umibozu! Ben venuto. Puntualissimo», lo accolse cordialmente, accennando un impacciato abbraccio, pur se ancora con un mestolo in mano.

Ryo trasecolò: «Cosa?! È lui l’ospite che stavamo aspettando?», spalancò la bocca, intanto che l’energumeno si abbassava per passare sotto l’architrave, porgendo alla sua socia un mazzolino di margherite che doveva aver strappato da un’aiuola di passaggio. Non sapeva se sentirsi del tutto sollevato che fosse proprio lui.

«Esatto», gli confermò a labbra strette la socia, ponderando la sua reazione. «Notizie della tua amica?», lo sollecitò con aria indifferente.

«Arriverà a momenti» mentì imperterrito lui. Aveva ricevuto tanti di quei rifiuti e telefoni riagganciati che alla fine si era arreso e neanche aveva più insistito a fare altri tentativi e, visto chi si era rivelato essere l’ospite misterioso, pensò che non ne valesse la pena.

La sua assistente fece accomodare il burbero invitato nel soggiorno, sistemando i fiori in un vaso: «Bene, allora la aspetteremo», acconsentì con un sorriso tirato, appoggiando poi un vassoio con dei salatini al centro del tavolino, sgranocchiandone uno.

Dopo un paio d’ore, appurando che sarebbero rimasti in tre, Kaori stabilì che si spostassero in sala da pranzo, presentando le specialità che aveva preparato. La cena si svolse in un continuo bisticciare dei due, tanto che a Umibozu sembrò di essere capitato nel mezzo di un acceso scontro a fuoco, in cui al posto delle pallottole volavano parole pesanti e occhiate permalose.

«Non è stato facile convincerlo a venire qui. È proprio un timidone», asserì scherzosamente la ragazza, prendendo il dessert, un vasto assortimento di rakugan acquistati in un’antica pasticceria.
L’energumeno, accanto a cui aveva preso posto si schiarì la gola, con un colpetto di tosse: «Che c’entra io … Ho sempre molti nemici da cui guardarmi le spalle. Ho ponderato se fosse opportuno attirarli da voi prima di accettare l’invito», smozzicò schivo, mandando giù quattro pasticcini in un solo boccone.
«Anch’io sono pieno di nemici, ma non sto sempre a vantarmene», lo riprese bilioso Ryo, ingurgitando una quantità maggiore di quelle gustose paste colorate.

Kaori tentò invano di allungare le mani per assaggiare qualcuno di quei dolcetti anche lei, ma quei due pozzi senza fondo sembravano aver ingaggiato una competizione a chi riusciva a ingozzarsi con maggiore voracità. E in tutto ciò, non era ancora riuscita ad introdurre la questione che avrebbe voluto portare a conoscenza del suo socio.
«Comunque stasera ho invitato Umibozu da noi perché volevo sdebitarmi con lui per gli insegnamenti che mi sta dando su come costruire e piazzare trappole molto discrete ed efficaci», confessò tutto d’un fiato, alzando di qualche ottava il tono della voce perché entrambi la sentissero, al di sopra dei loro animati battibecchi.

Il suo collega ammutolì, lanciandole uno sguardo allibito e, le parve, un pizzico confuso.

«È molto paziente, disponibile e comprensivo, lui», precisò lusinghiera, sfiorando il gigantesco braccio del veterano la cui testa calva s’infiammò all’istante.
«Tu sei una buona allieva, volenterosa, diligente e impari in fretta», si schermì ruvidamente Umibozu, desiderando come non mai di trovarsi in un teatro di guerra.
Ryo si pulì con un tovagliolo che, una volta allontanato dalla bocca, rivelò un sogghigno caustico: «Siete proprio una gran bella coppia! Che peccato che nel nostro paese il matrimonio tra due uomini non sia ancora contemplato».

Kaori lo folgorò e, oramai al colmo del risentimento, incurante dei buoni propositi rispettati fino a quel momento, sfoderò il martello più voluminoso che possedeva, seppellendoglielo sotto e, scusandosi con l’ospite, corse via, scossa e umiliata.

L’ex mercenario staccò il malconcio amico dalle assi di legno in cui era rimasto incastrato: «Sei un idiota patentato, Saeba», lo tacciò con accento grave e coriaceo.
«E tu un imbecille rammollito», farfugliò velenoso quello, scrocchiando le ossa ammaccate, riacquistando gradualmente la sensibilità degli arti. «Come ti ha convinto ad addestrarla?», gli domandò con un briciolo d’irritazione, accasciandosi su quello che restava della panca.

Umibozu lo copiò, sedendosi a sua volta: «Mi è bastato sapere che vive e lavora con te. Ho anch’io le mie fonti. So tutto di lei. Lavora per te da quasi due anni e ancora non le hai insegnato neanche a sparare», lo biasimò con un basso ringhio.

Ryo si alzò e cercò in uno stipetto una delle ultime bottiglie di bourbon superstiti, versando un’abbondante quantità del liquore in un bicchiere: «Non è portata. È troppo impulsiva ed ha una pessima mira. Le ho insegnato quello che le serve a cavarsela. E poi non ho bisogno di un compagno d’armi, lei bada ad altro. Mi tiene in ordine la casa, mi cucina, si occupa di mettere a loro agio le clienti e trattare i compensi. Sai che io non me la cavo granché con queste cose», chiarì con freddezza e determinazione.
Ma il collega riuscì a percepire nella sua aura un forte istinto di protezione.

«La ragazza sa il fatto suo. Non è un male che impari qualche altro trucchetto del mestiere», asserì flemmatico, rubandogli la bottiglia per finire di scolarsela. «Comunque sia, con lei ho finito. Salutamela», chiosò con l’ombrosità di sempre, togliendo il disturbo.

Il testardo sweeper non si mosse di un millimetro, lasciandosi scivolare addosso quelle sagge parole, che pure tentarono con insistenza di scalfirlo.


Qualche minuto dopo aver sentito sbattere la porta d’ingresso, Kaori uscì dalla sua camera, tornando in cucina dove l’attendeva una montagna di stoviglie da lavare, oltre ai rottami da rimuovere. Il parquet era rovinato a tal punto da essere per l’ennesima volta da riparare. Sbuffò avvilita: era riuscita di nuovo a combinare danni! Sarebbe mai stata capace di evitare di inferocirsi a quel modo con quell’uomo tanto intrattabile che non perdeva mai occasione per denigrarla?
Era talmente assorbita da quelle penose considerazioni che non si accorse dell’arrivo silenzioso di colui che le stava ispirando.

«Insomma, volevi la mia benedizione», scandì la sua voce tenebrosa e leggermente derisoria. Se ne stava accanto alla finestra con una sigaretta tra le dita, aspirando placidamente delle boccate che rilasciava attraverso lo spiraglio aperto.

Lei sospirò, gettando la spugna nel lavello: «Volevo solo che lo sapessi. A me non piace fare le cose di nascosto», chiarì tagliente, esternando la bontà delle sue intenzioni e anche un briciolo di dispiacere per non aver rispettato quel principio in cui credeva.

Ryo rilasciò un’ultima spirale di fumo nella mite aria notturna, spegnendo poi il mozzicone sul muro esterno: «Lo sai che sei liberissima di frequentare chi vuoi. Ma ecco, Umibozu non mi sembra un buon partito per te», attestò con tono quasi fraterno, ma accompagnato da quell’impagabile sorrisetto da impunito che lei si ritrovò a fissare per secondi che le parvero interminabili, incapace di rispondergli per le rime.

Così dicendo, estrasse da una tasca interna della giacca una cartucciera di preservativi e se ne andò via canticchiando da quella stanza e dall’appartamento, lasciandola a combattere con quello strano sfarfallio allo stomaco e una pressione sanguigna che le faceva prudere la cute.

Quell’uomo restava un’incognita. Forse in fondo ci teneva un po’ a lei, ma il suo atteggiamento da bastardo incallito non sarebbe cambiato mai.
   
 
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