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Autore: Sapphire_    08/03/2020    1 recensioni
Tutti abbiamo un professore che odiamo in particolare, così anche Amelia.
Nel suo caso lui si chiama Alessandro Angelis, insegna matematica e fisica, è troppo bello ma anche troppo stronzo - e gode da matti a rifilarle insufficienze.
Il vero problema però si presenta quando la povera ragazza finisce per ritrovarselo a cena con i suoi genitori e l'unica cosa che può pensare, mentre lo guarda, è cosa abbia fatto di tanto male per meritarsi una punizione del genere.
~
Dal testo: "«Sto pensando di rimanere sempre sullo studio linguistico.» rispose.
«Fai bene, non credo che l’ambito scientifico possa offrirti concrete possibilità.» commentò con nonchalance Alessandro.
«Beh, a dire il vero» iniziò Amelia, mentre un pacato sorriso si apriva nel suo volto «sono contenta di non essere portata per le materie scientifiche. Secondo la mia esperienza sono adatte agli stronzi senza cuore.» fece candida e angelica.
Aveva appena dato dello "stronzo senza cuore" al proprio professore. Che la odiava."
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Beh, dai, non ho fatto un anno di pausa, no?
Anche questa volta però ho fatto un lungo ritardo, nonostante avessi il capitolo quasi finito da un bel po’ di tempo, non riuscivo a scrivere le ultime parti e questo mi bloccava sempre. Ora, con la situazione in cui siamo tutti, ho più tempo libero e anche più ispirazione e questo mi ha portato a scrivere la conclusione del venticinquesimo capitolo – manca solo il prossimo e l’epilogo, attenzione!
Mi dispiace notare che non tutti i vecchi lettori seguono ancora questa storia, spero però che comunque ci sia qualcuno che apprezzi la storia e la fine che le sto dando.
Vi auguro buona lettura e vi chiedo scusa per eventuali errori che, sono sicura, ci saranno.
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo venticinque
~
Di esami e ricordi

 
 
 
Aveva sempre pensato che il tempo sarebbe sembrato interminabile in quei giorni prima della maturità. Ore passate china sui libri che avrebbero rallentato l’orologio fino a farle pensare che si fosse rotto, crisi isteriche quando all’ennesima lettura l’argomento di chimica proprio non le entrava in testa, messaggi infiniti con Daniele per sapere a che punto erano l’un l’altra.
Eppure, era volato.
Ci pensava in maniera vaga mentre si fumava una sigaretta appena fuori dalla biblioteca, luogo in cui si stava rifugiando come se fosse stata una scappata di casa – a casa Serena era così stressante chiedendole se stesse studiando che aveva preferito andare in un posto in cui nessuno avrebbe potuto disturbarla.
«Non vedo l’ora di finire ‘sta merda.»
O almeno quasi nessuno.
Amelia alzò gli occhi verso Daniele, appoggiato al muro e impegnato a farsi aria con il mazzo degli appunti di storia.
«Non dirlo a me. Se i prof ci ricordano ancora di ripassare un argomento mai tirato fuori in classe, giuro che do fuoco alla scuola.» rispose acida Amelia, ripensando la prof di inglese che tirava fuori ogni giorno nuovi testi mai visti, ma che lei affermava di aver fatto in aula e che quindi andavano studiati. Quella stronza era anche interna, a differenza di quella di francese che, purtroppo, sarebbe andata in qualche altra scuola per fare da esterna ad altri studenti.
Beati loro, pensò infastidita la mora.
Purtroppo per lei, però, il problema era un altro. Un altro prof che sarebbe stato interno, quando avrebbe tanto preferito non vederlo.
Alessandro.
Alessandro con cui non si era più sentita, Alessandro con cui a scuola a malapena si guardava, Alessandro che era ritornato a essere il suo professore, e basta.
Fu sufficiente quel pensiero a renderle gli occhi lucidi per un secondo, cosa che non sfuggì a Daniele che la fissò.
«Ehi, Ame…» la chiamò piano.
Amelia si costrinse a sorridere e a far passare quel fastidioso lucido negli occhi.
«Sto bene, deve essermi entrata della cenere nell’occhio, cavolo.» sminuì in fretta il momento, imponendosi di distrarre la mente in qualcosa di più felice.
Però era dura.
La sua testa finiva spesso a concentrarsi su di lui, finendo per analizzare tutti i momenti passati insieme, tutti i baci scambiati, da quelli a fior di labbra a quelli più passionali che si consumavano tra le lenzuola dell’ampio letto dell’uomo. Finiva per ripercorrere il giorno del suo compleanno, il momento in cui avevano ceduto alle emozioni e ai sentimenti. Ricordava i giorni successivi, passati in un totale sconvolgimento, un periodo in cui nulla riusciva a renderla triste.
E poi ritornava al presente, a quel grigio presente in cui si concedeva di guardarlo solo quando lui non avrebbe potuto accorgersene; fissava i suoi capelli scuri e pensava a quando aveva l’opportunità di toccarli e sentire il loro profumo mentre incatenava i propri occhi a quelli grigi di lui.
«Se vuoi parlarmene, sai che io ci sono.»
Fu distolta dai pensieri da Daniele che la osservava con attenzione; non rispose, finì l’ultimo tiro di sigaretta e la spense sul posacenere sbilenco presso il muro.
«Non c’è nulla di cui parlare.» fu rapida a tagliare corto, per poi avvicinarsi verso l’entrata «Dovremmo tornare a studiare.»
Non aspettò che il ragazzo la seguisse, sapeva che sarebbe stato dietro di lei. Entrò all’interno della biblioteca lasciando fuori il caldo, la sigaretta e il ricordo dolceamaro di Alessandro.
 
 
Il giorno della prima prova era arrivato.
Amelia era lì, in mezzo alla calca di studenti agitati – c’erano quelli che cercavano di smorzare la tensione chiacchierando, chi con una sigaretta, chi parlando al telefono con i genitori.
Lei era impegnata a fumare – in quegli ultimi mesi il vizio si era fatto più presente – e a scambiarsi messaggi con Nicole, dall’altra parte della città, nella propria scuola, che come lei attendeva di entrare per affrontare la prima prova.
Qualcuno mi porti via.”, fu il messaggio che inviò a Nicole.
La risposta non tardò ad arrivare.
Non credo di aver mai avuto così tanta ansia in vita mia.
Amelia sbuffò, spegnendo la sigaretta sotto il basso tacco dei sandali estivi.
Diede uno sguardo all’orologio – accessorio praticamente obbligatorio durante gli esami, luoghi in cui, purtroppo, il cellulare non poteva essere usato – si rese conto che mancavano ancora venti minuti e si maledisse mentalmente per essere arrivata così in anticipo. Purtroppo, però, la mattina si era svegliata ancor prima che la sveglia suonasse e non era riuscita a stare a letto per godersi gli ultimi attimi tranquilli.
Decise di andare a prendere un caffè – d’altronde, Daniele non era ancora arrivato e pensava sarebbe giunto insieme a Stefano, non avrebbe avuto senso rimanere ferma a farsi rodere il fegato dall’ansia.
Meglio farselo rodere dal caffè.
Il bar in cui si diresse era quello in cui tutti gli studenti andavano: esattamente dall’altro lato della strada, leggermente spostato verso sinistra, con alcuni tavolini fuori già occupati, motivo per il quale dovette entrare dentro.
Il bar in quel momento era discretamente affollato: tra alcuni studenti che avevano avuto la sua stessa idea e altri lavoratori che si accingevano ad andare in ufficio, ci mise qualche minuto prima di riuscire a ordinare il proprio caffè macchiato con due bustine di zucchero – solo due e non tre perché il latte rendeva leggermente più dolce di suo il caffè, ovviamente.
Venne totalmente assorbita da quell’attimo di tranquillità, l’ansia fu relegata in angolo mentre miscelava il caffè con il cucchiaino e perse lo sguardo tra la piccola folla all’interno del bar. Per questo motivo sobbalzò quando qualcuno per sbaglio le andò un poco addosso, facendo tremare anche la tazzina poggiata sul bancone.
«Mi scusi.» le scuse arrivarono presto, ma Amelia era più concentrata a fare appello a tutto il suo autocontrollo, perché ad andarle addosso era stato Alessandro.
L’uomo si accorse un istante più tardi di chi era la ragazza con cui si era parzialmente scontrato, e come la mora perse qualsiasi capacità di proferire parola.
Non fissarlo, idiota.
Se lo ripeteva, eppure non riusciva a spostare gli occhi scuri da quel viso leggermente arrossato dal caldo, i capelli neri lisci in ordine, la bocca un poco aperta da un primo stupore.
«Espresso ristretto, ecco a lei.»
La barista ruppe quell’imbarazzante momento e Amelia ne approfittò di corsa: beve il caffè tutto d’un fiato, rischiando quasi di ustionarsi la lingua, e prima che chiunque potesse fare qualcosa si precipitò fuori dal bar.
E tanti saluti alla nonchalance, pensò sarcastica, una volta fuori.
Che scema che era stata a reagire in quel modo.
Come al solito, mi sono confermata la stupida ragazzina che sono, pensò amara.
Si impose di non pensarci, ma era difficile. Poi vide che gli studenti nel cortile della scuola iniziavano a defluire verso l’interno dell’edificio scolastico, e capì che a breve sarebbe iniziata la prima prova.
Sospirò di sollievo, perché avrebbe preferito tutto pur di non pensare ancora ad Alessandro.
E dopo un messaggio di auguri a Nicole, che ripose prontamente, si decise a seguire la massa di studenti, notando tra la folla Daniele.
In bocca al lupo a me.
 
 
 
I minuti precedenti agli esami erano sempre fonti di interminabile ansia, riconosceva Amelia.
In quel momento però non si trovava in attesa che le dessero il foglio per iniziare la prima prova, e nemmeno il foglio della seconda – che si era rivelata francese, e di questo non poteva esserne più felice – bensì teneva la sua tesina stretta tra le mani, la carta lucida della copertina che mostrava parecchie ditate delle mani sudate, i capelli ricci tenuti stretti in una coda per darle sollievo a quella calura dei primi giorni di luglio.
E pensare che in quel periodo, solitamente, era già in spiaggia a godersi il sole e il mare.
Non vedo l’ora che questa tortura finisca, pensò tra sé, osservando la porta chiusa dell’aula in cui il compagno di classe precedente a lei stava discutendo l’orale – Davide, quello era il suo nome, aveva esplicitamente chiesto che tutti fossero fuori e lei non capiva il perché, ma alla fine non le importava davvero qualcosa dato che aveva già avuto tante occasioni di chiedere in giro come sarebbe stato.
Era la quarta della giornata, Daniele sarebbe stato il giorno dopo e in quel momento era a casa a studiare – le aveva detto che sarebbe andato senza problemi a sostenerla, ma lei aveva insistito che lui rimanesse a ripassare, mentre Nicole aveva l’esame quel giorno come lei, forse in quel momento aveva già finito.
Si avvicinò alla finestra dalla quale poteva vedere il cortile della scuola, in quel momento illuminato dal caldo sole estivo e privo di studenti, tutti piuttosto al riparo dell’ombra che offriva più freschezza.
Le pareva strano pensare che, dopo quel giorno, quel cortile sarebbe stato soltanto un ricordo della sua adolescenza a cui, chissà, avrebbe magari pensato con dolceamara malinconia.
Si lasciava accecare gli occhi dal sole di metà mattina mentre nella sua testa si creavano ipotesi sulla sua futura vita universitaria, leggermente spaventata all’idea ma comunque eccitata.
Solo un punto rimaneva in sospeso.
Un punto che, in quell’ultimo periodo, aveva imparato pian piano a mettere da parte ma che non poteva mai totalmente eliminare dalla propria testa.
Abbassò lo sguardo verso la propria tesina, il cui tema principale spiccava sulla copertina molto semplice, con poco più giù il sottotitolo.
Il proibito – Piacere e dolore, due facce di una medaglia.
Le venne spontaneo il sorrisetto ironico dopo che lesse il titolo da lei stessa scelto.
Che stupida, pensò.
Si era lasciata cogliere da un momento di debolezza quando aveva deciso il tema da portare all’orale, e nel momento in cui si era resa conto che forse sarebbe stato meglio cestinare quella stupida idea, era già troppo tardi per cambiare.
La coordinatrice di classe e le sue stupide scadenze, un altro prof non le avrebbe fatto così tante storie. Insomma, sarebbe stata comunque in grado di scriverla in tempo.
Sbuffò, pensando al momento in cui avrebbe voluto tanto mandarla a quel paese. Poi però aveva fatto un respiro profondo e pensato che, magari, insultare la coordinatrice di classe a pochi giorni dall’esame di maturità non sarebbe stata un’ottima idea.
Sapeva a memoria quel plico di fogli che rappresentava quell’esigua tesina – giusto una ventina di pagine, nulla di troppo esigente. L’aveva scritta lei, cercando con calma quelle informazioni tra internet e libri suggeriti dai professori, e quelle parole erano diventate anche sue in un modo che non aveva nemmeno senso rileggerla prima di entrare, avrebbe solo rischiato di confondersi le idee.
Diede una rapida occhiata all’orologio: altri cinque minuti o poco più e sarebbe stato il suo turno.
Improvvisamente il suo cuore prese a battere come un tamburo e si rese conto che il sudore che le incollava la camicia di lino al corpo non era dovuto solo al caldo infernale di luglio.
Si costrinse a respirare e a non prendersi il quinto caffè della giornata – sarebbe stato solo dannoso per il suo stomaco e il suo cuore già alle prese con la tachicardia – ma prima che potesse anche solo tentare di regolarizzare il respiro la porta dell’aula in cui venivano tenuti gli orali si spalancò con un suono secco, facendola saltare dallo spavento.
Si girò e vide Davide che usciva con una strana espressione di sollievo mista alla tensione che ancora non era sparita. Incrociarono gli sguardi e lui le sorrise, sembrò quasi volesse dirle “sta tranquilla, non è così orribile”, però non fu tanto di aiuto.
«Moretti, lei è la prossima, giusto?»
La prof di italiano l’apostrofò con aria stanca – di sicuro nemmeno per i professori tutto quello era un gran divertimento.
Annuì.
«Sì, prof.» la voce le uscì più bassa di quello che pensava, tutto dettato dalla tensione.
«Facciamo due minuti di pausa e poi iniziamo con te, sei l’ultima, no?»
Amelia si chiese perché facesse le domande a lei e non controllasse la lista del giorno, ma si limitò ad annuire in silenzio.
Si appoggiò al muro, lanciando sporadiche occhiate alla porta in quel momento spalancata dell’aula, e vide tutti i prof uscire per andare verso la macchinetta del caffè, in quello stesso corridoio.
Fu ancora peggio per la sua ansia, ma si costrinse a guardare fuori dalla finestra e a ripetersi mentalmente le parole con cui avrebbe iniziato a ripetere la tesina preparata.
È inutile.
Sì, era inutile, si rese conto, perché le sue orecchie finivano per orientarsi verso la conversazione dei professori peggio di un’antenna satellitare; si accorse con orrore che il suo corpo si era proteso verso la loro direzione e in fretta cercò di prendere una posa rilassata e disinteressata.
Non avrebbe mai voluto che Alessandro si accorgesse di come lei stesse origliando, perché ovviamente tra i docenti vi era anche lui, che sembrava totalmente a suo agio in quei corridoi, con i propri colleghi a bersi un caffè.
Per un attimo aveva pensato che quei due minuti di pausa caffè sarebbero volati, eppure dopo cinque minuti i professori erano ancora lì a chiacchierare amabilmente, mentre lei iniziava a sentirsi un po’ scema appoggiata al muro, in attesa, come se fosse stata una condannata a morte.
E poi, come sempre la sua fedele compagna sfortuna voleva, alzò gli occhi nella loro direzione nello stesso istante in cui Alessandro faceva lo stesso.
E fu come essere scottati da un ferro incandescente, come al solito, insomma.
Ma in quel momento fu diverso, o, almeno, per Alessandro lo fu: perché se usanza ormai voleva che volgessero lo sguardo altrove, nella palese recita in cui entrambi impersonavano due sconosciuti, in quel momento il moro le sorrise con dolcezza, con una rassicurante serenità che, come un ago appuntino, le sgonfiò il palloncino d’ansia che si era fermato tra il cuore e la gola.
«Moretti!»
Venne distratta dalla prof di italiano, colei che evidentemente aveva deciso che la pausa era durata fin troppo, e la bolla magica che in fretta costruiva si ruppe come al solito.
«Sì?» anche quella volta le parole furono troppo basse per essere davvero udite, ma la prof non si aspettava realmente una risposta.
«Venga dentro, è il suo turno.»
Ed ecco che la reale camminata verso il patibolo iniziava.
Tutti i professori, sia interni che esterni, la precedettero, tranne uno. Alessandro.
Il professore la attese vicino alla porta, aspettando che entrasse, e passare di fianco a lui fu quasi peggio in quel momento: il suo profumo la mise ancora più in agitazione, forse perché quel proibito di cui tanto parlava nel suo elaborato lo aveva lì accanto, intoccabile e per questo motivo ancora più tentatore.
Alessandro entrò subito dopo di lei, con fare galante, e chiuse la porta di istinto – anche volendo, non c’era davvero qualcuno che poteva entrare dentro dato che fuori, nel corridoio, erano tutti andati via appena terminato il proprio orale.
L’aula scelta era una di quelle più ampie dell’istituto, molto luminosa grazie alle numerose finestre che in quel momento erano spalancate in uno scarso tentativo di rinfrescare il luogo. I banchi erano stati disposti a ferro di cavallo, i vari professori erano seduti al proprio posto e al centro vi era il presidente di commissione – Amelia non si ricordava esattamente come si chiamasse, sapeva solo che proveniva da un liceo scientifico; l’uomo era sulla cinquantina e aveva un’aria piuttosto affabile che metteva in quale modo a proprio agio e la mora, riscontrando lo sguardo pacifico dei professori intorno a lei, in qualche modo si tranquillizzò. Di fronte a questo ferro di cavallo vi era una singola sedia verso la quale si diresse, per poi sedersi.
Fu quanto mai spontaneo per lei voltarsi verso Alessandro – era paradossale, ma l’aveva guardato più volte in quel giorno che nel resto dei mesi precedenti – e osservò l’uomo che si faceva distrattamente aria con un plico di fogli mentre dava un’occhiata al quaderno di fronte a sé.
E pensare che fino a non troppo tempo prima…
«Signorina Moretti, buongiorno.»
Fu richiamata in fretta dal presidente e si voltò così di scatto mentre sperava che nessuno avesse colto il suo sguardo.
«Buongiorno.» la sua voce suonò improvvisamente squillante, sempre dettata dall’emozione che in quel momento aveva scelto quel modo per manifestarsi.
«Allora, vuole dirci cos’ha portato come suo elaborato multidisciplinare?» chiese l’uomo, e il suo sorriso gentile rassicurò Amelia, che aveva l’opportunità di iniziare con la parte che sapeva meglio.
«Sì, ecco…» si zittì mentre cercava di aprire la tesina, ma la carta lucida le scivolò dalle mani appiccicose dal sudore e cadde a terra con un tonfo – finì per fare una smorfia imbarazzata e si chinò verso il pavimento per riprenderla.
Diede un colpo di tosse misto a un “scusate” imbarazzato, ma i docenti non le misero fretta e aspettarono pazienti che iniziasse il discorso.
«Allora, come tema per il mio elaborato» si dovette costringere a non dire “tesina” «ho deciso di analizzare il tema del proibito.» sottolineò la parola con il tono e non ebbe il coraggio di voltarsi verso Alessandro per osservare una sua reazione, ma fu sufficiente sentire il fruscio dei suoi movimenti che la posero più in agitazione.
Ma poi, le parole iniziarono a fluire.
«Il concetto del proibito è un concetto piuttosto vasto da analizzare, ho scelto questo tema prima di rendermi effettivamente conto di quanto io potessi divagare su di esso. Ci sono vari aspetti che possiamo esaminare: il proibito come il divieto, quindi legato ad una legge o una regola che deve venire rispettata e, per questo, è proibito violare. Questo, già da sé, ci porta al peccato originale di Adamo ed Eva, i primi che andarono contro a un divieto, in questo caso imposto da Dio, facendosi tentare dal Diavolo. Questo è un altro aspetto che ho voluto sottolineare, poiché la prima a scegliere di andare oltre il divieto, di effettuare l’atto proibito, è inizialmente Eva: essa è anche la prima donna creata e, come l’immaginario collettivo vuole, la donna stessa è quasi un simbolo del frutto proibito, anche a causa della sua sessualità.» si interruppe, sentendo improvvisamente la gola piuttosto secca ma decisa a non chiedere l’acqua.
Si permise giusto uno sguardo intorno a sé e vide i professori piuttosto interessati, chi più chi meno – non pretendeva che fossero particolarmente affascinati né dal tema scelto né dalla sua presentazione, ma sperava che fosse quantomeno più contenti della diversità della sua scelta rispetto a quella dei suoi compagni.
Fu però naturale dare un’occhiata al professore di matematica, e la reazione che vide non era tanto diversa da quella che si aspettava.
Alessandro era seduto mollemente sulla sedia, le braccia incrociate portate al petto, gli occhi imperscrutabili puntati su di lei, in attesa.
Si fece forza per non permettere che quello sguardo la distogliesse da ciò che doveva ancora dire e decise di fissare il presidente che attendeva il continuo del discorso.
«Il proibito si lega inevitabilmente anche al concetto di “amore proibito”, tema alquanto affascinante e che ripercorre più volte la letteratura: basti pensare a Romeo e Giulietta, storia che si basa totalmente sul divieto del loro amore. Ma questo è solo l’esempio più banale, anche le sorelle Brontë ci hanno fornito degli esempi in tal senso con Jane Eyre Cime tempestose, e proprio in quest’ultimo si analizza il lato più distruttivo di questo sentimento.»
Le parole fluivano sempre più facilmente e, man mano che i secondi passavano, il cuore rallentava il suo battito fino a calmarsi e il suo modo di parlare si faceva più sicuro.
Doveva solo sperare che sarebbe continuato così per il resto dell’esame.
 
 
 
«Sei sicura che i tuoi non tornino, vero?»
La domanda di Daniele risuonò per il giardino per l’ennesima volta in quella che era stata una scarsa mezzora e Amelia alzò gli occhi al cielo con fare infastidito.
«Sì, Dani. Non sono ancora così scema da organizzare una serata alcolica a casa mia sapendo che i miei potrebbero tornare da un momento all’altro.» rispose ironica e, forse, un po’ acida.
Alzò gli occhi e incrociò Nicole che la fissava con l’aria di chi pensava “ecco il solito deficiente”, ma Amelia la ammonì con lo sguardo e la castana assunse una finta aria angelica.
«Fra quanto arriva Stefano?» chiese all’amico – forse quello l’avrebbe distratto.
«Mi ha detto che è passato a prendere le altre cose da bere e poi arriva, dovrebbe essere qui tra venti minuti massimo.»
La mora si voltò verso Nicole.
«E Tommaso?»
«Sua madre lo ha placcato per una commissione, ma anche lui non tarda.» spiegò semplice la castana, seduta su una graziosa sedia da giardino e controllando delle inesistenti imperfezioni sulle unghie.
Amelia annuì sovrappensiero, poi si voltò verso il giardino per osservare il risultato ormai completo.
Il piccolo gazebo al centro del giardino era già illuminato nonostante ci fossero ancora le ultime luci del tramonto che rendevano visibile il tavolo posto al centro, già ricoperto di cibo e bibite in precedenza preparate con l’aiuto della mamma e di Nicole, più qualche saltuaria assistenza da parte di Daniele. Le casse per la musica erano vicino alla portafinestra che riconduceva all’interno, già collegate al computer e alla playlist selezionata per quella serata di festeggiamenti, e varie sedie erano disposte nell’erba.
Era carino, dopotutto.
Amelia sorrise soddisfatta, contenta di come le era uscita quella serata che aveva organizzato per pochi intimi: lei, Nicole con Tommaso e Daniele con Stefano – che erano usciti allo scoperto anche con l’altra coppia, che però sembrava aver intuito qualcosa già da un po’. Aveva invitato anche Anna e Sofia, ma entrambe erano partite per le vacanze appena dopo il proprio orale e in quel momento una si trovava a Praga e l’altra in Grecia.
Erano pochi, sì, lo riconosceva, ma là vi erano tutte le persone a cui voleva bene ed era felice di poter festeggiare la fine di quel percorso durato cinque anni con i suoi due migliori amici.
Sorrise divertita mentre osservava Nicole che lanciava l’ennesima frecciatina a Daniele, il quale sopportava con fare stoico, per poi tornare dentro e controllare se non si fosse dimenticata qualcosa.
La cucina l’aspettava nella penombra causata da quel sole di luglio che era quasi al crepuscolo; le luci basse illuminavano i pomelli dell’acqua del lavabo facendoli sembrare dorati e quel riflesso per un attimo l’accecò.
Fu come un flashback quello che la sua mente ricreò quando osservò i fornelli e la caffettiera poggiata su di essi – le sembrò come in un film, eppure quello era successo davvero: lei e Alessandro lì, in quella stessa stanza, tra l’odore del caffè e il freddo della situazione che aveva portato la ragazza a confessare del bacio in discoteca.
Pensandoci, quello era stato uno degli episodi che più si ricordava e che più le erano rimasti impressi – ancora non sapeva come aveva fatto a rivolgersi verso di lui in quel modo, soprattutto quando tra di loro non c’era assolutamente nulla e per lei era ancora solo il suo professore.
Le venne da sorridere, ma fu uno dei soliti sorrisi amari che la coglievano quando finiva per ripensare a lui e alle situazioni vissute insieme.
Si voltò e nella finestra vide il proprio riflesso: indossava un semplice vestitino estivo, leggero e con un doppio strato nella gonna di un tenue azzurro che la faceva sembrare avvolta dalla carta da zucchero di alcuni dolci che si vedono nelle vetrine di pasticcerie pregiate.
Chissà se questo vestito gli sarebbe piaciuto come gli altri? Chissà se gli avrei fatto venire in mente la prima volta che mi aveva vista in vestito? Chissà se…
Lo squillo del campanello la distolse da quell’incanto in cui era caduta a causa del riflesso della propria immagine.
Si concesse un sorriso sereno e andò ad aprire la porta.
 
La serata andava a gonfie vele.
Tutti avevano mangiato, tutti avevano bevuto, e in quel momento la musica soffusa – aveva paura che i vicini potessero lamentarsi con i genitori se avessero sentito qualcosa – avvolgeva ogni cosa, creando la situazione rilassata e piacevole.
L’alcol dentro il suo corpo la rendeva leggermente brilla e Amelia si godeva il momento poggiata su una poltroncina in giardino, la cicca che si stava praticamente fumando da sola e lo sguardo perso da qualche parte nel cielo buio. Purtroppo, l’inquinamento luminoso impediva di vedere le stelle, ma la luna era abbastanza brillante da rischiarare intorno a sé.
«Tesoro, tutto bene?»
La voce di Nicole la richiamò dalla bolla in cui era sospesa. Alzò lo sguardo e vide l’amica leggermente chinata su di lei, un bicchiere di plastica in mano in cui c’era il suo gin lemon fatto alla meglio – nessuno di loro sapeva effettivamente fare un drink decente, ognuno si era arrangiato come poteva.
Amelia le sorrise.
«Certo, Nicky. Perché?»
La ragazza la guardò un po’ indecisa, poi si allungò per prendere una sedia lì vicino e si sedette.
«Mah, niente di ché. Mi sembravi silenziosa, mi chiedevo se magari stessi facendo brutti pensieri.» spiegò semplicemente.
Amelia scosse la testa.
«Tranquilla, non sto pensando a niente. Mi godevo solo il momento.»
Nicole annuì, per poi rimanere in silenzio.
Fu così per qualche attimo, prima che Amelia riprendesse il discorso.
«È così strano pensare come tutto sia finito.»
Lo disse a bassa voce, per poi prendere a fissare il proprio bicchiere mezzo vuoto in cui c’era lo stesso contenuto di quello della sua amica. La fettina di limone era sospesa nel liquido e pensò che forse era il momento di aggiungere un po’ di gin.
«Parli della scuola o di Alessandro?»
La domanda la colse un attimo di sorpresa, perché in quel momento non aveva pensato minimamente al prof.
«Parlavo della scuola, a dire il vero.» disse con una mezza risata, e l’amica le sorrise di ricambio.
«Beh, meglio così.» tacque un attimo «Comunque, è normale che sia strano, penso. Anche per me è così, non mi sembra reale che sia finito tutto, eppure non entrerò più in quelle aule, sperando che manchi qualche prof, odiando la fila alle macchinette, i ragazzini del primo anno che pensano di essere ancora alle medie… E invece d’ora in avanti niente più liceo, niente più verifiche a sorpresa, interrogazioni che ti faranno odiare il prof per quell’odioso “impreparato”…»
«Come se ne avessi mai preso qualcuno.» la interruppe Amelia guardandola di sottecchi. Nicole alzò gli occhi al cielo e fece finta di non sentirla.
«Beh, in ogni caso sarà strano. Però sono sicura che l’università sarà ancora più entusiasmante. È finita un’epoca, certo, però ne inizierà una anche migliore.»
Amelia la osservò con serietà.
«Cavolo, che bel discorso.»
«Scema, non prendermi in giro.»
«Beh, però è stato molto intenso…»
«Vuoi che ti versi il bicchiere in testa?»
«Di ché parlate voi due?»
La voce di Daniele le richiamò all’ordine.
«Di come la fine della scuola segni la fine di un’epoca che verrà seguita da una anche migliore.» spiegò serafica Amelia – e questa volta si guadagnò lo scappellotto di Nicole, che la fissò in malo modo.
«Tommaso e Stefano?» chiese la mora, dopo aver fatto una linguaccia all’amica.
Daniele fece un cenno verso gli altri due ragazzi.
«Sono presi in discorsi sul basket, mi stavo leggermente annoiando.»
E in effetti i due ragazzi sembravano parecchio presi dalla propria conversazione, o forse erano semplicemente parecchio brilli.
«Ma tu non facevi basket?» lo prese in giro Nicole – per quella serata sembrava avesse deposto l’ascia di guerra, ma Amelia stava sempre sull’attenti.
«Sì, beh, ho notato che non fa proprio per me come sport.»
Amelia perse il filo del discorso dei due ragazzi, e la sua mente si concentrò su Stefano, su come la cotta stratosferica che aveva per il ragazzo fosse completamente sparita, puff, diventata niente di niente.
Magari potesse essere così anche con qualcun altro…
«Lo riconosco quello sguardo! Stai pensando ad Alessandro!»
Nicole la riprese subito e per un attimo Amelia si chiese se la sua amica leggesse nel pensiero.
«È così ovvio?» disse solo, non tentando nemmeno di negare la cosa.
Nicole si volse verso Daniele e il ragazzo ricambiò lo sguardo.
«Sì, Amelia, è parecchio ovvio.» rispose il riccio per entrambi.
Amelia sospirò.
«Mi dispiace, ragazzi, per quanto mi sforzi di distrarmi ogni tanto finisco per pensarci. Per ricordare a quando stavamo insieme, di tutti i sotterfugi per non farci beccare, di tutta l’ansia che avevo pensando di essere una stupida illusa a considerare l’idea che magari gli piacessi anche io…» la voce le sfumò piano mentre ricordava le sensazioni che aveva provato in quel periodo.
Vicino a lei, Nicole e Daniele tacquero. La ragazza tirò un secondo sospiro e poi fece un lieve sorriso.
«Lasciate stare, ragazzi, sono solo le pene d’amore di una stupida ragazzina.»
I due ragazzi la guardarono male contemporaneamente.
«Non dire stupidaggini, Ame. È normale fare questi pensieri, non so se ti ricordi di me mentre ero in crisi per Tommaso.» intervenne Nicole, alzando gli occhi al cielo al solo pensiero di quel periodo.
Amelia fece una risata che però morì poco dopo.
«Ricordo, ricordo. E ricordo anche quella serata che Tommaso mi aveva pregato di organizzare per cercare di riconquistarti, finendo per tirarmi dentro in quella situazione assurda.» 
Mentre ripercorreva quei ricordi nella sua mente, di nuovo altre immagini scorsero dentro la sua testa: lei che finiva per fare una passeggiata solitaria, girando tra le strade fino a quando Alessandro non le si stagliò davanti.,
Ricordava ancora come si era sentita quando i suoi occhi chiari l’avevano fissata, e si ricordava bene anche il moto di coraggio che in qualche modo le era cresciuto da dentro e che l’avevano spinta a invitarlo per bere qualcosa insieme. Si era sentita così stupida, dopo pochi minuti. Eppure, lui non aveva rifiutato la sua proposta, ma l’aveva accettata – seppure con delle riserve, se lo ricordava.
Il bacio alla fine di quella serata, poi, era stato forse la cosa migliore e peggiore della serata.
«Ragazzi, grazie per sopportarmi. Ma non posso fare altro che rassegnarmi e dimenticarlo.» commentò infine, la voce leggermente più bassa che spinse Daniele ad avvicinarsi per sentire meglio.
«Inoltre, sono solo una ragazzina. Lui è un uomo adulto, si sarà già dimenticato di me, magari adesso sarà a divertirsi con i suoi amici o qualche donna più matura di me e sicuramente più affascinante.»
Nicole fu veloce a tirarle uno scappellotto secco, il cui suono schioccò nell’aria notturna.
«Ahi!»
«Tu non dire stronzate e io non ti colpirò di nuovo.» rispose serafica la castana, per poi fare un dolce sorriso.
«Va bene, va bene…»
Però lo so, lui non starà mai pensando minimamente a me in questo momento…
 
 
Finalmente era arrivato. Il 27 di luglio.
Amelia era in fila insieme a Nicole e tutti gli altri passeggeri pronti ad imbarcarsi in quell’aereo diretto a Dublino, il bagaglio a mano stretto a sé – inconfondibile con quel tono azzurro pastello e i fiori bianchi – e il cellulare in cui lo schermo mostrava il biglietto telematico che segnava il suo nome, l’ora del volo e tutte le informazioni necessarie.
Si sentiva calma, il suo cuore era rilassato, ma dentro di sé allo stesso tempo sentiva la frenesia e l’eccitazione per quel viaggio di maturità che aveva atteso per tanto tempo.
Nicole, di fianco a lei, parlava concitata con Tommaso al telefono negli ultimi saluti prima di dover selezionare la modalità aereo, e la ragazza aveva così tutto il tempo per immergersi nei propri pensieri.
Sarebbero stati sette giorni di libertà e divertimento, lontano dai genitori e dalle responsabilità che l’avrebbero attesa a settembre, quando l’immatricolazione per l’università e il trasferimento le avrebbero portato via tanto tempo e ansia.
Ma in quel momento, mentre arrivava il suo turno e Nicole chiudeva rapidamente la chiamata, i suoi pensieri corsero a qualcos’altro.
Auguri di buon compleanno, Alessandro.
  
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