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Autore: Lady I H V E Byron    17/03/2020    1 recensioni
"Shredder, Stockman, Hun, i Dragoni Purpurei, gli Utron, i Triceraton, Savanti Romero, Karai, Bishop, Sh'Okanabo, Viral, Khan… tutti nomi che ormai appartenevano al passato."
Sono passati quattro anni dalla battaglia finale contro lo Shredder virtuale, ma non è ancora finita, per le Tartarughe Ninja. Presto si troveranno coinvolti in una nuova avventura, che riguarderà una coppa di fattura umile, Cavalieri Templari, Dimensioni Mistiche, visioni di un passato lontano, un nuovo nemico e un nuovo alleato.
Quale destino attende le Tartarughe Ninja?
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Nuovo personaggio, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Note dell'autrice: ok, lo ammetto, con una parte di questo capitolo voglio esporre la mia opinione su certi argomenti. E un piccolo omaggio a una storia (non fanfiction) di una persona per me importante. Ma qui si noteranno comunque elementi cruenti. Io vi ho avvertiti. 
Un altro capitolo che desideravo scrivere è fatto! XD
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Arnie non riusciva mai a dormire senza che sua madre o suo padre gli raccontasse la favola della buonanotte. E non le fiabe dei Grimm o di Andersen.
-…e così, con un colpo di spada, Leo eliminò per sempre il suo acerrimo nemico. Fine.-
Le storie preferite di Arnie, infatti, erano le avventure dei suoi zii rettili. Amava quelle storie. Sperava sempre di poterne farne parte, un giorno. Il suo desiderio, aveva rivelato, era essere come loro, da grande. O almeno essere forte come suo padre e coraggioso come sua madre.
-Mamma…- disse, con la sua vocina dolce –Quando torniamo dagli zii?-
April, nel frattempo, gli stava rimboccando le coperte. Era in camicia da notte e i brillanti capelli rossi erano raccolti dietro.
 -Presto, tesoro.- disse, con voce rassicurante –Sai, io non posso muovermi molto, papà deve lavorare, e di certo loro non possono venire da noi molto spesso.-
Arnie fece un’espressione triste. Osservava la madre con tenerezza, con gli occhi di un cucciolo.
-Quando sarò grande voglio sposarmi con Eli.-
Erano passati due giorni dall’incontro tra la famiglia Jones e la templare. Arnie si era innamorato di Elisabetta a prima vista. Non aveva fatto altro che osservarla con i suoi occhi color giada.
April rimase sorpresa.
-Cielo, tesoro.- commentò, ridendo e tornando a sedere –E’ un po’ troppo presto per dirlo. Sei ancora troppo piccolo e lei è grande.-
-Lo so, ma è bella come te. E io da grande voglio sposarmi con una bambina bella come te.-
Lei arrossì.
-Ah, tesoro…- gli diede un bacio sulla fronte –C’è ancora tempo per quello. Ora pensa a dormire. Magari la sognerai, la ragazza dei tuoi sogni.-
-E diventerò abbastanza forte per proteggerla da tutti i cattivoni, come papà.-
-Magari anche più di papà. Non vuoi dare la buonanotte anche al tuo fratellino o sorellina?-
Arnie si mise in ginocchio sul letto, rovinando il lavoro di April nel rimboccargli le coperte, e poggiò le manine sul pancione. E gli diede anche un bacino.
-Buonanotte, piccolino. O piccolina.- salutò.
Dal primo momento in cui i suoi genitori gli avevano rivelato che sarebbe diventato fratello maggiore, aggiungendo che avrebbe avuto qualcuno con cui giocare, Arnie non vedeva l’ora che nascesse.
-Mamma, secondo te sarà un bambino o una bambina?-
-Non lo so, tesoro. Tu cosa vorresti?-
-Tutti e due mi vanno bene. Se sarà una bambina, la proteggerò da tutti. Se sarà un bambino, mi allenerò con lui per diventare un supereroe, come gli zii.-
-Ehi, perché, non puoi allenarti con una sorellina?- fece chiarire April, offesa e divertita nello stesso momento -Guarda che sono sempre stata io a tirare tuo padre fuori dai guai!-
Risero entrambi, perché era vero.
-Ora vedi di dormire. Domani devi andare all’asilo.-
-Buonanotte, mamma.-
-Buonanotte, tesoro.-
Gli diede un altro bacio sulla fronte, spense la luce e uscì dalla cameretta.
Il cielo, fuori dalla finestra, era coperto dalle nuvole, ma non aveva minacciato pioggia.
April procedeva lentamente verso la sua camera da letto. Nonostante le ciabatte, sentiva dolore ai piedi, a causa del gonfiore dovuto alla gravidanza.
Mise le mani sul pancione.
-Ok, tesoro…- disse, rivolta al nascituro –Stanotte fammi dormire, ti prego. Non ricominciare con i calci.-
Spense la luce del salotto, per entrare nella sua stanza.
Poi, un rumore. Proveniente dal negozio.
April sobbalzò.
-Chi c’è?!- esclamò.
Magari era un oggetto caduto, pensò. Se così fosse stato, era meglio recuperarlo e rimetterlo a posto.
Ma per tornare in negozio, doveva scendere le scale a chiocciola. Da quando era incinta, quelle scale erano una tortura, per lei. Ma il condominio non disponeva di un ascensore.
Dovette scendere da sola, lentamente, reggendosi alla ringhiera.
Il negozio era poco illuminato, se non dai deboli raggi lunari che filtravano dalle nuvole.
Dovette accendere la luce, per vedere il probabile oggetto caduto.
Era tutto a posto. Ogni pezzo stava dove doveva stare, al muro, dentro la teca…
Tutto normale.
April sospirò.
-Ah… devo essermelo immaginato.- disse, per consolarsi –La gravidanza mi fa brutti effetti. Ora ho anche le allucinazioni.-
Spense la luce e si diresse nuovamente verso la scala a chiocciola.
Ma nel buio si mosse una figura alta e robusta, che immobilizzò la donna al muro.
Lei urlò, ma la figura le coprì la bocca con una mano, facendole il verso del silenzio.
-Tranquilla, dolcezza.- era una voce femminile -Se farai la brava, non ti verrà torto un capello.-
April era immobile, paralizzata, terrorizzata. Se non fosse stata incinta, si sarebbe liberata all’istante da quella presa e avrebbe atterrato la sua assalitrice.
-Mamma!-
Arnie era sceso giù dalle scale, ancora nel suo pigiamino, allarmato dall’urlo della madre. Riconobbe la sua sagoma, nel buio, insieme ad un’altra che, fisicamente, era simile a quella del padre. Ma non era il padre. Che motivo avrebbe avuto suo padre per aggredire sua madre?
Osservava terrorizzato la seconda figura. Poi scattò sulle scale, per tornare nell’appartamento.
-Prendi il moccioso.- disse la donna misteriosa, ad un’altra figura che riuscì a prendere il bambino per la collottola e sollevarlo da terra; nonostante le proteste ed i tentativi di liberazione, Arnie non riuscì a liberarsi -Ora noi quattro andiamo a fare un giretto.-

Nelle fogne, intanto, Raffaello, come al solito, si dedicava al suo allenamento con il sacco da boxe, mentre Michelangelo si guardava un film, ruminando pop corn. Di norma, Donatello sarebbe dovuto rimanere in laboratorio, ad analizzare ancora il trofeo del Nexus, e Leonardo dedicarsi alla sua meditazione. Ma si erano presi un altro impegno.
-No, ragazzi! No!-
Erano seduti l’uno accanto all’altro sul tavolo della sala, con un libro aperto di fronte.
Elisabetta stava dall’altra parte, stringendosi i capelli castano chiaro.
Sospirò, intrecciando le dita.
-Ok, riprovate di nuovo.-
Entrambe le tartarughe osservarono il libro con aria confusa.
-Ehm, rosa, rosae, rosae…- recitò Leonardo, incerto –Ros… ehm… quale era…? Rosa?-
-No! Rosam!- corresse la ragazza –L’accusativo singolare finisce sempre con “m”!-
-Certo. Me lo dimentico sempre.-
Elisabetta sospirò di nuovo.
-Don, dimmi il plurale.-
Donatello girò più volte gli occhi, come se stesse cercando qualcosa.
-Ok. Ehm… Rosae…? Ros… Rosis?-
-Rosarum!-
-Sì! Rosarum! Ehm… rosis? Rosae?-
-Ok, ok, ragazzi. Per oggi basta così.-
Il libro venne chiuso. Elisabetta stava per gettare la spugna.
-Scusaci, Eli.- si scusò Leonardo, imbarazzato –Non è colpa tua. Tu sei una brava insegnante. E’ solo che… ecco… il latino è così complicato...-
-Ragazzi, molte parole inglesi derivano o sono state riprese dal latino.- chiarì lei, strofinandosi la faccia con le mani –Questa non è una scusa plausibile. E poi come farete, quando vi insegnerò il resto delle declinazioni o i verbi?-
-Noi ci stiamo impegnando, davvero.- aggiunse Donatello –Ma è complicato da imparare a memoria.-
Raffaello interruppe il suo allenamento con i pesi.
-Sul serio, ragazzi?- commentò, con tono derisorio –Volete davvero impegnarvi per imparare una lingua morta?-
-Non solo. Anche l’italiano.- puntualizzò Dontatello. Quel giorno era stato dedicato allo studio delle lingue, per le due tartarughe. Almeno con l’italiano avevano ottenuto buoni risultati, anche con frasi basilari.
-Raph, non si muore per un po’ di cultura in più.- fece notare Leonardo, alzandosi.
-E non farebbe male nemmeno a te, figliolo.- aggiunse Splinter; anche lui aveva preso parte alla lezione di latino –O a te, Michelangelo.-
-Come?- domandò questi, mettendo la sua testa su una spalla. Era così preso dal film da non aver ascoltato una parola del dialogo appena tenuto.
Splinter sospirò.
-Ah, lasciamo perdere.-
-Io… beh, se nessuno ha nulla in contrario, torno nel mio laboratorio.-
-E io a meditare.-
Erano rimasti solo Splinter ed Elisabetta, al tavolo.
Lei appariva delusa e mortificata.
-Devo trovare un modo per far loro imparare a memoria la prima declinazione…- mormorò, guardando il vuoto –E’ impensabile che ancora non riescano a distinguere il genitivo dall’accusativo o dal dativo… Cosa ho sbagliato?-
Splinter le mise una mano dietro la schiena.
-Non abbatterti, figliola.- la rincuorò, con tono gentile –Insegnare è un’arte difficile, che richiede tempo, pratica e pazienza. Quindi non essere triste se non hanno ancora ottenuto i risultati che speravi. Pensa che io ancora sto cercando un modo per insegnare la disciplina e le buone maniere a Michelangelo e Raffaello…-
Entrambi ridacchiarono; Elisabetta era lì da pochi giorni, ma era già perfettamente a conoscenza su cosa intendesse Splinter.
Il Tarta-Cellulare di Donatello suonò: sul display c’era scritto “April”.
-Pronto, April?-
Ma non era la voce di April che sentì.
-Passami il templare.- udì. Era una voce femminile. Fredda. Minacciosa. Un inglese con un accento particolare. Europeo. Ma non musicale ed incerto come l’italiano di Elisabetta. Era duro. Era probabile che fosse dei paesi nordici.
Non sapeva perché, ma provò un senso di inquietudine, e la pelle cominciò a mostrare gli stessi segni di quando era a contatto con l’aria fredda.
-Eli…- chiamò, pallido in volto; le porse il telefono –E’ per te.-
Elisabetta era confusa: chi mai la voleva, a quell’ora? Specie dal telefono di un altro.
Lo portò all’orecchio, sospetta.
-Pronto?- rispose; quattro anni come uomo le avevano fatto abbassare la voce di circa un’ottava, abbastanza da essere leggermente maschile.
-Salute, fratello Eliseo…-
Negli occhi della ragazza si lessero rabbia ed allarme insieme. Conosceva quella voce. Le stava parlando in italiano, con accento nordico.
-Walhalla…!- imprecò.
Stava cominciando a stringere il Tarta-Cellulare.
Allarmati dal suo tono e dalla sua espressione, le Tartarughe e Splinter si avvicinarono alla templare, quasi stringendosi a cerchio.
Non sapevano perché, ma ebbero l’impressione ed il timore che April fosse in pericolo. Lei non perdeva mai il Tarta-Cellulare. E non lasciava mai che altre persone lo utilizzassero.
Quei timori si rivelarono fondati.
-L’amichetta dei tuoi nuovi amici e il mocciosetto sono nelle nostre mani.- spiegò la donna, dall’altra parte del telefono, schietta, fredda, sadica; la ragazza era sempre più furiosa; l’anello era al suo dito e la croce si stava illuminando –Tranquillo, puoi dire ai rettili che stanno bene e che non abbiamo torto loro nemmeno un capello. Per ora. Tutto dipende da te.-
-Che cosa vuoi?-
-Non ho dimenticato il giorno in cui mi hai umiliata, templare. Voglio la rivincita. Stasera stessa. Armi e armatura. Uno scontro all’ultimo sangue. Se osi mancare all’appuntamento, loro due moriranno. Se chiami i tuoi amici, loro due moriranno. Se avverti il marito sbirro di lei, loro due moriranno. E non ti conviene usare i tuoi trucchetti da templare con me o per loro sarà la fine.-
La rabbia cresceva sempre più nel cuore della templare.
-Come potresti?! Sono una donna incinta e un bambino piccolo!-
-Appunto. Una ragione in più per non mancare all’appuntamento. E voi templari siete così caritatevoli con i più deboli. Senza ignorare che i tuoi amici rettili tengono molto a loro. Non vorrai deluderli, spero. Quindi non ti conviene fare scherzi. A mezzanotte, nel luogo che invierò a questo telefono. Non mancare. Tschau!-
La conversazione terminò. Ma non la rabbia di Elisabetta. La presa sul Tarta-Cellulare era sempre più forte. Mancava poco che lo rompesse.
-FIGLIA DEL DEMONIO!- esclamò; avrebbe lanciato il Tarta-Cellulare per terra, ma, per fortuna, Donatello lo recuperò in tempo, prima di vederlo in mille pezzi.
Ma non era per il Tarta-Cellulare che le Tartarughe e Splinter erano preoccupati. Elisabetta stava girando per il rifugio, sbattendo pugni e testa contro i muri.
-Pagana! Pagana! Pagana!- imprecava, ad ogni colpo.
Solo Leonardo ebbe il coraggio di avvicinarsi a lei, mettendole una mano sulla schiena.
-Eli, calmati!- la invitò, con voce ferma -Che succede? Chi era al telefono?-
Lei si fermò, chiudendo gli occhi, come per riprendere la calma. Poi, gli occhi scuri fissarono dritti quelli azzurri del rettile. Ma la rabbia non era svanita.
-April e Arnie sono stati rapiti!- annunciò, dirigendosi verso la valigia dove teneva la sua armatura.
Furono tutti scioccati.
-Cosa?!- imprecò Donatello.
-E da chi?- domandò Leonardo.
-Dalle Valchirie.-

Dopo quattro ore, il Tarta-Corazzato girava per le strade di New York. Al suo interno regnava il silenzio. Nessuno sapeva cosa dire. Erano tutti seduti. Donatello era alla guida. L’unico rumore era il dito di metallo di Elisabetta, che continuava a tamburellare sul ginocchio.
La sua cena era stata a base di carne e vino, come un cavaliere medievale. E, senza farsi aiutare, si era messa l’armatura templare, con la casacca crociata. L’elmo poggiava accanto ai suoi piedi: si era messa solo l’infula e la cotta di maglia, sulla testa. Hesperia era nel fodero ed Hellas legato alla schiena.
Prima di bardarsi, però, aveva avvertito David. Si era messa sotto la sua croce e aveva strofinato il dito sulla croce dell’anello.
-David, cattive notizie!- aveva detto, appena entrata nella dimensione mistica, dimenticando persino di salutare –Le Valchirie sono a New York!-
La notizia stupì il Gran Maestro.
-Prima i saraceni… ora anche quelle pagane…- sibilò, in posa riflessiva.
-Hanno rapito due amici delle Tartarughe e Walhalla mi ha lanciato una sfida per la loro vita.-
-Dove vi incontrerete?-
-In un vecchio stadio, vicino alla zona industriale.-
-Ottimo. Raduno gli altri e veniamo il prima possibile. Quelle isteriche verranno finalmente eliminate.-
-No! Ha minacciato di ucciderli, se venite anche voi. Lo stesso se avverto il marito di lei. E’ me che vuole. Vuole la rivincita per l’ultima volta che ci siamo affrontate.-
-Va bene, Elisabetta. Mi fido delle tue capacità. Puoi tenerle testa, ma è ovvio che non puoi andare là da sola.-
-Le Tartarughe Ninja verranno con me. Dopotutto, sono loro amici.-
-Ottimo. Forse questa situazione ti porterà in una posizione di vantaggio. Se salvi la loro amica, loro si fideranno ancor più di te. Attendo il tuo rapporto a seguito dell’incontro.-
-Non ti deluderò.-
Non poteva deluderlo. Non poteva deludere se stessa. Era nervosa, ma non per l’agitazione. Il vino e la carne aiutavano a dimenticare l’ansia e i dubbi: durante una battaglia non doveva avere ripensamenti o dubbi. Solo pura adrenalina e voglia di massacrare i nemici.
E si era ugualmente messa l’anello. Questo inquietò le Tartarughe: non volevano dire niente che la facesse infuriare ancora di più ed attivare il suo potere.
Persino a cena, lei stava praticamente divorando la sua bistecca nello stesso modo in cui un predatore divorava la preda appena uccisa. Era davvero spaventosa. Non avevano detto una parola, sulla telefonata, su chi fossero le Valchirie, niente.
Ma non potevano rimanere in silenzio a lungo. Avevano bisogno di qualche informazione in più su chi Elisabetta stava per affrontare, almeno una base su cui stillare un piano.
Erano a malapena riusciti a convincere la ragazza a portarli con lei nel luogo dell’incontro: dopotutto, April era loro amica, la loro sorella maggiore. E, inoltre, Elisabetta non poteva andare allo stadio a piedi.
-Dunque, ci stavi parlando delle Valchirie.- iniziò Donatello, con tono quasi tremante ed incerto, timoroso della reazione della templare -Non sono quelle citate nel Nibelungo, quelle che accompagnavano gli spiriti dei morti nel Walhalla?-
La risposta non si fece attendere: il tono era nervoso, ma non furioso.
-Queste non hanno nulla a che vedere con quelle Valchirie.- spiegò, senza distogliere lo sguardo dal finestrino; sembrava scocciata; non amava parlare delle Valchirie; in più parlava con uno strano tono, da ubriaca, per effetto del vino –Usano questo titolo solo per convenienza, una scusa per la loro cosiddetta “forza femminile”. Queste sono l’ultima frontiera del femminismo, che, per quanto a idiozia, superano tutte le altre. Delle isteriche che da semplici manifestazioni a favore dei diritti delle donne sono passate a imporre con la forza l’egemonia femminista, con quei ridicoli costumi da Valchirie. E’ una vera offesa alle vere Valchirie, e ve lo dice una che è contraria ad ogni forma di culto politeista. Immagino che “Amazzoni” non suonasse molto minaccioso, per loro. Ma come per le Amazzoni, gli uomini sono a malapena oggetti di piacere o semplici parassiti per procreare. Ma, considerando le loro tendenze, non ci credono nemmeno tanto.-
-Cosa intendi dire?- domandò Leonardo.
-Che il loro disprezzo verso il genere maschile è tale da preferire la compagnia di altre donne. In poche parole, sono tutte gay.-
Tale rivelazione stupì, senza sconvolgere, le Tartarughe.
-Ok… questo è un po’ inquietante…- commentò Michelangelo, diventando tutto rosso.
-E la tipa al telefono…- riprese Donatello –Chi era? E cosa voleva? Credi che faranno del male ad April?-
-April è una donna.- rispose Elisabetta, all’ultima domanda –Non mi preoccuperei per il suo stato. Mi preoccuperei, piuttosto, se non la indottrinassero.-
-Indottrinare?-
-Sì, quando vanno in giro adescano donne di ogni età e le costringono ad entrare nel loro gruppo di isteriche contro la loro volontà, per manifestare liberamente il loro pensiero. Anche se per loro, il concetto di “libertà” ha un altro significato di quello che vediamo nel dizionario…-
-Quindi è per questo che la donna che ha chiamato ti vuole sfidare? Perché non ti sei unita a loro?- domandò Leonardo.
-No, perché l’ho sconfitta e umiliata  in un torneo di un anno fa, un torneo che noi Templari organizziamo contro il resto delle discipline. La mia avversaria si era presentata con il nome di Walhalla, con il potere simile al mio, per questo la più forte delle Valchirie. O forse no. Le ho lasciato una bella cicatrice sulla pancia e da allora ha giurato di vendicarsi di quella umiliazione. Ah, e mi ha chiamato “templare maschilista”, “mostro”, “violento” e poi cos’altro…? Ah, sì! “Il vostro ordine non ammette donne perché avete paura di essere scavalcati e non volete ammettere che siamo superiori a voi!”.-
Un piccolo particolare fece riflettere i quattro rettili.
-Ma tu sei una donna.- fece notare Leonardo.
-Sì, ma questo non lo sanno.-
Lo sguardo da furba di Elisabetta fece quasi ridacchiare il resto dei presenti.
-Ottimo, siamo arrivati.- annunciò Donatello, frenando il Tarta-Corazzato.
Erano di fronte ad un vecchio stadio. La zona era dimessa, quasi in rovina. Era la zona industriale. Ricordava il luogo dove le Tartarughe avevano visto e affrontato il “mostro” con i topi, anni fa.
-Ragazzi, forse è meglio se non vi fate vedere.- avvertì la templare, avvicinandosi al posto guida, accanto a Donatello –Brigitte ha minacciato di uccidere April se mi vede con altre persone. O se uso i miei poteri.-
-Ma noi non siamo persone.- precisò Michelangelo, con aria furba, ricevendo, in seguito, scapaccioni da parte di Raffaello e Donatello.
-Non preoccuparti.- assicurò Leonardo –Siamo ninja, dopotutto. Tu pensa ad affrontare quella pazza, noi salveremo April.-
-Vedi di non farti sconfiggere.- aggiunse Raffaello, con tono strafottente, come al solito –O ti darò il tormento per una settimana.-
-Tu provaci e basta…- minacciò la templare, osservandolo minatoria. Mancava poco che il suo anello si illuminasse.
Leonardo si mise in mezzo.
-Ragazzi, non sprechiamo le energie. Quindi, ecco cosa faremo. Mentre Elisabetta affronta Walhalla, noi ci introduciamo furtivamente nello stadio e salviamo April. Ora statemi a sentire…-
-Io sono pronta.- disse Elisabetta, indossando l’elmo da templare.
Avevano tutti tenuto in conto che ci sarebbero state delle Valchirie appostate in alto all’edificio, per assicurarsi che la templare non imbrogliasse, ovvero portasse degli alleati di nascosto.
Ma la videro uscire da sola dallo strano veicolo che si era fermato di fronte allo stadio, e dal lato del guidatore.
-Il templare è arrivato.- avvertì una donna, in un walkie-talkie.
All’interno, precisamente in uno degli spogliatoi, una donna rispose all’avvertenza.
-Ottimo. Mi preparo subito.-
Erano in cinque. La donna che aveva parlato era alta circa due metri, fisico muscoloso e robusto, ventre piatto, corti capelli biondi, volto quadrato con mascelle sporgenti che incuteva timore. Indossava un completo di metallo consistente solo in un reggiseno, paraavambracci, parastinchi e cintura con una pezzuola di cuoio per coprire le parti intime. Altre due donne erano vestite come lei, una dalla vaporosa chioma bruna, come la carnagione e l’altra bionda con i capelli lunghi. Le due donne brandivano delle lance, puntate verso una donna incinta dai capelli rossi ed un bambino di tre anni.
-Tranquilla, dolcezza.- rassicurò il donnone –Se farai la brava, ti tratteremo bene. E se il templare  vincerà, sarai libera. Ma se perderà, sarai nostra per sempre. Sei sicura di non voler accettare la nostra offerta?-
-Assolutamente!- ribatté April, con le labbra serrate; Arnie era stretto a lei, che piangeva sulla sua spalla –Non siete delle guerriere! Siete solo delle isteriche presuntuose che credono di essere delle dee!-
L’altra soffiò dal naso, offesa.
-Peccato. Sei anche carina. Se avessi accettato, ti avremmo riservato un bel trattamento. Ti abbiamo solo chiesto di liberarti del moccioso e dell’immonda creatura che porti al grembo, creazioni da parte di un uomo. Quindi decidi ugualmente di restare al fianco di un uomo che ti sottometterà e rendere il tuo corpo una mera macchina di procreazione…?-
-Sì, perché sono orgogliosa di dare nuova vita, al nostro mondo! E io amo mio marito! E voi dovreste solo vergognarvi!-
Le tre donne si misero a ridere.
-Voi come credete di essere venute al mondo? Le vostre madri hanno avuto bisogno di uomini, per mettervi al mondo!-
-Sì, in un modo umiliante e disgustoso.- tagliò corto il donnone, dandole le spalle –Ma non temere. Avrai tutto il tempo del mondo per apprezzare il nostro modo di vivere, quando sconfiggerò ed evirerò fratello Eliseo…-
April sapeva che “Eliseo” era il nome maschile fasullo di Elisabetta, quando era entrata nei templari. E Arnie sentiva solo i suoi pianti; non ascoltò l’intera conversazione.
Entrambi rimasero soli con le due “guardiane”.
“Forza, Elisabetta!” pensò April, chiudendo gli occhi.
C’era un solo corridoio che conduceva allo stadio. Elisabetta si trovò in un campo lungo circa 100 metri. Il manto erboso era stato tolto successivamente la chiusura. Al suo posto era stata messa la sabbia. Sembrava essere dentro la versione americana del Colosseo.
-WALHALLA!- chiamò, con la sua voce maschile –LO SO CHE SEI QUI! FATTI VEDERE, PAGANA VIGLIACCA!-
-Sono qui, templare maschilista.-
Dall’altra parte dello stadio, comparve la donna alta due metri e vestita in modo provocante. I capelli corti erano nascosti da un elmo da Valchiria, con le ali sulle tempie.
Brandiva una lancia e uno scudo.
-Salve, Flagello…- salutò, in italiano, avvicinandosi.
-Brigitte…-
-Non chiamarmi in quel modo!-
-E perché? Questo è il tuo nome.-
-Io sono Walhalla! Porto i miei avversari nel regno dei morti.-
-Non direi. Mi hai affrontato, eppure sono ancora qui.-
-Adesso basta!- batté un piede sul terreno; per poco la terra non tremò.
Elisabetta rimase immobile. Senza alcun timore.
-Dove sono le persone che hai rapito.-
-Tranquillo, stanno bene e non li ho toccati nemmeno con un dito, per ora. Tutto dipende da te.- era tornata a testa alta e lo sguardo fiero; poi aggrottò le sopracciglia bionde –Tu mi hai umiliata, maledetto! La vedi questa?!- indicò una cicatrice che partiva dal basso ventre fino a sotto lo sterno –Mi hai marchiata! Un segno che mi ha spinto ad allenarmi sempre più duramente per sconfiggerti ed umiliare te e il tuo ordine di maschi deboli e arroganti! Oggi avrò la mia vendetta! E dopo di te sarà il turno dei tuoi amici templari! E il Graal sarà mio! Tutti riconosceranno la superiorità del genere femminile!-
Elisabetta non sembrava intimidita da quel discorso, tantomeno dalla struttura massiccia della sua avversaria o dal suo accento tedesco. Da dietro l’elmo fece un’espressione disgustata.
-Sei solo un’ipocrita, Brigitte.- disse, senza timore delle conseguenze -A te non importa dei diritti delle donne, non ambisci alla loro supremazia, tu vuoi solo elevare te stessa e la tua prepotenza, per non mostrare a nessuno, tantomeno a te stessa, la tua insicurezza e le tue paure. Tutti coloro che non pensano come te e osano tenerti testa sono il male, non è così? Se davvero vuoi batterti per i diritti delle donne, non andresti in giro vestita così, a mostrare il tuo corpo così spudoratamente, e urlare ai quattro venti che la donna è superiore all’uomo. Così confermi il luogo comune sulle donne e sul loro corpo, e offendi le vere donne che difendono i diritti femminili.-
Il tono arrogante, il rivolo di verità e gli argomenti esposti fecero ribollire il sangue di Walhalla. Strinse sempre più la presa sulla lancia. La puntò in avanti, con occhi ricolmi di rabbia.
-BASTARDO TEMPLARE!- esclamò.
Elisabetta sguainò Hesperia ed Hellas, attendendo l’attacco.
Nel frattempo, sopra l’arena, le Tartarughe stavano camminando, in equilibrio, sulle grondaie.
-Bene, il combattimento è iniziato.- annunciò Leonardo, a bassa voce –Speriamo che Elisabetta resista contro quella fino a quando non riprendiamo April.-
-A occhio e croce, sembra se la stia cavando bene.- notò Donatello, guardando in basso.
Elisabetta parava e contrattaccava ogni attacco della Valchiria: Walhalla non era una guerriera addestrata come Elisabetta. Era una manifestante, con la sola passione del bodybuilding. Ma non era brava a combattere. Aveva una buona resistenza, ma non altrettanta destrezza.
Anche Raffaello diede un’occhiata al combattimento, fermandosi. Lui chiudeva il gruppo. Era rimasto come ipnotizzato. Dovette contenersi dall’urlare. Provava la stessa sensazione di quando assisteva ad un combattimento di wrestling. O forse quello che stava guardando in quel momento era meglio del wrestling.
-Falle vedere cosa sai fare…!- esultò, a bassa voce, tifando per la templare.
-Raph!- chiamò Leonardo. Erano già dall’altra parte: Raffaello era ancora a metà.
Si svegliò dalla sua ipnosi.
-Sì, arrivo!- disse, raggiungendo i fratelli.
Donatello teneva il suo cellulare acceso: avrebbero trovato April e Arnie più velocemente, in quel modo. E anche il cellulare di April era ancora acceso. Il segnale era nitido.
-E’ negli spogliatoi.- annunciò, appena entrarono dentro i corridoi.
Oltre al segnale, il Tarta-Cellulare era disposto di un sistema di orientamento. In tal modo, le Tartarughe imboccavano le strade giuste, per raggiungere l’amica.
Notarono subito le due Valchirie a guardia di April e Arnie.
Per fortuna, davano le spalle all’ingresso.
-Accidenti, ma si vestono tutte così?- commentò Michelangelo; non sembrava sconvolto -Non che mi dispiaccia, s’intende…-
Di nuovo scapaccioni da parte del fratello dalla benda rossa.
-Non ora, Mick!- rimproverò Donatello –Portiamo April e Arnie fuori di qui e preleviamo Eli!-
Avevano già stordito il resto delle Valchirie che avevano incontrato nei corridoi, senza farsi vedere.
April aveva già notato i quattro amici, alla porta dello spogliatoio.
La bruna si insospettì.
-Ehi, dolcezza, che cosa guardi?- domandò, voltandosi. Anche la bionda si voltò.
Non c’era niente. Non compresero cosa avesse attirato l’attenzione del loro ostaggio.
Che stesse cercando di scappare?
Quando tornarono a guardarla, la donna non c’era più, in effetti. E nemmeno il bambino.
-Cosa?! Dove è andata?!- esclamò la bionda.
Sentirono entrambe un colpo ben piazzato tra capo e collo che le fece svenire.
Michelangelo e Raffaello si diedero il cinque, mentre Leonardo e Donatello, scesero dal soffitto con in braccio uno Arnie l’altro April.
-Voglio essere sincero, non mi piace picchiare una donna.- si scusò Michelangelo, alle donne svenute -Però, se alla nostra Eli non piacete, non piacete neppure a noi.-
Ad April e Arnie erano state tappate le bocche, per non urlare mentre Leonardo e Donatello li prelevavano dall’alto.
Erano entrambi felici di vedere gli amici rettili.
-Oh, ragazzi! Siete qui!- esclamò lei, abbracciando Donatello. Lui ricambiò l’abbraccio, arrossendo.
Anche Arnie seguì l’esempio della madre, smettendo di piangere.
-Ciao, zii!-
Raffaello lo prese in braccio e lo fece saltare.
-Ehi, ometto! Sei stato coraggioso?-
-Non ho avuto paura!-
-Davvero? Ma se hai pianto tutto il tempo!- notò April.
-Mamma!- lei ed i rettili stavano ridendo; Arnie si guardò intorno, preoccupato –Dov’è Eli?-
La gioia di aver ritrovato gli amici sani e salvi stava quasi per far loro dimenticare la templare.
-ELI!- esclamarono tutti e quattro, insieme, preoccupati; Leonardo parlò –Dobbiamo portarvi fuori di qui, così le daremo il segnale!-
-Che segnale?- domandò April, salendo sul guscio di Donatello.
-Per usare i suoi poteri.-
Stava ancora combattendo con Walhalla. Faceva il possibile per prendere tempo, rallentando i suoi colpi di proposito, renderli deboli, schivando i colpi, talvolta subirne alcuni. Tutti di proposito. Walhalla era forte, ma non come gli avversari cui Elisabetta era solita affrontare.
Un colpo al ventre le fece simulare una caduta in avanti. Fece finta di gemere dal dolore. Sentiva solo un forte dolore al petto, dovuto alla caduta. Sebbene i suoi seni fossero compressi da una fascia e protetti dal gambeson e dalla pettiera, erano comunque troppo grandi da essere contenuti.
Sentì il donnone ridere.
-Oh, il grande Flagello si è rammollito! Sarà colpa dell’indebolimento del cromosoma Y? O della sua arroganza maschile? O forse perché IO sono la più forte! IO! COLEI CHE TIENE TESTA AGLI UOMINI!- rise ancora, dando dei calci al suo avversario; Elisabetta rimase immobile, subendo i colpi senza sentire alcun dolore; -Ehi, ma dove si trova quel tuo amico? Quello alto, con una spada enorme, che era sempre con te? Ah, già, dimenticavo. E’ MORTO! Con il piccolo Benedizione a guardarti le spalle ti sentivi tanto forte, non è vero, Flagello? Ora, senza di lui, sei un debole!- Elisabetta sentì la rabbia crescerle dentro: sempre, ogni volta che un suo nemico parlava di Francesco -Voi maschi siete tutti uguali: in gruppo siete dei leoni, ma da soli siete deboli, non valete niente! Tu da solo non vali niente, come lui, come l’altro incapace, Ponte! Non siete nessuno!-
Doveva contenere la sua rabbia: se lei attivava il suo potere, April sarebbe morta.
Era ancora per terra. Cercò di rialzarsi, chinata. Fu lì che, dall’elmo, scorse un riflesso su Hesperia: le Tartarughe Ninja sopra di lei. Con April e Arnie con loro, sani e salvi.
Alzò lo sguardo, attenta a non sollevare l’elmo e non destare sospetti all’avversaria: Leonardo le fece un gesto con la mano, per dire: “Tutto ok”.
Il segnale.
Gli occhi scuri, da dietro l’elmo, fissarono Walhalla, furiosi. L’anello iniziò ad illuminarsi.
-Non osare offendere un soldato di Dio, pagana.- sibilò, alzandosi.
La mano con l’anello fu distesa in avanti: Walhalla fu colpita da una croce eterea.
Lei, sorpresa, cadde all’indietro. Sotto la pezzola di cuoio portava un perizoma.
Si rialzò, togliendosi la sabbia dalla pelle come se nulla fosse avvenuto.
Rise, sotto i baffi. Un sorriso malefico.
-A quanto pare mi sbagliavo.- disse -Voi templari siete noti per mettere il bene delle persone prima di ogni altra cosa, ma pare che a te non importi niente delle vite della donna e del moccioso. Beh, i patti erano patti. Spero tu sia soddisfatto.- attaccato alla cintura c’era un walkie-talkie; vi parlò dentro -Uccideteli!- esclamò; non udì risposta, nemmeno un respiro; la donna impallidì -Cosa…?- ripeté, più forte -UCCIDETELI! Perché nessuno mi risponde?!- ebbe un’epifania e osservò la templare -Che cosa hai fatto…?!-
Elisabetta fece spallucce, sorridendo dietro l’elmo.
-Beh, chissà, magari sono solo scappati da sotto il vostro naso.- ipotizzò, indifferente -Voi Valchirie siete così ottuse che non vi accorgereste nemmeno se vi passasse un elefante di fronte ai vostri occhi.-
No, non era un’ipotesi plausibile.
-No… tu hai promesso… che non avresti portato nessuno…-
-Alt. Tu hai detto di non portare i miei amichetti. Ma le Tartarughe Ninja non sono proprio miei amici.-
Accecata dalla rabbia e dall’umiliazione di essere stata ingannata, Walhalla ringhiò e le diede un calcio dritto nel ventre.
-Razza di crociato imbroglione!- tuonò.
Elisabetta rotolò per un paio di metri nella rena, prima di fermarsi.
Stavolta il colpo lo sentì.
Come sentì la rabbia crescerle dentro sempre più forte. Bruciava. Il suo potere stava tornando.
Ma anche Walhalla cambiò: i suoi occhi divennero tutti dorati, bianco compreso. Il suo bastone stava mostrando delle crepe dorate. Come oro era l’aura che si stava formando intorno a lei.
-Te la farò pagare per questo… IMBROGLIONE!!!- urlò di nuovo la donna, con voce demoniaca, alzando la lancia e correndo verso la templare.
Gli occhi di quest’ultima divennero nuovamente croci templari. E l’aura stava apparendo intorno a lei.
Urlando di rabbia, roteò il braccio sinistro, e colpì sotto il mento della Valchiria con lo scudo. Nel dare il colpo, si alzò.
L’impatto fu così violento che Walhalla fece un volo fino agli spalti, distruggendo le scalinate.
Raffaello, dalla grondaia esultò, come se, effettivamente, stesse assistendo ad un incontro di wrestling.
-Whoa! Questo sì che è un bel colpo!-
Ma Leonardo gli tappò la bocca: non potevano farsi scoprire.
Qualunque persona sarebbe morta ad un impatto simile: ma la donna riemerse, facendo un salto e tornando dalla templare, più furiosa che mai.
Anche Walhalla era entrata in uno stato Berserk: anzi, era proprio lo stato Berserk. Non provava dolore. Solo una rabbia incontrollata. Come Elisabetta.
Si scontrarono di nuovo, con più foga di prima: i loro colpi facevano tremare l’intero stadio e con i loro salti arrivavano agli spalti, distruggendoli ogni volta che vi atterravano.
Le Tartarughe non potevano rimanere lì. Non con April e Arnie.
-Voi due!- ordinò Leonardo a Michelangelo e Donatello, che trasportavano i due umani –Tornate al Tarta-Corazzato! Noi recuperiamo Eli!-
-No, Leo, vai anche tu! Ci penso io a Eli!- propose Raffaello.
-Ma, Raph…!- protestò il fratello.
-Fidati, so quello che faccio!-
Leonardo si fidava di Raffaello: annuì alla sua idea.
-Forza, muoviamoci!- incitò ai fratelli minori, correndo sulla grondaia.
Raffaello lottò contro l’equilibrio precario dovuto alle scosse di terremoto dovute allo scontro fra le due donne.
Elisabetta era in netto vantaggio rispetto a Walhalla: era addestrata all’arte della spada, sapeva dove e come colpire. La Valchiria si lasciava guidare solo dalla rabbia.
Entrambe non si rendevano conto delle conseguenze delle loro azioni. Lo stadio stava crollando. Era pieno di crepe. Ancora un colpo e sarebbe crollato intorno a loro.
Walhalla ansimava, ma non era stanca.
-TU… NON PUOI… SCONFIGGERMI…!- esclamò, schiumando di rabbia.
Anche Elisabetta era ancora nella sua fase ira. Ma guardò in alto: il tetto dello stadio era pieno di crepe. Bastava poco…
Poi osservò l’avversaria.
-Forse io no.- rispose, stringendo la mano con l’anello a pugno –Solo Dio decide quando una persona ha finito il suo tempo. Vediamo se il tuo è finito.-
Puntò l’anello in alto, verso il tetto.
Le crepe si unirono tutte.
Walhalla rise.
-AH! FAI TANTO L’ARROGANTE POI NON RIESCI NEMMENO A COLPIRMI?!-
Ma Elisabetta non mirava alla donna.
Con voce sibilante e sguardo vuoto, pronunciò.
-Fiat voluntas Dei…-
Di nuovo una scossa. E piccoli pezzi di calcinaccio che cadevano.
Walhalla guardò in alto: il tetto stava crollando! I piccoli calcinacci stavano liberando la via ai pezzi grandi.
Alcuni di quelli grossi stavano cadendo proprio in direzione di Walhalla.
Lei urlò, facendosi scudo con le braccia e non osò muoversi. Il tetto le crollò addosso, di fronte alla templare, che assistette allo spettacolo con aria indifferente, tornando normale. No, con aria delusa.
-Non è abbastanza…- sibilò, scuotendo la testa.
Raffaello, invece, ne fu oltremodo sconvolto.
Sentì anche lui dei pezzi di calcinaccio cadergli addosso. Non voleva fare la stessa fine. E non voleva lasciare Elisabetta lì in mezzo.
Saltò giù dalla grondaia, atterrando vicino a lei.
-Salta su, Eli!-
-Cosa?-
-Questo posto sta crollando! Muoviti! O vuoi rimanere schiacciata?-
Dopo il suo stato di ira, Elisabetta aveva un piccolo momento di amnesia e confusione. Non si era resa conto del mondo circostante.
Poi comprese e abbracciò Raffaello. Il calcinaccio stava continuando a cadere, non era saggio farla salire sul guscio.
-E mi raccomando, non urlare!- fece chiarire lui, prima di saltare.
Uscirono appena in tempo, appena prima che l’intero edificio crollasse.
Assistettero al crollo, proteggendosi dalla polvere che esso provocò.
Gli altri erano ancora nel Tarta-Corazzato, al sicuro.
-Diamine. Penso che stavolta ho esagerato…- commentò la ragazza, appena tolta l’elmo.
-Giusto un po’.- approvò Raffaello –Tanto era inagibile, non ci giocava più nessuno. Nessuno ne sentirà la mancanza. Stai bene?-
-Un po’ stanca.-
-Andiamo. Gli altri ci stanno aspettando.-
“Non è abbastanza…”
Tornarono a casa di April nello stesso modo in cui si erano diretti allo stadio: in silenzio.
Arnie si era addormentato in braccio alla madre, che continuava ad accarezzargli la testa. Elisabetta era seduta di fronte a loro, che li fissava con sguardo vuoto e la testa appoggiata ad una mano.
-Sei stata davvero forte, Eli…- complimentò April –Il tuo potere è formidabile.-
-Grazie.- rispose la templare, apatica -Tu stai bene? Ti hanno fatto qualcosa?-
-Sto bene, grazie. Solo un po’ spaventata.-
Le toccò il pancione.
-E lui?-
-Spero non risenta del mio spavento. Non lo sento muoversi.- poi sobbalzò -Ehi, era un calcetto, amore?-
Persino Arnie lo sentì, ma tornò a dormire.
Elisabetta sospirò.
“Non è abbastanza.”
-Mi dispiace avervi coinvolti.- si scusò –Era una questione tra me e Brigitte, dopotutto.-
Leonardo si alzò dal proprio posto, avvicinandosi a lei.
-Stai scherzando?- si sconvolse –Ormai, sei parte della famiglia, Eli! Ci aiutiamo l’un l’altro. Ciò che riguarda uno coinvolge tutti noi! Noi ci saremo sempre per guardarti le spalle!-
La templare osservò tutti i presenti: sorridevano e annuivano alle parole del fratello, persino Raffaello.
Anche lei sorrise, sollevata. O facendo finta di essere sollevata.
“Devo contattare David e dirgli che forse ci siamo finalmente sbarazzati delle Valchirie.” pensò.

Appena tornati al rifugio, infatti, Elisabetta, come prima cosa, tornò in contatto con David, con il rapporto completo sullo scontro contro le Valchirie.
Tuttavia, per il Gran Maestro si prospettavano cattive notizie. Ma non dai suoi discepoli.
-E’ fuori discussione!-
Era nella dimensione mistica, con altri quattro uomini, circa suoi coetanei. Indossavano anche loro la casacca templare.
-Mi dispiace, David, ma è così.- ribadì un uomo alto come David, ma largo il doppio, e dall’accento veneziano –Non hai prove che ti sostengano.-
-Non tornerò in Italia a mani vuote! I miei allievi sono ormai alla sua ricerca!-
-Come fai a dire che il Graal si trova a New York?- domandò un uomo dai capelli radi grigi e dalla barba brizzolata, dall’accento piemontese.
-Io l’ho sognato! Dio mi ha mostrato la via! Il Graal era nel Nexus! Era il trofeo del Nexus! E quel trofeo lo ha vinto uno di quegli abomini figli di Splinter! E loro sono qui a New York! Ho fatto infiltrare uno dei miei allievi! E’ arrivato ad uccidere le Valchirie, per questo! Non posso rinunciare proprio ora che sono così vicino!-
-David…- aggiunse un uomo dalla barba bionda –Non siamo più nel Medioevo. Siamo in un’epoca in cui i sogni non sono più considerati delle visioni. Abbiamo chiuso un occhio più volte per il tuo complesso di superiorità, persino per la tua idea di partecipare nuovamente al Nexus…-
-Il Graal era il trofeo, Stefano! Ve lo giuro!-
-Hai prove concrete a proposito?- fece notare l’uomo dai capelli radi, il cui nome era Walter.
David serrò le labbra a tale domanda.
-Trovo il vostro scetticismo alquanto irritante, confratelli. Come Gran Maestro Templare, io…!-
-Siamo tutti Grandi Maestri Templari, qui, David…- tagliò corto l’uomo dall’accento veneziano, Mauro –E come te, sosteniamo il fine di stabilire l’ordine nel mondo. Ma cercare leggende non ti rende un degno templare.-
-Il Graal può aiutarci per il nostro fine! Lo stanno cercando anche i nostri nemici, le Valchirie, i Saraceni… e forse anche il Rinnegato!-
-Le Valchirie ed i Saraceni non predicano la nostra fede e pregano divinità create dall’uomo.- corresse Walter –Cercare leggende è nei loro modi, David, non più i nostri. E per quanto riguarda il Rinnegato, ancora nessuna traccia nei nostri continenti. In ogni modo, è impensabile che lui sappia del Graal.-
Nella dimensione mistica regnò il silenzio, per qualche minuto.
-La seduta è finita.- dichiarò Stefano, prima di svanire. Anche Walter e Mauro fecero lo stesso.
Rimasero David e un uomo dai corti capelli ricci e neri, di poco più giovane di David.
-Che faccia tosta quei tre, eh?- fece.
David scosse la testa, sospirando.
-Ehi… se ti serve una mano, lo sai che le mie risorse sono disponibili, vero?-
David annuì.
-Lieto di avere ancora un alleato in questo gruppo, Francesco…-
Era un altro Francesco. Non il templare condannato all’impiccagione.
Sorrise.
-So che ti trovi in un luogo apparentemente lascivo, ma, mi raccomando, non cadere nei vizi.-
-Lo sai che non è nel mio stile, David. Io guardo e basta.-
Tornarono entrambi nel mondo reale.
David odiava le riunioni dei Grandi Maestri: lo innervosivano. Odiava essere contraddetto.
Secondo i colleghi, doveva tornare in Italia e riprendere il suo posto di Gran Maestro Templare dell’Europa. Ma era impossibile dissuaderlo dal suo fine: sarebbe rimasto a New York fino alla morte, pur di trovare il Graal.
E poi mancava uno a stabilire una base templare nell’America del Nord. Walter aveva eretto la base in Asia, Mauro in Africa, Stefano in Europa e Francesco in America del Sud. Era impossibile stabilire una base in America del Nord, quando Shredder era al potere.
Ma ora c’erano loro, a ripristinare l’ordine.
Qualcuno bussò ed entrò nella stanza del Magister: era l’Andrea anziano.
-L’incontro con i Grandi Maestri non è andata bene, vero?-
Lo sguardo serio di David fu la risposta.
-Sono così ciechi di fronte all’evidenza…- mormorò, alzandosi –Proprio non vogliono capire quanto questa missione sia importante per l’ordine…-
Andrea rimase in silenzio.
-Buone notizie, comunque, Luigi è arrivato alla base dei Dragoni Purpurei. E Carmine è con lui.-
-Ottimo. Sono più che adatti per dimostrare il nostro potere a quel tale, Hun… Sarà una risorsa preziosa, se ha lavorato come braccio destro di Shredder ed è sopravvissuto ai suoi cosiddetti capricci.- fece una pausa per riprendere fiato -Dov’è quella nullità di mio figlio?-
-In salone.-
Federico, infatti, era nel salone, a pregare. Di nuovo di fronte ad una spada dall’impugnatura nera e la lama lunga. Fidelitas, la spada appartenuta a Francesco, detto Benedizione.
Aprì gli occhi, vedendo il suo riflesso nella lama. E lì davvero si rese conto di essere solo. Anche Elisabetta era lontana da lui. Si contattavano solo con l’anello, ma non era la stessa cosa.
Francesco ed Elisabetta…
I suoi pilastri. I suoi unici amici.
Lasciò cadere una lacrima sulla guancia. Allungò una mano, per toccare la lama.
-Federico!- la voce possente del padre gli fece ritrarre la mano e scattare in alto; gli occhi freddi del padre lo misero in soggezione, tale da fargli abbassare lo sguardo -Non toccare la spada del traditore! E’ proibito toccare oggetti appartenuti ai traditori dell’ordine. La teniamo qui come monito, non per essere usata. O sarai maledetto per tutta la vita. E questo lo sai!-
-Perdonami, padre.-
Rimasero in silenzio: David fissava il figlio in modo serio e freddo.
-Ad ogni modo… sembra che Elisabetta abbia finalmente eliminato le Valchirie. Il suo potere è davvero notevole. Magari potrà mettere in soggezione quegli abomini di rettili e costringerli a cederle il Graal.-
A David piaceva umiliare il figlio, paragonandolo al resto dei confratelli, quelli che avevano un potere distruttivo, come Elisabetta, come Carmine, come altri. Elisabetta, e prima come Eliseo, era il suo orgoglio. Flagello era il suo orgoglio.
-Ad ogni modo, vai subito a letto. I Vespri sono ormai passati, come la preghiera serale.-
Federico si morse il labbro e annuì, obbedendo. Ma, appena voltatosi, si fermò.
-Padre…- mormorò, incerto -Perché stiamo cercando il Graal?-
David tornò ad osservarlo in modo freddo.
-Per portare l’ordine nel mondo, l’obiettivo che persegue ogni templare, mi sembra ovvio.- rispose.
-Ma perché il Graal? Risulta scomparso da secoli. Era impossibile ritrovarlo. Come sapevi dove e quando trovarlo?-
-La cosa non deve interessarti minimamente, Federico.- tagliò corto il padre -Tu esegui gli ordini e basta. Forse se riuscirai a impugnare una spada come si deve, potrai avere le risposte che cerchi. Chiaro?-
Federico abbassò di nuovo lo sguardo.
-Sì, padre…-

Dopo lo sgomino del Clan del Piede e la caduta di Khan, i Dragoni Purpurei, in quanto principali alleati del Clan e di Shredder, si trovarono costretti ad operare in una nuova zona, lontani da New York, dove si sarebbero rifondati. Avendo passato anni come braccio destro di Shredder, Hun era divenuto un uomo di affari, riuscendo, in poco tempo, ad ottenere un imponente edificio come base per i Dragoni Purpurei. Era diventato il nuovo capo della malavita. Una giusta lampada per falene. E le falene erano due templari, padre e figlio, vestiti con mimetica e giubbotto anti proiettile bianco con una croce rossa in mezzo, che, procedendo con passo sicuro, si stavano introducendo.
-E voi chi siete?- disse un Dragone, a guardia dell’edificio, impugnando il mitra che aveva al collo.
-Identificatevi o sarà peggio per voi!-
Le iridi di Carmine si tramutarono in croci: i mitra si sfilarono da soli dalle mani dei loro possessori. Le canne erano puntate alle loro teste.
Persino dentro l’ufficio si udirono gli spari. Come al solito, Hun era intento a farsi massaggiare le spalle da una donna vestita da geisha.
Gli spari non lo preoccuparono. Nemmeno delle due persone che entrarono. Un uomo e un ragazzo. L’uomo portava una borsa a tracolla.
Le due guardie alla porta puntarono subito i loro fucili ai due visitatori. Ma i mitra levitarono e spararono alle teste dei loro possessori, come se fossero state impugnate da due fantasmi.
La geisha arretrò, emettendo lievi lamenti di terrore.
Hun si alzò, annusando aria di sfida.
-Ossequi, Hun, capo dei Dragoni Purpurei…- salutò Luigi con un lieve inchino –Chiediamo venia se ci introduciamo senza appuntamento, ma avrei una proposta da fare a te e i tuoi uomini.-
L’omone quasi rise allo strano accento del suo interlocutore: intuì che non fosse di quelle parti. Si sedette, tranquillo, senza timore.
-Voi osate entrare nel mio territorio senza invito, uccidete i miei uomini e osate farmi una proposta?!- schernì, tamburellando le dita sul tavolo. Lo sguardo era minaccioso e incuteva timore. Ma non nei due templari che aveva di fronte.
-Sì. Ti offriamo l’opportunità di tornare a New York.-
Hun scoppiò in una fragorosa risata.
-Certo! In quella bettola! Ah! Ah! Ah!- derise, poi si mise comodo nella sua poltrona –Scordatevelo, io sto tanto bene qui. Ho tutto quello che mi serve e tutto quello che voglio. Questo è il mio regno!-
-Un regno dove tutti ti stanno dando una parte dei loro beni di loro spontanea volontà senza opporsi.- tagliò corto Luigi, altrettanto minaccioso –E’ fin troppo facile persino per uno come te, Hun, e tu adori le sfide. E New York ti offriva varie sfide, per questo tu e i tuoi Dragoni Purpurei dominavate sulla città, con e senza Shredder.-
Hun si inquietò.
-E tu come fai a…?-
-Se accetti la nostra proposta, i Dragoni Purpurei potranno riprendersi New York e dominare sul resto delle bande. Disponiamo diverse armi e possiamo pagarti bene…-
Poggiò la borsa sulla scrivania, aprendola.
Hun si illuminò nel vedere il contenuto: tante monete d’oro. E lui era attratto da qualunque cosa brillasse, specialmente soldi.
-Oh, che meraviglia! Che cosa sono?-
-Valute templari. Una sola moneta vale 100 dollari. E lì dentro ce ne sono centinaia. Potrai avere il doppio, se accetti la nostra offerta e la nostra protezione. Noi siamo cavalieri Templari.-
Immergere la mano nell’oro era uno dei pochi piaceri della vita di Hun. E c’erano davvero centinaia di monete, in quella borsa. Se avesse accettato l’offerta e la protezione dei Templari.
-Fortunatamente per voi, io sono attratto da qualunque cosa brilli e abbia la forma di una moneta.- rivelò, con gli occhi che brillavano da quello spettacolo –Ma non ho più intenzione di dipendere da un prepotente. Quindi ho una controfferta per voi damerini.-
Mentre parlava, schiacciò un pulsante: vari Dragoni Purpurei si presentarono all’ufficio del capo, con armi da fuoco puntate verso i due visitatori.
-Io mi tengo i soldi e in cambio voi uscite di qui, vivi.-
Né Carmine né Luigi si lasciarono intimorire dalle parole o dalle armi. Mantennero il loro controllo delle emozioni.
-Sapevamo che non bastavano i soldi, per convincerti. Carmine…- mormorò Luigi al figlio, che annuì; la porta, prima aperta, si chiuse, bloccandosi.
Dopodiché, si rivolse di nuovo ad Hun.
-Un uccellino ci ha detto che per ottenere i tuoi servigi dobbiamo dimostrare di essere più forti di te. E Shredder era l’unico in grado di superarti, da quel punto di vista.- il suo tono era diventato più freddo, minaccioso, sibilante; persino Hun percepì uno strano brivido lungo la schiena, una sensazione che non provava da anni –Ebbene, in questo momento avrai modo di scoprire…- chiuse un attimo gli occhi, per poi riaprirli con due croci templari al posto delle iridi -…come abbiamo eliminato le varie mafie dalla nostra Italia.-
Non era un’impressione: Hun stava davvero provando terrore. A vedere quelle iridi, aumentò.
Luigi allargò le braccia: da entrambe le maniche uscì del fumo grigio-marrone, che si sparse per tutta la stanza. Quel fumo, gradualmente, prese forma, accanto ai membri dei Dragoni Purpurei, assumendo delle forme mostruose, dalla pelle grigio-verdognola: uno aveva delle ali da drago, uno una pancia enorme, uno era piccolo, uno aveva quattro braccia e uno aveva delle braccia a forma di radici. Accanto ad Hun, inoltre, ne comparve uno grande e muscoloso, più di lui, che ringhiava. Hun a stento si tratteneva dall’urlare di terrore.
Persino i Dragoni Purpurei non sapevano cosa fare, bloccati dal terrore: quei mostri erano orrendi. Erano demoni. Invocati da un templare.
Uno non resistette alla paura e cominciò a sparare in avanti, urlando e chiudendo gli occhi.
Sparò al demone dalla pancia grossa: non subì danni. In compenso, si avvicinò, ondeggiando, a causa della pancia, a chi gli aveva sparato.
Ci fu uno scambio di sguardi.
Poi, il demone aprì la bocca: anche la pancia faceva parte della bocca. Divorò il Dragone, provocando un urlo generale. Tra questi anche Hun.
La geisha, nel frattempo rimasta nell’angolo, tremante di paura, a vedere quello spettacolo, decise di scappare. Ma la porta era bloccata. E un nuovo demone si mise tra lei ed essa: un demone ermafrodita, con seni come una donna, ed entrambi gli organi riproduttori maschile e femminile nell’inguine. E una lingua lunga che scese per tutto il corpo, innalzando solo la punta verso la geisha spaventata.
L’ufficio si riempì di sangue e urla, e risate di Luigi: alcuni Dragoni vennero decapitati o mutilati, alcuni divorati completamente, altri gettati dalla finestra. Carmine assistette apparentemente indifferente: ma le mutilazioni gli provocavano sempre qualche conato.
L’unico Dragone Purpureo ad essere rimasto nella stanza fu Hun, paralizzato dalla paura: si guardava intorno, terrorizzato e sconvolto. Non aveva mai assistito ad un massacro simile. I demoni erano ancora presenti, intorno a lui, chiusi a semicerchio.
-Aiuto! Aiutatemi!- implorò l’omone, continuando a schiacciare il bottone delle emergenze, invano.
In mezzo a quei demoni avanzò Luigi, che si sedette sulla scrivania, sorridendo soddisfatto.
-Contempla i Sette Vizi Capitali!- annunciò –Io sono il loro custode, Luigi, detto Faust, perché il male abita dentro di me. E lui è mio figlio Carmine, detto Punizione, perché la punizione non ha un volto. A volte è necessario affrontare il male con il male. E io vengo chiamato solo per situazioni di emergenza. Ora hai intenzione di accettare la mia offerta… Hun?-
Hun emetteva dei versi simili a dei pianti. Tale reazione era rara, in lui. Raramente si spaventava. Solo Shredder era l’unico a spaventarlo. Prima dei demoni di Luigi.
-Sì, accetto!- decise –Cedo i miei beni a voi! I soldi! Questo edificio! Tutto! Ma non fatemi del male, vi prego!-
Luigi sorrise di nuovo.
-Visto? Non era così difficile.- commentò, tornando in piedi –E’ bello vedere gente cogliere al volo un affare così spontaneamente.- tornò cupo -Ma ti avverto. Tu osa solo tradire il nostro ordine e il tuo peccato ti farà a pezzi.-
Il demone a quattro braccia, Avarizia, si fece avanti, ringhiando minaccioso.
Hun, sempre più terrorizzato, annuì.
-Sì, lo giuro! Non tradirò mai l’ordine! Da questo momento, i Dragoni Purpurei sono sotto il comando dei Templari!-
-Molto bene.- allargò di nuovo le mani; i demoni tornarono fumo e rientrarono nel suo corpo -A breve otterrai un biglietto per New York e il tuo vecchio stabilimento sarà di nuovo agibile. Andiamo, Carmine.-
Padre e figlio uscirono dall’ufficio, facendosi strada tra sangue, frattaglie e cadaveri.
Luigi sfregò sul suo anello, appena entrarono entrambi nell’ascensore.
-David, i Dragoni Purpurei sono nostri.-
-Eccellente.-

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Chi avrà parlato ai Templari di Hun? Si rivelerà una buona risorsa o verrà punito da Avarizia?
Chi è il contatto di Andrea?
Il resto dei Grandi Maestri si fiderà di David?
O cercheranno di impedirgli di proseguire il suo cammino verso il Graal?
Chi è il Rinnegato?
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Note finali: sì, lo ammetto, per la scena dei Sette Peccati mi sono ispirata al Dottor Sinawa di "SHAZAM!"; e sì, nella settima stagione si vede davvero Hun massaggiato da una geisha.
   
 
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