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Autore: Alexa_02    19/03/2020    1 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Aaron

 

Julianne osserva corrucciata la sua cabina-armadio. Inclina la testa e si mordicchia il labbro, ballonzolando sui piedi. “Cosa pensi che dovrei indossare?”. Fa scorrere le grucce con aria indecisa. “Chastity ha detto che il locale è super extra e che quindi devo indossare qualcosa di on fleek”. Scuote la testa. “Oh, Dio. Non avrei mai pensato di dire una frase del genere in vita mia”.

Si sfrega il ginocchio con il piede e, per qualche stranissima ragione, lo trovo un movimento davvero sexy. Qualunque cosa faccia mi manda su di giri, ormai ho smesso di sorprendermi. “Qualsiasi cosa andrà benissimo” affermo. Sbuffa massaggiandosi il mento. Per quanto mi riguarda potrebbe uscire anche in pigiama. Qualsiasi cosa indossi le sta anche troppo bene.

Dopo che ha vibrato, Jay afferra il cellulare e lo osserva con aria afflitta. “Oh, ma dai! Come fa a sembrare una dea scesa in terra anche con un vestito di tulle. Il tulle non sta bene a nessuno”. Inclino le labbra cercando di non ridere. “Va bene, forse sto generalizzando, però non è giusto” mi mostra la foto che Chastity le ha inviato “Vestita così sembrerei un incrocio tra un profiterole e una lasagna”.

“Due cose deliziose” puntualizzo alzandomi dal letto.

Con irruenza appoggia il cellulare su una mensola. “Due cose a cui nessuno vorrebbe assomigliare”.

Le stringo le braccia intorno alla vita, attirandola contro il mio petto. “Come mai tutte queste paranoie?”.

Si osserva allo specchio, stringendosi tra le mie braccia. “Io non sono come lei. Non ho l'addome piatto, le cosce magre o la pelle di porcellana” si indica la tempia “Questo brufolo è così grande che gli ho dato un nome”.

È il discorso più assurdo che abbia mai fatto. Ogni parte di lei è perfetta. “Ah, sì? E come si chiama?”.

“Virgil, Aaron. Aaron, Virgil” mormora.

“Molto piacere”. Le inclino la testa di lato, avvicinandomi al suo nuovo amico. “Spero che la condivisione di Jay non ci faccia litigare, la trovo già molto simpatico”.

Scuote la testa cercando di celare un sorrisino. “Dico sul serio, Aaron”.

“So che credi che lei sia perfetta, ma non è così, nessuno lo è”. Le accarezzo i fianchi con dolcezza “È questo il bello del mondo. Siamo tutti un po' imperfetti ed è giusto che sia così”. Le sfioro il collo con le labbra. “Però, se mi chiedi un parere davvero oggettivo, non posso che affermare con certezza che l'unico essere davvero perfetto...”.

Ridacchia. “Sei tu?”.

Le bacio la testa. “Stavo per dire che sei tu, però ora che mi ci fai pensare hai proprio ragione. Sono io”.

Ride accarezzandomi le braccia. “Ma come siamo modesti”.

Le pungolo le costole. “Ammettilo che non esiste cosa più bella e eccezionale di me”.

Inclina indietro la testa e mi bacia il mento. “Si, baby, sei meraviglioso. L'ottava meraviglia”.

“Mi sembrava”. Le infilo la mano sotto la felpa che mi ha rubato e le sfioro la pelle soffice. Non capisco come possa non ritenersi assolutamente perfetta. “Jay?”.

Il suo sguardo cattura il mio attraverso lo specchio. “Sì?”.

“Sei in assoluto la donna più bella e meravigliosa che io abbia mai incontrato” affermo serio “Ogni millimetro del tuo corpo mi fa letteralmente impazzire. Amo tutto di te”.

Schiude le labbra lasciando trapelare un sospiro tremolante. I suoi occhi stupendi si scuriscono di almeno tre tonalità, rivelando tutto il desiderio e tutti i sentimenti che Julianne tiene ben celati. Si gira lentamente, mi cattura il viso con entrambe le mani e mi attira a sé. Il bacio è così impetuoso che mi tremano le ginocchia. Nonostante la sua riluttanza nel condividere i propri sentimenti, Julianne esprime tutto ciò che prova attraverso il corpo. Ogni sguardo, ogni carezza, ogni suo movimento mi dà la certezza che proviamo lo stesso.
Senza mai allontanarsi dalle mie labbra, mi afferra la nuca e mi tira dentro la cabina-armadio. Chiude le ante con un calcio e la penombra ci avvolge. Le sue mani afferrano l'orlo della mia maglietta e la tirano verso l'alto. “Lip potrebbe tornare da un momento all'altro” puntualizzo.

“Gli ho detto di saccheggiare il frigorifero quanto vuole” si sfila la felpa “Abbiamo tutto il tempo del mondo”. Scivolo tra i vestiti trascinandola con me. Finisco con il sedere a terra e con Julianne seduta in braccio. “A meno che tu non voglia andare giù a discutere con lui di arte”.

Rispondo a quella sua proposta ridicola, attirandola a me in un altro bacio bollente. Le sue dite mi scorrono tra i capelli e lungo la nuca. Le stringo i fianchi cercando di annullare qualsiasi distanza ci sia ancora tra di noi. Dovunque i nostri corpi si toccano, volano scintille.

Senza fiato, le accarezzo la guancia scivolando con la bocca lungo il collo. Lei sospira inclinando la testa, lasciandomi libero accesso alla curva delicata tra la spalla e la gola. “Aaron...”.

 

 

Non so esattamente per quanto tempo restiamo chiusi in quell'armadio, ma con lei il tempo sembra non essere mai abbastanza.
Senza troppo entusiasmo, ci rinfiliamo i vestiti e sgattaioliamo in camera. Julianne si stende sul letto e giocherella con il cellulare. Ha le labbra gonfie e i capelli arruffati. Non ho mai visto niente di così spettacolare in vita mia.

Il computer posto ai piedi del letto comincia a suonare. Lei rotola sul copriletto e se lo porta alle ginocchia. Schiaccia qualche tasto e sorride. “Ehi, Scar. Dimmi che hai trovato i miei stivali, non so cosa farei se li avessi persi”.

Mi siedo accanto a lei e mi sporgo verso la webcam. “Ciao, Scar”.

La sua amica sorride debolmente. “Ciao, Aaron”.

“Mi sono dimenticata di chiederti di cercare la mia giacca di pelle verde scuro” mormora Julianne “Sai quella che ho comprato per la festa di Carter?”.

Scar si mordicchia il labbro. “Jay...”.

Julianne non le presta attenzione. “Ho il terrore di averla dimenticata sul pavimento della sua stanza quando me l'ha sfilata...” si accorge della mia espressione accigliata e fa retromarcia “...No, cioè, quando me la sono tolta da sola perché faceva un sacco di caldo”. Chi diavolo è Carter?

Scarlett alza la voce. “Jay”.

“Li hai trovati?” domanda con apprensione.

Scar mi guarda titubante. “Possiamo parlare da sole?”.

Faccio per alzarmi ma Jay mi appoggia la mano sulla gamba. “Non c'è nulla che tu non possa dire davanti a lui”.

Le accarezzo le dita. “Magari vuole parlarti di qualcosa di importante per lei”.

Scar si sfiora la frangetta. “Non...non riguarda me...”.

Julianne si irrigidisce tra i cuscini e mi prende la mano. “Resta”. Intreccio le dita con le sue cercando di tranquillizzarla. “Cosa c'è Scar? Papà ti ha detto qualcosa? Se era in uno dei suoi momenti artistici mi scuso. A volte sa essere un po' strano”.

Non abbiamo mai approfondito la storia dei momenti artistici del signor Roux. Non so esattamente a cosa si riferisce.

Scar giocherella con il braccialetto mentre soppesa mentalmente le parole. “Io...”.

“Scar” la sprona “Avanti”.

“Sono andata a casa tua per cercare gli stivali che mi hai chiesto e quando ho bussato alla porta del tuo vecchio appartamento, tuo padre non c'era”.

Julianne alza le spalle. “Magari è uscito a fare una passeggiata”.

Un'orribile sensazione mi attanaglia lo stomaco. Scar inclina la testa. “No, Jay, mi ha aperto una signora e mi ha detto che ora è casa sua”.

“Cosa?” guaisce Julianne.

“Ho parlato con il proprietario e mi ha detto che tuo padre non vive più qui” prende fiato “Mi ha detto che è partito più o meno due settimane fa”.

Julianne fissa lo schermo con le labbra socchiuse. Sento la rabbia e la confusione irrigidirla e scacciare la bellissima espressione rilassata, che ero riuscito a farle spuntare sul viso. “Io non...”.

“Ha venduto l'appartamento e si è portato via tutto ciò che c'era dentro, quindi non ho trovato i tuoi stivali”. Non credo che sia il problema più grande al momento.

Julianne spinge il pc infondo al materasso e salta in piedi. Sfreccia fuori dalla stanza, prima che abbia il tempo di rendermene conto.

“Jay! Aspetta” squittisce Scar “Vai con lei, Aaron”.

Non me lo faccio di certo ripetere due volte. Scappo fuori dalla stanza e giù per le scale. Julianne si infila le mani tra i capelli mentre osserva con rabbia la madre seduta sul divano. “Quando avevi intenzione di dirmelo? Pensavi che non lo avrei mai scoperto?”.

April si alza. “Julie...”.

“No!” strilla “Niente Julie. Dove lo hai cacciato? Cosa gli hai detto? Perché non è più a casa nostra?”.

Mio padre cerca di mettersi in mezzo. “Julianne, non mi sembra il caso di...”.

“Stai zitto” ringhia “Non ti immischiare, non sono fatti tuoi”. Lui stringe i denti, ma saggiamente decide di farsi da parte. “Dov'è?” strepita verso April.

Sentendo puzza di guai, Cole afferra Olivia e la trascina verso la cucina. Henry si alza dalla poltrona e prende la sorella per il braccio. “Jules...”.

Lei si gira a guardarlo negli occhi e poi, lentamente, indietreggia. “Lo sapevi?”

“Jules” mugola.

“Lo sapevi e non me lo hai detto” si libera il braccio con uno strattone “Mi hai mentito”.

“Gli ho chiesto io di farlo” afferma April. Questo non migliora la situazione, anzi amplifica la rabbia che brucia negli occhi di Julianne.

Vedo Lip in piedi sulla soglia della cucina. Mi lancia un'occhiata preoccupata ma resta in silenzio.

“Dov'è?” mugola Julianne. Il suo tono ferito mi fa bruciare in mezzo al petto.

April si aggiusta il maglione con le dita che tremano. “Tuo padre è tornato in Francia”.

Julianne stringe i pugni. “Quando lo ha deciso?”.

“Poco tempo fa...”.

“Mamma” sospira Henry “Dille la verità”.

Julianne lancia un'occhiataccia al fratello e poi si riconcentra su sua madre. “Mamma...”.

April si siede stancamente sul bracciolo del divano. “Lo ha deciso dopo il tuo ricovero. Gli hanno offerto un posto prestigioso all'accademia di belle arti e lui ha accettato”.

“Questo è successo cinque mesi fa, perché non me lo hai detto prima?”. April abbassa lo sguardo verso il pavimento con aria colpevole. “Ma certo. Perché sarei voluta andare a vivere con lui e non con te”.

“Julie...”.

“A quest'ora potrei essere con papà e con la nonna a Parigi, invece che in questo buco dimenticato da Dio con te” si afferra la testa con entrambe le mani “Mi hai trascinata qui senza darmi possibilità di scelta perché pensavi che ci saremmo ritrovate? Che saremmo state come una volta?” ride senza ilarità “Sei più stupida di quanto pensassi”.

“Julianne” ringhia mio padre.

Lei lo ignora e continua a massacrare sua madre. “Ogni volta che ti chiedevo se potevo tornare da papà per Natale, così da rivedere anche Scarlett, tu mi dicevi che ci avresti pensato, che se mi fossi comportata in modo impeccabile ci sarei potuta andare. Ma tu stavi mentendo, mi stavi ingannando”.

“Julie” mugola “Non sapevo come dirtelo, tu sei sempre così lontana e io avevo paura della tua reazione”.

“Quindi è colpa mia? Mi hai mentito ed è colpa mia?”. April singhiozza con forza e nasconde il viso nelle mani. Il tono tagliente con cui si rivolge alla madre sorprende anche me. Niente di così freddo dovrebbe mai uscire da una persona così straordinaria.

Henry si infila tra la madre e la sorella. “Jules basta”.

Gli punta un dito contro. “Ne ho anche per te, stai tranquillo”.

Lui le afferra la mano. “Non è colpa sua”. Il bisogno di intervenire mi fa prudere le mani.

“Tu la difendi sempre. Per te non è mai colpevole di nulla”.

“Perché non lo è”. Lascia andare la sorella, lancia un'occhiata alla madre e poi sgancia la bomba. “Papà non ci ha voluto con lui”.

April tira su con il naso. “Henry, no...”.

“Non è vero” pigola Julianne.

“Voleva tornare in Francia da solo” arriccia le labbra “Non proprio da solo, con la sua nuova fidanzata”.

Julianne indietreggia come se il fratello le avesse dato uno schiaffo. Tremola e si stringe le braccia al petto. “Non ci credo, stai mentendo”.

“No, Jules, non sto mentendo” allunga la mano e cerca di sfiorarla “Mi dispiace”.

Allontana il fratello con uno schiaffo sulle dite. “No!”. Corre verso la porta, afferra le chiavi della macchina ed esce.

La sua fuga lascia tutti senza parole e il silenzio cala opprimente sulla stanza. April si alza torturandosi le mani. “Devo andare a parlarle. Dobbiamo chiarire”.

Henry sospira. “No, non vorrà nemmeno vederti in questo momento. Lasciale metabolizzare la situazione”.

“Dovevi proprio dirle di suo padre così?”.

Henry aggrotta la fronte. “Cosa dovevo fare? Se la stava prendendo con te per qualcosa che non hai fatto. Non è giusto che ti prendi tutto il suo odio per nulla” si massaggia la mascella “Dovevo dirle ogni cosa”.

“No!” strepita April “Non ti azzardare”.

Papà le prende la mano con dolcezza. “Henry ha ragione, cara. Lei pensa che sia colpa tua perché tu lasci che sia così. Dovresti dirle che suo padre...”.

“No!” lo interrompe “Non lascerò che succeda. Lei ama suo padre più di chiunque altro al mondo, non lascerò che tutto questo comprometta il loro rapporto”. Papà le appoggia un braccio intorno alle spalle attirandola verso di sé.

Le stanno ancora mentendo. Pur sapendo che Julianne odia le menzogne, le stanno ancora celando la verità. Non voglio sapere di cosa parlano, non ho intenzione di finire nella lista dei bugiardi con loro.

Lip mi compare di fianco con in faccia una stranissima espressione. Un misto di preoccupazione e stupore. Non ho mai visto quel mix nei suoi occhi prima d'ora. “Andiamo a cercarla, che dici?”.

Annuisco e ci avviamo verso la porta. Non annunciamo dove stiamo andando, mi sembra alquanto chiaro a tutti.

 

 

 

Non ho bisogno di girare per tutta la città per trovarla, so esattamente dov'è. Lip ferma la macchina a qualche metro da quella della madre di Julianne e spegne il motore.

“Resta qui”.

Lui annuisce. “Sì, signore”.

Apro la portiera e mi avvicino alla vettura. Julianne siede raggomitolata sul cofano e schiaccia convulsamente sullo schermo del cellulare. “Andiamo...Rispondi” geme “Ti prego...rispondi”.

“Jay?”.

Si gira di scatto frustando l'aria con i capelli. Scivola giù dal cofano e mi corre incontro. Si fionda tra le mie braccia e affondandomi il viso nel petto. È completamente gelata. È uscita di casa così in fretta da non essersi messa né la giacca né le scarpe. I suoi calzini pelosi sono bagnati e sporchi di fango. Siamo quasi alle fine di ottobre, ormai l'estate sta diventando un lontano ricordo. Mi sfilo la giacca e gliela appoggio sulle spalle. Sospira di sollievo. “Grazie”.

“Vieni”. La tiro gentilmente dentro la macchina e accendo il riscaldamento. Quando si è scongelata, le accarezzo la guancia. “Vuoi parlarne?”.

Julianne alza le spalle. “Non lo so”.

Le stringo la mano. “Stavi cercando di chiamare tuo padre?”.

“Sì”. Il mondo in cui i suoi meravigliosi occhi indefiniti si adombrano mi fa stringere lo stomaco. “Non mi risponde. Ho la bruttissima sensazione che quello che mi ha detto Henry sia la verità”. Giocherella con le mie dita. “Mi sembra così strano, papà che non mi vuole con lui e la storia della fidanzata. Lui ha sempre amato la mamma, non mi sembra possibile che si sia trovato un'altra”.

“Sono passati un paio di anni da quando tua madre lo ha lasciato, è quasi normale che abbia cercato una nuova relazione”.

“Lo so” scuote la testa “Quando mi richiamerà mi spiegherà tutto. Di sicuro Henry ha frainteso un po' di cose”.

Temo proprio di no. “E se fosse la verità?”.

Aggrotta le sopracciglia. “Non lo è. Te lo assicuro”.

Il piedistallo su cui ha posto suo padre è così alto che quando si romperà, la caduta disintegrerà il loro rapporto.

 

 

 

Durante il viaggio di ritorno provo a distrarla in ogni modo possibile. Cerco di farle tornare il sorriso ma qualunque cosa io faccia, nei suoi occhi resta sempre un'ombra scura che non riesco a scacciare.

Henry si infila in camera della sorella prima ancora che lei abbia avuto il tempo di sfilarsi i calzini macchiati. “Jules”.

Julianne si irrigidisce e si volta a guardare il suo gemello. “Cosa vuoi?”.

“Possiamo parlare?”.
“Non ho niente da dirti” afferma “E quanto pare da quella bocca escono solo bugie quindi nemmeno tu hai qualcosa da dirmi”.
“Non fare così, Jules. Non volevo mentirti”.
Si alza di scatto. “Allora perché lo hai fatto? Ci siamo sempre giurati di dirci la verità, non importa quanto dolorosa essa possa essere, e tu hai buttato quella promessa nel cesso”.

Henry si infila le mani nei jeans. “Esistono delle eccezioni”.
“Io non penso proprio” rimbecca.

Henry stringe le labbra in una linea sottile. “Tu non ti sei fatta problemi a mentirmi quando te la facevi con Jared e volevi drogarti”.

Lo sguardo di Julianne si fa ancora più scuro. “Vattene, Henry”.
Lui alza le mani. “Non volevo…”.

“Ogni giorno le assomigli sempre di più”. Ostenta sicurezza ma le trema il labbro inferiore. “Hai così paura di essere te stesso che piuttosto che essere genuino e un totale casino, preferisci essere una menzogna che cammina. Proprio come la mamma”. Si allontana sbattendo la porta.

Henry si lascia cadere sul materasso con il viso tra le mani. “Cosa ho fatto…?”.
Mi siedo al suo fianco. “Non diceva sul serio. È solo arrabbiata”. Gli stringo una spalla. “Domani sarà tutto come al solito”.

“Non penso” mugola “Non l’ho mai vista così in collera nei miei confronti. Cosa dovrei fare?”.

“Lasciale sbollire la rabbia” sospiro “Se c’è una cosa che ho imparato su Julianne è che bisogna lasciarle lo spazio per respirare, soprattutto quando è sconvolta”.

 

 

Lip pigramente stringe il volante. “Sta meglio?”.

Osservo i fanali della macchina davanti a noi dentro cui ci sono le ragazze. Jay è al volante e tutti insieme ci stiamo dirigendo verso il locale che Chastity ha scelto. Naturalmente a me è toccato andare in macchina con Lip. Il tragitto per arrivare a Salt Lake City non mi è mai sembrato così lungo.
“Non lo so” borbotto contro il finestrino “Mi è ancora difficile capire cosa le passa davvero nella testa. Dice di stare bene ma non mi fido molto”.
Si gratta il mento con l’indice. “La bomba che le hanno sganciato addosso era piuttosto pesante, siamo sicuri che questa uscita sia una buona idea?”.

Mi giro a guardarlo confuso. “Da quando sei così materno? E da quando rifiuti una serata in cui puoi rimorchiare?”.

Alza le spalle. “Sono solo preoccupato per Julianne”. Fa una pausa. “Perché siamo amici”.

Lo squadro. “Siete amici? Sicuro che sia solo questo?”.
Si mordicchia l’interno della guancia. “Certo”.

Sento puzza di bruciato. “Lip mi stai nascondendo qualcosa?”.

“No” brontola “Sto solo dicendo che lei pensa di essere fatta di acciaio, ma anche il metallo più resistente alla fine si piega sotto troppa pressione”.

Sono più dubbioso di prima. “Da quando sei così filosofico?”.

Sbuffa. “Senti, lasciamo perdere”. Accende la radio e ignora i miei tentativi di scucirgli qualche tipo di informazione.

Una mezzora più tardi, parcheggiamo davanti al locale e insieme raggiungiamo l’ingresso. Jay resta tra le sue amiche cercando di sorridere il più possibile. So che sta fingendo, i suoi veri sorrisi sono molto più armoniosi. Chastity si gira verso il gruppo. “Avete tutti il vostro documento falso, vero?”.
L’unico no si alza silenzioso da Dorothea. Chastity alza le sopracciglia. “Non hai un documento falso? E come entri nei locali il sabato sera?”.

Dorothea la guarda allarmata. “Non ci entro, non ho l’età per farlo”.

Chastity squittisce. “Oh, perfetto. Ora ci tocca tornare a casa perché Madre Teresa non sa come ci si diverte”.
Peyton appoggia un braccio sulle spalle di Dorothea. “Ehi, Miss Pompon, attenta a quello che fai uscire da quella ciabatta. Non ho ancora deciso se mi stai a genio oppure no”.
Julianne si infila in mezzo. “Okay, ora basta”.

Peyton lancia un’occhiataccia a Chastity. “Per me lei è solo una spia del nemico, non so nemmeno perché l’hai invitata ad uscire con noi”.

Chas scuote la chioma. “In realtà siete voi che vi siete aggregate alla nostra serata”.

Julianne la spinge lontano da Peyton. “Piantatela, tutte e due. Siamo qui perché dobbiamo divertirci, quindi smettetela di bisticciare. Come facciamo a far entrare Dottie senza documento?”.

Chastity lancia un’occhiata al buttafuori. “Ci penso io. Però mi devi un drink”.

Julianne sorride sinceramente per la prima volta. “D’accordo”.

 

 

In qualche modo, Chas distrae il buttafuori e riusciamo tutti ad entrare. I muri di cemento della struttura sono decorati con pittura fosforescente, vinili lucidi e luci colorate. Da un lato della struttura si trova il bar con i tavolini e le sedie, mentre dall’altro si estende una smisurata pista da ballo con il DJ e un oceano di persone che si agitano. Ciascuna indossa un paio di voluminose cuffie colorate.
“è una silent disco” mormoro.
Chastity squittisce. “Troppo on fleek!”.

“è la prima volta che sono in una discoteca” sospira estasiata Dorothea.
Chas mugola e le accarezza la spalla. “è così triste e anche un po’ patetico”.
Peyton si muove in avanti ma prontamente Lip le prende il braccio. Julianne si infila tra le due e spinge Chastity verso il bar. “Noi andiamo a cercare un divanetto, voi andate a recuperare le cuffie”.

 

“Non puoi dire sempre quello che ti passa per la testa” bisbiglia Julianne a Chastity, mentre ci accomodiamo con loro su un divanetto “Le altre persone non sanno che ti hanno fatta senza il filtro tra la bocca e il cervello”.
Chas alza le spalle nude. “Non sono responsabile di quello che mi esce dalla bocca”.

“So che ti è difficile, ma potresti essere gentile con loro? Sono le mie amiche e vorrei che fossero anche le tue”.

Chas prende un menù dal tavolino. “Va bene, se me lo chiedi con tanta gentilezza vuol dire che è importante. Farò la brava”.

“Grazie” sospira.
“Allora cosa si beve?” ulula Lip.
Julianne lo guarda in cagnesco. “Sei l’autista designato insieme a me, non puoi bere”.

Lui si sgonfia come un palloncino. “Ah, già. Mi ero scordato”.

Julianne gli accarezza la spalla. “Non ti abbattere, ragazzone, ci sono io qui con te”.
Lui le fa l'occhiolino “Grazie, dolcezza”

“E poi neanche Aaron beve stasera” continua lei.

“Come mai?” domanda Dorothea con un filo di voce.
“Domani abbiamo un partita davvero importante” spiego “Non bevo mai la sera prima, niente deve interferire con le mie prestazioni”

Chastity branca un cameriere. “Possiamo avere una bottiglia di tequila con sale e lime a volontà? E anche tre bottigliette d'acqua”.

Lui le sorride mellifluo. “Certo”.

Peyton le lancia un'occhiataccia mentre il cameriere si allontana. “Magari potevi domandarci cosa volevamo, prima di ordinare”.

Chastity si sistema l'abito. “Rilassati, tesoro. La tequila è per sciogliere i nervi per non essere degli stoccafissi sulla pista da ballo, dopo potrai ordinare quello che vuoi”.
“Oh” sospira sarcastica Peyton “Grazie di avermi dato il permesso”.

“Basta voi due” brontola Julianne “Siamo qui per divertirci, quindi smettetela”.

“Va bene”. “Okay”. Bofonchiano entrambe.

 

 

La folla intorno a noi si agita senza freno. Le luci stroboscopiche e il fumo rendono i contorni confusi e la musica ci rimbomba nelle cuffie luminose ad un volume esorbitante. Nonostante tutto ciò che accade intorno, il mio cervello si focalizza su un solo e meraviglioso dettaglio: Julianne.

Tutto di lei mi ipnotizza. Il mondo in cui i capelli le accarezzano la schiena nuda. Il mondo in cui muove i fianchi nei pantaloni di pelle. Il mondo in cui chiude gli occhi abbandonandosi alla musica

Lip mi sposta la cuffia dall'orecchio. “Stai sbavando, amico”.
Gli do una spintarella. “Non è vero”.

“Vuoi ballare con lei?”.

Lo guardo di sbieco. “Secondo te?”.

“Okay, ho un piano. Appena te la passo allontanati da qui il più possibile”. Senza altre spiegazioni, si rimette le cuffie e si lancia nella mischia. Per essere così grosso si muove davvero in modo aggraziato. Si infila tra le ragazze, escludendo Julianne dal gruppo e poi, con una notevole mossa di fianchi, la spinge nella mia direzione. Julianne mi finisce tra le braccia ridacchiando. “Ma cosa fa?”.

Senza pensarci due volte, la tiro per il gomito lontano da i nostri amici. Raggiungiamo un angolo appartato dove il fumo si condensa e le luci sono meno forti. Julianne si abbassa le cuffie e mi accarezza la nuca con le mani. “Ciao” sospira.

Le stringo i fianchi tra le braccia. “Ciao”.

“Hai usato Lip come diversivo? Ottimo piano”.

I nostri nasi si sfiorano. “Si è offerto lui, dobbiamo trovare un modo per ringraziarlo”.

“Assolutamente” sospira.

“Sei bellissima” esalo contro le sue labbra “Vorrei disperatamente baciarti”.

Mi studia attraverso le ciglia. “Allora fallo”. Osservo la folla intorno a noi con aria dubbiosa. “Nessuno ci sta prestando attenzione, Aaron. Siamo due persone qualunque che ballano in una discoteca qualunque”. Mi accarezza la guancia. “Baciami, Aaron”.

Esito di nuovo e Julianne prende il controllo della situazione, come sempre. Allunga il collo e le sue labbra sfiorano le mie. Non c'è spazio per la delicatezza e la timidezza quando si tratta di Julianne. Mi bacia come se ne dipendesse la sua vita, come se fossi l'ossigeno di cui ha bisogno, come se fossi tutto ciò che le manca. Per quanto mi riguarda, lei è tutto ciò di cui necessito.

 

 

 

Dopo una veloce sosta al bagno, torno al tavolino per reidratarmi. Peyton e Dorothea sghignazzano dietro a dei cocktail colorati. Lip le osserva corrucciato. “Se una di voi vomita nella mia macchina, non risponderò di me”.

Mi siedo a suo fianco. “Dove sono le altre due?”.

“Chastity è al bar a flirtare con il barista mentre Jay si è dileguata quando le è suonato il telefono”.

Chas riappare con un sorriso assassino e una bottiglia di liquore tra le grinfie. “Questa la offre Stuart”.

Dottie e Peyton squittiscono estasiate.

“Chi diavolo è Stuart?” domanda Lip accigliato.

“Non è il momento di dire basta con gli alcolici?” mi intrometto cercando di afferrare la bottiglia.

Lei la allontana. “Rilassati, papino. È solo l'una, la notte è ancora giovane”.

Indico le amiche di Jay. “Loro sono sbronze marce, tu sei sull'orlo di esserlo e noi non abbiamo intenzione di tenervi i capelli mentre rigettate in qualche cassonetto”.

Lip alza un dito. “Nessuno si avvicina alla mia auto se ha anche solo l'idea di vomitare”.

Chastity stappa la bottiglia e versa il liquido nei bicchierini. “Rilassatevi”.

Julianne riappare in mezzo alla folla e ci raggiunge sbattendo il cellulare sul tavolino. “Cos'è?” chiede indicando ciò che Chas ha appena versato.
“Vodka alla pesca”.

Jay storce la bocca ma afferra il bicchierino e si riversa il liquido in gola. Fa lo stesso con quello successivo. “Ma che diavolo fai?” le chiedo afferrandole il braccio, mentre si allunga per prenderne un altro.
Alza le spalle. “Sto bevendo, non mi sembra difficile da capire”.

Lip la guarda storto. “Sei l'autista designata”.

Lei allontana la mia mano e ne beve un altro. “Nessuno mantiene le proprie promesse, perché io dovrei farlo?”.

Abbasso la voce. “Tu non bevi”.

Non mi guarda in faccia. “Stasera sì”.

“Julianne” sospiro “Cosa succede?”.

Alza lo sguardo e nei suoi occhi ristagna una profonda tristezza. “Ci sono tante cosa che non faccio e che vorrei fare. Ora voglio divertirmi anche io e tu mi stai infastidendo”.

Chas batte le mani “Ben detto, sorella” prende un bicchiere e glielo porge. “Butta giù, la pista ci aspetta”.

 

 

 

“Perchè sei così teso?” mi chiede Lip mentre osserviamo le ragazze ballare “Ha bevuto un po', pazienza. Io e te siamo sobri, le riportiamo a casa e fine della storia”.

Scuoto la testa. “No, c'è qualcosa che non va”.

“Cosa te lo fa pensare?”.

Julianne scuote i capelli e sorride. “La conosco”. Il modo in cui si muove, in cui sorride agli stronzi che le ballano intorno, il modo in cui ha bevuto. È tutto sbagliato.

“Magari vuole solo rilassarsi un po', non mi sembra la fine del mondo. Ha avuto una giornata pesante”. Ho paura che lo sia invece.

Cerco di dissimulare l'ansia e l'apprensione che mi attanagliano lo stomaco, ma quando un enorme imbecille prova a palpeggiarla, perdo completamente il controllo. Gli vado incontro come un bulldozer. “Ehi, coglione, mettiti le mani in tasca”.

L'armadio si gira verso di me, infastidito. “Fatti gli affari tuoi, stronzo”.

Afferro Julianne per il braccio, allontanandola dal gorilla sotto steroidi. “Mi sto facendo gli affari miei”.

Julianne si scrolla la mia mano di dosso. “Calmati, Aaron. Stavamo solo ballando”.

“L'hai sentita?” ghigna “Perchè non te ne torni nel tuo angoletto e ti levi dal cazzo?”.

Lo spintono, senza grossi risultati. “Che ne dici invece se ti prendo a calci in culo?”.

Il gorilla muove il pugno in direzione della mia faccia ma, per qualche ragione, non arriva a destinazione. “Pessima mossa, amico” esala Lip stringendo il pugno del cavernicolo nella mano destra “Nessuno ti ha insegnato le buone maniere?”. Lo spinge indietro frapponendosi tra di noi. Vicino a Lip lo scimmione sembra una bertuccia spaventata. “Perchè non te ne vai con ancora i denti in bocca?”.

Ormai in svantaggio, alza le spalle e si allontana borbottando. “Al diavolo, non ne vale la pena”.

Lip annuisce. “Come pensavo”.

“Me la cavavo benissimo da solo” brontolo.

Lip mi guarda di traverso. “Ma se stava per usarti come sacco da box”.

“Non penso proprio”. Prendo Julianne per mano. “Andiamocene”.

 

Con molta fatica, riusciamo a convincere le ragazze a salire in macchina e a tornare a casa. Lip riporta Peyton e Dorothea, mentre io mi occupo di Julianne e Chastity. Per fortuna, durante il tragitto, gli effetti dell'alcol iniziano a svanire e Chas rientra in casa sulle sue gambe, oscillando leggermente ma senza fare rumore.

Una volta che la porta della camera è chiusa, posso ricominciare a respirare. Julianne si siede sul suo letto e si sfila gli stivali. “Non reggo più l'alcol come una volta”.

Mi metto al suo fianco. “Perchè hai bevuto?”.

Mi accarezza la guancia con il pollice e si allunga per baciarmi. Resto un secondo paralizzato, incerto se ricambiare il bacio oppure no. L'istinto prevale sulla ragione, spingendomi a ricambiare il bacio. Julianne mi scavalla le cosce con una gamba e si siede su di me. Le accarezzo la schiena nuda con le dita. La sua pelle morbida mi manda il cervello in cortocircuito.

La spingo sul materasso e sotto di me. Con uno strattone mi apre la camicia e mi accarezza l'addome, mandandomi a fuoco. Il bottone dei suoi pantaloni si apre senza proteste e l'indumento vola dall'altro lato della stanza. Le sue gambe mi intrappolano i fianchi mentre la sua bocca mi esplora il collo.

È tutto così dannatamente bello e così dannatamente sbagliato.

“Julianne...” sospiro.

Lei lo prende come un invito a continuare e allunga le mani verso la fibbia della cintura. Il rumore della zip ha lo stesso effetto di una doccia fredda. Le afferro le mani. “Julianne”.

“Perchè...?”.

“No” esalo. Rotolo di lato, allontanandomi da tutto ciò che il mio corpo agogna. Mi alzo cercando di frapporre una certa distanza tra di noi. “Cos'è successo alla silent disco?”.

Lei sbuffa. “Nulla, volevo rilassarmi un po'”.

“Rilassarti un po'? Scherzi, vero?”.

Alza le spalle. “C'è qualcosa di male nel volersi divertire una volta ogni tanto?”.

Scuoto la testa. “Tu non bevi, me lo hai detto tu. Fa parte della tua promessa”.

“Nessuno mantiene le proprie promesse, perché io dovrei fare lo stesso?”.

“Questo lo hai già detto, ma non capisco cosa vuoi dire. È per la storia di tuo padre?” domando.

Si stringe le gambe al petto. “Possiamo non parlarne?”.

“No” sospiro “Chiaramente c'è qualcosa che ti turba”.

“Cosa diavolo ne sai? Non sei nella mia testa” sbuffa “Dovevo finire la serata con il tipo della discoteca, lui di sicuro non vorrebbe parlare in questo momento”.
Stringo i denti, cercando di assestare il colpo. “Julianne, sto cercando di aiutarti. Non stai bene...”.

“Sono stufa di sentirmi dire che non sto bene. Io sto benissimo. Parliamo di te piuttosto, qual è il tuo problema? Cos'è che ti spaventa tanto nel sesso?”.

“Te l'ho già detto...”.

Ride senza ilarità. “Sì, sì. Vuoi che sia speciale e tutte quelle stronzate lì. È solo sesso, Aaron. Cresci”.

“Io devo crescere?” domando con rabbia “Quella che si comporta come una bambina qui sei tu. Ripeti sempre lo stesso schema. Qualcosa ti turba e ti rifugi nelle solite scappatoie. È così che hai cominciato? Alcol e sesso squallido con dei trogloditi? Il prossimo passo è un ago nel braccio?”.

So di aver superato il limite quando, nei suoi occhi ormai lucidi, intravedo la stessa tristezza che sua madre le causa ogni giorno. Vorrei rimangiarmi ogni parola ma so che non servirebbe a nulla.

“Vattene” mugola.

“Jay...”.

“Vai via” si rannicchia dandomi le spalle “Subito”.

Vorrei restare più di ogni altra cosa al mondo, ma ormai la conosco. Restare mi porterebbe a fare altri danni. Anche se non sono sicuro di poter fare peggio di così.

 

 

 

“E poi Peyton si è asciugata la bocca e si è messa a ridere. Si è messa a ridere! Dopo che ha vomitato tipo l'esorcista dal finestrino della mia macchina, si è sganasciata dalle risate” asserisce Lip infilando la divisa “Anche io volevo fare la cometa di vomito dalla macchina, ma no sono rimasto sobrio come uno stronzo. La prossima volta cerchiamo un metodo più corretto di decidere chi fa l'autista. Sasso, carta e forbice è troppo imbrogliabile”.
Sinceramente non ho ascoltato nemmeno una parola da quando ha iniziato a parlare. Nella testa mi frulla in continuazione la discussione che ho avuto con Julianne ieri sera. Ho passato tutta la notte a fissare il soffitto soppesando ogni parole che le è uscita dalla bocca e ogni singola sillaba che ho pronunciato senza pensare. Vorrei sbattere la testa contro lo stipite. Magari potrebbe spaccarsi e tutte le parole che mi saturano il cervello volerebbero via come palloncini.

Il coach Jackson entra nello spogliatoio e il silenzio cala soffocante. “Allora, signorine, voglio solo una cosa da voi oggi: Fuoco. I Red Devils sono degli assatanati figli di puttana e sappiamo che non giocano mai in modo pulito, ma noi non fare lo stesso. Siamo superiori e migliori di loro sotto ogni punto di vista, perciò voglio che ognuno di voi ora raccolga i propri problemi e le proprie insicurezze e lasci tutto in questa stanza. Una volta la fuori voglio solo il meglio, chiaro?”.

“Sì, coach” borbotta la squadra.

“Non vi ho sentito!” strilla il coach.

“Sì, coach!” urliamo tutti.

“Ora si ragiona! Forza, uscite di qui e fategli vedere di che pasta sono fatti i miei ragazzi”.

 

 

Pasta frolla. Ecco di cosa siamo fatti. Siamo già a metà partita e siamo ancora sotto di dieci punti, abbiamo due uomini in meno e le ammonizioni alle stelle. Lip è ad un passo dall'essere buttato fuori o da togliersi i guanti e spaccare la faccia all'altra squadra.
I Red Devils ci stanno mettendo in ginocchio e tra poco ci faranno fuori con un colpo alla testa.

E io li sto aiutando. Il coach ci ha detto di lasciare fuori i problemi, io ho dimenticato la testa in camera di Julianne e il cuore tra le sue mani. L'idea che sia sugli spalti mi manda in pappa il cervello, ma il pensiero che non ci sia mi sta davvero uccidendo. E se non volesse più parlarmi? E se avessi mandato tutto al diavolo? Perché me ne sono andato? Perché non ho detto qualcosa quando mi ha cacciato?

Sono così preso dai se e dai perché che non mi ricordo che ho la palla. Ci pensa il difensore dell'altra squadra a ricordarmelo. Mi carica come un toro e mi butta a terra come se gli avessi insultato la madre. Cento chili di muscoli mi schiacciano contro l'erba in modo innaturale e quando un raccapricciante scricchiolio mi riempie le orecchie, finalmente la testa si svuota da ogni pensiero.

 

 

Giocherello con la fasciatura che mi tiene il braccio appeso al collo. Ci sono volute due costole incrinate e una spalla slogata per farmi smettere di pensare a Julianne. Ottimo. Peccato che ora che l'antidolorifico sta facendo effetto, la foschia sta tornando.

“Aaron”. Ti prego non essere un'allucinazione sonora dovuta ad un trauma cranico. Lentamente mi giro e Julianne mi osserva preoccupata. “Come stai?”.

È più bella di quanto mi ricordassi. “Solo un po' ammaccato. Come sei entrata negli spogliatoi?”.

“Peyton mi ha dato una mano e ora sta facendo il palo”. Infila le mani nei jeans sbiaditi. “Cosa ti ha detto il medico?”.

“Spalla slogata e qualche costola un po' incrinata, nulla di preoccupante” sospiro “Nulla in confronto a quello che mi farà il coach a fine partita”.

“Mi dispiace” mugola.

“Non è colpa tua. Il difensore che mi è venuto addosso pesa come un bue muschiato”.

Si avvicina, timorosa. “Mi dispiace di averti rovinato la partita”.

“Non è...”.

“Sì, è colpa mia” afferma “Eri distratto a causa mia, per ieri sera”.

“Julianne” esalo.

“Lasciami parlare, per favore” si avvicina al lettino sul quale sono sdraiato “Ci ho pensato tutta la notte, non che avessi altro da fare, non riuscivo a dormire”. Nemmeno io. “Ho pensato a tutte le stronzate che ti ho detto e tutto quello che ho fatto e mi dispiace da morire. Avevi ragione, non stavo bene e mi sono comportata come al solito” sospira pesantemente “Ieri sera mio padre mi ha mandato un vocale, non ha avuto nemmeno la cortesia di chiamarmi”. Si sfila il cellulare dalla tasca e me lo avvicina. La voce del signor Roux risuona chiara dalle casse.
- Ehi, J-Bird. Tua madre mi ha detto che avete parlato finalmente, ero stufo di tutti quei suoi sotterfugi. Magari quando starai bene potrai venirmi a trovare, così potrai passare un po' di tempo con Lauren. So già che andrete molto d'accordo, lei è meravigliosa.

Ti voglio bene, passerotta-

Mette via il telefono. “L'ho dovuto ascoltare tre volte per essere sicura di aver capito bene, poi sono andata su Facebook e ho cercato Lauren. È esattamente chi pensavo che fosse. La sua ex-assistente ventitreenne” si tortura le mani “Ho provato a chiamarlo ma scattava sempre la segreteria. Così il mio cervello si è inceppato su il suo messaggio ed ha iniziato a sezionarlo e a mandarlo a ripetizione come un disco rotto”. Le prendo la mano e le accarezzo il dorso. “Non si è spiegato, non si è scusato, ha dato tutta la colpa alla mamma e quella frase...” espira “...quando starai bene...come se tutti i progressi che ho fatto fossero inesistenti, come se fossi ancora fragile. Ho perso la testa e ho fatto quello si aspettano da me. Poi sei arrivato tu, che non so come ma sai quando sono turbata e...”

Ora è tutto molto più chiaro. “Ho insinuato che non stessi bene”.

Annuisce. “Ho perso di nuovo il controllo e ti ho detto un sacco di stronzate che non stavo pensando, solo per allontanarti. Mi dispiace tantissimo, Aaron”.

Le bacio il dorso della mano. “Sono io che dovrei scusarmi, Jay, quello che ti ho detto è stato orribile. Non volevo ferirti”.

“Avevi ragione, mi stavo comportando come la Julianne di prima” mormora tristemente.

“Facciamo così” la faccio sedere sul bordo del lettino “Da ora in poi ogni volta che sei turbata me ne parli tu e bandiamo per sempre la frase non stai bene dal vocabolario, okay?”.

Sorride, illuminandomi. “Okay”.

Allungo il braccio sano e le sposto il capelli dietro l'orecchio. Si china in avanti sfiorandomi il naso con il suo. “Io ti...”.

La porta dello spogliatoio sbatte e Peyton entra sgommando. “Lo struzzo è nel pollaio”.

La guardiamo confusi. “Cosa vuol dire?”.

“Che dobbiamo filarcela. Subito”.

Julianne mi bacia velocemente e scende dal lettino. “A dopo”. Scompaiono nel momento esatto in cui il coach e la squadra entrano nello spogliatoio. I musi lunghi e lo sguardo di fuoco vogliono dire solo una cosa: i Red Devils alla fine ci hanno sparato alla nuca.

 

   
 
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