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Autore: workingclassheroine    19/03/2020    0 recensioni
A soli vent'anni ha passato così tanto tempo tra i fiori, Paul, che ne ha imparato perfettamente il linguaggio.
E ha dimenticato quello degli uomini.
Non gli interessa, poter vantare solo degli amici che seccano e inaridiscono con il passare del tempo.
Anche per le persone in fondo è così, gli dice ogni tanto Ben, solo che loro non ti abbandonano per dispetto.
Non ci si può arrabbiare, con una corolla che appassisce.
È un amore che non comporta alcun tipo di rischio, e questo va bene, questo non fa male.
"Non ci perdiamo nulla" dice ogni tanto Ben "Credimi, non ci perdiamo nulla".
Non c'è neanche bisogno di spiegarlo, perché Paul è ormai rassegnato al fatto di aver dimenticato il linguaggio degli esseri umani, e la cosa non gli pesa.
Se non che, presto, John si rassegnerà al fatto di dover imparare quello dei fiori.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Paeonia

Paul sta ancora aspettando che l’acqua bollente cuocia i noodles liofilizzati quando il suo vecchio cellulare inizia a squillare.

E, nel leggere l’indicazione di un numero sconosciuto, ha quasi uno svenimento.

Che non sia per Ben, prega, e risponde.

“Oggi eravate chiusi”

Paul allontana per un attimo il dispositivo, studiando con attenzione il numero, ma non lo riconosce.

“Con chi parlo?” chiede, stancamente, incastrando il telefono tra orecchio e spalla.

“Sono arrivato fin lì per niente. Ho dovuto citofonare a Ben e prendermi il disturbo di chiedere il tuo numero”

Seppur la voce sia vagamente alterata dall’apparecchio, il solo tono è sufficiente perché Paul lo riconosca.

“John?”

E John, dall’altro capo della cornetta, ride “Ti chiamano molti altri ragazzi a quest’ora di sera?”.

Paul si getta sul piccolo divano, in mano la confezione di noodles ancora bollente e sulle labbra un sorriso divertito che non è riuscito a trattenere.

“Ti sorprenderebbe” commenta.

“Non ne ho incontrato nessuno, stamattina. Evidentemente loro sono stati adeguatamente informati sul fatto che il negozio fosse chiuso”

“Tutti i fiorai chiudono di lunedì” si limita a dire Paul, giocherellando con la forchetta.

Non ha più così tanta fame.

“Non tutti” lo rimbecca John.

Paul alza gli occhi al cielo, e sta quasi per chiedergli come faccia a saperlo, quando il trillo del citofono lo fa sobbalzare.

“John, spero davvero che tu non sia fuori dalla porta di casa mia” lo ammonisce, alzandosi di malavoglia per avvicinarsi alla porta.

Mentre lo dice, sa già di mentire. Eppure lo dice.

Lo fa perché, se è vero che non gli dispiacerebbe trovare John sul pianerottolo, è anche vero che lo spaventerebbe a morte.

“Dio, per chi mi hai preso?” Paul lascia che John continui a indignarsi, appoggiando l’orecchio alla porta e allontanando il telefono.
Rassicurato dal fatto che una voce che si lamenta a quel volume sicuramente sarebbe percettibile anche attraverso il legno sottile della sua porta, si concede di aprire.

“Paul?” lo richiama John.
Paul ha gli occhi sgranati mentre gli dice “Aspetta un attimo in linea”.

Guarda il mazzo di peonie che gli si è presentato davanti, enorme e bellissimo, e anche se John non è lì, in un attimo ogni sua singola cellula sospira il suo nome.

L’uomo davanti a lui, il cui viso Paul non riesce a mettere a fuoco, esita, un po’ imbarazzato, ma sorride alla sua reazione “Paul McCartney? Deve firmarmi questa consegna”.

La penna graffia il foglio senza che Paul si renda minimamente conto di quello che sta facendo, e nell’attimo dopo è solo, affacciato sul suo pianerottolo, con un mazzo di fiori in mano e l’altra abbandonata lungo il fianco, con il telefono serrato tra le dita.

Gli ci vuole qualche tempo per ricordare che c’è qualcuno all’altro capo del filo, e ancora qualche momento per trovare il coraggio di riportarsi il telefono all’orecchio.
“Sei ancora lì?” chiede, in un soffio.

“Sì, Paul. Sono sempre qui” risponde semplicemente John.

E Paul, che in vent’anni non ha mai avuto bisogno di nessuno, sente un nodo sciogliersi all’altezza dello stomaco alla conferma di John.
Nonostante la parte più disillusa e razionale di lui si ribelli all’idea, quelle parole sembrano quasi una promessa.
E, questa è la parte più straordinaria, Paul gli crede.
Basta questo, perché i suoi occhi inizino a offuscarsi, e il suo cuore a blindarsi.

“Ti piacciono?” il tono di John è cauto, gentile.

“Hai regalato a un fioraio fiori presi dalla concorrenza” ribatte Paul, con una freddezza che non intende, gettandosi sul divano.

John ride sommessamente, “Te l’ho detto, eravate chiusi”.

“Potevi aspettare domani” commenta Paul, con la testa sul bracciolo e l’indice a tormentare i capelli corvini.

“Sarei impazzito alla sola idea. Se non sono alla tua porta adesso, è solo perché so che non la apriresti”

A questa confessione, resa sottovoce, la gola di Paul si secca, e la mano destra finisce per posarsi sul mazzo di fiori che si è lasciato sul petto.

Non sa bene cosa sia a turbarlo.

È forse il fatto che John sia così diretto, così trasparente da mettere il proprio cuore nel palmo altrui e confidare che l’altro non stringerà il pugno. O forse a spaventarlo è che lo conosca tanto, che lo abbia capito nonostante le sue censure, e che sia pronto a rispettare il terrore che legge in lui.

“Paul?”

“Dimmi, John”

“Per caso sei nudo?”

Per la prima volta dopo anni, Paul ride.

“Certo. Mi denudo sempre prima di aprire la porta agli sconosciuti”

“Lo sapevo, dovevo bussare io alla tua porta”

“Perché? Cosa avresti fatto?” e, nel dirlo, Paul è totalmente candido, ma gli basta sentire la risata incredula e maliziosa di John per pentirsi delle proprie parole e del loro sottinteso.

“Paul, amico, su che tono vuoi che continui questa conversazione?” lo canzona infatti l’altro, divertito.

“Smettila. Non intendevo quello” si affretta a chiarire, mentre un calore diffuso si appropria delle sue guance.

“D’accordo. Ho capito” lo rassicura John, e la sua voce si è fatta d’improvviso bassa, “Non vuoi sentirti dire che sarei entrato sbattendoti al muro e baciandoti, toccandoti ovunque mentre gemi sulla mia bocca”.

Lo sta prendendo in giro, Paul lo sa, può leggerlo in come a tratti la voce di John si alza per l’ilarità, eppure quelle immagini ormai esistono.

Sono nel suo cervello, ovunque.
John che lo bacia, lo sfiora con le sue mani eleganti.

E Paul neanche si rende conto che la sua mano è scesa più in basso, sul cavallo dei pantaloni in tuta leggera.

“Se continui così sarò costretto pagare la telefonata al minuto, John” scherza, e si sforza di ignorare il calore soffocante che gli attanaglia le carni.

Un’altra risata soffocata gli arriva all’orecchio, e Paul chiude gli occhi, e sorride.

“Non preoccuparti. Ho capito. Non vuoi assolutamente che ti dica che ti stenderei sul divano, percorrendo il tuo corpo con la lingua, e poi-”

Paul smette di ascoltare John, perché improvvisamente lo nota.
Nota la propria mano che disegna ghirigori pigri che infuocano la sua pelle al di sotto della tuta.

Nota il proprio respiro vagamente affannato, l’improvvisa difficoltà nel pensare lucidamente.
Si alza in piedi di scatto, talmente stordito da rischiare di inciampare nei propri stessi piedi.
“Scusami, devo andare”

L’altro ride, “E dove vai?”

“A fare una doccia” improvvisa Paul, ma ha solo il tempo di dirlo prima di capire che, ancora una volta, ha sbagliato parole.

“Quanto fredda?” indaga infatti John, divertito.

“Va’ al diavolo”

E riattacca.

Una doccia non sembra neanche una cattiva idea.


Fredda.





 

  
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