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Autore: Mavis    19/03/2020    1 recensioni
§Da quando avevano avuto quel brutto problema di infiltrazione anni addietro con Crawford, aveva rafforzato ogni misura di sicurezza, arrivando ad pretendere anche cose fuori dall’ordinario. Suo fratello lo definiva maniacale, ma Seto non voleva in nessun modo ripassare attraverso quel purgatorio. La visione di suo fratello incatenato alla parete di una cella sotterranea continuava a perseguitarlo a distanza di anni. §
Una nuova minaccia incombe sui nostri amici, una presenza antica e oscura, che ha intenzione di divorarli e trascinarli nelle ombre. In quest'avventura le carte non saranno più sufficienti a salvarli, ma l'aiuto giungerà di nuovo dal passato, riparando il vuoto lasciato dal tempo nel cuore del faraone... e non solo.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Atemu, Kisara, Mokuba Kaiba, Seto Kaiba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Misunderstanding

La mattina seguente, Mokuba raggiunse il fratello nella grande sala da pranzo per la colazione, trovandolo già con la faccia seppellita in una delle tante testate che era solito consultare. Borbottando un buongiorno assonnato, si allungò sul tavolo per trascinare verso di sé la scodella traboccante di biscotti al cioccolato, mentre una cameriera silenziosa si premurava di servirgli il tè. Fu in quel momento che l’occhio gli cadde sul grande articolo presente sulla prima pagina del quotidiano. “ENNESIMO CORPO RITROVATO IN STATO DI COMA NEI VICOLI DELLA CITTÀ – SI TRATTA DI UN NUOVO VIRUS O DI UNO SPIETATO SERIAL KILLER? LE AUTORITÀ BRANCOLANO NEL BUIO”.

Guadagnando un barlume di lucidità, si avvicinò al fratello per cercare di leggere qualcosa di più. Domino era una città talmente noiosa che quell’articolo sembrava fuori posto su quella pagina. Non fece in tempo a finire il primo paragrafo che Seto chiuse il giornale con malagrazia accartocciandolo sul tavolo.

-Abbiamo un problema- proclamò lanciandogli uno sguardo di fuoco.

Subito Mokuba prese a scandagliare mentalmente cosa aveva fatto nelle ultime settimane. Non gli pareva di essersi comportato male. Che suo fratello avesse scoperto che avrebbe partecipato alla festa a sorpresa per Katsuya, trascinandoci anche lui con l’inganno? A quel pensiero si sentì sbiancare.

-Avanti Nii-sama, non devi prendertela per una sciocchezza- pigolò iniziando a sudare freddo.

-Nessuno aveva mai fatto una cosa simile- ringhiò il presidente versandosi un secondo caffè. Pessimo segno.

Mokuba tentò di esibire un sorriso stiracchiato. L’ultima volta che l’aveva visto in quelle condizioni si era beccato una punizione di un mese. -Non essere così drammatico, hanno pur sempre organizzato una cosa minuscola-.

-Sarà anche minuscola, ma è il primo prodotto che si avvicina lontanamente alla nostra tecnologia olografica- ringhiò il moro afferrando con rabbia la tazzina di caffè.

A Mokuba si bloccarono in gola le parole di scusa. -Come?- biascicò esibendo quella che non dovette essere un’espressione troppo intelligente.  Difatti Seto grugnì irritato, passandogli il giornale ed indicando la foto stampata al centro di un articolo.

L’immagine mostrava un apparecchio cilindrico alto un paio di spanne al cui interno era visibile un piccolo avatar. Mokuba strizzò gli occhi incredulo, avrebbe saputo riconoscere un ologramma a chilometri di distanza. Disorientato cercò il logo dell’azienda sul prodotto, trovandolo ben inciso nella placca metallica superiore, ME.

-La Moore Enterprise? Ma la loro tecnologia è nettamente inferiore alla nostra! Non hanno né le capacità, né le competenze, per costruire una cosa del genere!- si infuriò il più giovane cercando lo sguardo del fratello. Il presidente doveva essere della stessa opinione perché la sua espressione era livida. -Evidentemente abbiamo tra le nostre fila uno sporco traditore che sta vendendo loro delle informazioni- ringhiò, mentre qualcuno bussava cortesemente alle porte della sala.

Il viso di Isono fece capolino da dietro l’uscio.

-Siamo pronti per l’accoglienza Signor Kaiba. Noah è qui- annunciò la guardia del corpo ringraziando il cielo per gli occhiali scuri che gli coprivano gli occhi.

Lo sguardo di fuoco che gli stava rivolgendo il suo responsabile probabilmente lo avrebbe incenerito altrimenti.

-Perfetto, una buona notizia finalmente- disse Seto alzandosi dalla lunga tavolata subito imitato dal fratello.

Nell’ampio ingresso, come promesso da Isono, trovarono la sottile figura di Noah in attesa. Il raffreddore non doveva ancora essere passato, perché anche quel giorno portava sul viso un’ingombrante mascherina bianca. Ai suoi lati erano posati due enormi valige ed un baule in pelle dall’aria vissuta, i suoi unici bagagli. Infatti, da quel momento in avanti, avrebbe abitato in un’ala della grande villa, insieme alla stretta cerchia di personale che si occupava della loro dimora.

-Ben arrivato, spero che Isono ti abbia accennato alle nostre procedure di sicurezza, mentre ti faceva firmare il contratto di assunzione- lo accolse il presidente avvicinandosi ad un tavolo che era stato lì per l’occasione. Mokuba rivolse un sorriso smagliante al nuovo venuto, accennando un saluto con la mano.

La guardia del corpo gli rispose con trasporto da dietro la mascherina, prima di stringere la mano a Seto. Il presidente rimase sorpreso dalla presa salda di quelle dita ruvide e coperte di calli. Quelle mani lasciavano trasparire l’impegno e la dedizione che Noah riversava nel suo lavoro.

-Certo, ritengo che questa sia una misura di sicurezza piuttosto stramba, ma appropriata dati i vostri precedenti. Senza contare che io non ho nulla da nascondere- rispose con voce roca per poi prendere una delle grandi valige e depositandola sul tavolo.

-In realtà è una precauzione che abbiamo adottato solo per i dipendenti che vengono ad abitare qui. Apra pure- invitò il moro con un secco gesto della mano. L’idea di controllare personalmente i bagagli del proprio personale poteva risultare un po’ inquietante, ma con il passare degli anni aveva imparato che per conoscere bene una persona la si doveva studiare da vicino, facendo in modo che mostrasse senza timore i propri interessi ed oggetti personali.

Facendo correre le dita lunghe e veloci Noah spalancò la valigia senza esitazioni e i due fratelli Kaiba iniziarono a scandagliare con lo sguardo il suo contenuto.

La prima cosa che Seto notò era che fosse tutto perfettamente e rigorosamente ordinato. Il che fu un grande sollievo, apprezzava molto la pulizia ed il rigore. La seconda, era che il nero fosse il colore predominante del suo guardaroba, o almeno, quello invernale, dato che nel bagaglio erano stipati per lo più abiti pesanti. L’unica macchia di colore, era rappresentato da un fagottino rosa che spuntava a malapena da sotto un pesante maglione di lana.

-Posso?- domandò allungando la mano verso l’oggetto dei propri interessi.

Noah si strinse nelle spalle con indifferenza, -Certo, come ho detto non ho niente da nascondere- acconsentì.

Senza farselo ripetere il presidente si sporse sulla grande valigia e prese tra le mani quello che si rivelò essere un tenero coniglietto di peluche. -Non riesco a dormire senza Mr. Bunny- si limitò a spiegare la nuova guardia del corpo allo sguardo stranito che Mokuba si lasciò sfuggire.

Senza lasciar trasparire alcuna emozione Seto si limitò a risistemare l’animaletto da dove lo aveva prelevato e con un cenno del capo fece segno di passare al prossimo bagaglio.

Questa volta Noah depose sul tavolo l’ingombrante baule di pelle e fece scattare le grosse cerniere d’acciaio per permettere ai suoi nuovi datori di lavoro di sbirciare all’interno.

Gli occhi di Mokuba scintillarono estasiati, mentre Seto vagliava il contenuto con interesse. Custodite con cura e attenzione faceva mostra di sé un nutrito arsenale di armi bianche.

-È una collezione notevole, non hai avuto problemi alla dogana? In fondo arrivi dalla Russia- chiese il presidente prendendo tra le mani una katana dal fodero blu scuro.

-Possiedo tutta la documentazione e le certificazioni per portare con me la mia collezione. Mi capita spesso di viaggiare- lo rassicurò Noah in tono lusingato.

Mokuba non riusciva a credere ai propri occhi. Non che fosse un esperto di armi bianche, ma lì dentro riconosceva, oltre a tre katane di scuole differenti, due paia di sai, un nunchaku, un’ascia bipenne, diversi pugnali, un arco e, per la miseria, degli shuriken veri.

-Le sai maneggiare tutte?- si lasciò sfuggire il più piccolo, senza avere il coraggio di infilare le mani in quel tesoro. In compenso suo fratello stava sfacciatamente frugando tutto il baule, come in cerca di qualcosa. -Sì, anche se alcune sono in grado di utilizzarle solo in modo molto rudimentale. Molte di queste sono regali dei miei papà- ammise Noah.

-È incredibile. Ora che ci penso, tu sei stata adottata da una coppia di uomini, me lo avevi accennato durante uno dei colloqui. Uno dei due è il tuo padre biologico?- domandò Mokuba mosso da genuina curiosità. Non voleva essere invadente, ma solo capire fino a che punto fosse simile il loro passato.

-No, mi hanno adottata quando avevo sedici anni- disse Noah senza mostrare turbamento per la domanda personale.

-Come mai niente armi da fuoco?- si intromise bruscamente Seto allontanando finalmente le mani dal contenuto del bagaglio. Mokuba si ritrovò a tirare un sospiro sollevato, suo fratello ogni tanto scordava il significato della parola privacy. Aveva letteralmente messo le mani su ogni cosa in quel dannato baule. -Per via del mio lavoro, le so utilizzare, ma non le ho mai amate particolarmente. Trovo molto più affascinante la storia e i riti legati alle armi bianche- rispose Noah soffocando un colpo di tosse. Seto annuì distrattamente e con rispetto chiuse il coperchio del baule in attesa dell’ultimo bagaglio.

Per quanto lo riguardava le armi da fuoco potevano anche sparire dalla faccia della terra. Sapeva che erano indispensabili per la sua sicurezza e per quella del fratello, ma ogni volta che ne vedeva una gli tornava alla mente Gozaburo e il nauseante odore dei suoi sigari. Per questo aveva ordinato alla sua sicurezza di portarle con discrezione, in modo che non fossero visibili. Era un sollievo quindi che quell’individuo non avesse deciso di trasferire un piccolo arsenale sotto il suo tetto.

Quando l’ultima valigia fu aperta si trovarono di fronte ad un altro mare di vestiti, tutti rigorosamente neri. -Se non altro abbiamo scoperto qual’è il tuo colore preferito- rise Mokuba. Gli occhi di Noah scintillarono divertiti, -Veramente il mio colore preferito è il blu, però il nero è molto più pratico per il mio lavoro- ribatté la guardia del corpo sistemandosi una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio.

-Queste a cosa servono?- li interruppe Seto indicando una serie di flaconi di prodotti per capelli.

Per la prima volta da quando avevano iniziato quella stramba procedura i due videro la guardia del corpo a disagio.

-Sono tinte per capelli, molte persone trovano il colore naturale dei miei capelli fastidioso, o troppo esuberante, perciò ho preso l’abitudine di tingerli- spiegò loro Noah, mentre le sue orecchie e quello che era visibile delle sue guance assumeva una colorazione scarlatta.

Mokuba sentì il fratello sbuffare seccato al suo fianco, -Per quanto mi riguarda, puoi anche avere i capelli dei colori dell’arcobaleno, basta che tu svolga bene il tuo lavoro. Se lo desideri puoi anche evitare di usare questa robaccia fin tanto che lavorerai per noi-.

Il più piccolo si trovò d’accordo con le sue parole. Dopo aver conosciuto Yugi, d’altronde, non ci sarebbe più stata chioma che avrebbe potuto sorprenderli.

Le parole dovettero commuovere particolarmente Noah, perché il colorito delle sue orecchie si fece ancora più intenso. -Vi ringrazio- borbottò inchinandosi.

Mokuba ridacchiò imbarazzato facendo un vago gesto con la mano. -Figurati, quando vedrai il Re dei Giochi in carica capirai perché non ci spaventa nulla, vero Nii-sama?- esclamò volgendosi verso il fratello maggiore, trovandolo innaturalmente immobile.

-Che succede Nii-sama?- chiese leggermente perplesso cercando di seguire il suo sguardo perso all’interno del bagaglio.

-Quelle sono mutande da donna?- replicò il presidente della Kaiba Corporation indicando un paio di slip neri adagiati su una pila ordinatissima.

Il più giovane si ritrovò a boccheggiare, -Direi di sì Nii-sama, che ti aspettavi?- ridacchiò.

Il presidente scosse la testa, -Nulla, ovviamente ognuno è libero di gestirsi come più desidera- considerò prima di soffermarsi su una scatola che si trovava proprio accanto alle pile di intimo.

-Più che altro vorrei capire cosa te ne fai di questi- continuò prendendo in mano l’incriminato pacco di assorbenti.

Il viso di Mokuba assunse una tinta violacea, -Nii-sama, cosa-diavolo-strai-combinando- sibilò lanciando al contempo uno sguardo di scuse a Noah.

La guardia del corpo però non si scompose. -Una volta al mese ritengo sia inevitabile che li usi, Signor Kaiba-

Il moro gli rispose con un cipiglio seccato, -Certo, per una donna- disse in tono allusivo. Poteva anche accettare scelte particolari di intimo, ma quello iniziava ad essere un po’ inquietante.

-Nii-sama, Noah È una donna e quindi ha bisogno di quei cosi. Di grazia metti a posto quella scatola!- esclamò Mokuba con l’aria di uno che avrebbe preferito seppellirsi vivo che assistere a quella scena.

-Come?- domandò Seto senza alcuna inflessione particolare. A quel punto Noah cominciò a manifestare del disappunto inarcando un sopracciglio ed incrociando le braccia al petto. Fu in quel momento che il presidente notò per la prima volta una curva morbida comparire tra gli abbondanti strati di tessuto della guardia del corpo. Questo gli fece nascere un dubbio.

-Metti la scatola a posto e chiudiamo la faccenda. Stai diventando imbarazzante- sbottò Mokuba in tono innaturalmente acuto schiaffandosi una mano sul viso in fiamme.

-No, cosa hai detto prima-.

-Che Noah è una donna, quindi ha bisogno degli assorbenti. Ora, spero non debba anche spiegarti il perché!- ruggì il più piccolo non sapendo più come giustificare quella situazione imbarazzante. Non credeva di dover essere lui a dover spiegare a Nii-sama la storia dell’ape e del fiore, semmai aveva sempre pensato il contrario.

-Noah… una donna- sussurrò il presidente spostando gli occhi da suo fratello per posarli sulla figura di Isono. L’uomo, d’altra parte, rimpianse di non essere stato incenerito pochi minuti prima, perché quello sguardo significava qualcosa di molto, ma molto, peggio. Se c’era qualcosa che aveva iniziato a temere più di un Seto Kaiba arrabbiato, era un Seto Kaiba sorpreso e quella situazione era appena degenerata in modo mostruoso.

In quel momento la nuova guardia del corpo realizzò quale fosse il nocciolo del malinteso e si mise a ridere. -Caspita, mi dispiace, ogni tanto la storia dell’acronimo crea confusione. Avrei dovuto prevederlo. Le persone tendono a scordarsi questo dettaglio e la voce che mi ritrovo a causa di questo maledetto raffreddore di certo non aiuta-.

Vedendo che la nuova arrivata non si era offesa a morte, Mokuba si rilassò appena, anche se suo fratello insisteva a tenere in bella vista quella dannata scatola di assorbenti ultra-sottili.

-La forma estesa è Nojiko Ofelia Arabella Hinata, abbiamo abbreviato il nome durante la selezione per facilitare la compilazione delle carte- spiegò sentendo defluire il rossore dalle sue guance.

-È come dice il Signorino Mokuba. Dato che non ci sono le virgole tra i diversi nomi devono essere riportati tutti in caso di documentazione ufficiale. Era il metodo più veloce- confermò Isono cercando di non tremare sotto lo sguardo affilato del suo datore di lavoro. Non aveva mai capito come un ragazzo della sua età riuscisse ad emanare una tale aura imponente.

Con estrema calma il presidente depose di nuovo la scatola dove l’aveva trovata, permettendo a Noah di richiudere anche quella valigia.

-Mokuba, mostrale la sua stanza. Isono, dobbiamo parlare. ORA- furono le sue uniche parole prima di avviarsi nel suo ufficio ai piani superiori.

 

- nel frattempo, dall’altra parte della città -

 

-Non ci posso credere!- esclamò un ragazzo biondo gettando con irruenza quello che restava di un quotidiano sul tavolo della cucina Mouto. Il titolo di quella maledetta prima pagina bruciava come fuoco dietro alle sue palpebre.

-Jono calmati- provò a tranquillizzarlo la mora seduta al suo fianco mettendogli una mano sulla spalla con gentilezza.

-Non posso Anzu, credevo che i nostri sforzi stessero finalmente dando i loro frutti. Eppure altra gente è stata attaccata ed è finita in coma- ringhiò Katsuya di rimando liberandosi dalla sua presa e prendendo a misurare il piccolo ambiente a grandi falcate. Sembrava un animale in gabbia.

Gli occhi azzurri della compagna si fecero tristi, -Lo so, ma state facendo il possibile- sospirò affranta.

-Non è sufficiente!- ruggì l’interessato digrignando i denti. Dopo tutto non era lei ad aver visto quel povero ragazzino accasciarsi a terra come senza vita. Non riusciva a credere che se la fossero presa con lui, aveva solo undici anni.

-Jono ha ragione, dobbiamo cambiare strategia Aibo- convenne Atem apparendo accanto all’amico appoggiato stancamente al bancone della cucina. Il più piccolo, l’unico a poterlo vedere ed ascoltare, annuì con decisione prima di prendere parola.

-Ormai è evidente che stiamo affrontando il problema nel modo sbagliato. Dobbiamo individuare la fonte di questa follia ed eliminarla- esclamò Yugi attirando l’attenzione su di .

Jono storse il naso, -Ma non sappiamo nemmeno da che parte iniziare! Ogni benedetto seguace che abbiamo catturato è stato ingoiato dalle ombre, come se fosse uno stuzzichino da aperitivo!- protestò gesticolando vivacemente.

-Per questo dovremmo parlarne con Kaiba- disse in tono pacato il ragazzino dagli occhi violacei, come se fosse una cosa scontata.

-Oh certo, perché mi mancava un sacco farmi insultare da quel riccone senza cuore- ribatté il biondo superato un primo momento di stupore -Non ci prenderà mai sul serio- continuò scuotendo la testa.

-Non possiamo arrenderci senza avere nemmeno provato. Grazie alla sua società possiede molte più risorse di quelle che potremmo mai avere noi. Per non parlare del fatto che il legittimo proprietario della Barra del Millennio è lui- fece notare il giovane tamburellando le dita sul piano in legno.

Jonouchi scoppiò a ridere senza ritegno, -Secondo me se provi a consegnargli quell’affare tenterebbe di fonderlo per ricavarci dei lingotti-.

Il più basso si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore. Purtroppo l’amico aveva ragione, Seto odiava qualsiasi riferimento al passato e c’era il serio rischio che cercasse di disfarsi del proprio oggetto millenario pur di non doverlo avere tra i piedi.

-Yugi ha ragione, dobbiamo tentare. Non è possibile andare avanti così, l’unico motivo per cui siamo in grado di andare in giro tutta la notte, è perché non sono ancora iniziati i corsi dell’università. Ci serve aiuto e subito- fece presente Honda strofinandosi gli occhi cerchiati da due evidenti ombre bluastre.

-Dannazione, se solo Ishizu fosse in grado di capire qual’è il problema, non ci troveremmo in questa situazione- sbuffò Jono irritato riprendendo a consumare imperterrito il pavimento in ceramica.

Un’improvvisa risatina proveniente dalle loro spalle li fece sobbalzare dalla paura. Per lo spavento Honda quasi cadde dalla sedia, mentre Anzu si fece sfuggire uno squittio isterico.

-Forse io potrei darvi una mano- esclamò una ragazzina bionda facendo capolino da dietro la porta della cucina.

Yugi si staccò dal bancone per andarle incontro, -Rebecca! Ma quando sei arrivata? Il nonno non ci aveva avvertiti di una tua visita- disse sorridendo con calore alla nuova arrivata, mentre anche gli altri si affrettavano a darle il benvenuto.

-Questo perché è successo tutto talmente in fretta che non ho avuto il tempo di avvisare nessuno. Non appena sono venuta a conoscenza della terribile situazione, abbiamo preso il primo volo e ci siamo precipitate qui- spiegò la giovane posando a terra un grosso borsone da viaggio.

-Ci siamo? Vuoi dire che non sei sola?- domandò Yugi circospetto.

Sul viso di Rebecca si disegnò un ampio sorriso. -Tenetevi pronti, questa cosa è così pazzesca che stento ancora a crederci- disse prima di voltarsi oltre l’uscio e tendere una mano. -Non avere paura, sarà felice di rivederti-.

Al suo richiamo delle dita abbronzate si posarono titubanti sul suo palmo candido. Con dolcezza l’americana invitò nella stanza una ragazza minuta dai capelli scuri e i profondi occhi verdi.

Per diversi attimi nessuno proferì parola. Yugi si sentì mozzare il fiato in gola, le emozioni del faraone lo stavano investendo come una tempesta. Ricordi passati e futuri si mischiavano all’interno della sua mente offuscando la realtà.

-Mana?- si sentì dire prima ancora che potesse lasciare il proprio corpo al suo Mou Hitori No Boku.

Gli occhi della giovane si illuminarono -Atem! Oh Atem! Sono così felice di rivederti- esclamò riconoscendo il faraone in quelle iridi vermiglie e lanciandosi tra le sue braccia. Incredulo Atem la strinse con forza sentendo distintamente il calore del suo corpo oltre i vestiti.

-Ma non può essere. Voglio dire… tu sei vissuta 5.000 anni fa, hai rinchiuso il tuo Ka in una tavola di pietra davanti ai miei occhi- disse staccandosi da lei e prendendola per le spalle.

-La conosci Atem?- si intromise Anzu con un sorriso stiracchiato.

Solo in quel momento il faraone parve ricordarsi del luogo in cui si trovavano. -Sì, lei è Mana, la strega apprendista che studiava presso il mio palazzo. Anche se sembra impossibile- rispose l’ex sovrano continuando a fissare la mora stupito.

-Atem, tu sei vissuto 5.000 anni fa. Dovrebbe come minimo essere mummificata- osservò Jono tentando di far ragionare l’amico usando tutto il tatto possibile, -Senza offesa chiaramente, porti benissimo la tua età, secolo più, secolo meno- aggiunse poi in direzione della nuova arrivata, che non poté fare a meno di scoppiare a ridere.

-È qui che ti sbagli my dear Jonouchi- si inserì Rebecca mettendosi le mani sui fianchi e fissandolo con condiscendenza.

-Non cambia mai- ridacchiò Yugi in forma di spirito, scuotendo benevolmente la testa.

Il biondo sbuffò divertito, -Non credo proprio zuccherino. L’ultima volta che ho controllato, l’età media di una donna giapponese si aggirava sugli 87 anni e lei ne dimostra a stento diciassette- chiarì prima di lasciarsi cadere scompostamente su una delle sedie rimaste libere.

-Ovviamente non parlavo di una situazione nella norma e, per la precisione, Mana è egiziana, ma forse è meglio che vi spieghi quello ho scoperto a partire dall’inizio- ribatté Rebecca in tono altezzoso. -Si dà il caso che Domino non sia l’unica città ad avere problemi con strani casi di coma… e di ombre-.

Jono spalancò la bocca in modo poco elegante, mentre Honda si infilava le mani nei capelli.

-Stai scherzando, non è vero?- sussurrò Anzu con gli occhi velati di paura. Yugi, d’altro canto, rimase pietrificato dall’orrore. Nella sola città di Domino, nonostante il loro intervento, erano già finite in coma dieci persone nel giro di un paio di settimane. Non riusciva ad immaginarsi quanto quel numero sarebbe potuto salire senza la loro presenza.

-Purtroppo no. Sta succedendo la stessa cosa anche a Londra, New York, Capo Verde, San Paolo e Berlino, la lista si allunga ogni giorno di più- confermò la bionda in tono tetro.

-Come puoi dire che si tratta dello stesso problema?- domandò Honda, che non riusciva a farsene una ragione.

-La gente, di solito, non ha l’abitudine di entrare in coma dopo una passeggiatina notturna- grugnì Rebecca incrociando le braccia al petto. -E poi ho visto le ombre con i miei occhi- rivelò senza riuscire a nascondere la paura che si celava in fondo ai suoi occhi chiari.

-Stai scherzando, vero?-

-Purtroppo no, mi trovavo al Metropolitan Museum of Art con mio nonno in quel momento. Stavamo studiando i resti di una vecchia stele, quando abbiamo sentito una delle guardie gridare. Le ombre sono emerse dal pavimento e l’hanno inghiottito-.

-Dannazione, questo non fa altro che rendere la situazione ancora più agghiacciante. Non possiamo starcene con le mani in mano- sbraitò Jono mettendosi le mani sugli occhi.

-Per questo dobbiamo chiedere aiuto- ribatté Rebecca determinata. Le sue iridi azzurre, accese di un fuoco inestinguibile, parlavano chiaro. Capiva bene i sentimenti dell’amico, ma non era il tempo per loro di darsi allo sconforto, dovevano prepararsi a combattere.

-E a chi?- sbuffò Honda sperando che l’americana arrivasse finalmente al nocciolo della questione.

-Da coloro che sono tornati dal passato- si affrettò a rispondere la bionda facendo correre lo sguardo verso l’ex Maga Nera. -Ci sono altre due persone come Mana in circolazione e avremo bisogno del loro aiuto per risolvere la situazione- spiegò con serietà.

Gli occhi ametista dell’antico sovrano si allargarono per l’emozione, -Chi sarebbero?-Come faremo a trovarli?- domandò con impeto. Stentava a trattenere la commozione, erano anni che la sua anima non provava un simile senso di speranza.

-Se siamo fortunati saranno loro a trovare noi. Il destino sta già tirando i fili di questa vicenda e noi sappiamo benissimo che nulla è mai lasciato al caso. Il Puzzle del Millennio ne è una prova evidente: quando è giunto il momento, è approdato tra le mani di Yugi, che guarda caso è l’unica persona su questa terra in grado di risolvere il suo enigma- li istruì Rebecca con la massima serietà.

Un senso inaspettato di sollievo riempì i polmoni di Jono. Finalmente non erano più soli in quella battaglia. -Quindi cosa dovremmo aspettarci? Chi dovremmo attendere? – si affrettò a chiedere.

Rebecca si aggiustò gli occhiali sul naso con un gesto meccanico, rivelando due pesanti ombre scure sotto agli occhi. Yugi, ancora in forma di spirito accanto ad Atem, sospirò sconsolato. Quella ragazza era una vera macchina da guerra. Nonostante avesse recuperato una ragazza proveniente dal passato, attraversato mezzo mondo per portarla da loro e avesse un debito di sonno tremendo, non aveva intenzione di riposare nemmeno un minuto.

-Se il mio ragionamento è corretto e voi non mi avete nascosto nulla sul vostro viaggio nel passato, dovrebbero presto unirsi a noi Mahad, Karim e Kisara… mi stupisce che Shadi non sia già nei paraggi- rispose l’americana contandoli sulle dita.

-Aspetta un secondo- la interruppe bruscamente -Stai parlando di Mahad il Mago Nero?-

-Ovviamente mio caro-

-Non ci posso credere… ma perché hanno deciso di rivelarsi solo ora? Qual è il loro legame con le ombre?-

-Il motivo è molto semplice quanto crudele. Nonostante abbiate sconfitto Zork, il male è rimasto vivo e palpitante dietro lo squarcio che si è creato a Kul Elna durante il rito che ha portato alla creazione degli oggetti del Millennio. E adesso c’è in circolazione qualcuno che non vede l’ora di farlo uscire- li informò Rebecca senza nascondere il suo disgusto.

Atem si ritrovò a mordersi l’interno della guancia in preda al rimorso e alla collera. Era stato il fratello di suo padre a compiere quell’azione deplorevole. Sterminare un intero villaggio solo per ottenere potere. Un potere così grande, da soverchiare un intero esercito nemico e molto di più. Ad essere sincero non considerava senza colpa neppure suo padre. Anche se inizialmente non aveva avuto la minima idea dei metodi utilizzati da Aknadin, doveva prevedere che una tale forza non poteva essere stata ottenuta senza un sacrificio terribile. Quando ripensava a quella parte della sua storia, il peso del Puzzle attorno al suo collo si faceva pesante come un macigno. Non si trattava che di un sudicio pezzo di metallo imbrattato di sangue innocente. Non aveva fatto altro che portare morte, sofferenza e distruzione. Non si sarebbe stupito se un giorno il suo Aibo avesse deciso di scaraventarlo sul fondo dell’oceano.

-Mou hotori no boku- sussurrò Yugi posandogli una mano sulla spalla. -Smettila di pensarci, ne abbiamo già parlato. Nonostante la tua storia abbia un inizio oscuro, non significa che debba definire ciò che sei. E' ciò che tu fai, chi tu scegli di essere. Il Puzzle è e rimarrà il mio tesoro più grande- lo rassicurò senza staccare gli occhi da quelli del compagno. Atem non rispose, ma Yugi sentì distintamente le sue emozioni distendersi e placarsi.

Insieme ce l’avrebbero fatta. Insieme avrebbero combattuto e vinto anche questa volta.

Con rinnovata fiducia i due riportarono l’attenzione sull’americana, finalmente uno spiraglio di luce avrebbe illuminato il loro sentiero.  

 

 

  
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