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Autore: MaikoxMilo    21/03/2020    3 recensioni
DIRETTAMENTE DAL TESTO:
Era tutto finito.
La guerra e la battaglia, che li aveva visti vincitori, ma a prezzo elevatissimo.
Non era rimasto che l'odore e il sapore del sangue. Ferroso. Dolciastro.
Non erano rimaste che le lacrime. Umide. Amare.
Francesca le poteva ben vedere sgorgare dalle palpebre serrate del Maestro Camus, inginocchiato per terra a stringere al proprio petto il corpo svuotato di Marta (...)
Le poteva scorgere in Hyoga, rannicchiato su Michela, vinto, prostrato, le mani sporche di un liquido purpureo. Intenso. Raggrumato. Oltraggioso. I versi gutturali che uscivano dalla sua gola sembravano un pianto di un bambino, inconsolabile.
Ancora le poteva distinguere nelle iridi celesti di Milo, che sorreggeva Sonia, la piccola Sonia, dal braccio ciondolante nel vuoto; e poi in quelle di Mu, di Aiolia, di tutti gli altri. Ed ebbe paura, la più atroce delle paure, mentre, sgomenta, si accorgeva che anche il suo dolore, le sue lacrime, si mischiavano a quelle degli altri Cavalieri d'Oro.
(La storia è ambientata tra "La guerra per il dominio del mondo" e "Sentimenti che attraversano il tempo", è necessaria la lettura di entrambi!)
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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DAL PRINCIPIO: VERSO UNA NUOVA VITA

 

 

Era tutto finito.

La guerra e la battaglia, che li aveva visti vincitori, ma a prezzo elevatissimo.

Non era rimasto che l'odore e il sapore del sangue. Ferroso. Dolciastro.

Non erano rimaste che le lacrime. Umide. Amare.

Francesca le poteva ben vedere sgorgare dalle palpebre serrate del Maestro Camus, inginocchiato per terra a stringere al proprio petto il corpo svuotato di Marta, sorella ritrovata e appena perduta, mentre, invano, dopo l'iniziale tentativo di rianimarla, continuava ripeterle che anche lui; che anche lui le voleva bene, come se quella frase potesse avere il potere di farle riaprire gli occhi ormai chiusi.

Le poteva scorgere in Hyoga, rannicchiato su Michela, vinto, prostrato, le mani sporche di un liquido purpureo. Intenso. Raggrumato. Oltraggioso. I versi gutturali che uscivano dalla sua gola sembravano un pianto di un bambino, inconsolabile.

Ancora le poteva distinguere nelle iridi celesti di Milo, che sorreggeva Sonia, la piccola Sonia, dal braccio ciondolante nel vuoto; e poi in quelle di Mu, di Aiolia, di tutti gli altri. Ed ebbe paura, la più atroce delle paure, mentre, sgomenta, si accorgeva che anche il suo dolore, le sue lacrime, si mischiavano a quelle degli altri Cavalieri d'Oro.

Non importava che lei fosse una divinità e gli altri dei semplici esseri umani, non importava, perché il loro dolore era lo stesso. Era in comune.

Lentamente si asciugò una guancia, meravigliandosi ancora una volta della persistenza del liquido su di sé, che non accennava a fermarsi, anzi, continuava; continuava imperterrito a scorrere.

All'impotenza e alla disperazione si aggiunse così la rabbia. Accanita. Tremenda. Non c'era più nulla da fare, il sipario era calato, decretando la parola fine.

Già, neanche lei avrebbe potuto fare più nulla, nemmeno suo nonno Zeus. Nessuno. Ne era ben conscia. E allora perché continuare a non darsi pace?!

Non poteva accettarlo. Non poteva accettare la chiusura di un sipario simile sulle sue amiche. Erano cresciute insieme, dannazione, aveva vegliato su di loro, da sempre, le aveva protette. Perché ora un finale simile?! Perché persino lei, che era una divinità, non poteva fare più nulla per loro?!

Si accorse, per la prima volta, di avere sentimenti molto più umani che divini, forse il frutto delle sue scelte...

“MALEDIZIONE A ME!!!” imprecò, gettandosi con rabbia a terra e cominciando istantaneamente a prendere a pugni il pavimento già rovinato dalla battaglia. Usò tutte le forze in suo possesso in un unico impeto d'ira, poco prima di accasciarsi, urlare e scoppiare in un vero e proprio pianto isterico. Non c'era più nulla di divino in lei...

Passò del tempo, quanto non riuscì a capirlo, ne perse la cognizione. Solo si accorse di star perdendo sangue dalle nocche, vergognoso tributo in un luogo sacro. Ma che importanza poteva avere?! Piangere, disperarsi... non sarebbe cambiato niente, NIENTE, in tutto quello sfacelo!

Saggiò la disperazione umana. E fu devastante. Non ci sarebbe stato alcun aiuto a tirarla via da quello stato mentale così assolutamente nero, non ci sarebbe stato nessuno, ancora, tutto sarebbe dipeso da lei, dalla sua forza di volontà e dalla voglia di ricominciare a vivere, che, però, non possedeva più...

Quale era stato il senso di tutto, visto che Marta, Michela e la nuova amica Sonia erano morte lì?! A cosa aveva giovato rinascere umana per patire poi tutto quello?! No, era insopportabile, incommensurabilmente insostenibile: come potevano gli essere umani tornare a vivere dopo aver perso qualcuno di così caro al proprio cuore?! Come potevano?! Con quale forza di volontà?! Lei sentiva di non potercela fare, non avrebbe mai potuto in alcun modo accettarlo!

Per i divini il tempo era eterno, imperituro e statico... aveva, sì, un inizio confuso, ma mai una fine, MAI, così gli avevano sempre insegnato i suoi parenti e nonno Zeus, così era sempre stato, prima di decidere di nascere umana e scoprire così i sentimenti terreni... perché lo aveva fatto, poi?!? Perché andarsi a cercare deliberatamente quella sofferenza? Si pentì delle sue scelte, mentre, piegandosi su sé stessa, si arrendeva all'oblio. Tuttavia...

...Alcuni passi risuonarono tutto intorno, riscuotendola dal torpore. A Francesca sembrò così strano che potesse realmente accadere, era tutto così fermo da quando le sue amiche erano morte. Lei stessa si stava arrendendo, eppure uno, fra loro, ancora non si era dato per vinto.

Alzò lo sguardo, attirata dai movimenti di Death Mask, Cavaliere del Cancro, che si dirigeva lentamente dalle ragazze esanimi, le toccò una ad una e le avvolse di una luce candida e accattivante, con una dolcezza che lei non si sarebbe mai aspettata.

 

C-che cosa hai fatto?” gli chiese, ancora incredula, le lacrime che continuavano a scorrere sul viso già completamente bagnato.

Ho usato il 'Sekishiki Meikaiha' per fermare la loro anima alle porte dell'Ade allo scopo di impedire che accada l'imponderabile. In questo modo le tre ragazze avranno, almeno, la possibilità di scegliere la vita, anziché la morte, essendo per l'appunto in bilico tra il confine dei due mondi.

E' inutile, Cavaliere, la profezia dice chiaramente che...”

Me ne infischio della vostra profezia che è stata solo capace di causare dolore! Siamo mortali e la nostra esistenza è limitata, ma è proprio per questo motivo che faremo di tutto, per quanto possibile, per riaverle al nostro fianco! Se voi dei, tronfi nella vostra eternità, vi volete arrendere, sono fattacci vostri; la nostra vita, contrariamente alla vostra, è una sola, noi tutti abbiamo già sperimentato la morte, proprio per questo faremo di tutto per impedire alle mani cadaveriche della Nera Signora di toccare ulteriormente queste tre piccole pesti!”

 

Death Mask del Cancro si era mosso in prima persona nel tentativo di arginare i danni subiti dalle sue amiche, lui, fra tutti, il solo. Proprio lui, convinto di avere una vita maledetta e insulsa, aveva ridato una fievole speranza a tutti loro che invece brancolavano nel buio della disperazione, Francesca non riusciva a fare altro che guardalo sgomenta, il fiato corto, una strana sensazione ad accerchiarle il petto.

 

 

* * *

 

 

15 luglio 2011, mattina

 

 

Francesca se ne stava lì, a ridosso della porta della sua camera, a guardarsi insistentemente le mani ormai fasciate. Era sveglia da un po', ma il tempo richiesto per alzarsi era stato maggiore di quanto avesse potuto pensare. Anche una volta in piedi, non aveva fatto altro che uscire dalla sua camera e rimanere lì, assorta nei suoi pensieri. Le mani le dolevano alquanto, anche se erano state medicate con particolare cura. Era stato il Maestro Camus a farlo, pur stravolto nel corpo e nell'anima, mentre Shion, una volta giunti nuovamente al Santuario, era corso a soccorrere Marta, Michela e Sonia. Le aveva prese, con l'aiuto di Mu e Shaka, e portate nelle stanze interne del tredicesimo tempio, lasciando Milo, Camus, Aiolia e gli altri lì, ancora in preda alle lacrime. Non aveva dato spiegazioni, pertanto Francesca non sapeva minimamente come stessero le sue amiche, né se davvero il salvataggio in extremis di Death Mask avesse avuto effetto. Non ne sapeva niente, e il non sapere la torturava ancora di più che tutti i fatti accaduti. Sospirò, affranta.

Camus ovviamente, neanche starlo a dire, non si era curato minimamente di sé stesso, pur avendo nuovamente le ferite sul torace aperte e doloranti. Aveva pensato prima a Marta, poi a Michela e Sonia e successivamente a lei e Hyoga, medicando le ferite che avevano subito in battaglia senza spiccicare parola. Camus non era tipo da grandi discorsi, soprattutto quando era in uno stato simile. Soffriva molto per la sorte cui aveva condotto sua sorella, Michela e la giovane Sonia. Ovviamente non era stata colpa sua, lui era la prima vittima, ma farglielo arguire era un altro paio di maniche!

Soffriva e tanto... ma non ne parlava con nessuno, devolvendo tutte le sue forze verso gli allievi.

Il cigolare della porta di fianco alla sua la mise in allerta, era tutta un fascio di nervi, ma si calmò quando vide il Cigno uscire dalla sua stanza, i capelli biondi e scarmigliati, le occhiaie lunghe fino alle orecchie e il viso smunto. Non dormiva probabilmente da giorni e quella notte era stato fin peggio.

“C-ciao...” lo salutò, ingoiando a vuoto. Tentare un approccio con Hyoga era un procedimento durissimo, perché il Cavaliere aveva preso tutto, ma proprio tutto, dal suo mentore.

“Ah, ciao, Francesca... scusami, non... non ti avevo vista...” disse in tono funereo, il muso lungo. Nessuno di loro era scampato al massacro, o fisicamente o psicologicamente, o anche entrambe le cose. Era stato semplicemente devastante, un trauma cui non si sarebbero mai ripresi del tutto, ma per Hyoga, Francesca non seppe spiegarsi perché, il trauma sembrava addirittura riproposto, se non... triplicato nella sua concretezza.

Scesero le scale senza parlare più, l'atmosfera era pesante tra loro, non vi erano parole per avvicinarsi. Entrarono in cucina pesantemente, con gesti lenti, quasi portarsi dietro il loro peso corporeo, unito ai tormenti, fosse la cosa più difficile in un momento simile. In ogni caso, ciò che i due giovani non si aspettavano, era di incontrare il Maestro Camus in cucina, convinti invece che fosse al capezzale delle ragazze.

Francesca si chiese cosa si facesse ancora lì, ma trovò presto risposta nel profumo del caffè e del latte sui fornelli, le sue iridi di si aprirono meravigliate: con tutto quello che era successo, il loro maestro si sforzava comunque di preparare loro la colazione, nonostante fosse dilaniato e sofferente... era davvero quella la forza della volontà umana?! Era quella la forza di volontà di Camus?

“Francesca... Hyoga... so che molto probabilmente non avrete voglia di niente in un momento simile, ma vi ho comunque preparato qualcosa prima di andare al tredicesimo tempio da M-Marta, Michela e S-Sonia...” rivelò le sue intenzioni, scoccando una brevissima occhiata ai due. Francesca sapeva perché lo faceva, lo sapeva bene, era per non farsi vedere debole e apparire comunque un vero e proprio sostegno su cui poggiarsi, malgrado lui stesso ne fosse uscito distrutto. Ma gli occhi lucidi, quelli, non erano sfuggiti a Francesca.

“Maestro, grazie, ma... ho lo stomaco chiuso...” provò a rifiutare il Cigno, mettendosi a sedere e prendendosi la testa fra le mani, sul punto di cedere al pianto ma opponendosi disperatamente.

“Hyoga... lo so bene, ma... non è il momento giusto per reagire così. Fallo per Michela, cosicché, quando si risveglierà ti vedrà nel pieno delle forze e avrà maggior spinta a guarire più velocemente!” tentò un altro approccio Camus, sorreggendosi al tavolo.

“... SE si risveglierà, volete dire...”

Secco. Quasi lapidario. Camus sussultò a quella frase strozzata pronunciata dall'allievo con più esperienza, incespicando nei propri piedi e ammutolendosi. Rifiutava con tutto sé stesso quell'eventualità, ma la frase di Hyoga, involontariamente spietata, gli aveva fatto perdere un battito.

Francesca, per riguardo verso gli sforzi del maestro, che stava davanti a loro pallido in volto e stremato, prese parola.

“Per me... per me tanto caffè e poco latte, per favore!” gli disse, sedendosi vicino al Cigno, come se nulla fosse. Camus non ribatté nulla, ancora scosso dallo scambio di battute, ma i suoi occhi erano caldi quando si posarono su Francesca, mentre, col pentolino traballante, gli versava un goccio di latte. Neanche la giovane dea aveva voglia di mettere qualcosa sotto i denti, ma gli sforzi disperati del maestro erano tali che dirgli di no sarebbe stato un insulto bello e buono.

Si permise di osservarlo intento a prendere la caffettiera per poi riportarla sul tavolo e versargliela nella tazza. Il suo viso era pallido, come prima di finire sull'Olimpo per l'ultimo scontro con il dio Crono, ma ciò che preoccupava la ragazza era il continuo deperimento che contraddistingueva il corpo di Camus. Certo, l'ultimo periodo non era stato affatto facile per lui, ma, dal primo incontro, se lo ricordava fiero e indomabile nella sua struttura, con degli occhi brillanti come nessun altro e il corpo snello e agile, nonché tonico. Non era passato nemmeno un mese, da quel primo incontro, e tutto era cambiato: gli occhi parevano più infossati di prima e delle paurose occhiaie si erano formate, dandogli un aspetto molto più derelitto nonostante la giovane età. Non vi era quasi più niente di quella fierezza risoluta che l'aveva invasa appena conosciuti, eppure non riusciva a fare a meno di stimarlo sempre di più, perché, nonostante tutto, Camus strenuamente resisteva per amore nei confronti delle persone a lui care. E aveva una determinazione tale da risultare abbagliante!

Così assorta nella sua contemplazione, quasi non si accorse del bruciore netto che la sferzò tra il pollice e l'indice della mano destra. Subito ritrasse la mano, dolente, mentre Camus si affrettò a chiedere parole di scusa, apprestandosi immediatamente dopo ad asciugarla e a trattare la bruciatura con un poco di gelo.

Per quanto Camus dell'Acquario potesse sforzarsi di celare le sue emozioni agli altri, il tremore del suo corpo lo tradiva, portando sia Hyoga che Francesca a sperimentare almeno un briciolo di quello che si stava affollando dentro di lui, contro le sue stesse intenzioni di farsi vedere forte sempre e comunque.

“Sc-scusatemi, io...” ripeté il Cavaliere, posando al lato la caffettiera e stringendo il polso destro con la mano sinistra, forse un po' più forte del necessario. Incassò la testa fra le spalle, prostrato, serrando le palpebre e affogando l'ennesimo singhiozzo dentro di sé, in un'espressione carica di patimento.

“Non è nulla, Maestro, il bruciore è passato subito e, grazie al tuo gelo, non rimarrà nemmeno il segno!” provò a tranquillizzarlo Francesca, sforzandosi di sorridere.

Nel frattempo anche Hyoga ebbe l'impulso di pesare di meno su Camus, costringendosi quindi a fare colazione a sua volta.

“Per me solo un po' di latte e cacao con due biscotti, ma faccio da me, non preoccupatevi!” aggiunse infatti il Cigno, dispiaciuto dal suo stato, alzandosi a sua volta per prendere il pentolino e versarsi così il liquido bianco nella tazza.

Camus intanto si era voltato e allontanato dall'altra parte, in un estremo tentativo, usuale, di celare i proprio sentimenti e coinvolgimenti emotivi. Guardava in direzione della porta, in modo da non incrociare il suo sguardo con quello degli allievi, ma si percepiva fin troppo bene la sua sofferenza. Limpidamente.

La colazione trascorse quindi in religioso silenzio, nessuno dei presenti aveva il coraggio di parlare, né di chiedere informazioni, ma Camus sapeva che non sarebbe durato molto e, del resto, era loro diritto sapere. Si sedette infine all'altra estremità del tavolo, posando la fronte contro le mani congiunte davanti a lui, quasi in preghiera. Ed effettivamente aveva bisogno di pregare, non sapeva a quale divinità, non lo sapeva... ma era l'estremo tentativo di un uomo di aggrapparsi ancora a qualcosa per evitare di sprofondare nella più nera disperazione.

 

Oh, Atena, o qualunque altra divinità... salvale! Qualunque cosa... potrete avere qualunque cosa, ma non privatemi nuovamente di una, o più, allieve, vi prego... Ho dovuto rinunciare a tanto nella mia vita, non strappatemi anche loro, non... non strappatemi la mia sorellina, non dopo che mi sono ricongiunto a lei dopo tutti questi anni!

 

“Maestro, come... come stanno Michela e le altre?”

Hyoga alla fine ruppe la parentesi carica di attesa, lo fece intenzionalmente, pur temendo di sbagliare. Camus non gliene fece una colpa, era giusto che lui e Francesca sapessero, ma le parole non erano facili da pronunciare. Si raschiò la gola, ricercando faticosamente il modo di introdurre il discorso, poco prima di posare le mani sul tavolo e riaprire gli occhi.

“S-Shion ha detto solo che sono in gravi condizioni... - disse, prendendo un profondo respiro – Non sappiamo neanche noi QUANTO gravi...”

“Cosa significa...?” chiese Francesca, sgomenta, portandosi una mano alla bocca.

“Non respirano autonomamente, ma sembrano reagire ai nostri cosmi...”

“E cosa si può fare, quindi?”

“Hyoga, credimi... se sapessi cosa fare lo avrei già fatto. S-sto brancolando nel buio esattamente come voi... ed è devastante!”

“Possiamo... possiamo andare a vederle?” tentò a sua volta, Francesca, non reggendo più tutta quella angoscia.

“N-no, sono molto vulnerabili, meno persone ci vanno e meglio è, per la loro salute!”

Sia Hyoga che Francesca abbassarono lo sguardo, abbattuti e impietriti davanti all'imponderabile.

“Ce ne stiamo occupando io, Milo e Shion, gli altri Cavalieri d'Oro aiutano come possono, sono in buone mani! Voi pensate solo a riposarvi e a recuperare in fretta le forze, farò quanto in mio potere per salvarle!” disse, rialzandosi in piedi con determinazione, malgrado il tremore crescente, allontanandosi poi dal loro campo visivo.

 

Nei giorni seguenti, malgrado la risolutezza di Camus nel riavere le allieve con sé, le cose non migliorarono minimamente. L'Acquario trascorreva sempre meno tempo alla sua Casa dello Zodiaco, rimanendo sempre al capezzale della sua sorellina Marta, lo stesso faceva Hyoga con Michela, incurante dei lasciti del suo mentore. L'unica che era rimasta in disparte era lei, tenuta lontana da tutto e tutti anche se involontariamente. Ciò che potevano fare gli altri lo stavano già facendo, non era nelle sue facoltà portare qualcosa in più. Nessun poter magico per guarire le sue amiche, nessuna capacità di risollevare gli animi. Nessuna forza vitale. Nessuna. Niente. Era tremendamente frustrante. A cosa giovava essere una dea se non era neanche in grado di aiutare le persone a cui voleva più bene?!? Si sentiva stanca, sfiduciata, sballottata da emozioni repentine e forti che difficilmente riusciva a controllare. Quello era il supplizio a cui gli esseri umani erano stati condannati fin dalla notte del tempi?! Un dolore così lancinante, anche se non fisico, da mozzare il respiro?! No, non poteva stare ancora a lungo lì, tra quelle quattro mura tutta sola, ne andava della sua sanità mentale.

Con la testa che girava, il respiro spezzato, uscì, recandosi traballante giù per le scalinate del tempio. Sapeva di essere sola. Sapeva che nessuno l'avrebbe fermata. Molti Cavalieri d'Oro dovevano riprendersi dalle ferite, l'altra metà si stava facendo in quattro per recuperare le sue amiche, persino il Sommo Shion, quel giorno, si era mosso in prima persona per andare a cercare una presunta 'acqua della vita' che forse avrebbe potuto fare qualcosa per salvarle. A lei non restava altro che attendere. Sperare e pregare, ma farlo da sola non le riusciva, aveva paura, era triste, ed era come se qualcosa dentro di lei si fosse spezzato definitivamente. Doveva muoversi, altrimenti il dolore l'avrebbe paralizzata. Prese una deviazione ad un certo punto, un sentierino nascosto tra due delle Dodici Case, non sapeva dove conducesse, ma aveva bisogno di schiarirsi le idee, e quindi, senza pensare ulteriormente, accelerò il ritmo, quasi dovesse sfuggire da qualcosa. Corse. Corse. Corse. Senza meta. Non si fermò, non finché non raggiunse una radura in un bosco dal quale sgorgava un ruscello. Lì finalmente si tranquillizzò quanto bastava per rendersi conto che, così presa dalla foga di scappare, si era irrimediabilmente persa, non avendo la più pallida idea di come fare per tornare indietro. Ma, in fondo, cosa importava?! Non voleva farlo e nessuno l'avrebbe aspettata a casa, voleva solo smettere di pensare e di soffrire, pertanto, trovato un tronco di legno umido lì vicino, ci si sedette, incassando la testa fra le spalle e prendendosi la testa tra le mani.

Lì, in quel luogo bucolico, pianse, di nuovo, rincuorata dal non poter essere vista da nessuno. Pianse lacrime amare e singhiozzò, non lo aveva mai fatto prima di allora, sebbene si fosse reincarnata in un essere umano varie volte per provare tutto quello, probabilmente perché nelle altre vite non aveva mai nutrito un profondo affetto per qualcuno, lei, così restia ad aprirsi, desiderosa di essere un muro ghiacciato esattamente come il Maestro Camus, lei, che prima di allora aveva sempre trovato una soluzione a tutto, non quella volta. Non più. Le sorti delle sue amiche non erano in alcun modo in mano sua ma di altri, lei non avrebbe potuto fare niente. NIENTE.

Singhiozzò, tremante. Cosa le restava da fare? Pregare? Di nuovo? E poi a chi, se neanche suo nonno Zeus era stato in grado di cambiare le sorti delle sue amiche? Contorcersi dal dolore era poca cosa, se paragonato a quanto avevano patito le altre... e lei, inetta, stava lì a frignare e a disperarsi. Sciocca... che sciocca dea che era!

Così oppressa dalla disperazione, quasi non si accorse che un'ombra si era avvicinata a lei, la riparava dalle intemperie, perché, se ne accorse solo allora, aveva cominciando a piovere da un po', un temporale estivo, con tanto di tuoni. Era fradicia, in effetti, e zuppa fino alle ossa, si guardò stupita le mani.

“Però! Che scenetta patetica, nevvero? Pensavo di esserlo già io, ma tu mi batti senza ombra di dubbio...”

“Death Mask!!!” lo riconobbe lei, prendendosi un risalto non da poco e allontanandosi in fretta e furia da lui.

“Ehi, piano, leonessa! Ti stavo solo riparando dalla pioggia, giacché ti ho vista qua, rannicchiata su questo vecchio tronco, in stato pietoso. Non ho cattive intenzioni!” provò a rassicurarla, indicando prima l'ombrello, aperto sopra di lui, poi lei, con i piedi infangati e tutta sgocciolante.

“Co-cosa fai qui? Credevo che ti stessi prendendo cura delle altre...” biascicò lei, arrossendo nel rendersi conto di essere stata beccata in un momento di fragilità.

“La stessa cosa che fai tu... non posso essere d'aiuto e quindi mi struggo, ma io l'accortezza di prendere un ombrello l'ho avuta!” rispose, pronto.

“Io... non ti avevo visto...” confessò lei, tesa, avvicinandosi però di un passo.

“Ed io non mi sarei mai immaginato di vederti qui, visto che avevo elevato una barriera in questa parte di bosco per rimanere isolato, ma tu... poffarbacco, sei qui!”

“U-una barriera?”

“Giusto... direi che non te ne sei accorta, immagino che per una divinità sia una quisquilia oltrepassarla!” arrivò alla conclusione lui, sedendosi sul tronco dove prima c'era lei. Con un cenno le fece posto, aspettando che la ragazza si sentisse pronta per accorciare le distanze, se avesse voluto.

Francesca sulle prime non accennò nessun movimento nella sua direzione, ma poi, vedendolo con quell'aria da cane bastonato, la stessa che probabilmente aveva lei, vinse il timore e si sistemò al suo fianco, le mani in grembo. Diversi centimetri li separavano.

“Non dovresti reagire così, tu... ci hai dato una speranza a tutti, sai? Una speranza di recuperarle...” provò a risollevargli il morale -lei, che era a terra come un lombrico!- prima di guardarlo brevemente.

“Per il momento non ho recuperato proprio nessuno, quindi la mia utilità è stata pari a zero. S-sono ancora là, sai? Nel mondo dei morti... nonostante le cure degli altri, non so... non so come finirà, le avverto appena, un passo ancora e non le potrò più percepire... cosa sta succedendo?!? Perché non si risvegliano, diamine?!” imprecò tra sé e sé, al culmine della frustrazione.

Francesca rabbrividì, Death Mask era in contatto con il mondo al di là dell'orizzonte degli eventi, se reagiva così significava che la situazione era grave e che mancava davvero poco perché le sue amiche fossero avvolte dalla morte imperitura. Un passo ancora, uno soltanto. Le sue teorie e paure si stavano rivelando veritiere e la cosa più terribile è che non c'era nulla da fare...

“Non è da Camus darsi per vinto... e non è dalle tre pulci arrendersi così, sbaglio? Allora perché... perché non riescono a tornare? Non c'è davvero nulla che possiamo fare?!?” continuò lui, sempre più demoralizzato.

“Non ho... non ho risposte...”

Anche se in effetti una ce l'aveva, la più terribile...

Death Mask tacque per una serie di secondi, poco prima di cambiare discorso nella pallida, vana, resistenza di non pensarci più.

“Certo che anche questa non ci voleva per il ghiacciolo, eh? Dopo che finalmente stava per riprendersi grazie alla conoscenza di sua sorella... ora il dramma si ripete, più aspro di prima!”

“Che cosa intendi?” domandò Francesca, rialzando il capo, genuinamente sorpresa.

“Ah... immagino che Camus non ve l'abbia mai raccontato... - iniziò il Cavaliere, guardando altro - ...non è il primo allievo che perde!”

“Il pri... non era stato Hyoga, il primo?”

Francesca era rimasta davvero sconvolta a quella rivelazione che sembrava importante.

“No, il Cigno credo sia stato il... quarto, forse, ne ha avuti altri 3, tutti morti...”

“Ah... non lo... non lo sapevo affatto...”

“Non lo so nemmeno io, non nello specifico, almeno, il primo credo che sia morto per colpa dell'inesperienza di Camus, ma non conosco la faccenda nei dettagli, quindi non so come l'abbia presa, non eravamo in buoni rapporti allora... beh che non lo siamo neanche adesso... ehe! Comunque è stato con il secondo il trauma e... beh, il terzo, morto anche lui prematuramente, a quanto sappia, ma le circostanze sono abbastanza... oscure...”

“Con il secondo, quindi?”

“Sì, ci ha dato l'anima per lui e sarebbe stato il degno erede di Aquarius, nonché il Cavaliere del Cigno se...”

“Se?” lo incalzò Francesca, interessata a quei discorsi.

“Se Hyoga non ci avesse messo lo zampino...”

“Hyoga... cosa c'entra?”

“I-io non sono la persona adatta per parlare di questo, non sono suo amico, le cose le so solo per sentito dire, perché non chiedi a Milo? Lui ne sa sicuramente di più, essendo pappa e ciccia con il tuo maestro...”

“Hai tirato fuori tu l'argomento...”

“D'accordo, ma non ti posso aiutare più di così, davvero...”

“Grazie lo stesso allora, ma sai almeno come si chiama?” chiese, desiderosa di scoprire quel lato della storia che non conosceva. Per farlo però aveva bisogno di conoscere il nome del ragazzo.

“I-Igor, Ymir... no, aspe... era... era... ISACCO, ma loro lo pronunciavano Isaac, preso dalla variante latina. Di certo suona meglio che con l'italianizzazione!”

“Isaac, quindi!”

“Sì, ma ti avverto, è meglio che non tiri fuori quel nome né col Cigno né tanto meno con Camus, è ancora una ferita troppo profonda per entrambi!” le consigliò lui, guardandola alzarsi e fare qualche passo.

Aveva smesso di piovere ed era uscito il sole, quella volta era stato lui a non rendersene conto, così preso a guardare tutte le espressioni di Francesca senza farsi vedere. Arrossì, sperando davvero in cuor suo che non lo avesse notato, ma era stato davvero piacevole stare lì su quel tronco a parlare e a confrontarsi, sebbene la situazione fosse disperata e il loro stato emotivo rasoterra.

La ragazza aveva preso a fissare con gli occhi glauchi il cielo sopra di sé, provando refrigerio all'idea che il temporale fosse passato, anche se il suo, di tumulto, era ancora ben vivido.

Avrebbe voluto fare di più per lei, avrebbe voluto rivederla sorridere, giacché qualunque cosa in lei lo attirava, non solo il fisico snello e ben proporzionato, anche se non altissimo. Avrebbe voluto fare di più, e invece era stato lì come un nababbo a tirare fuori l'allievo perduto di Camus, quando avrebbe potuto dire qualsiasi altra cosa per farla stare meglio... perché aveva tirato fuori proprio quel fatto?!?

“Death Mask...”

Il Cavaliere del Cancro si riscosse, aprendo la bocca colto in fallo, arrossì e guardò altrove, a disagio.

“Non ti ho ancora ringraziato per aver dato una possibilità a Michela, Marta e Sonia, vero?”

“Come ti dicevo... non c'è bisogno di farlo, davvero...”

...Anche perché ad occhio e croce, da quel che percepiva aveva solo prolungato la loro agonia...

Strinse con foga le dita, non dandosi pace, che davvero quel maledetto filibustiere di Zeus avesse ragione?!? Non c'era più nulla da fare per le tre pargole?!

Ma Francesca gli regalò un ampio sorriso, che gli riscaldò il cuore, fu grato di non dover parlare, perché, lo sapeva, si sarebbe ingarbugliato con le parole.

“Io ti ringrazio comunque e... sono sicura, perché ci voglio credere, che un qualche modo per riportarle in mezzo a noi lo troveremo!” disse, passando da un tono insicuro ad uno più deciso, poco prima di allontanarsi di corsa verso il Grande Tempio.

 

 

* * *

 

 

19 luglio 2011, mattina

 

 

Hyoga era sull'uscio che divideva la cucina dal corridoio e dalla conseguente uscita dal tempio della Giara del Tesoro, sapeva che doveva andare alla tredicesima casa, lo stesso Maestro glielo stava ripetendo più volte, fino alla nausea, ma non se la sentiva di lasciarlo indietro, non con quel pallore innaturale e quell'espressione sofferente. Sembrava davvero sul punto di cadere a terra da un momento all'altro.

“Non me ne andrò con voi in queste condizioni!” ripeté testardo, un nodo alla gola nel vedere il suo venerato mentore in simili condizioni.

“E' solo un po' di debolezza, Hyoga... per Atena, vai!”

“No!”

“Sei un testardo!”

“Lo sono sempre stato, dovreste saperlo!”

Hyoga era pronto a fronteggiare le intenzioni di Camus con le sue, non lo avrebbe lasciato lì per nulla al mondo, pertanto si avvicinò, prendendolo da sotto braccio e spingendolo a sedersi sulla sedia. Non riusciva a reggersi in piedi da solo dopo i fatti accaduti il giorno prima, dopo tutto il sangue donato nella pallida speranza di riportare in vita Marta, lo stesso avevano fatto anche lui e Milo per le altre, con molte meno ripercussioni. Hyoga si tastò la benda sul polso, ancora sporca. Era stato tanto il sangue versato, tributo necessario ma doloroso. In alchimia veniva chiamato 'principio dello scambio equivalente', non si poteva ottenere nulla se non si dava in cambio qualcos'altro di uguale valore. Per Camus era stato troppo, ancora una volta. Il Cavaliere del Cigno lo fissò con crescente preoccupazione, era pallido e sudato, respirava a scatti e tremava tutto, da cima a fondo, Hyoga non se lo era mai ricordato così fragile come in quel periodo, solo una volta era successo, e poi ancora dopo la morte di Isaac...

“Maestro, cosa... cosa avete fatto per riportare in vita vostra sorella?”

“Lo stesso che avete fatto tu e Milo, anf...”

“No, perdonatemi, ma non posso credervi, non avete ferita ai polsi e siete fisicamente distrutto, anche Milo ed io abbiamo dato il sangue, ma quello serviva semplicemente come catalizzatore per profondere il cosmo delle divinità nei loro corpi e trasmettergli nuove energie vitali, infatti non si può parlare di donazione, voi... voi invece...”

“Ho donato il mio sangue, sì, c-come lei aveva fatto con me quando stavo male per le ferite di quegli artigli, anf... - ammise, cercando di sembrare deciso – Solo che, per farlo, non c'era altra scelta che riaprire, per la terza volta, le tre lacerazioni sul torace...”

Hyoga sgranò gli occhi azzurri, presagendone la gravità, si accorse poco dopo che stava trattenendo il respiro per l'apprensione.

“P-proprio quelle ferite, maestro?!? Quelle che per poco non vi hanno ucciso?!”

“Sì...”

"Per-perché?!"

"Perché era la condizione... per salvare la mia piccola Marta!"

A quel punto Hyoga, colto da un irrefrenabile frenesia, non riuscì più a trattenersi...

“Siete un incosciente, Maestro! - la buttò lì, rendendosi conto a malapena di essere veramente arrabbiato – Farneticate di mantenere il sangue freddo in qualunque circostanza, e poi commettete una simile avventatezza per vostra sorella, POTEVATE MORIRE, ed io...”

“COS'ALTRO AVREI POTUTO E DOVUTO FARE, RAGAZZINO?!?”

Hyoga si ammutolì all'istante, indietreggiando. Camus era saltato in piedi come una molla, riversandogli in un colpo solo, con l'ausilio del solo tono vocale, tutto l'astio che covava da anni. Fu come una pugnalata al cuore.

“Che cosa avrei dovuto fare? - ripeté ancora una volta Camus, singhiozzando e incassando la testa fra le spalle – Lasciarla... semplicemente morire? Lasciare morire la mia sorellina?!? No, dei, no! Dopo Isaac mi sono ripromesso che non sarebbe più successo, non potrei più sopportarlo! La sola idea di perdere uno di voi mi dilania più di queste ferite. Non avevo scelta alcuna, Hyoga, cerca di capirmi...”

Il Cigno lo capiva, fin troppo bene, proprio per questa ragione non si dava pace. In fondo, loro due, erano più simili di quanto credesse. Il tormento per l'allievo morto non era mai scemato, sebbene Camus cercasse di nasconderlo in ogni modo e maniera per non pesare ancora di più su lui, già schiacciato dal senso di colpa, questo lo capiva bene. Aveva perso così tanto nella sua vita il suo maestro... non poteva accettare di perdere altro.

“La morte di Isaac non è stata colpa vostra, Maestro... - biascicò, prostrato – Sono stato io ad ucciderlo... d-due volte!”

 

No, non sei stato tu, ma io... io avrei dovuto capirlo, io avrei dovuto capire i tuoi reali intenti fin da subito e non impuntarmi a farti intraprendere una strada che non ti era propria. Avrei dovuto capirti e renderti inoffensivo prima che tu potessi danneggiare te stesso o gli altri, avrei dovuto cacciarti, rimandarti indietro, dirti che non eri idoneo a diventare Cavaliere, e invece non l'ho fatto, facendoti legare a me. Del resto... avevi un così grande potenziale, non potevo accettare che andasse sprecato...

E' stata la mia scelta a decretare la morte di Isaac, se non mi fossi impuntato con te, se non mi fossi legato a te e a lui come a dei figli, tutto questo non sarebbe mai successo e Isaac sarebbe ancora con me, qui al mio fianco. Ho spinto io quel ragazzo a gettarsi negli abissi per recuperarti, e sono stato sempre io a scegliere di salvare te, quando ti trovai mezzo assiderato sulla banchisa, invece di tuffarmi immediatamente e recuperare lui. Non mi perdonerò mai per questo... non mi perdonerò mai per averlo deluso! Forse avrei potuto fare di più in qualche modo, forse non ero abbastanza disperato per farlo, forse... forse... non lo so! So solo che il suo cosmo sparì completamente poco dopo, come scompare una goccia d'acqua in un oceano. Mi sparì da sotto il naso, prima che potessi fare qualcosa, ed io non me lo perdonerò mai!

 

“Hyoga, non pensare a questo ora, vai... vai da Michela, ha bisogno di te!” gli disse solamente alla fine, il respiro mozzo.

“Maestro, anche voi avete bisogno di me!”

“Ma certo che ho bisogno di te, Hyoga, sempre... - gli confidò, guardandolo brevemente con dolcezza e regalandogli un sorriso tirato ma sincero – Ora però necessito che tu mi faccia vedere quanto sei cresciuto in questi anni: lasciami perdere, vai da Michela e le altre, fai in modo che seguano il tuo cosmo, indica loro la via per ritornare qui... insieme a noi...”

“Ma voi...”

“Io ti seguirò a breve, anf, non preoccuparti... non ti fidi forse di me?”

“V-va bene, se insistete... abbiate cura di voi, io vi aspetterò al tredicesimo tempio...” si convinse alla fine il Cigno, lasciando comunque una parte di cuore lì nel percepire le gravi condizioni del suo maestro.

“Sei maturato così tanto in questi anni, non immagini quanto il tuo maestro sia fiero di te... - si congratulò affettuosamente lui, tra sé e sé, sorridendo ancora una volta, prima di cadere ginocchia a terra, troppo spossato per reggersi in piedi. Il suo pupillo si era allontanato, poteva permettersi di cedere, almeno un po' – Non posso perdere nessun altro di voi, non posso! Cerca di capirmi, mio amato Hyoga...” riuscì ancora a sussurrare tra sé e sé prima di essere avvolto dall'oscurità.

Francesca si svegliò qualche minuto dopo. Ovviamente non aveva udito nulla del dialogo tra maestro e allievo, convinta che i due si fossero già recati al capezzale delle sue amiche. Scese quindi in cucina persa nei suoi pensieri, ricercando un modo per tenere il cervello impegnato anche quel giorno, giacché non la facevano avvicinare alla tredicesima casa. Avrebbe voluto essere utile in qualche modo, voleva aiutare, quel senso di inedia e di inutilità le pesava sempre di più, era straziante e snervante, si sentiva davvero al limite, nondimeno non aveva la più pallida idea di dove cominciare. Aprì la porta della cucina ancora preda di quei pensieri, ma ciò che vide per terra la bloccò immediatamente, facendole prendere un risalto.

“Maestro Camus!!!” lo chiamò, in apprensione precipitandosi da lui per controllare i segni vitali. Marta, Michela e Sonia... e ora anche Camus, ne fu terrorizzata, perdendo il suo proverbiale sangue freddo che la rendeva così simile al suo mentore. Il respiro del Cavaliere era terribilmente penoso, così come i battiti irregolari del cuore, ma le sue condizioni parevano assai gravi, sembrava molto sofferente.

“Maestro! Maestro, ti prego, no, non anche tu, cosa... cosa ti succede?!” gli chiese, tastandogli la fronte sudata e bollente. Raccolse tutte le sue energie per girarlo supinamente, giacché era steso sul fianco sinistro, poco prima di far adagiare la sua testa nel proprio grembo per tenerlo un po' sollevato e permettergli di respirare meglio.

Che fare, però? Camus versava in stato di incoscienza, anche se ogni tanto parlottava e sembrava patire per un male che la giovane allieva non riusciva pienamente a comprendere. Avrebbe dovuto portarlo nel letto e coprirlo nella speranza che si potesse riprendere, ma da solo non ce l'avrebbe fatta, era troppo, troppo, debole. Urgeva chiamare qualcuno per visitarlo, tipo il Grande Mu o Shaka, loro forse avrebbero potuto fare qualcosa, ma con che cuore lasciarlo lì, da solo, quando versava in condizioni che peggioravano di minuto in minuto?!

“...rta...”

“C-Camus, stai tranquillo, non sei da solo!” provò a calmarlo lei, passandogli le dita sulla guancia come a volerlo accarezzare, seppur con gesto impacciato. La sua pelle era talmente morbida e delicata... aveva ragione Marta nel descriverla in quella maniera, come piume di cigno, amava ripetere lei, sorridendo teneramente. Francesca non aveva mai percepito qualcosa di lontanamente simile a quello, era difficile poterlo accostare ad un uomo, eppure...

Si guardò intorno, continuando a toccarlo per fargli coraggio, mentre il suo cervello, lesto, ricercava una soluzione. Ci fosse stato almeno Hyoga lì, in due qualcosa in più avrebbero potuto fare, ma il Cigno era sparito, probabilmente si trovava già al fianco di Michela e altrettanto probabilmente, nonostante le sue preoccupazioni, Camus gli aveva pure detto di andare senza aspettarlo. Uhmpf, tipico di lui, ormai lo conosceva, anche perché, in fondo, anche lei era esattamente così.

Nonostante i continui sforzi del suo cervello, non trovava soluzione, eppure il maestro non poteva rimanere lì per terra, ne andava della sua salute! Cosa fare?! Si cominciò ad agitare...

“Pe... perdonami, p-piccola mia...”

Francesca sussultò nell'udire la sua voce, tornando a concentrarsi su di lui, delirante e ancora svenuto. Si stava certamente rivolgendo a Marta, quel diminutivo, coniato da quel 'mia' strozzato, Camus non lo aveva utilizzato mai per nessuno, all'infuori della sua sorellina.

“Ca-Camus, lei starà bene... ora dobbiamo pensare a te!” provò nuovamente a tranquillizzarlo, giacché cominciava davvero ad agitarsi nell'incoscienza. La sua temperatura corporea era in aumento, il respiro sempre più aritmico, preda probabilmente di incubi. Di male in peggio.

“E' stata... tu-tutta colpa mia, di nuovo... Isaac... ora tu... anf... anf... non avreste mai dovuto incontrarmi, v-voi... vi... vi ho ucciso!”

“Non è stata colpa di nessuno, Maestro, men che meno tua, non pensarlo neanche!”

“T-ti prego, anf, re-resisti... non mi lasciare... proprio ora che ti ho ritrovata... non mi lasciare!”

“Oh, Camus, vale anche per te... ti prego, non mollare proprio ora... sei così debole, cosa ti è successo?!” si chiese a sua volta Francesca, nuovamente rotta dal pianto, mentre due lacrime capricciose caddero e sparirono tra i capelli scomposti del suo maestro, in preda a deliri sempre più crescenti. Nell'incoscienza, le difese interne di Camus stavano rapidamente crollando, facendo riemergere, con ogni probabilità, ricordi e tormenti che il Cavaliere, in circostanze normali, tendeva ad affogare e imbavagliare dentro di sé.

La situazione stava precipitando e lei non aveva nulla per equilibrarla, Camus le stava sfuggendo, lo percepiva, era in gravi condizioni, e non sapeva minimamente come aiutarlo, perché non faceva altro che ripetere, sempre più febbricitante, i nomi di sua sorella e di Isaac, l'allievo che aveva perso.

“O-ora basta, però! Marta! Michela! Sonia! Ora anche Camus! Basta!!! Non voglio perdere nessuno di loro, NON VOGLIO! - biascicò a denti stretti, tremando – Che qualcuno... che qualcuno mi aiuti, vi prego!”

Sorprendentemente una voce dal corridoio del tempio dell'Acquario giunse alle sue orecchie, sembrava quasi rispondere al suo richiamo. Spalancò gli occhi dalla sorpresa, scacciando indietro le lacrime.

“Ehi, ghiacciolo, sei in casa?! So che è strana la mia venuta qui, ma... ma... - si fermò un attimo, imbarazzato – Ho bisogno di trattare di una cosa che riguarda le tre pulci, possiamo parlare civilmente? Ehi, mi senti?!?”

“Sia ringraziato Zeus! E' Death Mask!!!” irruppe Francesca, nuovamente speranzosa, il cuore pullulante di gioia. Accompagnò dolcemente la testa di Camus per terra per evitare di fargli del male, sussurrandogli un 'resisti ancora un poco', prima di scattare in direzione del corridoio.

Quel che vide Death Mask fu una cosetta minuta che si fiondava contro il suo petto, abbracciandolo di getto. Avvampò, suo malgrado, cercando di rimanere in equilibrio. Si stava proprio rincoglionendo, non c'era che dire!

“Fr-Francesca?!?” esclamò, ancora incredulo. Non ce l'aveva mai avuta così vicina, tranne quella volta, durante il coma di Camus, in cui lo aveva preso per il bavero, minacciandolo con ben poco garbo. Quante cose erano cambiate da allora, eppure non erano passate che alcune settimane, null'altro.

“Menomale che sei qui! Camus... Camus sta molto male, l'ho trovato riverso per terra, deve avere la febbre alta, delira e...”

“C-cosa?!?” si ricompose lui, tentando di concentrarsi sulla frase di Francesca, piuttosto che sull'ondata di emozioni che lo aveva avvolto: quello non era certo il momento di entusiasmarsi per un abbraccio!

“Sì, l'ho trovato stramazzato sul pavimento, ma da sola non riesco a sollevarlo, temo abbia fatto qualcosa per stare così male... aiutami, ti prego!”

“Conducimi immediatamente da lui, non sono bravo quanto Mu ma farò quel che posso!” affermò, acquisendo un po' di caparbietà. Francesca aveva gli occhi lucidi, doveva essere molto in pena per il suo maestro. Non esitò un attimo e si fece condurre in cucina, un poco agitato a sua volta.

“C-Camus, che diavolo mi combini adesso?!” esclamò, una volta vistolo per terra. Si avvicinò al suo fianco, accucciandosi, mentre Francesca rimase in disparte, trepidante.

Il Cavaliere del Cancro gli tastò il polso, trovandolo fiacco e paurosamente aritmico, come se non bastasse anche il respiro era dispnoico, il viso pallido. Troppo. Persino per lui. Tutti sintomi che lo fecero indirizzare immediatamente su una pista che, in verità, aveva già. Gli scostò un poco il colletto della maglietta, intravedendo, sul petto, un ampio bendaggio.

“Sembra che stia soffrendo delle conseguenze di una anemia da emorragia acuta, non vedo altre spiegazioni, ma dovrei controllargli il corpo e misurare la pressione... cosa è successo di preciso, ne sai qualcosa, Francesca?”

“I-io, no, l'ho trovato così e... e non so... non so come mai...”

“Ottimo inizio! Ehi, Camus! Camus, mi senti? - esclamò, poco prima di dargli una serie di sberlette sul volto nell'insperato tentativo di farlo riprendere – Tu e la tua smania di tenerti tutto dentro, dannato! Ora noi siamo qui che non sappiamo cosa cappero ti sia successo, idiota! Come se non fosse sufficiente che a stare male siano le tre pulci, no, ti ci devi mettere anche tu, pezzo di cretino! Svegliati, così ci fai solo preoccupare!” insistette più volte, non scorgendo tuttavia la reazione che sperava.

“Death Mask, vacci piano, dannazione, è febbricitante e incosciente, non serve a nulla insultarlo!” lo fermò lei, bloccandolo per il polso, ancora spaventata dalla faccenda.

“Lo vedo ben da me, speravo che si riprendesse così, ma sembra più grave del previsto, cosa mai... - ma poi si illuminò, folgorato da una intuizione – Massì, dannazione, devono essere le ferite al petto, quelle... quelle devono essere state riaperte, ecco perché i cosmi di Marta e delle altre stavano...”

“C-cosa stai farneticando? Hai una pista?” chiese speranzosa Francesca, nel vedere Death Mask prendere delicatamente Camus in spalla per poi apprestarsi a portarlo in camera sua.

“Sì, forse ho capito cosa ha combinato il Signor Ghiacciolo... tu, lesta, vai a prendere un misuratore della pressione, sono sicuro che Camus ce l'abbia in casa, precisino com'è, io ti aspetto nella sua camera da letto, intanto lo cambio!” si raccomandò, uscendo poi dalla cucina per dirigersi su per le scale. Francesca fece esattamente quanto chiesto, ricordava di aver visto l'aggeggio in questione proprio nella dispensa, ma non si ricordava bene dove, quindi ci impiegò più tempo del previsto a ritrovarlo, rammentandosi che Camus lo teneva all'ultimo piano dello scaffale, vicino ai medicinali. Prese una sedia, ci si arrampicò e lo prese, saltando poi giù e precipitandosi nella camera del maestro senza riordinare. Lo avrebbe fatto dopo, quando la situazione sarebbe migliorata.

Entrò senza bussare, tutta trafelata, la scatola con il marchingegno tenuta in mano.

“Eccolo qui, Death... aaaaaaaaaaaaahhhh!!!”

La scatola tonfò per terra nello stesso momento in cui le mani di Francesca, ormai libere, volarono a coprirle la faccia paonazza.

“Ma che diavolo stai facendo, screanzato?!?”

“Oh, eh, oh?” chiese Death Mask dalla sua posizione, non capendo a cosa la ragazza si riferisse.

“Ti sembra il momento adatto per fare dello 'yaoi'?!? Ma sei idiota??? Camus sta male!!!” esclamò, ben oltre l'imbarazzo, sbracciandosi come una forsennata.

“Dello yo-yo?! Ma cosa ti fumi?!?” rispose piccato Death Mask, alzando le braccia a sua volta e gesticolando.

“Non fare lo gnorri, non c'è nulla di male ad essere omosessuali, ma... ma... ogni cosa a suo tempo, caspiterina! Lo stai.. lo stai...”

“Lo sto spogliando, sì... ti avevo detto che lo avrei cambiato, no?! Ti pare che possa fare cose simili?!? Puah! A Camus, poi, ma figuriamoci!”

“E... e allora scendi da quella posizione e... e lascialo stare, sembra... sembra... oddei che vergogna!” balbettò Francesca, sentendosi un fuoco sulle guance e sforzandosi di non guardare ulteriormente quella scena che la attirava e la imbarazzava al tempo stesso.

“Scema, sono così perché è più facile slacciargli e togliergli i pantaloni... che razza di fantasie hai, eh, Franceschina?!” la pungolò lui, ancora bellamente a cavalcioni sopra Camus, le mani sul suo addome, scoperto dall'ombelico in giù.

“Non chiamarmi con quel nome osceno...”

“Comunque stai tranquilla, non voglio fargli dei riti vudù, non lo voglio violare o chissà cosa d'altro ha immaginato la tua testolina bacata, voglio solo cambiarlo, controllargli le ferite, misurargli la pressione sanguigna e mettergli qualcosa di pulito addosso, giacché sta sudando un sacco. Non pensare male, mascherina, ho ben altri interessi, e poi ti assicuro che io e lui siamo incompatibili!” la pungolò ancora, facendogli l'occhiolino e tornando a concentrarsi su quello che stava facendo precedentemente. La maglia venne sollevata ulteriormente, scoprendo gli addominali rifiniti e lo spesso bendaggio che gli fasciava il torace. L'espressione di Death Mask si fece corrucciata per un breve istante, nel vedere quelle bende sporche di sangue. Le sue supposizioni si erano appena rivelate corrette e non era un bene. Affatto.

Francesca intanto si era girata dall'altra parte, fingendo indifferenza, sebbene continuasse a essere rossa come un peperone. Che tipo, il custode della quarta casa!

“Certo, ti trovo a cavalcioni su Camus mentre sei intento a sbottonargli i jeans, come se non bastasse ha la maglietta scomposta e sollevata sull'addome, come se fossi precipitata in uno yaoi di bassa categoria, e poi quella che ha le fantasie sono io?!? C'è modo e modo di fare le cose e tu sei sgraziato e troppo poco delicato!” bofonchiò lei, sulle sue, non riuscendo proprio a scalzare via quell'immagine dalla sua mente.

“Non sapevo ci volesse una laurea per spogliare la gente...”

“Infatti sembra altro quello che stai facendo, non certo una medicazione!”

“Guarda che strano ombelico che ha, così perfettamente tondeggiante e un poco profondo, come un solco disegnato ad arte, e poi quello strano cappuccio di pelle che ha sulla sommità, davvero curioso. Non glielo avevo mai visto da così vicino!”

“DEATH MASK, PIANTALA!”

“Su, su, scherzavo... era per stemperare la tensione!”

Francesca sospirò teatralmente, ancora più rossa, massaggiandosi le tempie, affranta. Non era proprio il momento per fare il pirla, eppure ci provava comunque, era più forte di lui. Si chiese se prendesse la vita intera con quello spirito, senza un minimo di serietà. La situazione era disperata e quello si fissava sull'ombelico del maestro, inconcepibile!

“Sei così brutale... Camus non lo vorrebbe! Spero per lui che non si stia accorgendo di quello che gli stai facendo...” commentò ancora, sospirando. I jeans erano stati infine slacciati, ora veniva il difficile.

“Oh, puoi starne certa, se lo sapesse mi congelerebbe all'istante senza troppi fronzoli, ma sta male e ha bisogno di cure ed io sono capitato qua. Certo, non sono il migliore sul mercato, meglio Mu, o Shaka, anzi chiunque a parte me, ma cosa ci vuoi fare, c'ero solo io... - biascicò, tornando improvvisamente serio, mordendosi il labbro inferiore – Pensi che mi darai una mano o continuerai a startene lì impacciata, rossa come un pomodoro?! Per levarglieli ho bisogno anche del tuo intervento! Sei quasi adorabile così, aha, una dea che si imbarazza, non credevo neanche fosse possibile... buffa!” riprese poi il suo buonumore, ridacchiando tra sé e sé. Sembrava di essere sulle montagne russe con lui.

“A-arrivo...” si affrettò a rispondere, desiderosa di dare una mano a sua volta.

Spogliarono quindi Camus degli indumenti, poi successivamente portati da Francesca in lavatrice, prima di fargli indossare i pantaloni del pigiama e tenerlo a busto scoperto, vista la miglior manualità nel prestargli le prime cure. Le bende che ricoprivano il torace del Cavaliere erano spesse ma coperte di sangue, indice di un sanguinamento ancora persistente.

Francesca era rimasta imbambolata a fissarlo per un tempo indefinito, prima di darsi una mossa e prendere l'occorrente dal comodino. Camus respirava con enorme patimento, le si strinse il cuore nel vederlo così, mentre, con un fazzoletto, gli asciugava la fronte sudata e, successivamente, passava a rinfrescargli il volto, il collo e parte dell'ampio petto. Nello stesso momento Death Mask, aprendo la scatola del misuratore della pressione, si era messo d'impegno a capire come farlo funzionare. Non era avvezzo alle cure mediche, altri erano assai più bravi di lui, ma vedere il suo compagno così mal partito, con il respiro a scatti e il petto sconquassato, lo fece ingegnare.

Forse anche lui poteva essere utile per qualcuno... forse...

Francesca ringraziò il cielo che Camus fosse incosciente e che non si rendesse conto di quanto gli stava succedendo intorno, altrimenti si sarebbe vergognato a dismisura, come accadeva di frequente quando qualcuno lo toccava senza il suo permesso, invadendo il suo spazio vitale. Lentamente, finito di rinfrescarlo, avvicinò una mano alla sua guancia, accarezzandogliela teneramente. Era caldo. Soffriva di una grave forma di anemia da emorragia acuta e Death Mask aveva avuto l'intuizione giusta: erano state le ferite al torace nuovamente riaperte a causargliela; il punto era scoprire perché quelle tremende lacerazioni erano state aperte una terza volta. Era forse stato... per la sorella? Francesca si disse che non c'era altra spiegazione. Camus aveva rischiato davvero molto per rianimare Marta, ormai non vi era alcun dubbio; la vita, che non aveva esitato a offrire, pur di salvare la sua adorata sorellina, baluginava pallida in lui, un solo soffio e si sarebbe spezzata. Sospirò, buttando un occhio su Death Mask, intento a sollevargli il braccio a mettergli il misuratore della pressione, il tutto senza che Camus si ribellasse, del tutto abbandonato a sé stesso. Azionarono il marchingegno. Attesero.

Che Death Mask avesse già capito qualcosa che a lei ancora sfuggiva? Per quale ragione voleva parlare con lui? Il misuratore si strinse al braccio di Camus, prima di suonare, Death Mask diede un'occhiata, veloce, lei invece non ne ebbe il coraggio, non subito.

“Minchia, ha la pressione sanguigna di un morto, in pratica!” commentò il Cancro, non riuscendo a mascherare la preoccupazione. Francesca ingoiò a vuoto, prima di farsi forza e guardare direttamente il display, leggendovi un 54/33 che non lasciava spazio all'immaginazione. Era al limite del collasso, roba che, se fosse stato un essere umano normale, lo avrebbero portato di corsa all'ospedale perché in pericolo di vita, ma la loro situazione era assai più frastagliata, dovevano curarlo lì, e agire il più in fretta possibile.

“Che cosa possiamo fare?” chiese lei, stringendo istintivamente la mano di Camus per fargli coraggio. Ci sarebbe voluta Marta lì, se solo si fosse già ripresa, a dare manforte al fratello, ne era sicura, se solo fosse stata lì, se solo l'avesse udita, Camus avrebbe riaperto subito i suoi meravigliosi occhi blu; e invece c'era solo lei, così imbranata con i sentimenti... avrebbe potuto fare qualcosa per il suo maestro? Lo guardò, in apprensione, lui, che era lì, debole e indifeso, lui, che respirava a scatti, pallido come un cencio, lui, che stava scivolando via.

Istantaneamente rabbrividì, accorgendosi, forse per la prima volta, con timore, che si era genuinamente affezionata anche a Camus, e che non voleva perderlo, per nessuna ragione al mondo, così come lui non avrebbe voluto perdere la sua piccola Marta.

Strano come funzionava l'amore umano...

“Bisogna alzare immediatamente la pressione sanguigna, se continuerà a scendere sarà incompatibile con la vita, persino per un Cavaliere... ma bisogna anche arginare la perdita di sangue, per cui... Fra, vammi a prendere del ghiaccio, il disinfettante, bende nuove e... e tutte le medicine che trovi in questa casa... per favore... la situazione è seria!”

'Per favore'... anche Death Mask doveva essere parecchio preoccupato per il compagno, se usciva con frasi così, Francesca se ne rese conto solo in quel momento che, con ogni probabilità, il suo modo di scherzare e di fare battute di spirito, fosse per non far agitare ancora di più lei. Il suo cuore accelerò di un battito a quel pensiero mentre, trepidante, andava a prendere tutto l'occorrente. Il tempo stringeva.

Il Cavaliere del Cancro intanto, controllò nuovamente la pressione, sperando in un abbaglio ma ritrovando lo stesso, sconfortante, risultato... stavano rischiando nuovamente di perderlo?! DI NUOVO?!? Death Mask rifiutava quel fatto. Tornò nuovamente a controllargli il polso, poi, girandogli il volto, la carotide. Camus non si ribellava, cosa assolutamente non da lui, non dava nemmeno segni di ripresa. Il battito era irregolare, il respiro pesante, quasi stentato. Alcuni ciuffi gli si erano incollati alla fronte e sulle guance, mentre quelli che gli ricadevano sul petto vennero gentilmente spostati, permettendo così a Death Mask di cominciare a togliergli le bende.

“Coraggio, Camus, non vorrai tornare là, vero? In quell'inferno di gelo e buio... tu sai, proprio come me, che cosa si prova, sai cosa vuol dire soffocare, dentro, essere nudi, vulnerabili e impotenti, mentre il freddo ti entra nelle viscere, uccidendoti.. ma sei già morto, per cui non puoi, puoi solo svenire e quanto ti risvegli ricomincia tutto daccapo... tu sai! Proprio per questo non puoi permetterti di sprofondare nuovamente là!”

“Anf... anf... mmmm”

“Ora che hai ritrovato anche la tua sorellina non puoi permetterti di abbandonarla qua, da sola... reagisci, so che puoi farlo. Hai dato tutto per Marta, sei in queste condizioni per lei, vero? Ti ho... ti ho percepito con il cosmo! Grazie al tuo sacrificio lei potrà trovare la strada di casa, grazie a te, mi senti, Camus? - lo provò ancora ad incoraggiare, alla sua maniera, facendo per scostare l'ultimo bendaggio – Ma se tu muori, che ne sarà di lei? L'hai forse riportata in vita per arrenderti tu, per sprofondare, ancora una volta, nel Cocito? No, no, assolutamente, è per questo che supererai anche questa, vero, vecchio mio?”

Francesca tornò poco dopo con tutto il necessario, si sentiva mentalmente distrutta, spossata, al limite della stanchezza. Avrebbe solo voluto dormire e svegliarsi in un periodo migliore, con le sue amiche sveglie e la salute di Camus ristabilita, invece quanto ancora sarebbe durate quella perenne tensione?! Sospirò, cercando alla ben meglio di farsi coraggio. Rientrò nella camera e vide Death Mask ancora nella stessa posizione di prima, anzi peggio. Sbuffò. Non riusciva a scorgergli il viso, ma sentì che era arrivato il suo turno per alleggerire la tensione, doveva farlo anche per il Cavaliere di Cancer, che si stava facendo in quattro per far star meglio il suo maestro, nonostante fosse, di base, un imbranato in quel settore.

“Certo che ti deve proprio piacere stare lì, a cavalcioni, non è che sei tu quello che ha strane idee?! Ora pure gli serri i polsi... sei passato di livello, ma bravo!” lo provocò, avvicinandosi e posando tutto sul comodino. Fu allora che capì la situazione nello scorgere meglio i due Cavalieri. Sussultò.

“Menomale che sei tornata subito, Francesca... ho bisogno del tuo aiuto, non riesco a medicarlo da solo...”

La ragazze accorse, poggiandosi sul letto e sgranando gli occhi nel vedere nitidamente le tre ferite che Camus si portava dietro da quel giorno in cui aveva salvato Marta. Non le aveva viste che un'unica volta, ma poté giurare che esse, oltre a non essere minimamente migliorate, si erano pure estese, come se fossero state riaperte veementemente di recente dall'esterno. Oltre a questo, Camus stava in posizione scomposta, un piede fuori dal letto, il lenzuolo caduto quasi del tutto per terra, i polsi stretti da Death Mask tenuti fermi sopra la sua testa, come ad impedirgli ulteriori, repentini, movimenti. E nonostante questo, Camus continuava a divincolarsi come un forsennato.

“Insomma, cosa sta succedendo adesso?! L-le ferite sono terribili, c-c'è la carne viva, r-rossa... così rischia una nuova infezione...” ne dedusse la giovane, in evidente apprensione.

“G-già è proprio così... sono state parzialmente risanate da una divinità, poiché sono chiuse in profondità ma non negli ultimi strati dell'epidermide, probabilmente non si poteva fare di meglio. Volevo medicarlo, perché la ferita sanguina ancora, ma appena l'ho sfiorato si è mosso talmente tanto che l'ho dovuto fermare con tutto il mio peso... - spiegò, affaticato, prima di continuare – e comunque una ginocchiata in pieno stomaco è riuscito comunque a darmela, il dannato!”

“Ha... ha così tanto male?” chiese ancora Francesca, accarezzandogli di nuovo i capelli per tentare di fargli coraggio, malgrado quello, Camus non riusciva a calmarsi, scuoteva la testa, completamente fuori di sé, il respiro sempre più accelerato. Se Death Mask non fosse intervenuto in quella maniera avrebbe rischiato di farsi ulteriormente male.

“Ugh... guarda tu stessa che terribili ferite che ha... io non so... non so come faccia a non urlare dal dolore, quando è vigile, non ho mai visto una roba simile! E, nonostante questo, ha una forza incredibile! - lo elogiò, liberandolo parzialmente del suo peso, ma continuando a stringerlo dai polsi – E' tutto proprio come allora, quando eravamo piccoli... sembra tanto fragile, un fuscello, che basterebbe un nonnulla per spezzarlo, e invece...”

“Death Mask... apprezzo questo excursus sulla vostra vita passata, ma non mi sembra il momento adatto per perdersi sul viale dei ricordi... non con Camus conciato così!”

“Ma che lagna che sai essere anche tu! Lo so bene, cosa credi? Per questo mi serve anche il tuo aiuto! Puoi tenerlo fermo dai polsi mentre io provo a medicarlo? Solo ora sta cominciando a calmarsi ed è il momento giusto per agire. Camus certamente si divincolerà di nuovo quando passerò il disinfettante sulle ferite, ma se lavoreremo insieme, fianco a fianco, persino un fallito come me potrà fare del bene. Ho imparato a mie spese che qualunque essere vivente, anche il più apparentemente insignificante, se lavora in sinergia con altri può operare il miracolo. Io sono un caso perso, ormai, ma se tu mi sosterrai in quest'impresa, ti assicuro che riuscirò a far sentire meglio il tuo maestro!” disse, in tono solenne, forse più del dovuto.

“O-ok... i... i polsi, hai detto, g-giusto?” biascicò Francesca, facendo poi quanto chiesto in maniera impacciata, arrossendo a dismisura, tanto che anche il Cavaliere del Cancro si accorse di aver esagerato un bel po'.

“La... lascia stare tutto questo rigiro di parole, volevo solo rassicurarti che farò quanto in mio potere per farlo stare meglio...”

Ma Francesca negò con la testa e gli sorrise.

“Di nulla, ho apprezzato la tua spasmodica dichiarazione patriottica nei suoi confronti! Alla fine dei conti... devi volergli molto bene anche tu, eh?” lo prese un poco in giro, divertita, guardandolo intensamente negli occhi.

“Oh, eh... ehm... ehm... come dire...”

“Guarda che non ti devi mica vergognare, eh! Lo stai aiutando, più di quanto avrei potuto fare io... grazie!”

Death Mask si perse ancora un attimo nel guardare la ragazza, meravigliato nel sentire il suono cristallino della sua voce. Si ritrovò ben presto con la gola secca e il fuoco sulle guance, non aveva la più pallida idea di cosa fare. Anche Francesca sembrava imbarazzata. Si continuarono a guardare, un po' sfuggenti un po' incuriositi uno dall'altro, era una sensazione strana da definire, ma non era quello il momento per perdersi, assolutamente! Alla fine Death Mask decise di agire per aiutare il compagno, avvicinando il batuffolo di disinfettante al suo torace, mentre Francesca decise di prendere la parola, ancora un poco insicura.

“A-ascolta, Death Mask, da ora in avanti, p-posso...”

“Accidenti! Ora capisco perché il Maestro non è più arrivato al tredicesimo tempio...” si aggiunse una terza voce, un poco cupa, dietro le loro spalle. I due la riconobbero subito.

“Hyoga!!! Per fortuna sei arrivato!” trillò Francesca, al settimo cielo.

“Ah, sei tu... a fagiolo proprio!” mugugnò invece Death Mask, assai meno entusiasta della ragazza. In verità l'arrivo dell'allievo più esperto di Camus era una benedizione, molto meglio utilizzare il ghiaccio del Cigno per riportare la pressione a livelli normali, che non quello sintetico, ma comunque si sentì un poco infastidito dalla sua interruzione proprio nel momento in cui Francesca, finalmente, pareva sciogliersi.

“...E capisco anche perché avete insistito per farmi andare avanti, siete sempre il solito, Maestro...” continuò il Cavaliere del Cigno, avvicinandosi al letto per poi passare una mano sulla fronte di Camus, tra i capelli umidi. Francesca si scansò subito per dargli spazio.

“Siete così debole... però non fate che pensare al nostro bene, come di consueto...” gli sussurrò ancora l'allievo, con parole di miele, accucciandosi vicino e permettendosi di passare costantemente le dita tra i lunghi ciuffi cobalto.

“Hyoga!!! Camus ha sofferto dei postumi di una grave anemia da emorragia acuta, menomale che sei arrivato, ero disperata e...”

“Sì, lo so... Zeus ed Hermes hanno parlato anche a me e Milo... Marta, Michela e Sonia erano... clinicamente morte... per riportarle in vita è servito un sacrificio...”

“C-Cosa?!? M-morte?! No, non è possibile, non...”

Francesca era chiaramente sconvolta, si mise una mano sul petto, il respiro mozzo e il viso pallido, Death Mask le dovette prendere una mano per farla calmare.

“Ehi, briscola, adesso calmati... è vero quanto dice il Cigno ma il peggio è passato per loro, staranno presto meglio...”

“Cosa?! Tu lo sapevi, Death Mask?!”

“Lo intuivo... non era normale che la loro anima rimanesse nell'oltretomba... è il motivo per cui volevo parlare con Camus stamattina, prima di trovarlo riverso a terra in stato di incoscienza...”

“E' così... il Maestro Camus ha dovuto pagare il prezzo più alto, non so perché, però è stato necessario che si riaprissero le ferite sul torace. Ha versato molto sangue, ed ecco la ragione del suo malessere...” spiegò Hyoga, franco, prendendo, con la mano libera il panno bagnato per rinfrescagli nuovamente il volto, prima di azionare il suo cosmo che subito avvolse interamente il corpo dell'Acquario.

Francesca era allibita, tremava e avvertiva freddo, tutti sconvolgimenti troppo estenuanti per il suo corpicino, ma ancora di più, provò il forte desiderio di parlare con Camus, appena si fosse ripreso, troppe cose non quadravano, e i suoi sospetti erano sempre più fondati.

“Staranno bene, vedrai, non temere...” la provò ad incoraggiare ancora Death Mask, posandole una mano sulla spalla. Francesca annuì brevemente, gli occhi lucidi, ancora scossa, ma non si piegò, rimanendo dritta a guardare le manovre del Cigno.

Hyoga aveva preso ad usare l'aria congelante direttamente sopra la fronte di Camus, che sembrava più tranquillo ma sempre pallido, poi, con l'altra mano aveva appoggiato appena le dita sulle tre ferite, attuando un procedimento simile; nello stesso momento parlava dolcemente in russo, ben sapendo che era la loro lingua, sua e del suo amato mentore, raddrizzandosi per sistemarsi meglio.

“Sto raffreddando il suo corpo per permettere la vasocostrizione dei vasi sanguigni e alzare così la pressione arteriosa!” spiegò velocemente, mantenendo lo sguardo basso.

“E mi sembra anche più tranquillo... che razza di magia hai adoperato?!” chiese Death Mask, fissandolo con attenzione e un pizzico di sorpresa.

“Nessuna magia. Tramite il ghiaccio, se correttamente proporzionato, si può anche ridurre il dolore” disse solo Hyoga, continuando a non guardarli in faccia.

“Capito... sono proprio io ad essere un inchiappettato cronico, eh?! Lo lascio in mano vostra, che siete più abili di me. Se potete, non ditegli neanche che sono passato, penso che sarà più tranquillo così. Vi saluto!” si congedò Death Mask, andandosene senza ulteriori rigiri di parole. Il suo aiuto non era più necessario, altri avrebbero fatto meglio di lui.

“Aspetta, non...”

Ma il Cavaliere si era chiuso già la porta dietro di sé, categorico. Che diavolo gli stava prendendo? Eppure era stato indispensabile fino a quel momento, perché reagire così?

“Fra, passami il disinfettante per favore...” le fece una richiesta Hyoga, sollevando finalmente il capo per guardarla negli occhi. Francesca fece quanto chiesto, desiderando imparare dal Cigno ad essere così manuale.

Hyoga intanto aveva iniziato a disinfettare le gravi ferite di Camus, che ora sembrava placidamente addormentato rispetto a prima, ogni tanto produceva qualche mormorio sommesso e continuava ad avere il viso umido, ma il peggio sembrava passato anche per lui.

Era molto dolce Hyoga con il suo mentore, di una tenerezza che ben manifestava il suo profondo attaccamento a lui, Francesca ne era ammirata, anche il Cavaliere del Cigno riusciva a toccare il cuore di Camus con pochi semplici gesti e parole, lo stesso riusciva Marta. Le sarebbe piaciuto farlo anche lei, ma non sapeva da dove iniziare, muoversi tra le emozioni non era facile, anche se bellissimo.

Intanto Hyoga decise di alternare nuovamente le cure alle parole, con l'ovvio intento di infondergli coraggio, ne aveva un disperato bisogno, visto quanto aveva patito.

“Maestro Camus, sono andato da Michela e le altre, le ho viste! Non vi dovete preoccupare per vostra sorella, se ne sta occupando Milo... - prese a raccontargli mentre, ultimata la medicazione, armeggiava con le bende - Sta riprendendo un po' di colorito, sapete? Ed è merito vostro, grazie a voi potrà stare presto meglio, la potrete riabbracciare!”

Forse si trattava di un abbaglio, ma Francesca ebbe l'impressione che le labbra di Camus, dopo quelle poche parole, si fossero stirate in un leggerissimo sorriso. Forse lo stava percependo in qualche maniera, essendo i due legati da un profondissimo affetto rassomigliante a quello tra padre e figlio, malgrado la poca, pochissima differenza di età. La ragazza era sempre più affascinata da quel mondo arzigogolato che erano le emozioni umane.

“Perciò... non sforzatevi più per oggi, riposate, ve lo meritate! Avete dato tutto, ora non ci resta che aspettare che si risveglino” gli sussurrò ancora, accarezzandogli delicatamente il volto prima di adagiarlo più comodamente sul cuscino.

“Sei veramente bravo, Hyoga... - si congratulò Francesca, sinceramente colpita, guardandolo fasciare le ferite con gesti leggeri, che non pesavano sulla salute del Cavaliere – Da quando sei arrivato tu è molto più tranquillo. Non so come facciate tu e Marta a leggere così bene nel suo cuore, ma vi stimo sinceramente...” ammise, un poco mortificata dal non riuscire a farlo a sua volta.

“Gra-grazie, ma io ho solo agito come mi è stato insegnato. Sapessi quante volte ho visto Camus prendersi cura di noi, quando eravamo piccoli, o curare i malati del villaggio di Pevek. Più di una volta ha anche aiutato le donne a partorire. Io non sono minimamente paragonabile a lui!” ammise, un poco imbarazzato, sistemandogli dolcemente la coperta sopra l'addome una volta finito il bendaggio.

Lo videro respirare con più regolarità, malgrado il pallore quasi mortale, poterono quindi tirare un sospiro di sollievo. Francesca gli prese delicatamente la mano tenuta fuori dalle coperte, gliela strinse, avvertendo il cuore farsi piccolo piccolo nel vederlo così debole. Decise di rimanere in silenzio dopo lo sfogo del Cigno, non sfuggendogli comunque il 'noi' usato dal biondo... stava sicuramente parlando dell'altro allievo, ovvero il suo compagno di addestramento, ma non avrebbe indagato ulteriormente, non era suo diritto.

“Tutto ciò che sono lo devo a lui... è stato lui a crescermi, lui si è preso cura di me quando stavo male, lui mi ha fatto diventare Cavaliere e insegnato le tecniche del ghiaccio. Gli voglio un bene dell'anima, come un padre, eppure... eppure non sono che una delusione per lui, un ingrato che ha dimostrato la sua gratitudine privandolo della vita e non solo, i-io...”

Il Cigno cominciava visibilmente ad agitarsi, tanto che Francesca prese la parola.

“L-lo sappiamo, Hyoga... Marta ed io siamo a conoscenza, a grandi linee, di cosa sia successo durante la Battaglia delle 12 Case. Non avevi scelta alcuna, non...”

“Voi lo sapete, e vi ringrazio per non avermelo rinfacciato, ma Michela... no... ed io non posso continuare a celarglielo, mi sento sporco e...”

“Non mi sembra questo il momento... Michela deve ancora riprendersi e poi... non so quanto capirebbe delle tue azioni, sai quanto tiene a Camus!”

“L-lo so, ma io non riesco, non...”

Poi prese un profondo respiro, tornando faticosamente alla calma, come gli era stato impartito. Con difficoltà, lentamente, riaprì gli occhi, tenuti prima serrati per mascherare la frustrazione. Erano ancora occhi spauriti di bambino in un corpo che stava diventando sempre più grande a prezzo di immani sacrifici.

“Sc-scusami, Francesca, non volevo utilizzarti come valvola di sfogo... stai soffrendo quanto me in questa situazione ed io... io non faccio che comportarmi come un poppante, nonostante le persone a me care abbiano dato l'anima e la vita per indicarmi la strada... sono molto deluso da me stesso!”

“E' tutto apposto! Quando staremo tutti meglio potremo certamente parlare, del resto... siamo una famiglia, no?”

Hyoga, a quella frase sorrise timidamente, alzandosi in piedi dopo aver scoccato un'ultima occhiata a Camus e avergli accarezzato teneramente la guancia.

“Hai ragione... ora vado un po' a stendermi in camera mia, poi tornerò per darti il cambio e vedere se le ferite del Maestro Camus spurgano ancora, va bene?”

“Perfetto, io starò qui, intanto non ho nulla da fare, veglierò sul nostro amato maestro!”

“Grazie... grazie davvero! A dopo!”

 

 

* * *

 

 

19 luglio 2011, notte

 

 

Francesca si era concessa di riposare un po' gli occhi dopo la grande veglia che lei e Hyoga avevano alternato su Camus per tutta la giornata. Erano calate le tenebre, il Cigno, esausto, si era recato in camera sua a dormire, mentre lei era rimasta lì, seduta su una sedia con la testa appoggiata alla parete fresca. L'orologio sul comodino segnava le 11 e 30 quando fu svegliata da dei movimenti provenienti dal letto. Si riscosse e sbadigliò, raddrizzandosi e tastando alla ricerca della lampada da tavolo, la trovò e la accese, illuminando la stanza e, con essa, due occhi blu che si stavano guardando confusamente intorno. Essi erano vitrei, ancora succubi dell'ombra che avevano appena lasciato, ma aperti.

“Camus... Maestro!” esclamò, un poco sollevata nel vederlo nuovamente sveglio, sebbene il pallore del suo volto non fosse affatto diminuito e la sua espressione fosse perennemente tirata dal dolore.

“F-Fra... cosa... cosa è successo? Dove... mi trovo?” domandò confuso, agitandosi tra le coperte nel tentativo di alzarsi, ma la giovane allieva fu lesta a ricondurlo nuovamente nel letto, scegliendo le parole e la cadenza giusta.

“Sei stato molto male, Maestro Camus, non fare sforzi! Sei molto debole e hai ancora la pressione a terra a seguito di una forte emorragia... calmati, va tutto bene!” gli disse con dolcezza, permettendosi di accarezzargli alcuni ciuffi di capelli.

Camus parve ricordare, ansimò pesantemente, poco prima di posarsi sul cuscino e rivolgere lo sguardo all'allieva più grande.

“Quanto... quanto tempo è trascorso da quando sono svenuto?”

“Sei svenuto stamattina e ora sono le 11 e 32 di notte, e...”

“LE... LE 11 E 32?!? - saltò immediatamente su a quella spiegazione, apprensivo, agitandosi ancora di più – Dannazione! Non posso... non posso stare qui, altrimenti Marta...”

A quel punto Francesca fu costretta a scattare in piedi per fermarlo sul posto, giacché aveva buttato già le gambe dall'altro lato del letto per alzarsi e correre dalla sorellina, così come era conciato... come no!

“Calmati, Camus! Se ne sta occupando Milo, non devi...”

“I-il mio cosmo... deve seguire il mio cosmo per risvegliarsi, a-altrimenti la mia piccola Marta...”

Sembrava ancora mezzo delirante, del resto la febbre era scesa ma non era del tutto passata, Francesca decise di imporsi.

“Va tutto bene, Camus! Ci ha pensato Milo per oggi, si è preso cura di lei, oltre che di Sonia, ed è stato coadiuvato da Hyoga, non hai di che temere. Ci andrai domani, ora non puoi fare sforzi!”

A quelle parole Camus, una gamba fuori dal letto, un braccio scomposto e lo stesso inarrestabile pallore sul viso, si rilassò appena percettibilmente.

“Ci... ci hanno pensato loro? Come... come stanno le ragazze?” chiese ancora Camus, la paura negli occhi.

“Meglio... stanno riprendendo colorito, presto potremo riabbracciarle, maestro!”

“Dei del cielo, grazie... grazie! Potrò riaverle con me...” biascicò lui, gli occhi lucidi, lasciandosi scappare un singhiozzo. Si appoggiò allo schienale del letto, il fiato corto, il torace nudo, sconquassato e coperto da nuove bende. Camus se ne rese conto solo a quel punto, di essere privo di abiti nel busto e di avere i pantaloni del pigiama. Qualcuno doveva averlo spogliato, medicato e cambiato le bende. Arrossì, stavolta visibilmente.

“Hyoga è stato qui fino a mezz'ora fa, si è preso cura di te, ma poi è andato a dormire perché era distrutto” continuò Francesca, indovinando i suoi pensieri.

“E' stato... Hyoga a, ehm, spogliarmi?” domandò ancora Camus, imbarazzato, discostando lo sguardo, che già farsi vedere debole e impotente da qualcuno per lui era un trauma, figurarsi se poi aveva davanti una delle sue allieve, proprio chi doveva dipendere da lui in tutto e per tutto!

“Ehm... sì! Sì, è stato lui! La tua pressione era a terra, ha usato il gelo per indurti una vasocostrizione che ti permettesse di tornare a valori non... ehm, letali...” mentì in parte Francesca, ricordandosi le raccomandazioni di Death Mask. Meglio omettere il particolare che era stato quest'ultimo invece a spogliarlo, di sicuro l'avrebbe fatto agitare di più.

“Il... il mio Hyoga mi ha... oh, domani lo ringrazierò personalmente, e... grazie anche a te, Francesca... per avermi vegliato!” biascicò, massaggiandosi stancamente la fronte. La stanza per lui aveva preso a girare di 180 gradi, quello gli dava una sensazione di nausea avvolgente che si incancreniva sulla bocca dello stomaco. L'allieva lo comprese, pertanto lo accompagnò di nuovo giù, con gesto della mano, per farlo coricare completamente. Camus aveva di nuovo serrato le palpebre, forse nel tentativo di recuperare il controllo, forse per il dolore, più probabilmente per entrambi i motivi. Disse ancora qualcosa a proposito di Hyoga, su quanto fosse cresciuto e su quanto fosse fiero di lui, ma non si capì totalmente, poiché faceva molta fatica a parlare.

“Dovrei controllarti la pressione, perché prima, nonostante l'intervento del Cigno, ce l'avevi ancora piuttosto bassa. Meglio se rimani sdraiato, maestro, hai avuto un capogiro, vero?”

“S-sì, mi sento debole e un perpetuo cerchio alla testa... se devi controllare la pressione fallo pure, solo... solo ho bisogno di chiederti un favore...”

“Qualunque cosa, Camus...”

“Erk, passami... passami una maglietta da mettermi addosso... per favore... - mormorò, stanco, indicandole l'armadio – Non... non mi sento a mio agio, così, scusami...”

Francesca annuì e fece quanto chiesto, ritrovandosi a pensare che, se l'imbarazzo era a quei livelli, menomale che il suo maestro non aveva memoria di quello che aveva fatto Death Mask, né tanto meno dei suoi commenti, altrimenti sarebbe morto di vergogna. Pescò una maglia a maniche corte dall'armadio, passandogliela subito.

Camus impiegò un po' a mettersela, poiché la sua debolezza era tale che influiva sulla coordinazione dei movimenti, ma alla fine riuscì nel suo intento, sdraiandosi subito dopo e rimboccandosi le coperte, ma avendo cura di tenere fuori il braccio sinistro per la misurazione.

Francesca prese la macchinetta e fece quello che aveva già fatto il Cavaliere del Cancro, ovvero gliela avvolse sul braccio, aspettò che si stringesse a lui e poi attese la comparsa dei numeri. 80/63... come valori erano sempre perennemente bassi ma in vistoso aumento rispetto a prima, il peggio era passato, anche per lui.

Camus intanto scrutava attentamente il volto dell'allieva. Nel giro di pochi minuti vi aveva letto paura, scoramento, speranza e sollievo. Si disse che doveva essere stata molto preoccupata per lui, e anche Hyoga. Quei due ragazzi avevano già ben il loro da pensare, stante le condizioni di Marta, Michela e Sonia, a questo si aggiungeva lui, ciò che aveva fatto per salvare la sorella, il suo supplizio. Sapeva a cosa sarebbe andato incontro, lo sapeva, come sapeva il vero volto di chi c'era dietro a tutto quello, ma non aveva informato nessuno a riguardo, né Hyoga, né Francesca, e ancora meno avrebbe informato Marta e le altre. Aveva scelto lui, il destino se lo era scelto da solo, non che comunque avesse molte altre possibilità...

Rabbrividì.

E si accorse, Camus dell'Acquario, che aveva paura.

Paura per sé, ma ancora di più paura per le altre.

Per ciò che avrebbe dovuto lasciare indietro.

Per la sua piccola Marta, appena ritrovata. Per Hyoga, allievo amato con tutto sé stesso. Per la coraggiosa Sonia. Per Michela e Francesca, che si erano unite alla sua sua già nutrita famiglia.

Per Milo. Cosa avrebbe fatto il suo migliore amico?! Avrebbe capito la sua scelta o, forse, una parte di lui lo avrebbe detestato, come già durante la Battaglia delle 12 Case?

Camus ne era spaventato, da quell'abisso informe che lo stava risucchiando. Il respiro gli si mozzò nel petto.

“Fra... - gracchiò, con estrema fatica, chiudendo gli occhi sofferente – Perdonami...”

Come aveva supposto, l'allieva non capì, la udì ingoiare a vuoto e aspettare per trovare le forze di chiedere delucidazioni. Impiegò diverso tempo.

“Per... perché, Maestro?”

I suoi timori stavano prendendo sempre più piede, spietati.

 

Perché sono un egoista e nient'altro, perché nonostante il mio predicare freddezza, sono il primo ad essere vittima delle emozioni. E ora... ora cosa ti posso dire, Francesca?! Come potrò spiegarti che... che sto morendo, e che sono stato io a sceglierlo?! Come potrò dirti che sono stato un avventato e un imprudente, ma che parallelamente non ho rimpianti, perché il solo pensiero di perdere la mia sorellina mi dilania l'anima più della consapevolezza di sapere a cosa sto andando incontro?!? Come posso io...? Come posso!!!

Sono tuo maestro, ho preso un impegno con te, cioè quello di seguirti e di farti crescere, anche se, a ben vedere, tu sei già grande, giudiziosa e forte... e sarò io il primo a rimangiarmi la parola, perché presto scomparirò, non resterà più niente di me...

 

“Fra, ascoltami attentamente, io...”

“Non sforzarti, Maestro, sei ancora debole!” lo intercettò l'allieva, prendendolo sottobraccio nel vederlo rialzarsi a sedere.

“V-va tutto bene, ho... ho solo bisogno di parlarti, anf.”

“Ma sei troppo debole, tu...”

“Promettimi che mi ascolterai, te ne prego, è importante.”

“V-va bene.”

Francesca si rimise composta sulla sedia, le mani giunte in grembo, l'espressione spaurita. Di qualunque argomento avrebbero trattato, non sarebbe stato roseo, tutt'altro. Ebbe un atroce sospetto. Camus, dal canto suo, prese un profondo respiro, apprestandosi a parlare, si era seduto a sua volta, la coperta sulle gambe, le dita che la stringevano fino ad arrossarsi. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, quella volta non sarebbe riuscito ad affrontare tutto quello senza nessuno, aveva il bisogno di essere sostenuto da Francesca, di sfogarsi, di parlare, perché qualcuno, a Marta e le altre, poi avrebbe dovuto narrare come erano andate realmente le cose, e lei era la più adatta, poiché...

“Fra... da quando ti conosco, ti sento molto affine a me, anche tu tendi a mascherare tutto dietro una facciata, anche tu sei calma e giudiziosa e, cosa altresì importante, hai l'età giusta per capire le mie parole, senza giudicarmi”

“S-sì, farò... farò del mio meglio, Maestro!” confermò la ragazza, gli occhi lucidi e il respiro corto.

“Bene, allora ascolta le mie parole, te la senti?”

“S-sì...” un nodo in gola, ma l'espressione determinata, Camus ne fu rassicurato.

“Devi sapere che...”

Ma si bloccò per una durata di tempo che pareva infinita. Come rivelare una cosa così terribile?! Che giri di parole adoperare per farla sentire meno male?! Poi si accorse che, qualunque espediente utilizzato, il succo non sarebbe cambiato, decise quindi di essere franco fin da subito, non esserlo sarebbe stato uno oltraggio all'intelligenza della ragazza, e l'ultima cosa che voleva era farsi gioco di lei.

“Io... sto morendo...”

Francesca sbiancò e sgranò gli occhi, iniziando istantaneamente a tremare, ma rimase composta dov'era, i suoi dubbi erano diventati certezza: Camus, per salvare la vita dell'amata sorellina, aveva sacrificato tutto sé stesso.

“Non so quando accadrà. Potrà essere fra una settimana, un mese, un anno... dipende quanto reggerà il mio fisico, ma l'epilogo è già stato scritto.”

Parlava quasi con noncuranza, ma Francesca sapeva che era un bluff, un inganno, un tranello per non precipitare nella più nera disperazione. Camus sapeva che sarebbe trapassato soffrendo indicibili pene, un po' come un malato terminale, ma farsi prendere dalla paura in quel momento avrebbe fatto insospettire gli altri, e lui, conoscendolo, voleva celarlo il più possibile, soprattutto a Marta.

“Per-perché?” riuscì solo a chiedere Francesca, un dolore alla bocca dello stomaco.

“Perché era l'unico modo per salvare la mia sorellina, lei... lei, da sola, non ce l'avrebbe fatta se non avessi fatto niente, ed io... ed io non potevo in alcun modo accettarlo...” mormorò arrochito tremando a sua volta, gli occhi incavati più bui del solito.

“E' stato nonno Zeus a richiedere il tributo per salvare Marta? Quel tributo... era riaprirti le ferite al torace per donarle il sangue, ma facendo così il cosmo maligno, quello del nostro REALE nemico, sarebbe penetrato in te, vero?”

“Come... come lo sai?”

Camus sembrava sinceramente stupito, oltre che mortificato, guardò l'allieva intensamente.

“Le parole di Hyoga, che oggi mi ha spiegato cosa hai dovuto subire, mi hanno dato la conferma, ma mio nonno Zeus mi ha messo in allerta già da un po', dice che il Crono che abbiamo affrontato non era altri che un espediente, una parvenza... il vero nemico è un altro e appartiene ad un'altra dimensione...”

“Fei Oz Reed... è un Demiurgo di un'altra dimensione, sì, lui... lui vuole impossessarsi di me... e ci è riuscito, il suo cosmo mi ha... penetrato... non posso più fuggire!”

Quella parola, con tutte le valenze sessuali che recava a sé, fece sussultare Francesca, la quale si alzò in piedi di scatto, respirando a scatti. Camus non la stava guardando, il suo sguardo ricolmo di sofferenza era altrove, cosa stava passando e cosa stava subendo lo poteva sapere solo lui, ma era dolore puro, atrocemente insopportabile.

“...Ma va bene così! Mia sorella è viva, non conta nient'altro.”

A quelle parole persino Francesca perse la pazienza, lo guardò torvamente, quasi sibilando come un serpente.

“Certo, non importa... quindi chi se ne importa di me, di Michela, di Milo, persino di Marta, che dopo averti conosciuto ti vedrà morire tra indicibili sofferenze, massì, mandiamo all'inferno tutto!”

“E' per questo che ti ho chiesto perdono...”

“Perché invece di chiedere perdono non reagisci e non combatti?!? Perché ti sei già...”

“Lo sto già facendo, Fra, lo faccio ogni giorno...” la intercettò lui, fremendo, tornando a guardarla.

Francesca ammutolì di nuovo, nelle sue iridi non vi era altro che il terrore di una preda che non aveva più scampo.

“Ogni giorno è una lotta per rimanere con voi, per aprire gli occhi ed essere me stesso, persino per camminare. Non mi voglio arrendere, non voglio lasciarvi soli, ma... ma mi sta prendendo, ogni giorno di più... - spiegò con gran fatica, la voce tremula – Mi aggrappo disperatamente a Marta, a Hyoga, a tutte le persone che mi sono care, ma non è così semplice... q-questo essere ormai è parte di me, mi avvolge nelle sue spire, mi minaccia che ucciderà tutti voi se non mi consegnerò a lui, ed io... io non ce la faccio più, non riesco ad affrontare tutto questo da solo, ho... ho bisogno di parlarne con qualcuno, e quel qualcuno sei tu, perdonami... perdonami, se puoi!”

Si coprì il volto con le mani e sighiozzò sommessamente, vinto da tutte quelle emozioni, dalle paure e dal dolore. Anche a Francesca vennero gli occhi lucidi, due lacrime capricciose caddero sul tappeto, rigandole il volto. E rimase lì, in balia degli eventi, rifiutando per sé, per le altre, e per il maestro quella conclusione. Davvero non c'era altro da fare?! Camus era condannato?!? Perché aveva parlato proprio a lei? La reputava forse la più forte in quanto dea?!? Eppure in quel momento il suo cuore era spezzato, come quello di un semplice umano. In quel marasma di emozioni, avvertì appena i movimenti di Camus fino a quando la sua mano strinse goffamente quella di lei.

“Fra, ti prego... devi cercare di essere forte ora” le sussurrò, recuperando due toni di voce, impacciato. Probabilmente l'aveva sentita piangere e quello, solo quello, lo aveva fatto resistere da lasciarsi andare a sua volta. Si era prefissato di essere un sostegno, una montagna incrollabile, eppure, quella montagna così maestosa e nobile, dava più di un cenno di cedimento.

“Ca-Camus, mi... mi stai dicendo che presto morirai... come altro pensavi che potessi reagire?! Davvero mi reputavi così forte?!? Io non... non mi arrenderò a questo ingrato destino, troveremo un modo per salvarti, io e le altre, appena si saranno riprese!”

“Fra... - si raschiò la gola Camus, facendo leva sulle braccia per raddrizzarsi – vieni qui, per favore...”

La ragazza eseguì docile, sedendosi al suo fianco, Rimasero in contatto con le mani, perché erano ancora troppo impacciati per un vero e proprio abbraccio.

“Ti ringrazio... so che, se ci fosse un modo per salvarmi, lo fareste, però... però ti devo chiedere di non farne parola con nessuno, men che meno con Marta, Michela e Milo...” riprese Camus, a bassissima voce.

“Non puoi chiedermi anche questo...” singhiozzò invece Francesca, coprendosi con le mani. Si stava mostrando fragile quando invece Camus aveva bisogno del suo supporto, lo sapeva, altrimenti non le avrebbe parlato, ma era troppo difficile da accettare.

“Fra... guardami, per favore...” la esortò ancora Camus, avvicinandosi ulteriormente a lei, voleva essere guardato negli occhi quando si trattava di dover dire qualcosa di importante.

La ragazza, tirando su col naso, fece quanto chiesto, sebbene consapevole di essere ridotta ad uno straccio. Il maestro si permise di azzerare le distanze, asciugandole le gote umide con i polpastrelli delle dita, in un gesto delicato e deciso allo stesso tempo.

“So quanto sia difficile quello che ti sto chiedendo, ma ho davvero bisogno di parlarti, non... non ce la faccio a superare da solo un momento simile. Pensi di... di riuscire ad ascoltarmi?”

“S-sì, Camus...”

“Bene... intanto quelle che vedo permeare i tuoi occhi devono essere le ultime lacrime che verserai per me...”

“Mi stai chiedendo l'impossibile...”

“Lo so, ma sei forte... dimmi almeno che ci proverai”

“Ci proverò...”

“Poi... prometti di non dire niente a Marta e le altre, neanche a Hyoga, né a Milo, a nessuno, ciò che ti ho detto stasera deve rimanere tra me e te!”

“Vuoi... vuoi affrontare tutto questo da solo? Come puoi farlo, Camus? C-come puoi solo pensare di...?” non concluse la frase non ci riuscì.

Camus sospirò, guardando altrove, radunando tutte le sue forze per tentare di spiegare cosa gli pressava sul cuore.

“L-la verità è che ho paura, Francesca... sono un uomo, ho affrontato già la morte, ma mi sento comunque atterrito. A-avrei così bisogno di... di avere te e le altre al mio fianco, avrei così bisogno di... di non sentirmi solo, ma non voglio coinvolgere voi in tutto questo, non voglio... e quindi l'unica cosa che mi rimane è stringere i denti e continuare finché potrò... - biascicò, prostrato, aggiungendo un'ultima cosa a bassissima voce – Per Marta è già troppo tardi, lo so, lei ci è invischiata, poiché quell'essere vuole tanto me quanto distruggere lei, ma non glielo permetterò, mi dovesse costare la vita, l'anima, tutto... non glielo permetterò!”

Francesca non capiva e capiva insieme... erano così simili lei e Camus, due gocce d'acqua. Comprendeva le ragioni del suo comportamento, ma ci soffriva comunque, forse proprio per quello. Il suo venerato maestro si era condannato a perseguire una strada senza sbocchi, se non la morte, la fine di tutto, e lo stava facendo da solo, senza coinvolgere altri. Malgrado la sua ferrea volontà, non poteva che essere al limite, si sentì male per lui.

“Camus... se Marta sapesse tutto questo, lei...”

“Lo so, si butterebbe tra le fiamme per tentare di salvarmi, lo so... è così coraggiosa, la mia piccola Marta... - mormorò, sofferente, nonostante il viso gli si illuminasse nel parlare della sua sorellina – E' proprio per questo che non glielo dirò, voglio godere del tempo che mi rimane con lei, voglio... vorrei farle da fratello maggiore, come non ho potuto fare per tutti questi anni. V-vorrei tante cose m-ma n-non so quanto tempo avrò effettivamente...” biascicò, incassando la testa fra le spalle. Gli sfuggì un gemito, e per una serie di secondi fu sopraffatto da quelle emozioni che per una vita intera aveva cercato di bandire.

Eppure doveva esserci un modo affinché tutto non finisse così. Doveva. Francesca non si poteva dare per vinta, sebbene persino suo nonno non avesse trovato altra soluzione che assecondare i piani di quell'entità nemica. No, doveva pensare e ragionare, Camus non poteva morire così. Non poteva!

“... ti prenderai cura di loro, vero?”

Francesca si riscosse, accorgendosi solo in quel momento che il suo maestro voleva strapparle un'ultima promessa.

“Quando io non potrò più... ti prenderai cura di Michela, Sonia e Marta, vero? Promettimelo, Fra, ti prego... so che non saranno sole, ci sarà Milo con loro, e Hyoga e tutti gli altri Cavalieri d'Oro, ormai fate parte di noi, so che vi lascio in buone mani, ma... ho comunque bisogno di sentirtelo dire, ti supplico...” era un tono così penoso, a Francesca le si strinse il cuore per l'ennesima volta.

“Q-questo te lo posso giurare, Camus...”

“Soprattutto Marta... non le sarà facile arguire il perché delle mie azioni, non vorrà sentire ragioni, si infurierà e piangerà tutte le lacrime che possiede, lo so... - il suo tono era sempre più sofferente, ma doveva concludere quel discorso – Non lasciarla mai sola, ti supplico... io veglierò su di lei, sempre, ma lei non potrà percepirmi, avrà bisogno di tutto il vostro sostegno, di tutto il vostro aiuto, te ne prego!”

“A-anche questo te lo posso promettere...”

Si sentì gli occhi nuovamente umidi e pianse, pianse di nuovo, vinta. A quel punto Camus, vincendo la riluttanza la abbracciò, stringendola a sé.

“Grazie... grazie per tutta la forza che stai dimostrando in un momento simile. Ti sto caricando di troppe responsabilità, ne sono consapevole, ma sei l'unica a cui potevo affidare... tutto...” disse, socchiudendo gli occhi mentre anche le sue, di lacrime, trovarono sbocco, riaffiorando appena percettibilmente dalle palpebre.

“Giurami, però, che non ti arrenderai, che continuerai a cercare una soluzione alternativa a questa, nonostante la sofferenza... ti prego!”

Francesca aveva bisogno di conferme che non poteva avere, Camus se ne rese conto limpidamente. Sospirò.

“Combatterò... con tutto me stesso, nonostante il Destino sia già stato decretato, questo, sì, te lo posso promettere...”

“Fallo per me e Michela, per Milo, per Hyoga, per i tuoi amici e... per Marta!”

“Marta... se solo potessi non la vorrei più lasciare... e... neanche voi, Fra...” sussurrò a fatica, aumentando la stretta.

“Lo so... ti sto chiedendo infatti di aggrapparti strenuamente a noi, nei momenti di difficoltà, anche noi tenteremo di opporci, con tutte le nostre forze! Lo giuro!” affermò, tentando di essere il più convincente possibile.

“Lo so... siete coraggiose sopra ogni dire!”

Camus socchiuse gli occhi, tremando, Francesca aumentò la sua stretta su di lui, per fargli sentire tutta la sua presenza e quella delle altre, che al momento erano ancora incoscienti. Camus lo percepì, il significato intrinseco di quell'abbraccio, sorrise leggermente, sentendosi meno solo.

Continuarono così a parlare e a sostenersi a vicenda per tutta la notte. Erano l'appiglio una dell'altro, verso un futuro che si presagiva scuro e gremito di sofferenza.

 

 

* * *

 

 

22 luglio 2011, tarda mattinata

 

 

“In guardia, Death Mask, yaaaaaaaaiii!!!” esclamò a viva voce Francesca, prendendo di gran carriera una rincorsa per darsi maggior spinta e forza contro il suo avversario.

Cancer la vide arrivare, ma un po' perché era distratto dalle movenze della ragazza, un po' perché non se lo aspettava, scansò all'ultimo l'attacco, finendo per avvertire un dolore lancinante alla tibia sinistra. Finì a terra ansante, una smorfia di dolore a solcargli il viso, ma ciò no bastò a fermare Francesca che, risoluta e forte, era già pronta a caricare un nuovo attacco. Immediatamente fu sopra di lui, maneggiando la folgore. Era uno scontro amichevole, ma non era una buona scusa per dare meno rispetto a quanto poteva. Gli balzò contro, stavolta Death Mask fu lesto a girarsi e bloccarle a terra i polsi, scaricando tutta quell'immensa energia al suolo. La ragazza era meravigliata dalla velocità della sua reazione, ma nuovamente pronta ad attaccare, se il Cavaliere non l'avesse fermata a parole.

“Time out, lince... ho bisogno di rifiatare un attimo!” le disse, a corto di fiato, massaggiandosi sofferente la zona colpita.

“Che succede ora, ti ho fatto male? Scusami, ho usato troppa foga e...”

“No, tu non c'entri, è la zona che è rognosa, è seccante, ma è così...”

“Perché? Cosa ti è successo?”

“Perché me la sono rotta... in un combattimento, ogni tanto mi fa ancora male!” disse a grandi linee, sperando di non dover approfondire l'argomento.

“Uau! Che razza di nemico hai affrontato per rompertela?! Deve essere stato mostruoso!” commentò lei, tutta ammirata.

In verità da ammirare non c'era proprio niente, men che meno quel fatto.

“Così... è successo...”

“Con chi?! - lo incalzò lei, tutta curiosa di sapere – Quale impavido nemico hai dovuto sconfiggere per la giustizia?!”

“Nessuno... lascia perdere!” troncò subito lui, alzandosi di scatto e allontanandosi da lei. Francesca ci rimase male. In tutti quei giorni di allenamento intenso con lui non lo aveva mai visto comportarsi così. Certo, il Cavaliere del Cancro era sempre stato un po' brutale, dal passato oscuro, reo di un qualcosa di terribile che lei non sapeva, ma non si sarebbe aspettata una tale reazione esorbitante.

“Mi dispiace...” tentò, corrucciata, abbassando lo sguardo. In quei momenti così difficili, dopo il dialogo con Camus, lo aveva sempre cercato, anche solo per parlare un po', non solo per combattere. Stava diventando il suo unico sfogo, il modo per non pensare al peggio. Il tempo che trascorreva con lui le permetteva di concentrarsi sul diventare forte, distraendo la mente da tutti i pensieri che aveva. Non voleva affatto che si allontanasse, perché necessitava di lui, tutto qui.

“Non è colpa tua, è che sono ricordi che non ho il piacere di rinvangare, non è roba da andarci fiero...” provò a spiegarle, imbarazzato.

“Sei Cavaliere d'Oro di Atena, le ferite che porti dovrebbero essere il segno di...”

“Ehm... possiamo cambiare discorso?”

“O-ok...”

“G-grazie...” farfugliò lui, grattandosi la testa a disagio e perdendo il coraggio di guardarla negli occhi. Con quale diritto poteva anche solo ammirare un essere perfetto e divino come lei? Con quale benedizione poteva nascere qualcosa fra loro?! Nessuna! Death Mask era sempre più attratto dalla ragazza, ma cercava di tenerlo in gran segreto. Non aveva alcun diritto di amare, figurarsi essere ricambiato... proprio lui, un mostro senza cuore che aveva spezzato vite in virtù della forza. Patetico!

 

Come posso dirti che la tibia si è rotta perché l'armatura mi ha abbandonato?! Con che diritto posso avere la presunzione di averti al mio fianco? Dannazione, sono sempre più attratto da te, non solo fisicamente, ma non posso... non posso osare camminare al tuo fianco, figurarsi tenerti per mano! Eppure... eppure tu sei qui, mi vieni spesso a trovare, mi parli, ignara di tutto. Non sto facendo niente per averti, e nemmeno per scacciarti, anche se non potrei permettermi in alcun modo di provare interesse per te, eppure non posso fare a meno di sentirmi felice quando ti vedo! Io... non posso minimamente pensare di rinunciare a te, sebbene sia consapevole di dover rinunciare a tutto...”

 

“Come... come procede la tecnica che stai imparando in questi giorni?” le chiese, la gola secca, sforzandosi di deviare l'argomento.

“Ah! - si riprese Francesca, nuovamente gli occhi brillanti a seguito del quesito posto – Guarda tu stesso!” gli disse, prendendo un ramoscello dal terreno e concentrandosi al massimo. Quello, nell'arco di una serie di secondi, divenne ben presto un mini cavalluccio a dondolo, come per magia.

“Formidabile! Quindi, se ho capito bene, puoi creare roba dal nulla, in pratica!”

“Non... 'creare', ma maneggiare gli atomi in modo da farli assumere una forma tutta nuova, tuttavia non sono ancora in grado formare oggetti oltre una certa dimensione, e questo, in battaglia, non mi aiuta minimamente!”

“Non affliggerti, Fra... già così è una impresa oltre il divino, col tempo imparerai a...”

“Non ho... tempo! - lo fermò lesta lei, una scintilla negli occhi – Devo diventare più forte di ogni altro, devo farlo per proteggere Marta, Michela e Sonia!” esclamò, secca, stringendo i pugni.

“Devi... proteggerle?”

“Sì! Per fare in modo che non accada mai più una cosa del genere!”

 

Pensa un po'! Persino una dea che non dovrebbe provare emozioni umane, ha capito che la forza, da sola, non basta. Si diventa forti per gli altri e insieme agli altri, come ho fatto a non capirlo prima?! Eppure sono Cavaliere d'Oro!

 

“Sediamoci un attimo, ti va?” le chiese indicando due rocce al limitare dell'arena di combattimento. Francesca acconsentì, seguendolo. Intorno non c'erano che loro due, gli unici ad ostinarsi a combattere anche nelle ore più calde di una Grecia soffocante. Uno per espiare le proprie colpe, l'altra per diventare forte e proteggere così le sue amiche. Era un'occasione perfetta per parlare. Rimasero quindi lì, sudati, nella calura di una estate rovente, eppure nessuno dei due si lamentava, ognuno avvolto dai propri pensieri. Death Mask si ricordò di quando avevano soccorso Camus, svenuto sul pavimento, e si rammentò anche che prima che arrivasse il biondino, Francesca gli stava per dire una cosa, dal tono sembrava molto importante. Arrossì di getto, ingoiando a vuoto, quello era il momento propizio per riallacciare quell'argomento.

“F-Fra...?

“Sì?”

“L'altro giorno, quando insieme abbiamo soccorso Camus, mi stavi per dire qualcosa prima che arrivasse Hyoga, lo rammenti?”

Francesca parve pensarci un po', meditabonda, poi le si illuminarono gli occhi, che riflessero la luce del sole. Death Mask ne fu ghermito. Si costrinse a riscuotersi nel più breve tempo possibile.

“Certo!”

“E... e... e... uff – balbettava come un coglione, la lingua aggrovigliata – A proposito di cosa?” riuscì infine ad articolare. La vide arrossire improvvisamente, discostando lo sguardo sfuggente, una caratteristiche che la rendeva simile a Camus.

La mente di Death Mask cominciò subito a fare i voli pindarici, proprio degna di un ragazzetto innamorato più che di un uomo fatto e finito come era lui, la tentò di rabbonire, riconducendola al vaglio della ragione, ma quella aveva preso il largo in grande stile. Si diede dei pizzicotti, nello stesso momento in cui Francesca rivelò quanto serbava sulla punta della lingua.

“Posso chiamarti semplicemente Deathy?”

“E-eeeeeeh?”

Le dita del Cavaliere del Cancro erano intente a tirare la pelle, ma la sua espressione era quanto di più sbigottito potesse produrre. Francesca annuì, confermando la sua richiesta

“Solo Deathy, sì... il tuo nome completo è troppo lungo!”

“Ma... ma stai scherzando?!?”

“Ehm, no, perché?”

“Cioè... cioè... cioè... tutta questa cerimonia solo per avere il permesso di chiamarmi col nomignolo?!?”

“S-sì, vo-voglio dire...”

“MA... MA CHE CAZZO!!!”

Francesca sussultò nel vederlo imprecare così con tanto di gesto delle mani, incarognito.

“C-cosa c'è, non ti piace come nomignolo?!?” domandò lei, temendo di aver fatto una cappellata, forse meglio Masky, come lo chiamava a volte Aphrodite, o forse ancora meglio un altro nome, da principio.

“Ma no! Ma no! Ci mancherebbe! E' che tutta questa tiritera per una minchiata non me l'aspettavo!”

“Non è una minchiata, per me è importante! Non regalo nomignoli così, al primo che passa!” si offese Francesca, sbuffando.

“Massì, massì... non lo metto in dubbio! Chiamami come vuoi, se permetto a Marta di chiamarmi 'granchio rachitico' non vedo che problema dovrei avere con te! - le concesse, cercando di controllarsi, prima di proseguire – E' che... è che mi aspettavo qualcos'altro...”

A quel punto Francesca parve capire, arrossì, discostò lo sguardo e ingoiò a vuoto. Aveva già avuto le sue esperienza, a riguardo, ma era lenta su quelle cose, a maggior ragione con un tipo un bel po' tenebroso come Death Mask che aveva i suoi scheletri nell'armadio, nel vero senso della parola.

Il Cavaliere del Cancro la squadrò, si era ammutolita e aveva guardato da un'altra parte, un po' come faceva il ghiacciolo quando era in forte imbarazzo, ma ben lungi da lui sforzare la serratura, del resto non voleva essere semplicemente ciò che Milo era per Camus, ma... qualcosa in più! Anche se sapeva di non meritarlo.

“Conosci la leggenda del filo rosso?”

“Eh?!?”

Il cuore gli si accelerò, mentre il respiro... stava ancora respirando???

“S-sì, la leggenda secondo la quale questo filo rosso ti lega ad un'altra persona alla quale sei collegato, e quella sarà la TUA persona, perché necessiterai di lei, perché sarà la tua parte mancante, l'anello di congiunzione che ti completerà...”

“Può... può darsi... che ne abbia sentito parlare!” si affrettò a dire lui, sentendosi una vampata di calore nelle gote. Che fare in quella situazione? Come proseguire? Toccava a lui parlare, o meglio aspettare che concludesse lei il suo discorso?!

“E-ecco... – riprese lei, incerta – I-io penso che sia tu la mia persona...”

“Ah...” le parole si erano fumate in un colpo solo, sebbene lui di parole ne avesse tante.

“Sì, ci sto pensando da un bel po', questa settimana mi ha dato la conferma. Siamo entrambi alla ricerca disperata di qualcosa, io di sentimenti, tu... beh, non lo so, ma hai la mia stessa ombra negli occhi, il mio stesso sentirmi inadeguata, l'ho riconosciuto... TI ho riconosciuto!”

“E.... ehm.... ehm...”

“Però... però ho bisogno di tempo per pensare, per riflettere, e soprattutto per fidarmi completamente di te, perché senza fiducia non si può andare da nessuna parte, tanto meno stringersi la mano... - Prese un profondo respiro, preparandosi a dire il resto – Mi... mi aspetterai, Deathy? Mi... darai un'occasione, col tempo?”

Death Mask aveva capito benissimo cosa significasse quel discorso a fatica espresso, lo sapeva benissimo, non era stupido... e avrebbe anche potuto rispondere in 350 e 1 modi diversi, del resto aveva già esperienze pregresse con le ragazze, sapeva come farle proprie, ma non lei, non Francesca, per cui... si ritrovò ben presto a tirare in ballo un discorso che non c'entrava niente con la richiesta, lo fece in grande stile, come era assolutamente degno da lui, dal pirla che era lui.

“Oh, ehm... B-beh, diciamo che come dichiarazione difetta di originalità, eh, la leggenda del filo rosso è roba vecchia, da Preistoria, muhahah! Io conosco una storiella cento volte migliore!”

Francesca si sentì quasi offesa, ma decise di dargli corda, congetturando un modo scherzoso per fargliela pagare... più tardi...

“Davvero? E quale sarebbe?”

“Oh? E-ehm... quale sarebbe, mi chiedi? Come fai a non conoscerla?!” ribatté per tutta risposta, preso in contropiede, dandosi arie.

“Se non me la dici non posso sapere se la conosco, no?”

Death Mask la vide inarcare un sopracciglio, ancora una volta del tutto simile al suo maestro, la cosa stava prendendo il largo nel peggiore dei modi, il merito era suo.

“V-va bene, te la racconterò...”

Si grattò la testa, cercando una storia da inventarsi su due piedi, che fosse tenera e simpatica al tempo stesso... dannazione a lui quando, per scacciare l'imbarazzo, si comportava da uomo vissuto, un vizio che non lo aveva mai abbandonato e che, proprio in un momento simile, avrebbe potuto rovinare tutto.

“Dunque... ci sono due cani...”

“Due cani?!?”

“No, aspetta, a ben ricordare erano un cane e un lupo...”

“Che razza di storia romantica parte con un cane e un lupo?!?”

“Fa-fammi finire, un... un attimo e che cavolo!”

L'attimo passò, ma non gli venne in mente niente. Ne passarono due, tre, cinque... la situazione era sempre più compromessa e le idee geniali continuavano a non arrivare. Se avesse continuato così avrebbe perso irrimediabilmente l'occasione, non poteva permetterlo!

In quell'istante una risatina divertita infantile li colse entrambi impreparati, facendoli sussultare e voltarsi dietro le loro spalle, da dove proveniva il suono in questione.

“Il ganzissimo Death Mask che, incapace di reggere una dichiarazione, si inventa storie che non sa per provare a fare bella figura, e invece... puff, ne fa una pessima, ahahahahahah!!!”

“KIKY!!! DA QUANDO SEI QUI?!?”

La loro voce era uscita in perfetta sincronia, stesso timbro vocale e stessa velocità, neanche fossero già una coppia.

Il piccolo allievo di Mu, infatti era seduto dietro loro due, lo sguardo furbetto e l'indice atto a strofinarsi sotto il nasino.

“Beh... più o meno da quando vi siete seduti qui!”

“COSAAAAAA?!?”

Altro suono perfettamente univoco, i due arrossirono il doppio rispetto a prima, allontanandosi con un salto l'uno dall'altro, come se fossero stati colti in fragrante.

“Io non me ne intendo di queste cose... ma voi due mi sembrate imbranati e non poco! - esclamò ancora Kiky, divertito dalla reazione dei due, alzandosi a sua volta in piedi con un largo sorriso – Due giovani alla loro prima cotta dovrebbero fare così, e poi... smack, smack!” aggiunse, abbracciandosi il busto con le braccia e dando baci all'aria con espressione maliziosa.

Francesca sobbalzò, ancora più imbarazzata di prima, cercando di nascondersi alla ben meglio il viso per non apparire fragile. D'altro canto era invece Death Mask, inviperito dall'interferenza del piccolo, che pure lo aveva salvato in corner.

“E tu lo vuoi vedere come fa un bambino morto?! Vieni qui, pidocchio!!!” gli urlò, balzando in lungo per prenderlo, ma Kiky fu veloce a teletrasportarsi di lato nello stesso momento in cui il Cavaliere prese una facciata per terra.

“Il grande Death Mask innamorato prossimamente ai cinema! – cantilenò il soldo di cacio, verseggiando – Allora aveva ragione il Grande Mu, che la morte ti ha dato una sberla tale da cambiarti da così a così! Pfffff!” fece pernacchia Kiky, continuando a prenderlo in giro.

Death Mask non si mosse, non subito, almeno, rimanendo invece per terra e sorridendo amaramente tra sé e sé.

“Oh, sì... le sberle come te le da la Nera Signora nessuno mai, te lo posso assicurare... - sussurrò, sospirando, sembrava distante e serio, cosa mai vista, persino Kiky ne fu preso alla sprovvista, abbassando le difese – Comunque non sono cose che può sapere un bambino... TRANNE TE, PERCHE' LO SPERIMENTERAI QUI E ORA!” si riscosse ad un tratto Cancer, balzando in avanti e prendendo malamente Kiky, il quale non aspettandoselo, non poté fare nulla per impedirlo.

“Aaaaaaaaaaarghhh!!!”

“Ora non lo fai più lo spaccone, eh, stronzetto?! Hai finito la parlantina!!!” sibilò minaccioso, portandoselo in braccio e guardandolo minacciosamente. Il piccolo si dimenò nel tentativo di scappare, con esiti nulli.

“Death Mask! Ha 10 anni, per carità! Non c'è bisogno di trattarlo così!” lo rimproverò Francesca, tesa, guardando torvamente il Cavaliere.

“Oh, lo so, non preoccuparti... lo torturo solo un po' – la rassicurò con un largo sorriso, prima di passare a fargli i pizzicotti sulle guance, forse un po' troppo intensamente ma assolutamente giocoso – Ehi, ravanello, hai interrotto una conversazione da adulti, il Grande Mu non ti ha insegnato le buone maniere?!”

“Lavvvsciami!!! A-ambassiator non porta pena!”

“Ma che bravo, parli anche per modi di dire, spero almeno avrai un motivo serio per esserti intromesso! Sai che non mi piace essere interrotto!” lo riprese Death Mask, sghignazzando sadicamente.

“Lavvvsciami, ho detto!” si impose Kiky, che finalmente riuscì a sfuggire alle sue grinfie e a scomparire con un sonoro 'pop' per poi ricomparire seduto vicino a Francesca, gambe e piedi incrociati.

“Sarai anche cambiato, ma rimani un villano, ed io che ero stato così gentile a offrirmi di portarvi la notizia che Marta e le altre si sono svegliate!”

A quelle parole gli occhi di ambedue si illuminarono in sincronia, mentre il Cavaliere di Cancer, diventando tutto serio, si alzò in piedi.

“C-cosa?! Da-davvero, Kiky?!?” chiese conferma Francesca, il peso sul cuore istantaneamente sparito e non solo, tutto le sembrò più leggero.

“Sì, stamattina presto si sono svegliate Michela e Sonia, un po' più sul tardi Marta, Camus si sta prendendo cura di lei, ha la febbre molto alta ma è fuori pericolo...”

“Dei del cielo, grazie... grazie! E grazie anche a te, batuffolo!!!” esclamò Francesca, acciuffandolo di peso e portandoselo al petto.

“E-eh? Di... di niente...” biascicò lo scricciolo, arrossendo a dismisura. Aveva combattuto al fianco dei Cavalieri di Bronzo, sconfitto un sacco di insidie, ma non era affatto abituato a quelle dimostrazioni di affetto da parte di una ragazza ben più grande di lui, quasi coetanea dei Cavalieri d'Oro più giovani. Incespicò nell'abbraccio, così premuto contro di lei, non era spiacevole come sensazione, ma capì per la prima volta, l'imbarazzo di Death Mask.

Dal canto suo Francesca non era abituata a manifestazioni di gioia e di felicità, ma quella notizia l'aveva così rianimata, riscuotendola dall'oblio nero dei giorni precedenti, che quasi si sentì tornata a vivere. Era una sensazione incommensurabile!

“F-Fra, vai da loro, adesso, il peggio è passato, presto staranno bene, riunisciti alle tue amiche...”

“D-Death Mask...” biascicò lei, posando Kiky per terra.

“Ci sarà tempo per parlare in un altro momento... vai, augurale una pronta guarigione da parte di tutti, le stiamo aspettando!” affermò ancora Death Mask, serio in volto, girandosi dall'altra parte.

Non vide la determinazione negli occhi di Francesca, ma percepì i suoi passi veloci allontanarsi da quel luogo.

 

Già, ci sarà tempo dopo per tutto...

 

Francesca giunse alla tredicesima casa il più in fretta possibile, le ali ai piedi e una voglia matta di riabbracciare le sue amiche. Non sapeva bene dove andare, né come le avrebbe trovate, ma si immaginò non bene visto quello che avevano passato. Si fermò un attimo tra le colonne del tempio, le era venuto il dubbio che non fosse il caso di importunarle proprio in quel momento: erano state clinicamente morte e poi in coma per una serie di giorni, probabilmente non si erano minimamente riprese dalla battaglia e i Cavalieri vegliavano su di loro. Esitò ancora un attimo, prima di dare impulso ai sentimenti, che le sussurravano di vederle di persona... almeno quello. Si diresse verso le stanza interne dell'ultima casa dello zodiaco, non sapeva bene come comportarsi, pertanto scelse di seguire l'istinto. Zampettava tra il sole che penetrava nel tempio e tra le ombre delle colonne, quando, una ventata d'aria, le sollevò i capelli. Girandosi verso una delle entrate delle stanze, vide una porta semiaperta dalla quale proveniva una piacevole brezza. Si affacciò timidamente al suo ingresso e vi scorse il Maestro Camus seduto su una sedia intento ad asciugare la fronte di...

Francesca trasalì nel riconoscere a stento il profilo della sua amica, si trattenne, non volendo interferire nella scena, il cuore accelerò. Marta era quasi irriconoscibile tra le coperte del letto che la avviluppavano, era pallida come un cencio e sofferente, probabilmente si era riaddormentata poco dopo il risveglio ma non sembrava trascorrere sonni tranquilli, tutt'altro. Come darle torto, del resto, poverina... le ferite erano gravi e il loro dolere doveva essere davvero cocente, chissà quanto tempo ci avrebbe impiegato per riprendersi del tutto. La giovane dea rimase lì, basita e con un nuovo peso sul cuore, mentre, al di là di lei, la scena continuava senza la sua interferenza.

Il volto di Camus era perennemente tirato, aveva le occhiaie -non aveva più dormito dopo il malore- e sembrava quasi concorrere con sua sorella circa il suo stato di salute. Era impossibile capire chi dei due stesse peggio, ma il Cavaliere dell'Acquario teneva duro per prendersi cura della sorella, era allo stremo ma non demordeva, non si sarebbe arreso fintanto che non avrebbe visto dei miglioramenti. Prese il panno bagnato, lo inzuppò e lo passò sulla fronte di Marta, mentre l'altra mano stringeva la sua, accarezzandola con i polpastrelli. Era una scena molto tenera, Francesca si sentiva un'intrusa, ma non poteva fare a meno di guardarli e sorridere tra sé e sé. Qualunque difficoltà l'avrebbero superata, insieme, non c'era alcuno ostacolo per loro, solo...

Ma sussultò a quel pensiero, ricordandosi del dialogo avuto con Camus. Il respiro le si mozzò in petto, tentò di buttare fuori l'aria per tornare alla calma e scacciare quel pensiero, almeno per quel giorno che aveva visto il risveglio delle sue amiche.

Camus nel frattempo aveva posato il panno di nuovo sul comodino e, forse, nell'avvertire agitazione da parte di Marta, che effettivamente si era mossa nel letto, prese ad accarezzarle le guance con dita di velluto.

“Sono qui con te, piccola mia, andrà tutto bene, il peggio è passato. Dormi...” le sussurrò, sorridendole teneramente. Era un sorriso pieno di dolcezza, di quelli rari, che Camus rivolgeva ai suoi pochi eletti, ma era anche pieno di paure, Francesca lo percepì, perché sapeva a cosa stava andando incontro il suo maestro. Era pieno di desideri inespressi e parole taciute, era un 'sono qui', ma anche un 'vorrei essere sempre qui' e un 'presto non sarò più qui, ma farò di tutto per rimanere al tuo fianco più tempo possibile'. Francesca sospirò pesantemente, celandosi totalmente dietro alla porta, prima di trovare il coraggio di parlare.

“Maestro, sono arrivata... Kiky mi ha detto che Marta e le altre si sono riprese!” disse, fuori dalla porta.

Udì la sedia strisciare e poi vide la porta aprirsi del tutto, la testa di Camus fece capolino davanti a lei, pallida e sfinita, ma con gli occhi nuovamente accesi.

“Fra... scusami, avrei voluto informarti io stesso, ma Marta aveva bisogno di me, la temperatura corporea le è risalita ed è stata di nuovo male, non potevo allontanarmi. Ora si è appena riaddormenta, ma non riesco totalmente a tranquillizzarla...”

“Ti ha parlato appena svegliata?”

“Sì, un po', ma è ancora molto debole, mi ha... mi ha detto che mi vuole bene, e-e..." si dovette fermare, stava tremando.

Era incredibile come si emozionasse per la sorellina, quanto fosse profuso di sentimenti ed emozioni sebbene si raccomandasse di mantenere sempre e comunque la calma. Francesca sorrise tra sé e sé: era davvero un essere speciale!

"A-aveva bisogno di percepirmi, di essere cullata... si è appoggiata al mio busto con difficoltà, io non riuscivo a fare altro che sorreggerla, avevo paura di farle male, tanto, ma lei nel sentire i battiti del mio cuore si è acquietata, come accadeva quando era in fasce - trattenne un singhiozzo, mentre con lo sguardo tornava a lei - C-credevo di perderla, che non avrebbe più riaperto gli occhi, ero... Ero disperato, e invece... Invece la mia piccola guerriera ha vinto questa battaglia, la più difficile..."

Camus faceva fatica a parlare perché era evidentemente sopraffatto dalle emozioni, gli occhi lucidi, le parole che uscivano tremanti. Dopo tutto quel patire per riportarla in vita, finalmente Marta aveva riaperto gli occhi e gli aveva parlato. Camus si era sciolto in un pianto; un pianto di gioia stavolta, non di disperazione, i residui di quell'emozione così forte erano ancora ben visibili nei sui occhi arrossati.

“Michela e Sonia?”

“Sono andato a controllare anche loro, lentamente si stanno riprendendo... anche Milo e Hyoga hanno fatto un ottimo lavoro. Sono... così felice...”

“Po-posso vedere Marta?” chiese, in tono supplichevole, speranzosa.

Camus aprì la bocca prima di risponderle, ma nello stesso momento Marta si agitò nel letto, scostandosi la coperta dolorante e respirando più pesantemente del solito.

“Ca-Camus, urgh...” lo chiamò nell'incoscienza, muovendosi inconsapevolmente.

A quel richiamo stentato il Cavaliere rientrò nuovamente dentro alla stanza, avvicinandosi al letto per farle percepire la sua presenza con il proprio tocco, anche Francesca si arrischiò a fare qualche passo, rimanendo comunque dallo stipite.

“Marta, sono qui, sono al tuo fianco... non agitarti, o le ferite rischieranno di riaprirsi!”

“R-rimani qui, c-con me, anf... o l'ombra mi riacciufferà...”

“L'ombra...?!”

“E'... è tutto buio laggiù, ero sola e... avevo... avevo t-tanto f-freddo...”

A quel punto Camus si chinò su di lei, posandole le labbra sulla fronte ed espandendo il suo cosmo ghiacciato per calmarla e, insieme, farle percepire la sua presenza, non dissimilmente da quello che Hyoga aveva fatto con lui quando, solo pochi giorni prima, stava male. Francesca provò le stesse emozioni e la stessa identica stima di quel frangente.

“Non permetterò più che l'ombra ti raggiunga, q-questa volta ti proteggerò, non rischierai più di rimanere ferita. Non sei sola, piccola mia, non lo sarai più!” le sussurrò sempre con dolcezza, staccandosi da lei e accarezzandola con tutte le attenzioni possibili. Marta lo percepì, pertanto si tranquillizzò, permettendo a suo fratello di sistemarle meglio le coperte addosso.

“E'... è stata nel mondo dei morti. Quando... quando è cosciente non sembra rammentarlo, per fortuna, ma nel delirio capita che si agiti nella maniera che tu hai visto – spiegò all'altra allieva, in tono tremante – Lei... lei ha tanto bisogno di me, di sentirmi vicino, di essere rassicurata... E' così debole, Fra, il peggio dovrebbe essere passato ma ho paura continuamente per lei...”

Francesca fece qualche altro passo in direzione del letto, ma si fermò a debita distanza, timorosa di arrecare danno alla sua amica, ancora così debilitata. Camus era nuovamente chino su di lei, le aveva stretto la mano non fasciata e se l'era portata alla fronte, sospirando pesantemente.

“Sei in queste condizioni per colpa mia, hai dovuto patire tutto questo per proteggermi, io... non ti accadrà più nulla, Marta... più nulla! Lo prometto, p-piccola!” mormorò ancora, costantemente sopraffatto alla sola idea di quello che era successo alla persona per lui più importante.

“Camus, le ferite erano molto gravi, è normale che ci impieghi più tempo a rimettersi... ma lei ti percepisce, sono sicura che andrà tutto bene!”

“E' proprio così, ha delle ferite terribili, impiegheranno diverso tempo a rimarginarsi... Non doveva finire così, non dovevano essere loro a subire questa sorte!”

Quello che era stato, era stato, non si sarebbe potuti tornare indietro, ciò che contava era che il pericolo fosse passato e che le sue amiche avrebbero presto potuto rimettersi in forze. Era il suo augurio, con tutto il suo cuore.

Camus non disse più niente per un po', limitandosi a vezzeggiare il viso di Marta che lentamente si placava, tornando a respirare con regolarità, ormai profondamente addormentata.

“Mi sembra che sia un po' più tranquilla, vero?” sorrise Camus, sfinito ma speranzoso. Francesca annuì convinta, rasserenata.

“Sei una guerriera, Marta... ed io sono orgoglioso di te! Rimettiti presto, piccola mia, ho ancora così tante cose da mostrarti in questo mondo...” la incoraggiò ancora, baciandola teneramente sulla fronte poco prima di alzarsi in piedi dopo averle sistemato compostamente il braccio e regalato un'ultima carezza. Camus si concesse finalmente di appoggiarsi stancamente alla parete e di chiudere gli occhi, concedendosi pochi secondi di riposo. Era stremato, lo si vedeva, per badare alla sorella aveva dimenticato sé stesso -non era certo una novità!- ma anche le sue condizioni erano assai gravi e compromesse. Ma non era da Camus pensare a sé stesso, lui era l'ultimo della lista, Francesca ne ebbe ulteriore conferma quando, riscuotendosi, si concentrò su di lei.

“Fra, già che sei qui, volevo parlarti un momento!”

La ragazza sobbalzò, come carpita da un'aquila e lo guardò. Aveva di nuovo aperto gli occhi e ora fissava lei con un misto di affetto e preoccupazione.

“Sì, Maestro?

Camus assottigliò lo sguardo come per ghermirla, nel farlo le labbra si stirarono in una unica linea retta, espressione tipica di quando doveva regalare un rimprovero di qualche tipo.

“Mi hanno detto che ti vedono spesso in giro con Death Mask, o all'arena di combattimento sempre con lui. Sono voci di corridoio, o...?” la domanda rimase nell'aria.

Ahia, quello non era mai un bene, MAI! Mentire sarebbe stato pernicioso oltre che deleterio, era lampante che Camus la verità la sapesse già, aveva solo bisogno di una conferma. Decise di essere onesta.

“E' vero, sono spesso con lui...”

“Devo proprio dirtelo: non sono a favore dell'interessamento tuo per quell'essere, e neanche di quell'essere per te!” affermò secco, senza mezzi termini.

Francesca accusò il colpo e abbassò lo sguardo, incapace di ribattere alcunché, di sicuro non avrebbe smesso di frequentare chi gli aggradava, ma l'idea di discutere con Camus in un momento di simile debolezza non la entusiasmava, avrebbe evitato molto volentieri, pertanto rimase zitta. L'Acquario sospirò, massaggiandosi la fronte, prima di continuare.

“Deve essere stato a causa mia...”

“C-cosa?”

Francesca era allibita e lo fissava incredula, non sicura di aver capito bene, ma Camus confermò tutto subito dopo.

“Sì, deve essere così, io... scusami, ti ho molto trascurata in questa settimana. Sono sempre stato al fianco di Marta, o delle altre, permettendo alla paura di avvolgerti ancora di più nelle sue spire, per questo tu... probabilmente, avrai avuto bisogno di sfogarti con qualcuno, trovando quel qualcuno in Death Mask, anche se non mi spiego come la scelta possa essere caduta proprio su di lui!”

“Ma no, Maestro, ci mancherebbe... avevi questioni molto più urgenti a cui badare, non certo a me! Non accollarti colpe che non hai!” si affrettò a dire, imbarazzata.

“Tuttavia, voglio che tu sappia che, malgrado questo periodo turbolento, io, per te, ci sarò sempre, fino a quando potrò. Se... se avrai bisogno di parlare con qualcuno, di sfogarti, o anche di esprimere i tuoi dubbi e paure, io ci sarò. – le disse visibilmente imbarazzato – So che sei forte, Francesca, in te rivedo la mia ombra, la mia essenza, proprio per questo ti posso dire che... so... so quanta fragilità si celi dietro quella bellissima maschera che porti, lo so bene. Quindi davvero, se hai bisogno di un sostegno, di un appiglio, non farti problemi a rivolgerti a me, farò quanto in mio potere per farti stare meglio”

Le aveva parlato a vivo cuore, procurandole una strana sensazione. Percepiva il magone salire fino in gola, prima di ridiscendere giù, forzatamente imbavagliato dalla sua ragione. Camus ci sarebbe sempre stato per lei... Camus stava diventando insostituibile ai suoi occhi, proprio nel momento in cui lo stesso Camus le aveva rivelato di stare per incamminarsi in un sentiero ombroso, da solo, che lo avrebbe condotto alla morte. Si era resa nitidamente conto di volergli un'infinità di bene proprio in un momento simile... avrebbe retto la separazione? Avrebbe retto tutto quel peso su di sé? Non ne era sicura...

Non si sarebbe arresa... non si SAREBBERO arrese, ma... era tutto così difficile!

“F-Fra... che ti succede? Sembri molto agitata...”

“Maestro Camus, posso chiederti una cosa, un favore?”

“Dimmi pure...”

La giovane dea si sentiva una stupida, ma era davvero ciò di cui aveva più bisogno...

“Puoi... puoi abbracciarmi? O-oppure posso io abbracciare te?” pigolò, prostrata.

Camus sussultò nel vederla così fragile, a fare una simile richiesta. In lei non vedeva altro che una pallida disperazione, la stessa che aveva colto lui nel perdere la sua sorellina. Si accorse, per la prima volta, di aver chiesto troppo a quella giovane allieva dai tratti divini che pure celava debolezze prettamente umane. Ma avrebbe adempiuto quanto le aveva fatto promettere, lo sapeva.

“V-vieni qui...”

Francesca non se lo fece ripetere due volte, gli corse incontro con le mani alzate, prima di avvolgerlo in un intenso abbraccio che traboccava di angoscia, tutto ciò che a stento aveva trattenuto per tutti quei giorni. Gli occhi di Camus si fecero di nuovo lucidi, un po' per la febbre, un po' per la tortuosa prova a cui aveva scelto di sottoporsi, portando dentro al vortice persino una delle allieve. Tremò appena, impercettibilmente, prima di calmarsi e tornare ad essere una certezza ferma in un mare di dubbi. Lui era il maestro, lui doveva rassicurare le allieve, non viceversa, eppure eccolo lì, con una pupilla avulsa dalle sue stesse paure, perché lui non era stato in grado di intercettarle prima che sgorgassero da fuori. La strinse intensamente, la strinse, anche se non avevano che meno di due anni di differenza, la strinse come mai l'aveva stretta, avvertendo forte e chiaro il profondo affetto che nutriva per lei, Michela, e la piccola Sonia... le luci della sua vita, i suoi pilastri, insieme a quelli già profondamente radicati di Milo, Hyoga e Marta. C'era, in verità, un altro posto che però nessuno avrebbe più riempito, esso ululava di lutto, ma c'era, ed era quello del piccolo Isaac, stella già spenta del suo universo, ma sempre presente nei ricordi e più viva che mai dentro di lui.

“Perdonami per la prova a cui ti ho sottoposto, perdonami... sto camminando nel buio più atroce, ma finché voi sarete con me, avrò sempre, sempre, un motivo valido per alzarmi e proseguire nel mio percorso... siete le mie luci, anche nella notte più nera troverò sempre il modo di raggiungervi!” le disse infine, affondando il suo viso tra i suoi capelli corvini.

 

 

* * *

 

 

Ero riuscita a vedere Marta solo di sfuggita per un fugace momento, prima che lei fosse rampognata duramente dal fratello e rispedita, come una raccomandata, in camera in un tono che non ammetteva repliche. Non avevo potuto fare alcunché, in quel momento ero intenta a consolare Michela, pertanto ci eravamo scambiate solo uno sguardo rattristato, rimanendo comunque zitte, poi Marta se ne era andata, tetra, mentre Camus, come una mina vagante, lo sguardo truce, si era diretto nella direzione mia e di Michela.

Maestro!!! - lo aveva chiamato proprio quest'ultima, tra i fiotti di lacrime, singhiozzando – Hyoga ti ha... Hyoga ti ha... o-oddio! No... no... NO!!!”

Michela, adesso calmati, sei ancora convalescente, non ti fa bene agitarti così!” aveva provato a rassicurarla il maestro, sedendosi al suo fianco. Era ancora tremendamente arrabbiato ma tentava, con ogni mezzo, di mascherarlo.

Michela, la conosci ormai, aveva colto quel gesto come un invito ad abbracciarlo, per questo, come era sua natura farlo, si era fiondata tra le braccia del suo sacro mentore, stringendolo a sé e nascondendo il suo volto nell'incavo della spalla. Camus, lo saprai meglio di me, non sguazza nelle manifestazioni così plateali di affetto, tende a bloccarsi, cosa che infatti era accaduta anche in quella circostanza, ma aveva fatto comunque del suo meglio per ricambiare quell'abbraccio, per far sentire al sicuro Michela.

Devo ammetterlo, mi è scappato un sospiro a quella scena, un poco invidiosa della spontaneità della mia amica più piccola. Sai, io sono una frana con i sentimenti, come Camus... pensa, addirittura gli aveva chiesto il permesso prima di abbracciarlo, e mi ero sentita comunque a disagio. Lei invece... per Michela è tutto così naturale: sente il bisogno di abbracciare, lo fa, vuole dire una cosa? La dice! Io invece mi impappino come una dannatissima scema, è così frustrante...

Ma sto divagando, torno al racconto, il dialogo che aveva seguito era quanto di più simile a questo:

Come è potuto succedere?!? Come ha potuto Hyoga...?”

E' una storia davvero troppo lunga, Michela...”

Ma ti ha ucciso!!!”

E' vero, sono morto a causa sua, ma...”

E allora non posso perdonarlo!”

A quel punto Camus aveva sospirato. Spiegare le ragioni del suo comportamento era già impresa titanica nei confronti di Milo e di voi altri Cavalieri d'Oro, che pure avete partecipato agli eventi, figurarsi ad una ragazzina impulsiva come Michela, però doveva parlarle in qualche modo, non poteva permettere che il suo amato Hyoga soffrisse ancora, ora che forse poteva trovare un po' di tranquillità, né che la sua allieva più giovane sradicasse totalmente via la relazione con il Cigno per colpe che non erano neanche interamente di quest'ultimo.

Ho compreso questo dalle sue parole sottintese: l'amore che Camus prova per Hyoga è immenso e incommensurabile, non ho mai conosciuto, nelle mie vite precedenti, un uomo capace di amare come lui, è eccezionale, lo ammiro dal più profondo del cuore. La brillantezza nei suoi occhi, quando ha continuato il discorso sulla sua morte, mi ha trafitto il cuore, al punto da tramortirmi.

Michela... sono stato io a volerlo... è ingiusto prendersela interamente con Hyoga, ne ha già passate tante, troppe, e il suo senso di colpa è immane senza bisogno di...”

Non mi interessa! Deve pagare! Anche fosse, persino se non avesse avuto alternative, la colpa è stata interamente sua, si può sempre scegliere, poteva scegliere di non ucciderti e invece lo ha fatto! Quel pezzo di m...”

MICHELA!!!”

A quel tono più acuto del normale, la mia amica si era fermata, capendo nelle intenzioni del maestro la volontà di non ingiuriare ulteriormente il suo pupillo. Aveva abbassato lo sguardo, sentendo di aver esagerato, io le avevo accarezzato dolcemente la schiena, per farle coraggio.

Tu... sei riuscito a perdonarlo...” aveva constato lei, triste.

Non ho mai avuto nulla da dovergli perdonare... eccetto una cosa, di cui però sono responsabile anche io... - aveva detto Camus, lo sguardo sfuggente e dolente, di quando rammentava qualcosa che lo faceva soffrire – Per quanto invece concerne l'avermi ucciso, non ce l'ho in alcun modo con lui, anzi, è il mio orgoglio, il mio successore... ha indossato la mia armatura con nobiltà e forza, preservando la giustizia sulla Terra come avrei dovuto fare io. Devo molto al mio Hyoga...”

Io ovviamente ascoltavo e basta, non ero entrata nel discorso, ma mi ero ben accorta del leggero sorriso che aveva solcato le sue guance, nonostante la sua espressione fosse rotta da una malinconia ben tangibile.

Lui utilizza sempre quel 'mia' o 'mio' come rafforzativo, è un chiaro indizio dell'amore che prova per le persone al suo fianco, e lo esprime sempre in un tono che fa stringere il cuore dalla commozione.

Io invece... non lo posso perdonare, non ora che so!” aveva affermato invece Michela, rabbuiandosi, categorica nelle sue scelte.

Datti il tempo per digerire la notizia, ma, se posso darti un consiglio, non precluderti di continuare a rapportarti con lui, è davvero un bravo ragazzo, merita una seconda possibilità!” aveva ritentato Camus, posandole una mano dietro la testa e accorciando le distanze tra loro. Michela si era limitata ad annuire, ingoiando a vuoto, mentre le lacrime avevano ricominciato a solcarle il viso ancora pallido.

A quel punto abbiamo atteso che si calmasse, prima di uscire dalla sua stanza una volta addormentatasi. Camus le aveva rimboccato le coperte e aveva aspettato al suo fianco che chiudesse gli occhi, cosa che è avvenuta quasi subito, data la sua debolezza. Io ero rimasta in silenzio a guardarlo, sinceramente colpita

Una volta fuori, però, ho immediatamente notato che Camus stava andando da tutt'altra parte rispetto a dove pensassi che si sarebbe recato, pertanto decisi di rompere il silenzio.

Maestro, non... non vai da Marta?”

NO! - aveva risposto, categorico, tanto da farmi sussultare per la veemenza della sua voce – Per oggi si arrangia, vado a riposare un po' in camera mia e poi torno da Michela!”

Sei... sei così arrabbiato con lei?”

Camus non aveva risposto, di nuovo, confermando, di fatto, affermativamente la mia domanda, inoltre aveva pure aumentato i suoi passi, indice di una rabbia crescente.

Camus... Marta ha senza ombra di dubbio sbagliato ad alzarsi e a gironzolare qui intorno, ma... un po' la capisco!” gli avevo fatto notare, franca.

Niente da fare, Camus era sempre più spedito, non intendeva voltasi più, per stare al suo passo dovevo quasi correre, restia ad arrendermi.

Se puoi, non lasciarla sola proprio adesso, non se lo m...”

Prima di riuscire a terminare la frase, ci ero finita contro, cozzando contro la sua schiena e sbilanciandomi, perché lui si era fermato di colpo e si era voltato nella mia direzione.

Non la lascerò mai sola, ma... ma sono davvero furibondo con lei in questo momento. Mi devo calmare prima, altrimenti rischio di dirle di nuovo qualcosa che la potrebbe ferire, e non voglio...” mi aveva risposto lui, la solita ombra negli occhi.

Si dice che più vogliamo bene ad una persona più questa ci fa perdere le staffe... ed è vero!” avevo provato a buttarla lì, per incoraggiarlo.

Già... io voglio un bene dell'anima a Marta, non mi sono ancora abituato a sostenere tutto questo marasma di emozioni che dipende dalle sue azioni. Le basta un niente per farmi sentire bene, come non riesce nessun altro, ma allo stesso tempo, le basta uno schiocco di dita per mandarmi fuori dai gangheri... - aveva provato a spiegarmi il suo sentire, in evidente stato di difficoltà, poi si era appoggiato al muro, sospirando sonoramente – E' che mi chiedo perché... perché non fa mai quello che le dico?!”

Oh, Camus, non è contro di te, è sempre stata così, ha sempre seguito la sua testa e il suo cuore... è un po' bastian contrario”

Ogni tanto sembra che lo faccia apposta, sembra... che ci provi gusto a farmi morire di paura... - si era confidato ancora lui, sentendosi esposto a rivelare una cosa del genere, la cosa infatti mi ha meravigliato – Stavo tornando dall'undicesima casa, quando me la vedo bel bella a camminarmi di fianco, nonostante i miei avvertimenti di non sforzarsi e di rimanere a letto. E sai perché? Perché voleva vedervi!”

A quella confessione avevo ridacchiato, serena, riconoscendo pienamente l'attitudine della mia amica in quella breve frase; attitudine che possedeva lo stesso Camus, il che mi aveva fatto sorridere: stesso difetto, stessa inesauribile testa di cazzo, ma il fratello maggiore non tollerava che la sorella più piccola si comportasse così, cioè... esattamente come lui si comportava a sua volta!

Tu ridi... ma non c'è niente di divertente. Me la vedo passare di fianco, senza neanche considerarmi, camminava a stento, era incurvata a causa del dolore, ma andava come se niente fosse. Non ci ho più visto...”

Come ti dicevo prima, Camus... io un po' la capisco. E' una ragazza forte e determinata, non si arrende per nulla al mondo ed è molto sensibile... avrà voluto vedere con i propri occhi come stavamo”.

E' forte e determinata, è vero, ma è ferita, Fra... ha delle... delle orribili lesioni che non la fanno dormire la notte. Io l'ho vista divincolarsi nel sonno, sofferente, ero al suo fianco quando stava male, le ho stretto la mano e asciugato il sudore nelle notti a metà tra la veglia e l'incubo. Ho temuto per lei in tutti questi giorni, avevo... paura di perderla... l'ho tutt'ora, e me la vedo svicolare di fianco mentre, in un colpo solo, ha trasgredito a tutte le raccomandazioni che le avevo dato. Come pensi che mi sia sentito?!”

Infatti capisco pienamente anche te...”

A quel punto Camus aveva sospirato, massaggiandosi stancamente la fronte. Il confronto con la sorellina era per lui tremendo, non poteva in alcun modo controllare le forte emozioni che provava per lei, e molto spesso, quelle, lo stremavano più di qualsiasi tipo di battaglia. Era... devastante, per lui!

Tornerò da lei domani, il peggio è passato, non c'è più bisogno che gli stia appiccicato nell'ansia di poterla perdere, anche lei non ne potrà più di avermi intorno!” aveva detto ancora, allontanandosi da me, intenta a sorridere in maniera sorniona.

Questa volta hai sbagliato in pieno, mio caro Camus, non penso proprio che Marta si possa in qualche modo stancare di te!”

 

 

* * *

 

 

25 luglio 2011, pomeriggio

 

 

“... e così si è arrabbiato con Marta e non ho più potuto andarla a trovare, proprio il giorno in cui stava meglio e che, finalmente, potevo rivederla!” finì di raccontare Francesca, addentando con gran gusto un pezzo di pita greca.

“Cruch... crunch... E così il passaggio dalla 'mia piccola dolce Marta' a 'quell'incosciente che lo fa apposta a farmi preoccupare', crunch, è stato breve!” commentò divertito Death Mask, assaporando degli spiedini di pesce inframezzati da delle patate. Francesca scoprì quel giorno che il Cavaliere del Cancro era ben oltre ad essere una semplice 'buona forchetta', trangugiava roba come se non ci fosse un domani, forse solo Marta avrebbe potuto rivaleggiare con lui.

“Beh, sì... lo ha fatto preoccupare da morire, non poteva essere altrimenti!”

“Io non so, crunch, cosa si aspettasse Camus... che Marta rimanesse in catalessi sul letto fino alla fine dei suoi giorni? Sta meglio e si è alzata, dovrebbe gioire! - continuò, afferrando con la bocca una nuova acciuga per poi mangiarla avidamente – Ohoho! Con il limone sono davvero ottime!”

Francesca cercò di non dare peso al fatto che rumoreggiasse con la bocca peggio di un ruminante.

“Deathy... Marta è stata ad un passo dalla fine, a-anzi, da quello che mi avete detto, è proprio morta... come altro avrebbe potuto reagire Camus? Sai, che si dice, abbiamo i difetti degli altri davanti ai nostri occhi, ma i nostri dietro le spalle?”

“Massì, su questo siamo d'accordo, ma così la limita e basta!”

“In che senso?”

“E' troppo protettivo... e Marta, a dispetto del visino gentile e delicato, è tutt'altro che facile da gestire! Non se ne starà delle premure soffocanti dl fratello e... ha pienamente ragione!”

“E allora facciamola andare in giro con le ferite ancora aperte quando le è stato raccomandato di rimanere ferma, idea geniale!” ironizzò la ragazza, discostando lo sguardo. Capiva le ragioni che avevano spinto la sua amica a muoversi, ma lei, ben sapendo il resto, non riusciva ad approvarla completamente. Era ben conscia di cosa avesse dovuto passare Camus per rianimarla, e lei, bel bella, come aveva detto anche suo fratello, del tutto incurante, andava a razzolare in giro. Certo, un punto a favore di Marta era che non sapeva che Camus avesse agito in quella maniera e... non lo avrebbe mai saputo, almeno fino a che...

Si riscosse, accorgendosi di aver rischiato di precipitare nello sconforto più totale, e tremò.

Non lo avrebbe saputo fino a che Camus non sarebbe crollato, morendo tra indicibili sofferenze, perché quello sarebbe stato l'ultimo passaggio. Il cuore accelerò nel petto, facendola sentire male, ma si affrettò a nascondere tutto dietro un'espressione neutra per non far preoccupare Death Mask, inconsapevole a sua volta di tutto. Era un segreto tra lei e il suo maestro, non avrebbe dovuto farne parola con nessuno.

“Facendo così la limitate e basta. E' in quella età ricca di esperienze, sogni e desideri, per anni è stata abituata ad agire secondo la sua testa, e ora di colpo, scopre di avere un fratello che vuole pure indirizzarla come vuole. Capisci che è normale che lei si ribelli!”

“Uhm, sì, forse...”

“Comunque stanno tutte meglio, me lo confermi?”

“Uhm, sì... tranne Michela che si è piantata con Hyoga per via di Camus, come ti ho detto poc'anzi...”

“Anche questo è riconducibile alla sua giovane età e perfettamente normale, Michela non ha mai conosciuto suo padre e vede Camus come se avesse acquisito questo stato, ai suoi occhi Hyoga è un patricida senza scrupoli, non importa ciò che dirà l'Acquario, non verrà posto rimedio, a meno che non sia la stessa ragazza a volerlo!”

“Oh, ma come siamo comprensivi con tutti... la tua rinascita ti ha portato ad appassionarti alla psicologia?! Potresti iscriverti in facoltà!” lo canzonò allegramente lei, ridacchiando.

“Scema! Sono troppo vecchio per l'università! E poi per ¾ del mondo là fuori non esisto neanche!” esclamò lui, arrossendo di netto.

Francesca lo trovò buffo, mettendosi a ridacchiare sotto i baffi. In quella settimana aveva imparato a stimare il Cavaliere di Cancer, anzi, qualcosa in più, ma i sentimenti, non facili da capire, erano ancora ingarbugliati in lei, talmente tanto che era difficile discernerli. Entrambi cercavano qualcosa, entrambi desideravano una riscossa, chi per un motivo chi per un altro, nondimeno, entrambi avevano cominciato ad apprezzarsi, anche se Death Mask sembrava assai più avanti di lei, forse più esperto nel passeggiare nelle infinite pulsioni umane. Era una sensazione molto strana.

A quel punto Death Mask, colto da un'improvvisa frenesia, si alzò e, dopo aver addentato, masticato e ingoiato l'ultimo gamberetto, volle aprire le porte su un argomento che sentiva era rimasto in sospeso.

“Per quanto riguarda il discorso dell'altro giorno...”

“Sì?”

“Penso di essermi rammentato della storia romantica infinitamente migliore del beneamato filo rosso che voi donne tirate sempre fuori ad ogni evenienza!” disse tutto d'un fiato, imporporandosi già.

“Ma davvero? Sono tutta orecchi allora!” lo incitò Francesca, sedendosi comodamente sul sasso e guardandolo con espressione furba.

“Oh, eh... arrivo, eh...” biascicò lui, trovando di colpo molto interessante vedere le pietre sotto di sé. Ne fu attirato da uno, che cominciò a far rotolare ritmicamente sotto il tacco.

La storia l'aveva sulla punta della lingua, ma non sapeva come imbastirla né da dove farla cominciare. Si dava arie di averla sempre saputa, in verità era il frutto di lunghe notti insonni a pensare ad una favoletta convincente e corroborante che reggesse il confronto con quel dannato filo rosso che era sulla bocca di tutti. Non si era mai cimentato in decantazioni sull'amore e cazzate varie, ma voleva esprimersi per quello che provava e voleva farlo in grande stile, come solo Death Mask del Cancro poteva farlo.

“Ti sei incartato di nuovo con le parole?!” lo punzecchiò lei, sempre più divertita.

“E fammi concentrare, scema!”

“D'accordo, ihihi!”

Francesca finse di acconsentire e di chiudere gli occhi, quando invece percepiva tutto del compagno ed ormai, si poteva dire, amico: la sua agitazione, il suo imbarazzo... era uno spettacolo!

“Ehm... ehm... - tossicchiò, cercando di darsi un contegno, prima di cominciare – C'erano due cani...”

“Ancora con questi cani?!?”

“In verità uno era un lupo e l'altro un cane...”

“Mmm, ho una inaspettata sensazione di deja vù...”

“Ti stupirò, se mi farai parlare!”

Questa volta il tono di Death Mask aveva assunto connotati ben più decisi, Francesca se ne meravigliò, rimanendo così composta ad aspettare il seguito.

“Un giorno un lupo si avvicinò alle case degli esseri umani in cerca di cibo, nel farlo, incontrò un cane, legato alla sua cuccia. Si avvicinò e gli chiese, il lupo intendo, se sapeva dove trovare il cibo, il cane gli rispose che se sarebbe rimasto con lui, i suoi padroni lo avrebbero premiato dandogli il cibo tutti i giorni. Il lupo era eccitato a quella rivelazione, ma poi si accorse della lunga catena che teneva legato il cane e gli chiese come mai fosse conciato in quella maniera...”

“Scommetto che il cane gli disse qualcosa di simile al fatto che lo tenevano legato per proteggerlo, per non farlo scappare e via dicendo, e che quindi il lupo, orrendamente sconcertato, se ne è scappato via, insultando il cane che, per una cosa simile, aveva smarrito sé stesso, le sue origini, e che lui, a differenza sua, non avrebbe mai rinunciato alla sua libertà per scempiaggini simili!” lo intercettò Francesca, vispa.

“B-beh, sì...”

“Conosco la storiella, Deathy, non ha nulla a che fare con...”

“E invece sì, c'è il seguito, ascolta...” la fermò subito lui, punto sul vivo e recuperando la solita baldanza.

“O-okei...”

“Quel lupo sono io, scema!”

“Sei tu? Cos...? Che intendi?” gli chiese curiosa Francesca, non aspettandosi un risvolto simile.

“Sono io... e ora ti spiegherò perché... - trasse un profondo respiro, prima di continuare – Passarono i mesi, il lupo continuò il suo peregrinare. Mangiava quando voleva, dormiva quando poteva... il prezzo della libertà era elevato, ma non se ne pentì mai, almeno finché...”

“Almeno finché?”

“Passò un inverno più duro del solito, rimase ferito durante una caccia, scampò alla morte, riportando però delle conseguenze su sé stesso. Tornò di nuovo in città, alla ricerca disperata di cibo e rincontrò di nuovo quel cane, che a sua volta era stato abbandonato dai precedenti padroni ed era stato adottato da altri, che gli permettevano di entrare e uscire a piacimento dalla casa. Una situazione migliore della precedente, ma...”

“...ma il cane non era comunque libero, anche se in una situazione migliore rispetto a prima!” gli fece notare istintivamente Francesca, pensierosa.

“E' vero, glielo fece notare anche il malconcio lupo...”

“E... e quindi?” lo incalzò Francesca, sempre più scettica.

“Vuoi sapere cosa gli disse il cane a quel lupo malconcio?”

“Mi sembra ovvio!”

“La vera libertà... consiste in un luogo a cui fare ritorno. Tu sei senz'altro libero, o lupo, ma a quale prezzo? Chi si preoccupa per te? Chi ti seguirà nel tuo lungo peregrinare? Chi condividerà le tue gioie e sofferenze? Sei solo... perché non si può che essere totalmente liberi solo nella perenne solitudine, eppure... può essere chiamata libertà questa? O perenne supplizio?!”

Francesca lo continuava a guardare intensamente in un misto di senso di attesa e desiderio di capire dove volesse andare a parare. Comunque, checché ne dicesse lui, era comunque meglio la storia del filo rosso, che non quella arzigogolata che gli stava narrando.

“Da quel giorno il lupo ritrattò i suoi pensieri, rimuginando molto sulla lezione impartita dal cane. Davvero il privarsi di una parte di libertà garantiva l'accedere ad un livello superiore? Davvero provare dei legami non era una cosa così spiacevole? Continuò a camminare, chiedendosi e richiedendosi questo, e poi... morì da solo, dimenticato da tutti!”

“Ma no!!! Dopo tutta questa manfrina mi aspettavo almeno un lieto fine per il lupo!!!” si oppose Francesca, non aspettandosi una simile conclusione così immediata.

“C'è, non ti preoccupare... perché il lupo rinacque sotto un'altra forma!”

“Ah sì??? E Quale?!”

“Il Lupo Cecoslovacco! Esseri fieri e del tutto simili ai lupi, ma consapevoli di aver accettato di costruire un legame speciale con l'umana specie. Non è sempre facile, ma, davvero, basta trovare la famiglia giusta... - si fermò un attimo, imbarazzato – La persona giusta, perché i Lupi Cecoslovacchi seguono le direttive di un'unica persona, la più importante!” concluse, emozionato, discostando lo sguardo. Aveva finito di parlare e ora stava lì, tutto vergognoso.

Francesca aveva recepito il messaggio, sorrise tra sé e sé, ma non disse niente, non subito almeno. Attese il momento propizio.

“Storia un po' deprimente, ma apprezzo l'inventiva, tuttavia rimango fedele al filo rosso! Commentò, furba, con aria soddisfatta.

“V-voi e quel dannato filo rosso, che...”

Ma il Cavaliere del Cancro si bloccò quando avvertì la mano di Francesca stringere la sua, il suo mignolo si attorcigliò sul suo, ben più grosso. Tacque, arrossendo a dismisura.

“Non trovi romantico che due persone, non importa chi, siano legate fra loro? Nonostante le avversità, nonostante i patemi d'animo, si incontreranno, sempre!”

“B-beh, può... può darsi, ma volevo una storia più... più... - ma si bloccò, vedendo il suo volto avvicinarsi al suo, forse un po' troppo – Diavolo! Mi stai troppo vicino, non riesco a ragionare se... se mi guardi così!” balbettò, ingoiando a vuoto. Oh, se le piaceva, eccome se le piaceva!

“Come ti dicevo l'altro giorno... siamo entrambi alla ricerca di qualcosa, questo ci unisce, forse più di quanto pensiamo!”

“Beh... beh... b-b-bene!” riuscì appena a parafrasare Death Mask, allontanandosi di un passo. Continuava ad essere troppo vicina, e invece di allontanarsi la pirla si approcciava sempre più a lui, probabilmente ignara che ci avrebbe impiegato davvero poco a perdere il controllo, se avesse persistentemente mantenuto quella distanza irrisoria da lui. Ma non poteva farlo, sarebbe stato un errore, e non poteva perderla. Non lei. Chiunque altro. Ma non lei.

A quel punto la mano di Francesca si posò sotto il suo mento, permettendosi di ammirarlo in tutta la sua giovinezza. Era ancora un giovane uomo, più grande di Camus, anche se non sapeva con precisione di quanti anni, con un fascino tutto suo, gli occhi blu a sua volta, la pelle abbronzata. Anche lei ne era irrimediabilmente attratta, ma qualcosa la bloccava.

“S-sono al limite... ancora un po' e l'istinto avrà la meglio su di me, è l'ultimo avvertimento...” le disse a fatica Death Mask, rosso porpora. Francesca parve ridestarsi, si riscosse, abbassò lo sguardo, capì, e si allontanò bruscamente. Il Cavaliere del Cancro si ritrovò a prendere un profondo respiro, recuperando aria.

“Non credo tu voglia bruciare le tappe e... neanche io... è una cosa seria, per me, capisci? Non... non credo che tu possa meritare uno come me, anche se... se mi piaci!”

“Qu-quello lascialo decidere a me...” lo fermò Francesca, ricomponendosi, pur mantenendo lo sguardo imbarazzato. In ogni caso aveva ragione: ben lungi da lei bruciare le tappe, anche se l'attrazione per lui era tanta, inspiegabile... o forse, chissà, perfettamente spiegabile.

A quel punto Death Mask si grattò la testa, a disagio, non sapeva dove cominciare.

“Che... che dici, la finiamo qua? - poi sussultò nel vedere la sua espressione offesa – Non in quel senso, scema! Intento per oggi, solo per oggi! Ben lungi da me rinunciare al mio... cioè alla possibilità di instaurare un legame con te!”

“Eppure non sembri alla tua prima esperienza...”

“Non lo sono e lo sono, è... miseria, mi mancano le parole!”

Bastava dirle un 'con te è diverso, tu mi piaci davvero', ma era così difficile pronunciare quelle semplici parole, era snervante! Lui, il Grande Death Mask, a corto di parole!

Francesca parve capire i motivi del suo nervosismo, pertanto sorrise, riprendendogli la mano e stringendogli il mignolo, esattamente come prima.

“Non c'è fretta alcuna, da domani in avanti avremo tutto il tempo per... costruire un rapporto, no?!”

“Immagino di sì... - ribatté, compiendo il suo stesso gesto – Hai detto che siamo legati, no? Dal mignolo!”

“Esatto”

“E non è facile staccare il nodo, giusto?”

“Assolutamente!”

“E allora non c'è fretta alcuna, siamo giovani, abbiamo tutto il tempo per camminare insieme, intrecciati!”

A quelle parole Francesca ridacchiò, regalandogli un sorriso dolcissimo e stringendo la presa su di lui.

“Tutto il tempo che vogliamo! - ripeté, fiera – Da qui fino a quando saremo noi a deciderlo!” esclamò, sicura di sé, mentre, guidando il compagno mano per mano, mignolo per mignolo, si avviò insieme a lui verso il Grande Tempio di Atene.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ogni tanto mi capita di scrivere one shot incentrate sulle altre protagoniste della mia serie principale, non sempre le pubblico, molto spesso rimangono nel limbo, a volte vengono pubblicate dopo mesi, ed è questo il caso.

Scrissi questo (lungo) capitolo speciale a Dicembre del 2019, pensando di approfondire i personaggi di Francesca e Death Mask, la cui relazione sarà trattata maggiormente nel corso nella “Melodia della neve”. Per loro, per entrambi, l'essersi incontrati al Tempio è in tutto e per tutto una rinascita, una... “nuova vita”! Per Death Mask è una seconda possibilità, una speranza di cambiare nel suo tortuoso percorso di redenzione, ma è un'occasione per vivere pienamente anche per Francesca, che, da dea ad umana, decide di sperimentare le emozioni. Questo non è che un inizio tra loro, di sicuro continuerà! ;)

In mezzo a questi due, sentivo il bisogno di spiegar anche il rapporto tra Francesca e Camus. Chi ha letto “Sentimenti che attraversano il tempo” sa che la ragazza sapeva tutto di ciò che aveva passato l'Acquario per riportare in vita la sorella, come sapeva del suo Destino, ma che altesì non poteva parlarne con nessuno per via della promessa fatta al maestro.

Voi vi chiederete: perché Camus si confida con lei, perché non con Milo, che invece (come al solito) intuirà tutto senza che l'Acquario gli parli schiettamente? I motivi sono molteplici...

Intanto Camus reputa Francesca molto simile a lui, è quasi sua coetanea, non vi è che un anno e mezzo di differenza tra loro (Camus è nato a febbraio del 1989, Francesca a novembre del 1990), in più lei è una divinità, ha più controllo sulle pulsioni umane, cosa che Milo non possiede, non se c'è il suo migliore amico di mezzo. La sua reazione si vede molto bene in Sentimenti che attraversano il tempo, il suo infuriarsi con Camus e il suo continuare a non arrendersi per nulla al mondo. Inoltre il “mio” Camus ha più facilità a confidarsi con una ragazza rispetto ai suoi parigrado. Certo, non è assolutamente un personaggio in grado di fare simili confessioni, infatti non le farebbe neanche sotto tortura, ma qui, lo si vede bene, è al limite, la perdita di Marta (anche se temporanea) ha rinvangato il trauma di Isaac, l'Acquario ne è uscito distrutto ed è tenuto sotto torchio da Voi Sapete Chi ( no, non Voldemort, tranquilli XD).

Comunque un'altra cosa è chiara: Cancer non è per niente bravo a fare da infermiere, né a fare spasmodiche dichiarazioni d'amore, basta vedere i risultati (povero Camus, menomale che è arrivato Hyoga a medicarlo XD). Però, non è questo che conta: è un personaggio che ci sta provando in tutte le maniere a fare del suo meglio, dopo i peccati con cui si è macchiato, è un personaggio in evoluzione, non deve riuscire, non qui, deve tentare, questo è in assoluto il messaggio più saliente della storia. Il percorso è appena iniziato e sarà tutto in salita, ma è un primo, importantissimo, passo.

Come sempre grazie a tutti, spero possiate apprezzare anche questo capitolo speciale! ^_^

 

 

 

  
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