Primo capitolo di questo
delirio!*_*
Spero vi piaccia! Ci ho messo
tuuuuuutto il mio impegno!:3 E buona parte del mio sadismo. Dico buona parte
perché il peggio deve ancora arrivare!<3
Baci, Iceriel
Corretta con Mel!^^
Scritta per la challenge Imago Magica
Challenge @merlin_italia.
Ispirata al prompt numero 1.
Endless Night
Capitolo I
Gettò con uno scatto nervoso la
spada sullo scranno di legno nelle sue stanze.
Con passo inquieto prese a
percorrere avanti e indietro la consumata pelliccia che fungeva da tappeto.
Quando, quel pomeriggio di tre
giorni prima, Merlin si era allontanato per raccogliere delle erbe per Gaius,
egli non l’aveva fermato né seguito.
Il mago spesso si allontanava
per procurare al vecchio cerusico gli ingredienti per i suoi medicamenti mentre
il principe si dilettava con la caccia, e mai vi era stato motivo per Arthur di
preoccuparsi o temere per la sua incolumità, perché egli sapeva che il suo servitore era in grado di difendersi come
nessun’altro era in grado di fare.
Ma quel giorno era stato
diverso.
La caccia si era conclusa da
ormai un pezzo e Merlin ancora non era tornato nella radura stabilita.
Arthur si era detto, non senza
un brivido d’inquietudine, che avesse faticato a trovare le erbe che cercava.
Poi il sole aveva compiuto un
altro mezzo arco ed il principe aveva cominciato a camminare nervosamente per
la radura, inveendo contro quel dannato servo che osava farlo aspettare così
tanto.
Aveva mandato due cavalieri a
cercarlo nel bosco, ma questi erano tornati senza alcuna notizia.
E l’inquietudine era aumentata.
Aveva dato ordini precisi agli
uomini di cercarlo ovunque, egli avrebbe fatto lo stesso.
Aveva quindi cercato in ogni
angolo della foresta, in ogni dirupo e grotta, tra il sottobosco e i cespugli.
Aveva urlato il suo nome tanto
da sentire la gola raschiare.
Aveva seguito le sue tracce tra
le felci e su per il sentiero che portava oltre la collina, e le aveva viste
sparire improvvisamente.
Non un brandello dei suoi
abiti, non una traccia, un segno, un indizio.
Semplicemente Merlin era
scomparso.
Inghiottito da quella foresta
che conosceva tanto bene quanto le mura di Camelot.
Sparito, come sparisce la
nebbia al sole.
Ed ora era lì, nelle sue stanze
a rimuginare sul nulla più totale, perché nulla era quello che aveva in mano.
Non aveva un indizio, un
sospetto.
Nulla.
Solo di una cosa era certo: Merlin
non se ne era andato di sua spontanea volontà.
Non così, non senza motivo, non
senza una parola.
Qualcuno o qualcosa doveva averlo necessariamente condotto via.
Qualcuno di abbastanza forte o potente da sopraffare il potere che
scorreva nelle sue vene.
E rabbrividì al solo pensiero
di cosa costui ne avrebbe fatto di Merlin.
Perché ne era certo: chiunque
avesse preso Merlin l’aveva fatto sapendo chi egli fosse.
E in quell’epoca dove suo padre
osteggiava gli stregoni, in quei tempi in cui ancora tra le mura riecheggiavano
le urla di coloro che per lo stesso dono di Merlin erano finiti alla tortura,
in quei tempi dove un mago, il più potente e incredibile, stando a Gaius, si
alleava con il figlio del tiranno e lo aiutava, in quei tempi in cui erano l’uno
la spalla dell’altro…
l’uno
la metà dell’altro…
… in quei tempi, qualcuno, il
cui dolore si era trasformato in follia, avrebbe facilmente trovato in Merlin
un traditore.
Ed avrebbe cercato vendetta.
Non gli era difficile
immaginare come Merlin avesse potuto essere scoperto.
Lo ricordava quel giorno in cui
il suo servo aveva cercato di spiegargli che i maghi sentono la magia, sentono quando viene usata.
“Ma
come fai a sentire la magia?!” aveva chiesto scettico. Gli pareva impossibile
poter avvertire qualcosa del genere.
“Esattamente
come fate voi a sentire che qualcuno vi sta per sferrare un fendente nel vostro
angolo cieco. Lo sentite! Allenamento, talento, pratica, intuito, istinto… non
so… forse un insieme delle cose… ma lo sentite.”
Si passò la mano sugli occhi,
sospirando spossato, esausto.
Afferrò malamente la spada e
prese il suo posto sullo scranno. Se la rigirò distrattamente tra le mani, con
lo sguardo perso nel nulla, vagando con la mente.
Cercava col pensiero, pensava a
dove non aveva guardato o guardato troppo poco, ripensava ai sentieri battuti e
ad alcuni che magari erano nascosti.
Ma nulla.
Gettò con malcelata collera la
spada a terra e seppellì il viso tra le mani.
Non si era mai sentito tanto
frustrato.
Mai in vita sua si era sentito
così completamente e inevitabilmente inutile.
Non sapeva dove cercare o chi
cercare.
Aveva un pugno di supposizioni
e nemmeno un briciolo di certezze.
Si alzò, incapace di restare
fermo oltre, e andò alla finestra scrutando Camelot e le morbide colline
all’orizzonte, chiedendosi, di nuovo:
dove sei?
E ancora le colline e le fronde
tacquero, custodendo gelosamente un segreto che stava portando alla follia il
giovane principe.
Non seppe dire quanto tempo esattamente
rimase immobile a fissare la foresta, scrutandola e sondandola con gli occhi,
quasi veramente avesse potuto scorgere da un momento all’altro Merlin emergere
indenne dal sentiero.
Il sole era calato abbastanza
da tingere di dorato le cime degli alberi quando egli udì bussare.
“Avanti” e lo disse con voce
così stanca e rassegnata che stentò a riconoscersi.
“Arthur?” la voce preoccupata
di Morgana lo fece voltare.
“Morgana” la salutò senza
entusiasmo, dirigendosi verso il tavolo e versando una coppa di acqua che poi
le porse.
Lei rifiutò, scuotendo la testa
senza prestarvi troppa attenzione.
“Avete trovato qualcosa?”
domandò con una punta di timore e con malcelata ansia.
“Niente – rispose lapidario –
non una traccia, un segno, un indizio. Niente. Come se davvero Merlin fosse
sparito nel nulla!” sbraitò, quasi. Morgana non aggiunse altro.
Lo guardò passarsi una mano tra
i capelli e osservò, nuovamente, le occhiaie che cerchiavano i suoi occhi blu.
Non poteva dirgli “Stai tranquillo, sono sicura che sta bene,
che lo troverete” perché Arthur non meritava una bugia così grande.
Anch’ella sapeva fin troppo
bene che più passavano le veglie e meno vi era possibilità di trovarlo.
Eppure il giovane Pendragon non
smetteva di cercare, pur sapendo ciò, egli cercava. E dirgli che tutto si sarebbe sistemato, che non v’ era
nulla di cui preoccuparsi, che Merlin stava bene, era come insultare il suo
disperato impegno.
“Perché sei qui, Morgana?” le
chiese.
“Uther vuole vederti” e lo
disse in un sussurro, lanciandogli uno sguardo che lasciava ad intendere che il
re non desiderava conferire con lui per amor della conversazione.
“Sì, certo… ” si diresse verso
la porta della sua stanza, ma Morgana lo fermò.
“Non intenderai dargli ascolto,
vero Arthur? Tu… continuerai a cercarlo, al diavolo cosa dice tuo padre,
giusto?” e lo disse con un sorrisetto complice, di chi sapeva che aveva di
fronte qualcuno maturo abbastanza da saper prendere le proprie decisioni
incurante di ciò che il padre pensasse e gli ordinasse.
E Arthur le sorrise, a sua
volta.
Un sorriso ben lontano
dall’arrogante ghigno di superiorità che era solito esibire. Un sorriso stanco
e frustrato.
Ma sicuro e determinato.
“Non temere, ho già pensato a
cosa dirgli. Questa volta la sua ossessione volgerà a nostro favore. Troverò
Merlin. E come è vero che mi chiamo Arthur, nulla di quello che farà o dirà mi
impedirà di continuare le ricerche” chiuse la porta dietro di sé, lasciando
nella stanza una Morgana ugualmente preoccupata, ma mai tanto orgogliosa del
futuro re di Camelot.
Arthur sospirò profondamente
spalancando il portone della sala delle udienze ed entrandovi.
Suo padre camminava nervoso di
fronte al suo regale scranno.
“Mi avete fatto chiamare,
padre?”
Il re si fermò e si diresse
verso di lui con passo deciso, la fronte corrucciata e gli occhi iracondi.
“ Arthur! Non tollero che i
cavalieri migliori di Camelot perdano il loro tempo cercando uno sguattero che
probabilmente è stato sbranato dai lupi! Interrompi questa futile ricerca e
pensa ad allenare gli uomini!” sentenziò con austerità fermandosi a pochi passi
da lui.
La parola del re era una ed una
soltanto.
Uther si voltò e si sedette sul suo trono.
La sua parola era definitiva ed
egli considerava chiusa la discussione.
Ma lo stesso non poteva essere detto
per Arthur.
“Padre, Merlin non è stato
sbranato dalle belve. Non v’è traccia alcuna. Egli è scomparso” spiegò fermo e
deciso, intenzionato a non lasciarsi piegare.
“Qualunque sia il motivo della
sua misteriosa sparizione egli è solo un servo! Un futuro re come te deve
capire cosa è e cosa non è
importante! Non sono solito ripetermi due volte, Arthur. La vita del principe e
la sicurezza di Camelot sono più preziosi di uno sguattero. Ti ordino di
interrompere seduta stante le ricerche e di adempiere ai tuoi compiti di
principe e di cavaliere!” ripeté alzando il tono della voce.
“È della sicurezza di Camelot,
padre, che io mi sto curando” proseguì senza perdere la calma.
“Cosa intendi dire?” lo sguardo
del re di Camelot si fece indignato ed egli si sporse in avanti all’improvviso
incuriosito dalle parole dell’erede.
“Riflettete bene, padre. Merlin
è il servo del principe ereditario ed in quanto tale, volente o meno, egli
conosce molte informazioni riguardanti la famiglia reale” insinuò con estrema
naturalezza.
“Un tradimento dunque!” ed i
suoi occhi si illuminarono. Sembrava
quasi che Uther godesse in qualche modo perverso nello scoprire tradimenti ed
intrighi, quasi questo significasse che Camelot, ed egli stesso, fossero tanto
potenti da scatenare invidie e rancori.
“No padre, la fedeltà di Merlin
è stata messa duramente alla prova ben più di una volta. Gli affiderei la mia
vita. Ma altri potrebbero avere un interesse in lui proprio per la sua
posizione. Ritengo possa essere stato rapito nel tentativo di scoprire i nostri
punti deboli” puntualizzò con estrema diplomazia. L’ultima cosa che poteva
rischiare era che Uther sospettasse di un tradimento da parte di Merlin.
“Un complotto, quindi?”
realizzò.
“Voi stesso mi avete sempre
ripetuto che i nemici di Camelot sono molti e in perenne agguato. Trovando
Merlin, padre, potremmo evitare un probabile attacco ai danni della città.”
“Sono molto orgoglioso di te,
figliolo. Cominci a pensare come un re” si alzò posando una mano sulla spalla
del figlio.
“Scova dove tengono prigioniero
il ragazzo, Arthur, ma ricordati: catturare i cospiratori ha la precedenza
sulla vita del tuo servo, mi sono spiegato?” lo ammonì serio, conoscendo
l’inclinazione del figlio a badare troppo poco al bene del popolo e troppo al
singolo elemento da cui il popolo era formato.
“Sì, padre” e detto questo
venne congedato dal re ed uscì dalla stanza, chiudendosi il portone alle spalle
e lasciando che un sospiro cacciasse fuori la tensione provata.
Aveva mentito a suo padre, lo
sapeva bene.
Sapeva altrettanto bene che la
vita di Merlin, in qualsiasi
situazione, avrebbe avuto la precedenza su tutto.
Sapeva che molto probabilmente
avevano preso Merlin non per il rapporto che aveva con la famiglia reale, ma
per quello che egli stesso era.
Per i suoi poteri, per la sua
decisione di allearsi con chi, tutt’oggi, osteggiava i suoi doni in maniera
tanto crudele.
Ma sapeva anche perfettamente
che suo padre non avrebbe tollerato a lungo che egli cercasse con tanta
ostinazione quello che per lui non era null’altro che uno sguattero
sacrificabile. Ma questa volta non avrebbe avuto né remore né dubbi.
Già in passato aveva esitato,
troppo spesso frenato dalla ferma determinazione del padre.
Già in passato, troppe volte,
la vita di Merlin e di altri era rimasta sospesa ad un filo a causa della sua
titubanza.
Non questa volta.
E si allontanò raggiungendo con
passo svelto le stalle, sellando velocemente con mano esperta il suo cavallo e
tuffandosi nuovamente in quella foresta di cui ormai conosceva ogni arbusto.
Di nuovo a cercare, fino a che
il sole non si coricava dietro le montagne, fino a che le foglie non si
chiudevano per la notte, fino a che le cicale non riprendevano a frinire e le
lucciole a volare.
Cercare ancora e ancora.
Ma senza mai trovare nulla.
I giorni si susseguivano, uno,
cinque, dieci e ancora, di Merlin, nessuna traccia.
La frustrazione e la
preoccupazione si erano inevitabilmente trasformate in qualcosa di estremamente
simile al panico e, di notte, quando la mente era meno lucida e meno soggetta all’autocontrollo,
Arthur non riusciva a non pensare che, forse, era veramente troppo tardi.
Che forse non v’era nulla da
cercare se non un corpo morto.
E questo sospetto gli
appesantiva il petto e gli uccideva il sonno.
Eppure… eppure ogni giorno non
poteva non cercare, non poteva non sperare perché, si diceva, se non avesse
potuto ritrovarlo vivo, almeno le sue spoglie meritavano tutti gli onori dei
grandi cavalieri.
Era da poco passata la terza
veglia del giorno quando un cavaliere si presentò nelle stanze di Arthur con un
messaggio:
“Sire, c’è un uomo che desidera
parlare con voi nel cortile interno del castello.”
“Non ho tempo ora per ascoltare
lamentele su campi e sconfinamenti di poche dita. Digli di andarsene.”
“Mio signore, insiste nel
parlare con voi. Riferisce che porta nuove riguardo a Merlin.” Senza degnarsi
di rispondere Arthur si precipitò fuori, raggiungendo in breve tempo il
cortile. Non faticò a riconoscere l’uomo in questione: era uno sparuto
individuo imbardato in un logoro mantello con lo sguardo spaesato,
l’espressione del viso agitata e a disagio. Arthur notò che stringeva al petto
un oggetto ammantato da velluto nero, stoffa assai più preziosa di quella che
indossava.
“Parla! Mi dicono che hai
notizie del mio servitore!” lo incalzò senza un minimo di tatto.
Non che egli fosse di suo
dotato di una grande delicatezza, ma l’apprensione e la fretta gli avevano
cancellato la poca cortesia che anni di severe ammonizioni gli avevano
conferito.
“Mio… mio signore! – balbetto
questi, gettandosi ai suoi piedi – mio signore, io del vostro servo conosco
solo il nome!” confessò con il capo chino e voce estremamente concitata, tinta di timore e reverenza.
“E chi ti ha fatto il suo nome?
Parla!” si scoprì ad alzare la voce senza che ve ne fosse bisogno.
“Il mio nome è Celaton, Sire.
Stamane un individuo oscuro, di coloro che incutono timore al sol vederli per
il loro aspetto tetro, mi ha fermato sulla via che stavo percorrendo. Non
poteva che essere uno stregone, Sire, lo percepivo dai suoi gesti e dal suo
sguardo. Mi ha fermato con una sola parola. Mi ha detto di dirigermi a Camelot
e conferire con voi, Vostra Altezza. Mi ha ordinato di portarvi questo. Non ho
potuto rifiutarmi! Aveva degli occhi, principe Arthur, degli occhi che io lo
so, mi avrebbero trafitto se gli avessi disubbidito!” raccontò terrorizzato
porgendo, con mani tremanti, l’oggetto celato dal pesante velo. Arthur lo
afferrò guardando il viandante negli occhi. Non v’era dubbio che ciò che
raccontava fosse il vero: quelli erano gli occhi di chi è troppo terrorizzato
dalla realtà per osare celarla con patetiche menzogne.
Arthur levò con un gesto
nervoso la stoffa che nascondeva l’oggetto.
Uno specchio.
Uno specchio dalla cornice di
un dorato che un tempo aveva sicuramente avuto foggia più curata e preziosa. La
superficie speculare era corrosa dagli anni, e Arthur vi vide la propria faccia
corrucciata deturpata dalle chiazze del tempo sulla sua superficie.
Se lo rigirò tra le mani in uno
studio frettoloso e vide incise sul retro dello specchio queste parole: “Non v’è condanna più dolorosa del vedere.
Non v’è agonia peggiore nel non poterlo fare.”
“Che cosa significano queste
parole?! Perché mi hai portato uno specchio?!” lo aggredì frustrato.
Che senso aveva portargli uno
specchio? Come questo avrebbe potuto condurlo da Merlin?
“No… no… no, io non so nulla
mio signore! Non oserei mai mentirvi! Non ho avuto l’ardire di vedere ciò che
era destinato a Voi… lui… lui l’avrebbe scoperto, e mi avrebbe ucciso, lo so!
Non mi ha detto nulla sullo specchio! Mi
ha solo detto di portarvelo e di riferirvi un messaggio!” si giustificò
terrorizzato Celaton accasciandosi maggiormente a terra.
“Che messaggio?” lo interrogò
nuovamente con voce autoritaria.
“ ‘Gli occhi dorati di Merlin possono contro di me come la vostra spada
può contro il vento’ non ha detto altro Sire! Vi imploro di credermi!” e
Arthur gli credette.
Ebbe un vago senso di
vertigine, ma si impose di non vacillare.
Come sospettava, chi aveva
portato via Merlin sapeva e, peggio
ancora, sapeva come neutralizzare i suoi poteri.
Arthur si volse quindi verso le
guardie ed ordinò loro:
“Portatelo dal cerusico di
corte. Assicuratevi che si prenda cura di lui, che riposi.”
Poi, si rivolse al viandante.
“Riposati. In seguito voglio
che tu riferisca a Gaius tutto quello che hai detto a me. Dove hai incontrato
quell’uomo?” domandò cercando di modulare la voce. Celaton era evidentemente
sconvolto e terrorizzato dall’incontro nella mattinata. Urlare contro di lui
non aveva alcun senso né, tantomeno, ve ne era ragione.
“Sì, sì, mio signore, grazie!
Quell’ uomo… era sul sentiero per il nord… oltre la foresta sulla strada per
giungere al Lago delle Grotte. Era lì, mio signore.” spiegò, e i suoi occhi si
riempirono di panico al sol ricordare.
“E rammenti in che direzione
andava?” continuò sperando che il viandante non perdesse definitivamente il
senno.
“No… no, mio signore… era lì…
lì come se mi aspettasse… come se aspettasse proprio me! E poi… poi mi ha
mandato a Camelot… ed io… io non ho avuto il coraggio di voltarmi Sire. Non so
dove egli fosse diretto… perdonatemi… perdonatemi” ansimò. Dopodiché, Arthur,
vide il fragile filo che teneva la mente dell’uomo legata al razionale
spezzarsi ed egli cominciò a delirare in preda al panico.
“Portatelo da Gaius.” ordinò
nuovamente guardando Celaton dimenarsi in preda al delirio.
Arthur non poté impedire ad un
brivido di frustargli la schiena.
Osservò di nuovo lo specchio ed
una sola, angosciante, domanda riempiva tuonando la sua mente:
che cosa ti sta facendo?
Poco prima della
quarta veglia diurna, Arthur si recò dal vecchio cerusico di corte.
Il manipolo di cavalieri era da
poco tornato dalla ricognizione a sud, portando null’altro se non capi chini e
sguardi bassi in risposta ad una domanda che egli non aveva più la forza di
pronunciare.
La notizia del ritorno dei
cavalieri anzitempo a causa di una violenta tempesta estiva gli aveva dato il
pretesto che cercava per congedarsi dalla tediosa riunione a cui il padre
l’aveva costretto.
Il re gli aveva imposto di
adempiere alle incombenze più banali che lo tenevano impegnato al castello ed
egli non si era sentito di non accontentarlo: accondiscendere a queste piccole
richieste significava evitare pesanti ripercussioni che sarebbero ricadute
sulle ricerche, nel caso l’avesse contrariato più del lecito.
Dopo aver ricevuto le solite
inconcludenti notizie, si era così diretto dal cerusico portando con sé lo
specchio.
Celaton riposava sedato nelle
stanze di Gaius, non aveva più detto nulla di coerente ed erano serviti due
cavalieri per tenerlo fermo mentre il cerusico gli somministrava le erbe che
sarebbero servite a calmarlo.
Arthur non aveva commentato
quando Gaius gli aveva riferito l’accaduto, eppure il medico gli aveva posato
una mano sulla spalla, quasi leggesse nei suoi pensieri, ed aveva cercato di
tranquillizzarlo:
“Merlin è ben diverso da
quest’uomo, Sire.” gli disse solo, eppure Arthur non poté che annuire cercando
di convincersene.
“Egli sa dei suoi poteri”
rispose semplicemente, guardandolo negli occhi. Gaius fissò quelle iridi cielo
così tremendamente serie con cipiglio preoccupato.
Chiuse rapidamente la porta del
suo laboratorio e afferrò l’erede al trono per un braccio.
“Ne siete assolutamente certo?”
“Temo di sì, Gaius. Quell’uomo
mi ha informato che l’individuo che gli ha ordinato di venire qui gli ha anche
comandato di riferirmi che le iridi dorate di Merlin possono contro di lui come
la mia spada può contro il vento” ripeté rassegnato.
“Come sospettavamo. Se
quest’uomo sa di Merlin, avrà trovato un modo per catturarlo prima che lui
usasse la magia” improvvisamente Arthur vide Gaius più vecchio di quanto non
fosse mai sembrato. Stancamente si era seduto su una sedia e aveva sepolto il
viso nelle mani tremanti e rugose.
Il suo vecchio cuore, pieno di
ferite dolorose, non avrebbe retto alla perdita di colui che considerava nulla
di meno che un figlio.
La sua lunga esperienza gli
aveva costruito una robusta corazza. Aveva imparato negli anni a non riporre
fiducia in altri con troppa leggerezza, gli aveva insegnato a tenere i piedi
ancorati saldamente alla terra e a vedere le cose con il giusto distacco.
Eppure in quei giorni aveva
sperato e temuto, come se il passato non gli avesse insegnato nulla.
Ma ora, la certezza che
quell’uomo sapeva di Merlin, del suo dono, che sapeva come annullarlo, lo
travolgeva, devastante, come una pioggia di vetri.
Prepararsi prima al peggio non
sarebbe servito a nulla.
Prepararsi non avrebbe reso la
conclusione di quella tragica faccenda più sopportabile, meno straziante.
Perché ormai ne era certo… non
l’avrebbero mai trovato.
E in cuor suo era così
dolorosamente certo che se anche l’avessero trovato, non avrebbero potuto
rivolgere null’altro che un triste requiem ad un corpo freddo che mai avrebbe
risposto alle loro parole, né asciugato le loro lacrime.
E questo sarebbe stato troppo
per il suo vecchio e stanco cuore.
In quel silenzio il principe
lesse i suoi stessi sensi di colpa.
Lesse la sua preoccupazione.
La sua stessa paura.
E lo vide addolorato e distrutto
come un padre che perde un figlio.
E da uomo rude qual’era, egli
non seppe cosa dire per sollevargli l’animo.
Solo si avvicinò ed estrasse lo
specchio che gli era stato consegnato.
Non credeva fosse
oggettivamente utile alle ricerche, ma sentiva di dover dare a Gaius qualcosa a
cui aggrapparsi, qualcosa per non perdere la speranza.
“Celaton mi ha consegnato
questo, da parte di quell’uomo. Sai di cosa potrebbe trattarsi?” Gaius osservò
l’oggetto e lo prese con mani poco ferme, guardando poi il principe con sguardo
confuso.
“Uno specchio?”
“Così pare. Tuttavia, guarda
l’incisione sul retro.”
Il cerusico si alzò dalla sedia
e ubbidì, leggendo a mezza voce le parole impresse nella vecchia doratura,
sfiorandole con le mani come se potessero rivelargli qualcosa.
“Hai mai visto una cosa del
genere?” domandò Arthur.
“Sembra uno specchio comune,
Sire – constatò il vecchio medico, rigirandoselo tra le dita – non vi ha detto
null’altro il viandante?”
“Niente di più di quello che ti
ho riferito. Ma nemmeno lui sapeva qualcosa. Ha scoperto che si trattava di uno
specchio solo quando l’ha consegnato a me.”
“Capisco.”
Forse vi era ancora speranza.
Se veramente Merlin fosse morto non avrebbe certo avuto senso mandare un
oggetto che spronasse il principe a cercare.
E il cerusico si aggrappò con
l’anima a questa flebile e traballante speranza.
Dovevano crederci, dovevano
crederci con tutte le loro forze.
Gaius sembrava aver ripreso un
po’ di quella saggia energia che lo esortava ad analizzare freddamente la
situazione, senza farsi intimorire. E Arthur non poteva che sentirsene
sollevato.
“Se il rapitore è uno stregone,
come temiamo, è probabile che abbia incantato lo specchio” constatò l’anziano.
“A quale scopo?” domandò il
principe, aggrottando le sopracciglia.
“Gli scopi per cui potrebbe
utilizzarlo sono molteplici. Le superfici riflettenti hanno grande utilizzo
nella magia, Sire. Sono in grado di smascherare incantesimi di camuffamento,
sono finestre su altri luoghi, possono creare potenti illusioni e così a discorrere.”
“Ma questo specchio non mostra
nulla se non quello che ogni altro specchio mostra!” osservò Arthur
nervosamente.
“Sire, bisogna analizzarlo con
cura: se ci è stato mandato, un motivo ci sarà, ne sono certo. Forse noi non vi
possiamo vedere nulla, ma ciò non
implica che lui non possa vedere noi attraverso esso. Vi raccomando prudenza,
tenetelo coperto finché non avremo la certezza di quale sia la sua funzione.”
Detto questo, rivolse la
superficie riflettente verso il basso, poggiandolo sul massiccio tavolo da
lavoro.
Arthur annuì.
Gaius si diresse verso la
libreria estraendo grossi tomi che il principe aiutò a trasportare fino al
tavolo.
“Se non vi dispiace, Sire, io
comincerei le ricerche” fece per congedarlo, poggiandosi sul naso gli occhiali e
avvicinando ai tomi un cero.
“Dimmi cosa cercare. La
tempesta rende proibitivo uscire e se devo annoiarmi, tanto vale farlo facendo
qualcosa di utile” così disse e si sedette, prendendo un libro dalla pila.
“Ne siete sicuro? Sarà un
lavoro estremamente lungo, che richiede pazienza” lo avvertì con espressione
perplessa. Vedere Arthur chino sui tomi era un contrasto tanto stridente tanto
quanto vedere Merlin in armatura che stringeva una spada in mano.
“Non vedo cosa ci sia di
impossibile!” rispose piccato aprendo un grosso volume. Le sue sopracciglia si
aggrottarono quando il principe si scontrò con le rune.
“Merlin riesce davvero a
leggere questa roba?! Mi chiedo cosa ci trovi di interessante per passare
veglie su questi segni!” chiese scettico osservando le pagine con vaga aria
disgustata.
“Curioso, Merlin si pone la
stessa domanda quando impugnate la spada e fendete il nulla per veglie intere”
rispose pacato, prendendo il libro dalle mani di Arthur per sostituirlo con quello che stava leggendo
lui.
Un libro senza rune.
“Cercate immagini di specchi o
informazioni su specchi incantati” gli suggerì con un sorriso paziente, di
quelli che si rivolgono ai bambini quando si cerca loro di spiegare qualcosa.
Arthur si limitò ad uno sguardo
vagamente infastidito per quell’osservazione.
Passarono ore intere ad
analizzare ogni singola pagina, ogni singola informazione riguardante specchi.
Ma nessuna di esse sembrava dar
loro una spiegazione esaustiva.
Gli specchi, come aveva
anticipato Gaius, avevano ampio utilizzo nella magia, e nulla in quel vecchio
cimelio lasciava intendere una predisposizione per un utilizzo piuttosto che
per un altro.
Nei brevi momenti di pausa, per
sgranchirsi le gambe e dare tregua agli occhi, Arthur si alzava e osservava
fuori dalla piccola finestra la furia degli elementi che imperversava. Il
giorno dopo il padre l’avrebbe sicuramente mandato a controllare la situazione
dei campi delle varie zone colpite, a verificare i danni provocati dal vento.
Eppure non poteva smettere di
pensare che la cosa che lo preoccupava di più era che Merlin poteva essere da
qualche parte lì fuori, ferito, stremato, con la pioggia che sferzava il suo
esile e pallido corpo.
Si impose di non indugiare
oltre nei suoi pensieri funesti e concentrò la sua attenzione sui vecchi tomi
nella speranza di sgombrare la mente.
Le candele si consumarono, gli
occhi si arrossarono.
La luna sorse gloriosa in un
cielo ormai sgombro da nubi.
Gaius poggiò con mano stanca
gli occhiali sul tavolo e si massaggiò esausto gli occhi.
Chiuse il tomo e, senza
esitazioni, ne prese un altro.
Non aveva intenzione di
fermarsi.
Non poteva, o avrebbe ripreso a
pensare, a temere, a disperare.
Arthur si alzò per l’ennesima
volta, camminando avanti e indietro per la stanza reggendo il grosso libro tra
le mani, continuando a leggere.
Il vecchio cerusico non poté
non sorridere: il principe era il classico tipo d’azione, poco incline a
consultare i libri e molto più incline ad impugnare una spada per risolvere i
problemi, eppure egli piegava la sua indole su delle vecchie pagine solo per
Merlin.
Camminava avanti e indietro
perché stare seduto per veglie intere era impossibile per lui.
Ma leggeva e cercava e
consultava.
Con pazienza, senza lamentarsi,
senza mai sospirare.
Era così cambiato, Gaius lo
vedeva, lo sentiva.
E sperò con tutto se stesso che
Merlin potesse vedere quanto era riuscito a scrostare la corazza da borioso
principe, vedere quanto egli, sì, nessun altro se non Merlin, era riuscito a tirar
fuori dall’arroganza il principe maturo e umano che vedeva di fronte a sé
adesso.
Soffermò lo sguardo sull’erede
al trono ancora per un secondo poi aprì il nuovo tomo.
Passarono pochi minuti e il
vecchio cerusico sobbalzò quando Arthur sbatté con violenza il libro che aveva
in mano sul tavolo.
“Ora basta!” sbottò.
“Sono due veglie che leggiamo e
cerchiamo! Non abbiamo trovato nulla! Nulla!
Questi libri non ci stanno dicendo alcunché di utile! Non abbiamo trovato né
troveremo niente! È un futile, banale ed inutile specchio! E quel figlio di
cagna ce l’ha mandato solo per farsi beffe di noi!” sbraitò, scaraventando il
libro a terra. Gaius non interferì con il suo sfogo. Era conscio che se lui per
liberarsi dalla frustrazione, dall’ansia, dal timore avvertiva il bisogno di
consumarsi gli occhi sui libri, per Arthur non era così.
La tortura peggiore per il
principe era la totale impossibilità di agire. Da tipo sanguigno qual’era egli
trovava sollievo nell’ammazzarsi di fatica sulla terra battuta del campo
d’allenamento.
“Ma lo troverò. Giuro sul mio
nome e sul mio onore che lo troverò e quel sadico porco imparerà a caro prezzo
che non è saggio far arrabbiare un Pendragon! E se ha osato solo torcergli un capello sarò io stesso a decapitarlo sul
patibolo dopo che avrà saggiato le segrete per giorni senza acqua né cibo!”
continuò con inaudita rabbia.
“Ogni ferita che troverò sul
corpo di Merlin, sia essa una puntura di spina o un semplice livido, la pagherà
con dieci frustate! Rimpiangerà ogni singolo giorno della sua patetica e
miserabile vita!” sibilò infine.
“Sire, io sono solo un povero
vecchio, ma se mi è concesso vorrei chiedervi una cortesia” lo interruppe
infine il medico di corte.
“Sarebbe?” alzò un sopracciglio
perplesso.
“Le mie mani sono troppo deboli
per impugnare una frusta, tuttavia vi chiedo il permesso di somministrargli
qualche mio preparato dagli effetti interessanti” e, seppur stanco, esibì l’ombra di un sorriso
divertito.
Il principe si calmò e sorrise
a sua volta, poggiando una mano sulla spalla del vecchio cerusico.
“Andate a riposare, principe, o
i vostri occhi saranno troppo stanchi per poter cercare domani” gli suggerì
Gaius andando a sedersi nuovamente sulla vecchia e cigolante sedia.
“Non finché non mi garantirai
che farai lo stesso.”
“È l’unica cosa che posso fare,
Sire. A voi il compito di cercarlo tra i boschi, a me quello di cercarlo tra le
pagine” si giustificò.
“Certo, Gaius. E pretendo che
tu adempia a questo tuo compito in maniera impeccabile. Per questo ti ordino di
riposare. O i miei occhi non saranno i soli troppo stanchi per vedere ad un
palmo dal naso” ordinò con categorica premura.
“Come desiderate” chiuse il
tomo per dare prova della propria intenzione di ubbidire. Il principe,
soddisfatto, fece per allontanarsi, ma il cerusico lo fermò.
“Aspettate – prese da uno degli scaffali una piccola
boccetta – prendete tre gocce prima di coricarvi. Non fanno miracoli, ma vi
concederanno un po’ di riposo.”
Gaius conosceva troppo bene gli
effetti di un sonno agitato e sapeva che il principe non godeva del giusto
riposo da tempo. Non dormire logora i nervi, indebolisce lo spirito e affatica
il corpo. E i suoi occhi seppur anziani, avevano visto le occhiaie sempre più
profonde, i movimenti più pesanti, i nervi sempre più tesi.
Arthur le accettò e se ne andò
senza aggiungere altro, portando con sé lo specchio.
Era esausto, eppure sapeva che,
probabilmente, solo le gocce del cerusico lo avrebbero consegnato realmente tra
le braccia del sonno. Da troppe notti l’ansia gli uccideva il riposo ed era
grato a Gaius per aver notato la cosa senza commentare.
Raggiunse le sue stanze
illuminate da un caldo fuoco. La tempesta aveva portato con sé il freddo e i
muri di pietra non erano certamente conosciuti per la loro capacità di
mantenere le stanze particolarmente calde. Alla luce delle fiamme Arthur prese
nuovamente tra le mani lo specchio.
Lo conosceva a memoria… in
quelle ore lo aveva guardato, osservato, toccato, studiato. Ed ogni volta lo
riprendeva in mano, sperando di notare qualcosa che gli era sfuggito in
precedenza.
Ma quello, rimaneva nulla e
null’altro se non un comune specchio.
Sospirò massaggiandosi
nuovamente gli occhi in quel gesto tanto abituale quando era stanco e nervoso e
che mai aveva fatto tante volte come in quei tredici giorni.
Lo osservò nuovamente. Quelle
parole, le lesse a mente di nuovo. Una, due, tre volte.
Suonavano come una minaccia,
come una beffa crudele.
“Non v’è condanna più dolorosa del vedere. Non v’è agonia peggiore nel
non poterlo fare” lesse infine a voce alta. E sospirò, senza capire,
nuovamente, cosa volessero dire.
Era in procinto di alzarsi e
gettare lo specchio da qualche parte, ormai convinto della sua inutilità
quando, notò la superficie prima opaca, ma comunque riflettente, scurirsi come
se denso fumo nero la stessero divorando.
“Ma cosa…” il fumo nero nello
specchio si addensò poi, lentamente, si diradò.
Ma non era la propria immagine
che veniva rimandata ai suoi occhi azzurri.
“Merlin!”
Continua…