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Autore: MelKaine_Iceriel    06/08/2009    2 recensioni
Merlin è scomparso. Arthur non riesce a darsi pace. E dopo giorni e giorni di ricerche, un viandante terrorizzato gli consegna uno specchio destinato a lui con incise inquietanti parole: “Non v’è condanna più dolorosa del vedere. Non v’è agonia peggiore nel non poterlo fare.”
Genere: Romantico, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Altro Personaggio, Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Primo capitolo di questo delirio!*_*

Spero vi piaccia! Ci ho messo tuuuuuutto il mio impegno!:3 E buona parte del mio sadismo. Dico buona parte perché il peggio deve ancora arrivare!<3

Baci, Iceriel

Corretta con Mel!^^

Scritta per la challenge Imago Magica Challenge @merlin_italia. Ispirata al prompt numero 1.

 

Endless Night

Capitolo I

 

Gettò con uno scatto nervoso la spada sullo scranno di legno nelle sue stanze.

Con passo inquieto prese a percorrere avanti e indietro la consumata pelliccia che fungeva da tappeto.

Quando, quel pomeriggio di tre giorni prima, Merlin si era allontanato per raccogliere delle erbe per Gaius, egli non l’aveva fermato né seguito.

Il mago spesso si allontanava per procurare al vecchio cerusico gli ingredienti per i suoi medicamenti mentre il principe si dilettava con la caccia, e mai vi era stato motivo per Arthur di preoccuparsi o temere per la sua incolumità, perché egli sapeva che il suo servitore era in grado di difendersi come nessun’altro era in grado di fare.

Ma quel giorno era stato diverso.

La caccia si era conclusa da ormai un pezzo e Merlin ancora non era tornato nella radura stabilita.

Arthur si era detto, non senza un brivido d’inquietudine, che avesse faticato a  trovare le erbe che cercava.

Poi il sole aveva compiuto un altro mezzo arco ed il principe aveva cominciato a camminare nervosamente per la radura, inveendo contro quel dannato servo che osava farlo aspettare così tanto.

Aveva mandato due cavalieri a cercarlo nel bosco, ma questi erano tornati senza alcuna notizia.

E l’inquietudine era aumentata.

Aveva dato ordini precisi agli uomini di cercarlo ovunque, egli avrebbe fatto lo stesso.

Aveva quindi cercato in ogni angolo della foresta, in ogni dirupo e grotta, tra il sottobosco e i cespugli.

Aveva urlato il suo nome tanto da sentire la gola raschiare.

Aveva seguito le sue tracce tra le felci e su per il sentiero che portava oltre la collina, e le aveva viste sparire improvvisamente.

Non un brandello dei suoi abiti, non una traccia, un segno, un indizio.

 

Semplicemente Merlin era scomparso.

 

Inghiottito da quella foresta che conosceva tanto bene quanto le mura di Camelot.

Sparito, come sparisce la nebbia al sole.

Ed ora era lì, nelle sue stanze a rimuginare sul nulla più totale, perché nulla era quello che aveva in mano.

Non aveva un indizio, un sospetto.

Nulla.

Solo di una cosa era certo: Merlin non se ne era andato di sua spontanea volontà.

Non così, non senza motivo, non senza una parola.

Qualcuno o qualcosa doveva averlo necessariamente condotto via.

Qualcuno di abbastanza forte o potente da sopraffare il potere che scorreva nelle sue vene.

E rabbrividì al solo pensiero di cosa costui ne avrebbe fatto di Merlin.

Perché ne era certo: chiunque avesse preso Merlin l’aveva fatto sapendo chi egli fosse.

E in quell’epoca dove suo padre osteggiava gli stregoni, in quei tempi in cui ancora tra le mura riecheggiavano le urla di coloro che per lo stesso dono di Merlin erano finiti alla tortura, in quei tempi dove un mago, il più potente e incredibile, stando a Gaius, si alleava con il figlio del tiranno e lo aiutava, in quei tempi in cui erano l’uno la spalla dell’altro…

l’uno la metà dell’altro…

… in quei tempi, qualcuno, il cui dolore si era trasformato in follia, avrebbe facilmente trovato in Merlin un traditore.

Ed avrebbe cercato vendetta.

Non gli era difficile immaginare come Merlin avesse potuto essere scoperto.

Lo ricordava quel giorno in cui il suo servo aveva cercato di spiegargli che i maghi sentono la magia, sentono quando viene usata.

“Ma come fai a sentire la magia?!” aveva chiesto scettico. Gli pareva impossibile poter avvertire qualcosa del genere.

“Esattamente come fate voi a sentire che qualcuno vi sta per sferrare un fendente nel vostro angolo cieco. Lo sentite! Allenamento, talento, pratica, intuito, istinto… non so… forse un insieme delle cose… ma lo sentite.”

 

Si passò la mano sugli occhi, sospirando spossato, esausto.

Afferrò malamente la spada e prese il suo posto sullo scranno. Se la rigirò distrattamente tra le mani, con lo sguardo perso nel nulla, vagando con la mente.

Cercava col pensiero, pensava a dove non aveva guardato o guardato troppo poco, ripensava ai sentieri battuti e ad alcuni che magari erano nascosti.

Ma nulla.

Gettò con malcelata collera la spada a terra e seppellì il viso tra le mani.

Non si era mai sentito tanto frustrato.

Mai in vita sua si era sentito così completamente e inevitabilmente inutile.

Non sapeva dove cercare o chi cercare.

Aveva un pugno di supposizioni e nemmeno un briciolo di certezze.

Si alzò, incapace di restare fermo oltre, e andò alla finestra scrutando Camelot e le morbide colline all’orizzonte, chiedendosi, di nuovo:

dove sei?

E ancora le colline e le fronde tacquero, custodendo gelosamente un segreto che stava portando alla follia il giovane principe.

Non seppe dire quanto tempo esattamente rimase immobile a fissare la foresta, scrutandola e sondandola con gli occhi, quasi veramente avesse potuto scorgere da un momento all’altro Merlin emergere indenne dal sentiero.

Il sole era calato abbastanza da tingere di dorato le cime degli alberi quando egli udì bussare.

“Avanti” e lo disse con voce così stanca e rassegnata che stentò a riconoscersi.

“Arthur?” la voce preoccupata di Morgana lo fece voltare.

“Morgana” la salutò senza entusiasmo, dirigendosi verso il tavolo e versando una coppa di acqua che poi le porse.

Lei rifiutò, scuotendo la testa senza prestarvi troppa attenzione.

“Avete trovato qualcosa?” domandò con una punta di timore e con malcelata ansia.

“Niente – rispose lapidario – non una traccia, un segno, un indizio. Niente. Come se davvero Merlin fosse sparito nel nulla!” sbraitò, quasi. Morgana non aggiunse altro.

Lo guardò passarsi una mano tra i capelli e osservò, nuovamente, le occhiaie che  cerchiavano i suoi occhi blu.

Non poteva dirgli “Stai tranquillo, sono sicura che sta bene, che lo troverete” perché Arthur non meritava una bugia così grande.

Anch’ella sapeva fin troppo bene che più passavano le veglie e meno vi era possibilità di trovarlo.

Eppure il giovane Pendragon non smetteva di cercare, pur sapendo ciò, egli cercava. E dirgli che  tutto si sarebbe sistemato, che non v’ era nulla di cui preoccuparsi, che Merlin stava bene, era come insultare il suo disperato impegno.

“Perché sei qui, Morgana?” le chiese.

“Uther vuole vederti” e lo disse in un sussurro, lanciandogli uno sguardo che lasciava ad intendere che il re non desiderava conferire con lui per amor della conversazione.

“Sì, certo… ” si diresse verso la porta della sua stanza, ma Morgana lo fermò.

“Non intenderai dargli ascolto, vero Arthur? Tu… continuerai a cercarlo, al diavolo cosa dice tuo padre, giusto?” e lo disse con un sorrisetto complice, di chi sapeva che aveva di fronte qualcuno maturo abbastanza da saper prendere le proprie decisioni incurante di ciò che il padre pensasse e gli ordinasse.

E Arthur le sorrise, a sua volta.

Un sorriso ben lontano dall’arrogante ghigno di superiorità che era solito esibire. Un sorriso stanco e frustrato.

Ma sicuro e determinato.

“Non temere, ho già pensato a cosa dirgli. Questa volta la sua ossessione volgerà a nostro favore. Troverò Merlin. E come è vero che mi chiamo Arthur, nulla di quello che farà o dirà mi impedirà di continuare le ricerche” chiuse la porta dietro di sé, lasciando nella stanza una Morgana ugualmente preoccupata, ma mai tanto orgogliosa del futuro re di Camelot.

 

Arthur sospirò profondamente spalancando il portone della sala delle udienze ed entrandovi.

Suo padre camminava nervoso di fronte al suo regale scranno.

“Mi avete fatto chiamare, padre?”

Il re si fermò e si diresse verso di lui con passo deciso, la fronte corrucciata e gli occhi iracondi.

“ Arthur! Non tollero che i cavalieri migliori di Camelot perdano il loro tempo cercando uno sguattero che probabilmente è stato sbranato dai lupi! Interrompi questa futile ricerca e pensa ad allenare gli uomini!” sentenziò con austerità fermandosi a pochi passi da lui.

La parola del re era una ed una soltanto.

Uther si voltò  e si sedette sul suo trono.

La sua parola era definitiva ed egli considerava chiusa la discussione.

Ma lo stesso non poteva essere detto per Arthur.

“Padre, Merlin non è stato sbranato dalle belve. Non v’è traccia alcuna. Egli è scomparso” spiegò fermo e deciso, intenzionato a non lasciarsi piegare.

“Qualunque sia il motivo della sua misteriosa sparizione egli è solo un servo! Un futuro re come te deve capire cosa è e cosa non è importante! Non sono solito ripetermi due volte, Arthur. La vita del principe e la sicurezza di Camelot sono più preziosi di uno sguattero. Ti ordino di interrompere seduta stante le ricerche e di adempiere ai tuoi compiti di principe e di cavaliere!” ripeté alzando il tono della voce.

“È della sicurezza di Camelot, padre, che io mi sto curando” proseguì senza perdere la calma.

“Cosa intendi dire?” lo sguardo del re di Camelot si fece indignato ed egli si sporse in avanti all’improvviso incuriosito dalle parole dell’erede.

“Riflettete bene, padre. Merlin è il servo del principe ereditario ed in quanto tale, volente o meno, egli conosce molte informazioni riguardanti la famiglia reale” insinuò con estrema naturalezza.

“Un tradimento dunque!” ed i suoi occhi si illuminarono.  Sembrava quasi che Uther godesse in qualche modo perverso nello scoprire tradimenti ed intrighi, quasi questo significasse che Camelot, ed egli stesso, fossero tanto potenti da scatenare invidie e rancori.

“No padre, la fedeltà di Merlin è stata messa duramente alla prova ben più di una volta. Gli affiderei la mia vita. Ma altri potrebbero avere un interesse in lui proprio per la sua posizione. Ritengo possa essere stato rapito nel tentativo di scoprire i nostri punti deboli” puntualizzò con estrema diplomazia. L’ultima cosa che poteva rischiare era che Uther sospettasse di un tradimento da parte di Merlin.

“Un complotto, quindi?” realizzò.

“Voi stesso mi avete sempre ripetuto che i nemici di Camelot sono molti e in perenne agguato. Trovando Merlin, padre, potremmo evitare un probabile attacco ai danni della città.”

“Sono molto orgoglioso di te, figliolo. Cominci a pensare come un re” si alzò posando una mano sulla spalla del figlio.

“Scova dove tengono prigioniero il ragazzo, Arthur, ma ricordati: catturare i cospiratori ha la precedenza sulla vita del tuo servo, mi sono spiegato?” lo ammonì serio, conoscendo l’inclinazione del figlio a badare troppo poco al bene del popolo e troppo al singolo elemento da cui il popolo era formato.

“Sì, padre” e detto questo venne congedato dal re ed uscì dalla stanza, chiudendosi il portone alle spalle e lasciando che un sospiro cacciasse fuori la tensione provata.

Aveva mentito a suo padre, lo sapeva bene.

Sapeva altrettanto bene che la vita di Merlin, in qualsiasi situazione, avrebbe avuto la precedenza su tutto.

Sapeva che molto probabilmente avevano preso Merlin non per il rapporto che aveva con la famiglia reale, ma per quello che egli stesso era.

Per i suoi poteri, per la sua decisione di allearsi con chi, tutt’oggi, osteggiava i suoi doni in maniera tanto crudele.

Ma sapeva anche perfettamente che suo padre non avrebbe tollerato a lungo che egli cercasse con tanta ostinazione quello che per lui non era null’altro che uno sguattero sacrificabile. Ma questa volta non avrebbe avuto né remore né dubbi.

Già in passato aveva esitato, troppo spesso frenato dalla ferma determinazione del padre.

Già in passato, troppe volte, la vita di Merlin e di altri era rimasta sospesa ad un filo a causa della sua titubanza.

Non questa volta.

E si allontanò raggiungendo con passo svelto le stalle, sellando velocemente con mano esperta il suo cavallo e tuffandosi nuovamente in quella foresta di cui ormai conosceva ogni arbusto.

Di nuovo a cercare, fino a che il sole non si coricava dietro le montagne, fino a che le foglie non si chiudevano per la notte, fino a che le cicale non riprendevano a frinire e le lucciole a volare.

Cercare ancora e ancora.

Ma senza mai trovare nulla.

 

I giorni si susseguivano, uno, cinque, dieci e ancora, di Merlin, nessuna traccia.

La frustrazione e la preoccupazione si erano inevitabilmente trasformate in qualcosa di estremamente simile al panico e, di notte, quando la mente era meno lucida e meno soggetta all’autocontrollo, Arthur non riusciva a non pensare che, forse, era veramente troppo tardi.

Che forse non v’era nulla da cercare se non un corpo morto.

E questo sospetto gli appesantiva il petto e gli uccideva il sonno.

Eppure… eppure ogni giorno non poteva non cercare, non poteva non sperare perché, si diceva, se non avesse potuto ritrovarlo vivo, almeno le sue spoglie meritavano tutti gli onori dei grandi cavalieri.

Era da poco passata la terza veglia del giorno quando un cavaliere si presentò nelle stanze di Arthur con un messaggio:

“Sire, c’è un uomo che desidera parlare con voi nel cortile interno del castello.”

“Non ho tempo ora per ascoltare lamentele su campi e sconfinamenti di poche dita. Digli di andarsene.”

“Mio signore, insiste nel parlare con voi. Riferisce che porta nuove riguardo a Merlin.” Senza degnarsi di rispondere Arthur si precipitò fuori, raggiungendo in breve tempo il cortile. Non faticò a riconoscere l’uomo in questione: era uno sparuto individuo imbardato in un logoro mantello con lo sguardo spaesato, l’espressione del viso agitata e a disagio. Arthur notò che stringeva al petto un oggetto ammantato da velluto nero, stoffa assai più preziosa di quella che indossava.

“Parla! Mi dicono che hai notizie del mio servitore!” lo incalzò senza un minimo di tatto.

Non che egli fosse di suo dotato di una grande delicatezza, ma l’apprensione e la fretta gli avevano cancellato la poca cortesia che anni di severe ammonizioni gli avevano conferito.

“Mio… mio signore! – balbetto questi, gettandosi ai suoi piedi – mio signore, io del vostro servo conosco solo il nome!” confessò con il capo chino e voce estremamente concitata,  tinta di timore e reverenza.

“E chi ti ha fatto il suo nome? Parla!” si scoprì ad alzare la voce senza che ve ne fosse bisogno.

“Il mio nome è Celaton, Sire. Stamane un individuo oscuro, di coloro che incutono timore al sol vederli per il loro aspetto tetro, mi ha fermato sulla via che stavo percorrendo. Non poteva che essere uno stregone, Sire, lo percepivo dai suoi gesti e dal suo sguardo. Mi ha fermato con una sola parola. Mi ha detto di dirigermi a Camelot e conferire con voi, Vostra Altezza. Mi ha ordinato di portarvi questo. Non ho potuto rifiutarmi! Aveva degli occhi, principe Arthur, degli occhi che io lo so, mi avrebbero trafitto se gli avessi disubbidito!” raccontò terrorizzato porgendo, con mani tremanti, l’oggetto celato dal pesante velo. Arthur lo afferrò guardando il viandante negli occhi. Non v’era dubbio che ciò che raccontava fosse il vero: quelli erano gli occhi di chi è troppo terrorizzato dalla realtà per osare celarla con patetiche menzogne.

Arthur levò con un gesto nervoso la stoffa che nascondeva l’oggetto.

Uno specchio.

Uno specchio dalla cornice di un dorato che un tempo aveva sicuramente avuto foggia più curata e preziosa. La superficie speculare era corrosa dagli anni, e Arthur vi vide la propria faccia corrucciata deturpata dalle chiazze del tempo sulla sua superficie.

Se lo rigirò tra le mani in uno studio frettoloso e vide incise sul retro dello specchio queste parole: “Non v’è condanna più dolorosa del vedere. Non v’è agonia peggiore nel non poterlo fare.”

“Che cosa significano queste parole?! Perché mi hai portato uno specchio?!” lo aggredì frustrato.

Che senso aveva portargli uno specchio? Come questo avrebbe potuto condurlo da Merlin?

“No… no… no, io non so nulla mio signore! Non oserei mai mentirvi! Non ho avuto l’ardire di vedere ciò che era destinato a Voi… lui… lui l’avrebbe scoperto, e mi avrebbe ucciso, lo so! Non mi ha detto nulla sullo specchio!  Mi ha solo detto di portarvelo e di riferirvi un messaggio!” si giustificò terrorizzato Celaton accasciandosi maggiormente a terra.

“Che messaggio?” lo interrogò nuovamente con voce autoritaria.

‘Gli occhi dorati di Merlin possono contro di me come la vostra spada può contro il vento’ non ha detto altro Sire! Vi imploro di credermi!” e Arthur gli credette.

Ebbe un vago senso di vertigine, ma si impose di non vacillare.

Come sospettava, chi aveva portato via Merlin sapeva e, peggio ancora, sapeva come neutralizzare i suoi poteri.

Arthur si volse quindi verso le guardie ed ordinò loro:

“Portatelo dal cerusico di corte. Assicuratevi che si prenda cura di lui, che riposi.”

Poi, si rivolse al viandante.

“Riposati. In seguito voglio che tu riferisca a Gaius tutto quello che hai detto a me. Dove hai incontrato quell’uomo?” domandò cercando di modulare la voce. Celaton era evidentemente sconvolto e terrorizzato dall’incontro nella mattinata. Urlare contro di lui non aveva alcun senso né, tantomeno, ve ne era ragione.

“Sì, sì, mio signore, grazie! Quell’ uomo… era sul sentiero per il nord… oltre la foresta sulla strada per giungere al Lago delle Grotte. Era lì, mio signore.” spiegò, e i suoi occhi si riempirono di panico al sol ricordare.

“E rammenti in che direzione andava?” continuò sperando che il viandante non perdesse definitivamente il senno.

“No… no, mio signore… era lì… lì come se mi aspettasse… come se aspettasse proprio me! E poi… poi mi ha mandato a Camelot… ed io… io non ho avuto il coraggio di voltarmi Sire. Non so dove egli fosse diretto… perdonatemi… perdonatemi” ansimò. Dopodiché, Arthur, vide il fragile filo che teneva la mente dell’uomo legata al razionale spezzarsi ed egli cominciò a delirare in preda al panico.

“Portatelo da Gaius.” ordinò nuovamente guardando Celaton dimenarsi in preda al delirio.

Arthur non poté impedire ad un brivido di frustargli la schiena.

Osservò di nuovo lo specchio ed una sola, angosciante, domanda riempiva tuonando la sua mente:

che cosa ti sta facendo?

 

Poco prima  della  quarta veglia diurna, Arthur si recò dal vecchio cerusico di corte.

Il manipolo di cavalieri era da poco tornato dalla ricognizione a sud, portando null’altro se non capi chini e sguardi bassi in risposta ad una domanda che egli non aveva più la forza di pronunciare.

La notizia del ritorno dei cavalieri anzitempo a causa di una violenta tempesta estiva gli aveva dato il pretesto che cercava per congedarsi dalla tediosa riunione a cui il padre l’aveva costretto.

Il re gli aveva imposto di adempiere alle incombenze più banali che lo tenevano impegnato al castello ed egli non si era sentito di non accontentarlo: accondiscendere a queste piccole richieste significava evitare pesanti ripercussioni che sarebbero ricadute sulle ricerche, nel caso l’avesse contrariato più del lecito.

Dopo aver ricevuto le solite inconcludenti notizie, si era così diretto dal cerusico portando con sé lo specchio.

Celaton riposava sedato nelle stanze di Gaius, non aveva più detto nulla di coerente ed erano serviti due cavalieri per tenerlo fermo mentre il cerusico gli somministrava le erbe che sarebbero servite a calmarlo.

Arthur non aveva commentato quando Gaius gli aveva riferito l’accaduto, eppure il medico gli aveva posato una mano sulla spalla, quasi leggesse nei suoi pensieri, ed aveva cercato di tranquillizzarlo:

“Merlin è ben diverso da quest’uomo, Sire.” gli disse solo, eppure Arthur non poté che annuire cercando di convincersene.

“Egli sa dei suoi poteri” rispose semplicemente, guardandolo negli occhi. Gaius fissò quelle iridi cielo così tremendamente serie con cipiglio preoccupato.

Chiuse rapidamente la porta del suo laboratorio e afferrò l’erede al trono per un braccio.

“Ne siete assolutamente certo?”

“Temo di sì, Gaius. Quell’uomo mi ha informato che l’individuo che gli ha ordinato di venire qui gli ha anche comandato di riferirmi che le iridi dorate di Merlin possono contro di lui come la mia spada può contro il vento” ripeté rassegnato.

“Come sospettavamo. Se quest’uomo sa di Merlin, avrà trovato un modo per catturarlo prima che lui usasse la magia” improvvisamente Arthur vide Gaius più vecchio di quanto non fosse mai sembrato. Stancamente si era seduto su una sedia e aveva sepolto il viso nelle mani tremanti e rugose.

Il suo vecchio cuore, pieno di ferite dolorose, non avrebbe retto alla perdita di colui che considerava nulla di meno che un figlio.

La sua lunga esperienza gli aveva costruito una robusta corazza. Aveva imparato negli anni a non riporre fiducia in altri con troppa leggerezza, gli aveva insegnato a tenere i piedi ancorati saldamente alla terra e a vedere le cose con il giusto distacco.

Eppure in quei giorni aveva sperato e temuto, come se il passato non gli avesse insegnato nulla.

Ma ora, la certezza che quell’uomo sapeva di Merlin, del suo dono, che sapeva come annullarlo, lo travolgeva, devastante, come una pioggia di vetri.

Prepararsi prima al peggio non sarebbe servito a nulla.

Prepararsi non avrebbe reso la conclusione di quella tragica faccenda più sopportabile, meno straziante.

Perché ormai ne era certo… non l’avrebbero mai trovato.

E in cuor suo era così dolorosamente certo che se anche l’avessero trovato, non avrebbero potuto rivolgere null’altro che un triste requiem ad un corpo freddo che mai avrebbe risposto alle loro parole, né asciugato le loro lacrime.

E questo sarebbe stato troppo per il suo vecchio e stanco cuore.

 

In quel silenzio il principe lesse i suoi stessi sensi di colpa.

Lesse la sua preoccupazione.

La sua stessa paura.

E lo vide addolorato e distrutto come un padre che perde un figlio.

E da uomo rude qual’era, egli non seppe cosa dire per sollevargli l’animo.

Solo si avvicinò ed estrasse lo specchio che gli era stato consegnato.

Non credeva fosse oggettivamente utile alle ricerche, ma sentiva di dover dare a Gaius qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa per non perdere la speranza.

“Celaton mi ha consegnato questo, da parte di quell’uomo. Sai di cosa potrebbe trattarsi?” Gaius osservò l’oggetto e lo prese con mani poco ferme, guardando poi il principe con sguardo confuso.

“Uno specchio?”

“Così pare. Tuttavia, guarda l’incisione sul retro.”

Il cerusico si alzò dalla sedia e ubbidì, leggendo a mezza voce le parole impresse nella vecchia doratura, sfiorandole con le mani come se potessero rivelargli qualcosa.

“Hai mai visto una cosa del genere?” domandò Arthur.

“Sembra uno specchio comune, Sire – constatò il vecchio medico, rigirandoselo tra le dita – non vi ha detto null’altro il viandante?”

“Niente di più di quello che ti ho riferito. Ma nemmeno lui sapeva qualcosa. Ha scoperto che si trattava di uno specchio solo quando l’ha consegnato a me.”

“Capisco.”

Forse vi era ancora speranza. Se veramente Merlin fosse morto non avrebbe certo avuto senso mandare un oggetto che spronasse il principe a cercare.

E il cerusico si aggrappò con l’anima a questa flebile e traballante speranza.

Dovevano crederci, dovevano crederci con tutte le loro forze.

 

Gaius sembrava aver ripreso un po’ di quella saggia energia che lo esortava ad analizzare freddamente la situazione, senza farsi intimorire. E Arthur non poteva che sentirsene sollevato.

“Se il rapitore è uno stregone, come temiamo, è probabile che abbia incantato lo specchio” constatò l’anziano.

“A quale scopo?” domandò il principe, aggrottando le sopracciglia.

“Gli scopi per cui potrebbe utilizzarlo sono molteplici. Le superfici riflettenti hanno grande utilizzo nella magia, Sire. Sono in grado di smascherare incantesimi di camuffamento, sono finestre su altri luoghi, possono creare potenti illusioni e così a discorrere.”

“Ma questo specchio non mostra nulla se non quello che ogni altro specchio mostra!” osservò Arthur nervosamente.

“Sire, bisogna analizzarlo con cura: se ci è stato mandato, un motivo ci sarà, ne sono certo. Forse noi non vi possiamo vedere  nulla, ma ciò non implica che lui non possa vedere noi attraverso esso. Vi raccomando prudenza, tenetelo coperto finché non avremo la certezza di quale sia la sua funzione.”

Detto questo, rivolse la superficie riflettente verso il basso, poggiandolo sul massiccio tavolo da lavoro.

Arthur annuì.

Gaius si diresse verso la libreria estraendo grossi tomi che il principe aiutò a trasportare fino al tavolo.

“Se non vi dispiace, Sire, io comincerei le ricerche” fece per congedarlo, poggiandosi sul naso gli occhiali e avvicinando ai tomi un cero.

“Dimmi cosa cercare. La tempesta rende proibitivo uscire e se devo annoiarmi, tanto vale farlo facendo qualcosa di utile” così disse e si sedette, prendendo un libro dalla pila.

“Ne siete sicuro? Sarà un lavoro estremamente lungo, che richiede pazienza” lo avvertì con espressione perplessa. Vedere Arthur chino sui tomi era un contrasto tanto stridente tanto quanto vedere Merlin in armatura che stringeva una spada in mano.

“Non vedo cosa ci sia di impossibile!” rispose piccato aprendo un grosso volume. Le sue sopracciglia si aggrottarono quando il principe si scontrò con le rune.

“Merlin riesce davvero a leggere questa roba?! Mi chiedo cosa ci trovi di interessante per passare veglie su questi segni!” chiese scettico osservando le pagine con vaga aria disgustata.

“Curioso, Merlin si pone la stessa domanda quando impugnate la spada e fendete il nulla per veglie intere” rispose pacato, prendendo il libro dalle mani di Arthur  per sostituirlo con quello che stava leggendo lui.

Un libro senza rune.

“Cercate immagini di specchi o informazioni su specchi incantati” gli suggerì con un sorriso paziente, di quelli che si rivolgono ai bambini quando si cerca loro di spiegare qualcosa.

Arthur si limitò ad uno sguardo vagamente infastidito per quell’osservazione.

Passarono ore intere ad analizzare ogni singola pagina, ogni singola informazione riguardante specchi.

Ma nessuna di esse sembrava dar loro una spiegazione esaustiva.

Gli specchi, come aveva anticipato Gaius, avevano ampio utilizzo nella magia, e nulla in quel vecchio cimelio lasciava intendere una predisposizione per un utilizzo piuttosto che per un altro.

Nei brevi momenti di pausa, per sgranchirsi le gambe e dare tregua agli occhi, Arthur si alzava e osservava fuori dalla piccola finestra la furia degli elementi che imperversava. Il giorno dopo il padre l’avrebbe sicuramente mandato a controllare la situazione dei campi delle varie zone colpite, a verificare i danni provocati dal vento.

Eppure non poteva smettere di pensare che la cosa che lo preoccupava di più era che Merlin poteva essere da qualche parte lì fuori, ferito, stremato, con la pioggia che sferzava il suo esile e pallido corpo.

Si impose di non indugiare oltre nei suoi pensieri funesti e concentrò la sua attenzione sui vecchi tomi nella speranza di sgombrare la mente.

 

Le candele si consumarono, gli occhi si arrossarono.

La luna sorse gloriosa in un cielo ormai sgombro da nubi.

Gaius poggiò con mano stanca gli occhiali sul tavolo e si massaggiò esausto gli occhi.

Chiuse il tomo e, senza esitazioni, ne prese un altro.

Non aveva intenzione di fermarsi.

Non poteva, o avrebbe ripreso a pensare, a temere, a disperare.

Arthur si alzò per l’ennesima volta, camminando avanti e indietro per la stanza reggendo il grosso libro tra le mani, continuando a leggere.

Il vecchio cerusico non poté non sorridere: il principe era il classico tipo d’azione, poco incline a consultare i libri e molto più incline ad impugnare una spada per risolvere i problemi, eppure egli piegava la sua indole su delle vecchie pagine solo per Merlin.

Camminava avanti e indietro perché stare seduto per veglie intere era impossibile per lui.

Ma leggeva e cercava e consultava.

Con pazienza, senza lamentarsi, senza mai sospirare.

Era così cambiato, Gaius lo vedeva, lo sentiva.

E sperò con tutto se stesso che Merlin potesse vedere quanto era riuscito a scrostare la corazza da borioso principe, vedere quanto egli, sì, nessun altro se non Merlin, era riuscito a tirar fuori dall’arroganza il principe maturo e umano che vedeva di fronte a sé adesso.

Soffermò lo sguardo sull’erede al trono ancora per un secondo poi aprì il nuovo tomo.

Passarono pochi minuti e il vecchio cerusico sobbalzò quando Arthur sbatté con violenza il libro che aveva in mano sul tavolo.

“Ora basta!” sbottò.

“Sono due veglie che leggiamo e cerchiamo! Non abbiamo trovato nulla! Nulla! Questi libri non ci stanno dicendo alcunché di utile! Non abbiamo trovato né troveremo niente! È un futile, banale ed inutile specchio! E quel figlio di cagna ce l’ha mandato solo per farsi beffe di noi!” sbraitò, scaraventando il libro a terra. Gaius non interferì con il suo sfogo. Era conscio che se lui per liberarsi dalla frustrazione, dall’ansia, dal timore avvertiva il bisogno di consumarsi gli occhi sui libri, per Arthur non era così.

La tortura peggiore per il principe era la totale impossibilità di agire. Da tipo sanguigno qual’era egli trovava sollievo nell’ammazzarsi di fatica sulla terra battuta del campo d’allenamento.

“Ma lo troverò. Giuro sul mio nome e sul mio onore che lo troverò e quel sadico porco imparerà a caro prezzo che non è saggio far arrabbiare un Pendragon! E se ha osato solo torcergli un capello sarò io stesso a decapitarlo sul patibolo dopo che avrà saggiato le segrete per giorni senza acqua né cibo!” continuò con inaudita rabbia.

“Ogni ferita che troverò sul corpo di Merlin, sia essa una puntura di spina o un semplice livido, la pagherà con dieci frustate! Rimpiangerà ogni singolo giorno della sua patetica e miserabile vita!” sibilò infine.

“Sire, io sono solo un povero vecchio, ma se mi è concesso vorrei chiedervi una cortesia” lo interruppe infine il medico di corte.

“Sarebbe?” alzò un sopracciglio perplesso.

“Le mie mani sono troppo deboli per impugnare una frusta, tuttavia vi chiedo il permesso di somministrargli qualche mio preparato dagli effetti interessanti”  e, seppur stanco, esibì l’ombra di un sorriso divertito.

Il principe si calmò e sorrise a sua volta, poggiando una mano sulla spalla del vecchio cerusico.

“Andate a riposare, principe, o i vostri occhi saranno troppo stanchi per poter cercare domani” gli suggerì Gaius andando a sedersi nuovamente sulla vecchia e cigolante sedia.

“Non finché non mi garantirai che farai lo stesso.”

“È l’unica cosa che posso fare, Sire. A voi il compito di cercarlo tra i boschi, a me quello di cercarlo tra le pagine” si giustificò.

“Certo, Gaius. E pretendo che tu adempia a questo tuo compito in maniera impeccabile. Per questo ti ordino di riposare. O i miei occhi non saranno i soli troppo stanchi per vedere ad un palmo dal naso” ordinò con categorica premura.

“Come desiderate” chiuse il tomo per dare prova della propria intenzione di ubbidire. Il principe, soddisfatto, fece per allontanarsi, ma il cerusico lo fermò.

“Aspettate –  prese da uno degli scaffali una piccola boccetta – prendete tre gocce prima di coricarvi. Non fanno miracoli, ma vi concederanno un po’ di riposo.”

Gaius conosceva troppo bene gli effetti di un sonno agitato e sapeva che il principe non godeva del giusto riposo da tempo. Non dormire logora i nervi, indebolisce lo spirito e affatica il corpo. E i suoi occhi seppur anziani, avevano visto le occhiaie sempre più profonde, i movimenti più pesanti, i nervi sempre più tesi.

Arthur le accettò e se ne andò senza aggiungere altro, portando con sé lo specchio.

Era esausto, eppure sapeva che, probabilmente, solo le gocce del cerusico lo avrebbero consegnato realmente tra le braccia del sonno. Da troppe notti l’ansia gli uccideva il riposo ed era grato a Gaius per aver notato la cosa senza commentare.

Raggiunse le sue stanze illuminate da un caldo fuoco. La tempesta aveva portato con sé il freddo e i muri di pietra non erano certamente conosciuti per la loro capacità di mantenere le stanze particolarmente calde. Alla luce delle fiamme Arthur prese nuovamente tra le mani lo specchio.

Lo conosceva a memoria… in quelle ore lo aveva guardato, osservato, toccato, studiato. Ed ogni volta lo riprendeva in mano, sperando di notare qualcosa che gli era sfuggito in precedenza.

Ma quello, rimaneva nulla e null’altro se non un comune specchio.

Sospirò massaggiandosi nuovamente gli occhi in quel gesto tanto abituale quando era stanco e nervoso e che mai aveva fatto tante volte come in quei tredici giorni.

Lo osservò nuovamente. Quelle parole, le lesse a mente di nuovo. Una, due, tre volte.

Suonavano come una minaccia, come una beffa crudele.

Non v’è condanna più dolorosa del vedere. Non v’è agonia peggiore nel non poterlo fare” lesse infine a voce alta. E sospirò, senza capire, nuovamente, cosa volessero dire.

Era in procinto di alzarsi e gettare lo specchio da qualche parte, ormai convinto della sua inutilità quando, notò la superficie prima opaca, ma comunque riflettente, scurirsi come se denso fumo nero la stessero divorando.

“Ma cosa…” il fumo nero nello specchio si addensò poi, lentamente, si diradò.

Ma non era la propria immagine che veniva rimandata ai suoi occhi azzurri.

 

“Merlin!”

 

Continua…

  
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