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Autore: T612    24/03/2020    1 recensioni
È scientificamente provato che anche l’organismo apparentemente più perfetto al mondo – con tutte le contraddizioni del caso e le implicazioni scomode delle singole parti – può raggiungere il collasso, basta trascurare un singolo tassello infinitesimale per far strada ad un’infezione così ramificata da poter raggiungere ogni singolo centimetro dell’ospite, spingendo l’anima a ribellarsi ad un corpo asmatico, psicotico e tachicardico.
È semplice, è basilare… è Anatomia, per risolvere il problema basta solo sapere dovere incidere ed intervenire. L’unico dilemma è il chi tiene il bisturi dalla parte del manico.
[Avvertenze: cinematograficamente canonico fino a TWS, Civil War (Comic Verse // Fix-it), “Infinity War/Endgame” sono un miraggio lontano lontano che non scriverò mai.]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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SECONDA PARTE - CERVELLO

 

PSICOSI: Cause
Insonnia, abuso di alcol o farmaci, ferite cerebrali, esperienze traumatiche.





 

Steve si rigirava la tazza di caffè tra le mani contemplando il liquido nero con aria assente cercando di placare il ronzio di fondo che gli bisbigliava all’orecchio, tentando di mettere ordine tra i propri pensieri caotici, quando i suoi piedi avevano improvvisamente perso l'appoggio sulla sedia all'altro capo del tavolino, sollevando lo sguardo sulla fonte di tale disturbo identificando prima una mano di metallo decisamente familiare ancorata allo schienale, ed in seguito il cipiglio indefinito di James mentre prendeva posto di fronte a lui con l'aria di chi era arrivato tardi ad un appuntamento. 

«Cosa diavolo ci fai qui?» lo interpella Steve con tono infastidito dall’interruzione e dalla sorpresa non particolarmente gradita, sfoggiando un atteggiamento diffidente di fronte al compagno d'armi, memore dei moniti sottolineati da sua madre durante il volo aereo fino a Madripoor. «Non dovresti essere qui

A Steve iniziano a prudere le mani di fronte alla consapevolezza che tutti i suoi piani attentamente studiati a tavolino si siano tramutati in cenere con la comparsa dell'uomo… era riuscito nell’ardua impresa di depistare sua madre e le guardie, fuggendo dalla reggia alla ricerca di un po’ di quiete e di un buon caffè, ma evidentemente aveva aspirazioni troppo elevate per venir accontentato dal Cosmo.

«E dove altro dovrei essere se non a calpestare la tua ombra?» ribatte ironico Barnes spezzando il labile filo dei suoi pensieri, portandosi teatralmente la mano di metallo al petto. «Un minimo di gratitudine per rincorrerti in capo al mondo per salvarti il culo sarebbe gradito, sai?»

«Non ho chiesto il tuo aiuto, James.» ribatte piccato, sottolineando il suo nome in un palese indice di fastidio. «Quindi perché sei qui?» 

«Fammici pensare… forse perché sei sparito di punto in bianco e non hai avvisato nessuno della tua vacanza di tre giorni in un posto orrendo come Madripoor? O forse perché sei arrivato qui con la Vedova Zemo?» domanda retorico l'uomo, mettendo in chiaro la situazione per evitare fraintendimenti. «Così, per dirti le prime ipotesi che mi vengono in mente… per caso ti sei dato allo spionaggio e non me l'hai detto? Credevo che il lavoro sporco spettasse a me e Natalia, ne va della credibilità dello scudo-...»

«Puoi piantarla di sparare cazzate?» 

«Okay, la smetto.» si arrende facilmente James sollevando le mani sopra la testa a sottolineare il concetto espresso, diventando improvvisamente serio quando il cipiglio ironico sparisce completamente dal suo volto, lasciando perdere il copione da teatrino passando al lato pragmatico. «Sono solo preoccupato per te Steve, non capisco il perché diavolo sei qui e non sei ancora tornato a casa…» 

«Tornato a casa?» ribadisce Steve con tono sprezzante sottintendendo il fatto che reputasse assurdo il concetto appena espresso, senza comprendere lo stupore di fondo che leggeva nelle iridi ghiacciate dell'agente Barnes. «Io sono a casa, più di quanto lo fossi prima.»

«Il tuo è un discorso che non ha senso, Stevie.» afferma confuso James, rendendosi conto per la prima volta dall’inizio di quella conversazione che il suo non era affatto uno scherzo di pessimo gusto. 

«Il tuo è un discorso che non ha senso, Buck.» ribatte il Capitano Rogers stringendo la tazza di caffè tra le mani, serrando gli occhi con forza per una frazione di secondo vedendo i bordi del proprio campo visivo sfarfallare, visualizzando mentalmente gli occhi nocciola di sua madre e scacciando a forza l'istantanea sporadica di occhi molto simili a quelli di James, che negli ultimi giorni riaffioravano tra i suoi ricordi nei momenti meno opportuni. «Sono qui con mia madre, dove altro dovrei essere?» 

«Madre?» lo riprende il Soldato d'Inverno basito, tamburellando con l'indice di metallo sul bordo del tavolo tradendo una briciola di nervosismo latente. «Le nostre madri sono morte decenni fa, Steve… e sono sepolte a Brooklyn, di certo non qui a Madripoor.»

«Smettila di mentirmi.» sbotta il Capitano irritato, stringendo la tazza di caffè con ancora più forza. «Smettila.»

«Perché diavolo dovrei mentirti su questo? È un dato di fatto.» replica James con espressione sempre più confusa, assottigliando lo sguardo quando intercetta un sospetto fondato ed inizia a seguirlo come un segugio. «Tu stai pensando seriamente che la Vedova Zemo sia tua madre? La bambina dai capelli bianchi ti ha fatto il lavaggio del cervello per caso?» 

«Non essere ridicolo James, il lavaggio del cervello, andiamo.» afferma scettico, spazzando via il mezzo sospiro di sollievo da parte dell'uomo nel giro di una frase. «Credo me ne sarei reso conto altrimenti… e non ti devo nessuna spiegazione, anzi. Elisa mi ha cercato per anni, anni Buck, e voialtri ci avete sempre impedito di riallacciare i rapporti.»

Sua madre era stata chiara in merito e Steve, durante quella intera giornata di volo verso casa, aveva assorbito come una spugna tutti i retroscena che si era perso nei decenni trascorsi nell'Artico, stilando una lista dettagliata di tutte le bugie che gli erano state propinate nel corso degli ultimi otto anni da tutti i membri della sua "famiglia" per tenerlo buono ed impedirgli di riallacciare i rapporti con la donna. 

«Frena un attimo…» mormora James spezzando il respiro, puntandolo con uno sguardo che non prometteva nulla di buono, fomentato da un sospetto ai suoi occhi terrificante che gli aveva fatto serrare la mascella in una morsa dolorosa, articolando la domanda seguente con evidente difficoltà. «Qual è il primo ricordo che hai di me, Steve?» 

«Che domanda idiota è mai que-...» 

«Tu rispondi.» lo zittisce James serrando le dita di metallo sul bordo del tavolino minacciando di lasciarci l'impronta, respirando profondamente per placare la rabbia montante. 

«Londra.» afferma Steve senza ombra di dubbio, mentre il proprio cervello gli ripropone il fotogramma di un James ventisettenne che veniva sbattuto fuori dal pub insieme a Toro e ad una imprecazione accorata del barista che se proprio dovevano menarsi per le attenzioni di una ragazza potevano risolvere la cosa tra loro fuori in strada senza rimetterci mobilia, bicchieri e clienti scontenti. «Tu e Toro avete sempre avuto gusti simili in fatto di donne.»

«Sbagliato.» impreca Barnes tra i denti, confondendolo, mentre un lieve rumore di metallo annuncia che il suo interlocutore aveva appena impresso le proprie impronte digitali sul ripiano in ferro battuto, sollevando lo sguardo per fronteggiare la furia celata nelle iridi dell'uomo… richiamando indietro dai recessi della propria memoria l'istantanea di un bambino di sette anni dagli occhi azzurro ghiaccio che si nascondeva dietro le gonne della madre, scuotendo la testa con forza scacciando l'immagine dalla propria scatola cranica. «Avevi sei anni Stevie, tuo padre era morto da nemmeno un mese.»

«Elisa mi aveva avvertito che avresti provato a confondermi.» ribatte il Capitano con tono di sufficienza, alzandosi in piedi intenzionato ad andarsene e mettere una distanza anche fisica dai dubbi che lentamente si stavano insinuando nel suo cervello, facendo scattare sull'attenti anche James di riflesso. «Non voglio più starti ad ascoltare.»

«No, tu invece mi stai a sentire, forte e chiaro.» proclama il Soldato d'Inverno afferrandolo per una spalla fulmineo, prima ancora di potergli dare la possibilità di compiere un singolo passo. «La tua adorata madre ha fatto in modo di riempirti la testa di segatura, razza di mulo testardo che non sei altro.» 

«Levami la mano di dosso.» lo minaccia Steve strattonandogli il braccio sinistro, tentando di fargli perdere la presa arrancando di un passo indietro con scarsi risultati. 

«Altrimenti che cosa fai?» lo sfida apertamente James, stringendo ancora di più la morsa delle proprie dita. «Mi fai male? La Vedova Zemo ti ha già istruito a dovere sull'arte della tortura?» 

«Non parlare così di mia madre.» 

«Lei non è tua madre!» sbraita il Soldato d'Inverno mentre un incendio divampa in fondo alle sue iridi ghiacciate, furibondo per una motivazione che Steve non riesce ancora bene a capire, trovando ridicolo il suo accanimento nel ripetergli le menzogne che gli aveva raccontato per una vita intera ora che lui aveva scoperto la verità. «Elisa Sinclair è una nazista manipolatrice senza scrupoli, è una delle fondatrici dell'Alto Concilio-…»

«Lei non fa parte dell'Alto Concilio.» ribatte con un sibilo furente per l'insinuazione incresciosa appena pronunciata, rabbrividendo orripilato al ricordo degli scheletri ambulanti che avevano incontrato per sbaglio in Polonia una vita prima [1]... e per quanto Steve desiderasse negarlo era indubbio che nei file del Triskelion il cognome Zemo figurasse tra gli ideatori fondatori, obbligandosi a sorvolare sul fatto che effettivamente sua madre non era invecchiata di un giorno [2] dall'ultima volta che l'aveva vista prima della guerra. «Avrà anche sposato un disertore dell'HYDRA [3], ma non-…»

«Non fanno più esperimenti su cavie umane?» lo interrompe James con il tono di voce venato dalla collera, puntandosi l'indice al petto in un cenno esplicativo. «Cambia il nome, ma non i macellai… la bambina è solo un'altra cavia, non è vero? Ti ha messo lei a soqquadro il cervello, non è così?» 

Il ronzio incessante che Steve aveva avvertito in sottofondo fino a quel momento diventa pian piano assordante, annaspando mentre il sangue sembra andargli al cervello a causa del sovraccarico di informazioni, smembrando il puzzle da mille pezzi che componeva la sua scatola cranica rendendolo incapace di riformare un'immagine coerente, incapace di reagire per mettere James a tacere, permettendogli di continuare a raddrizzare i pezzi del rompicapo a parole, gettando benzina sul fuoco per bruciare i tasselli superflui… ed il cervello di Steve va in ebollizione colando materia grigia, formando una pozza fusa alla base della nuca che non fa che aumentare esponenzialmente il suo mal di testa latente. 

Fa male, Dio se fa male. 

«Elisa Sinclair ha cresciuto il mostro che ha tentato di farci fuori tutti… sono davvero curioso, come ti giustifichi l'esistenza di Zemo Jr, genio?» continua ad infierire James senza demordere, centrando il bersaglio puntando palesemente alla sua soglia di sovraccarico cerebrale, pretendendo da lui una risposta che tarda sempre di più ad arrivare. 

«Non puoi biasimarla per essersi rifatta una vita.» ribatte Steve sforzandosi di confezionare una scusa plausibile, soffermandosi solo in quel preciso momento sulla deduzione logica di aver davanti l'assassino del suo fratello adottivo, boccheggiando a vuoto preso in contropiede dalla consapevolezza improvvisa. «Tu hai ucciso mio fratello…»

«No, Zemo ha provato ad uccidere me, tuo fratello, insieme a Natalia, Sam, Stark e la tua dolce metà… c'è una sottile differenza.» lo schernisce Barnes rimarcando su quelle lacune mentali che sua madre non aveva saputo colmare e così su due piedi Steve non sapeva giustificare, offrendogli su un piatto d'argento l'arma perfetta con cui stroncarlo. «Ti concedo di dubitare di me, ma non puoi dubitare di Sharon.»

«Perché no?» replica istintivo con tono amaro, vacillando con lo sguardo accusando il colpo quando realizza l’implicazione chiamata in causa, ammettendo a sé stesso che Sharon era tante cose, ma non una bugiarda… distraendosi concedendosi un breve respiro di sollievo quando vede James abbassare lo sguardo allarmato sul proprio petto, identificando il pallino rosso di un puntatore laser. «Buck…?»

«Sono stati veloci…» mormora l'uomo perdendo la presa sulla sua spalla, scansandosi appena in tempo per evitare la pallottola al petto deviando la traiettoria sul braccio sano, sollevando lo sguardo sul suo cecchino appena in tempo per vederlo crollare a terra freddato dal sicario che gli copriva le spalle a distanza con un colpo preciso e pulito. «Wow, che accoglienza calorosa...»

Steve non ha tempo di girarsi a fronteggiarlo di nuovo che James si è già volatilizzato, distinguendo appena la sagoma dell’uomo in lontananza che veniva inghiottita dai vicoli sudici di Madripoor, mentre alle sue spalle appare un'intera squadra armata a fucili spianati che si lancia a passo di carica all'inseguimento del Soldato d'Inverno… quando lui desiderava solo un buon caffè e un po’ di quiete, non gli sembrava di aver chiesto la Luna. 

Evita di porsi altre domande scomode ignorando la ressa di guardie che lentamente si defilano dallo spiazzo della caffetteria dopo aver fatto rapporto a sua madre sul dove si trovasse e sull’attacco appena subìto, tornando a sedersi al tavolino naufragando con sguardo assente sulle placide onde di caffeina contenute nella sua tazza, con mille domande, zero risposte all'orizzonte e un mal di testa incurabile che si agitava incessante sul fondo della sua scatola cranica.

Voleva solo un caffè e puntualmente aveva ricevuto in cambio una demolizione gratuita delle quattro sinapsi confuse che gli rimanevano, insieme alla consapevolezza di avere indosso un guinzaglio invisibile tenuto saldamente da una madre apprensiva che trovava difficile da gestire e digerire dopo così tanti anni passati in solitudine… Steve pensava di sapere cosa desiderava davvero, ma in quel preciso istante vorrebbe solo riportare indietro le lancette dell’orologio per presentarsi alla cena con Sharon senza nessuna deviazione intercontinentale nel mezzo, accontentandosi di ordinarsi una birra, ridere fino alle lacrime e sentirsi dire da lei come stanno davvero le cose.

Non fa in tempo a finire di formulare quel semplice pensiero che ha già sfilato il cellulare dalla tasca e ha composto il numero, ma il segnale suona libero troppo a lungo, scandendo con lentezza esasperante i secondi eterni... la linea finisce prevedibilmente per cadere nel vuoto e con essa la speranza di far attraccare la propria mente in un porto sicuro, naufragando in un mare in tempesta, arginato a fatica da sorsi amari di un caffè sempre più freddo. 

 

***

 

Un fischio di richiamo collaudato negli anni fa sollevare di scatto la testa a James, arrestando la sua corsa spingendo lo sguardo sulla sagoma dei tetti sopra la sua testa identificando i boccoli rossi di Natasha, prendendo la rincorsa aggrappandosi alla scala antincendio che pendeva dal secondo piano dell'edificio al suo fianco strappandogli una bestemmia quando il proiettile gli ricorda che si trova ancora all’interno del suo bicipite sano, ritirandosi dal cornicione appena in tempo per nascondersi dalle guardie armate che si aggiravano nelle strade sottostanti.

«Credo sia escluso raggiungere subito gli altri all’orfanotrofio.» condivide i propri ragionamenti in un sussurro mentre scocca uno sguardo veloce alla compagna dalla testa ai piedi, assicurandosi che non si sia ferita durante la corsa rocambolesca dalla postazione da cecchino fino al punto di rendez vous, appurando l’assenza dell’arma a tracolla che le aveva ceduto deducendone la sorte dal contesto. «Adoravo quel fucile, giusto per la cronaca.»

«Aspetta un paio di mesi e te ne regalo uno nuovo per il compleanno.» lo liquida Natasha allungando le dita verso il suo braccio, spostando delicatamente i brandelli della tenuta lacera. «Sanguini.»

«Non saresti dovuta intervenire, avevo tutto sotto controllo.» brontola James ignorandola, concentrandosi sulla tabella di marcia impedendo alla propria mente di divagare in pensieri più turbolenti, ricevendo un’alzata di occhi al cielo in risposta.

«Sanguini, ti servono punti.» insiste Natasha con un sibilo irritato, astenendosi dal infierire premendo il pollice sul foro d’entrata unicamente per non rischiare di farlo urlare e rivelare il loro momentaneo nascondiglio precario, sorvolando sul suo borbottio irritato che voleva dipingere la ferita come un dettaglio di poco conto, iniziando a guardarsi attorno cercando di capire con precisione il luogo in cui si trovavano, visualizzandolo in una mappa mentale che conduceva a nascondigli più sicuri e forniti di disinfettante, ago e filo sterili. «Da questa parte, speriamo non ci sia nessuno in casa.»

«In casa di chi?» chiede James vedendosi negata la richiesta di delucidazioni, evitando di perdere tempo rincorrendola come un'ombra, atterrando con la leggerezza e la silenziosità di un gatto sul tetto di un palazzo anonimo, ritrovandosi ad assistere allo scasso di una finestra che si apriva su un salotto spartano altrettanto privo di segni caratteristici e palesemente disabitato da diverso tempo… nonostante aleggi nell’aria un odore familiare di muschio, sigari e metallo, ricollegando velocemente l’aroma ad un volto e un nome, strabuzzando gli occhi tradendo una nota di vago panico nella voce. «’Tasha… non vorrei suonare fatalista, ma tuo zio mi ammazza appena scopre che ho macchiato di sangue il suo parquet, spero tu ne sia consapevole.»

«Non stai grondando sangue e al massimo ripulisco con l'alcol, seduto ora.» afferma la donna con tono a metà tra il seccato e l'autoritario, puntandogli le mani al petto facendolo cadere di peso sul divano. 

«Peggio ancora, l'alcol non ha esattamente un profumo delicato… lo sente ogni essere umano, figurati Howlett.» sbuffa senza demordere, seguendo Natasha con lo sguardo mentre esegue un breve sopralluogo di ogni stanza, raccattando man mano tutto il necessario per medicarlo. «Che poi, mi spieghi il senso di tenere una farmacia in casa quando gode di un fattore rigenerante istantaneo?» 

«Non sei l'unico a sanguinare sul suo parquet… e l'età si fa sentire un po' per tutti [4]. Spogliati.» spiega la donna lasciandosi cadere sul divano al suo fianco, voltandogli le spalle appoggiandosi al tavolino da caffè per preparare l'occorrente, sterilizzando un paio di forbici da cucina con uno zippo trovato in giro per l'appartamento mentre lui inizia a slacciare i bottoni della parte superiore della tenuta in silenzio, limitandosi a sibilare tra i denti accusando una fitta dolorosa quando riesce a sfilare la manica del braccio ferito senza causare troppi danni. 

«Sei taciturno.» scherza Natasha iniettandogli della morfina in vena anestetizzandogli la zona di pelle lesa, aspettando un paio di minuti che la dose da cavallo che ha in circolo faccia effetto, continuando tuttavia ad ignorarla perso nei meandri dei propri pensieri turbolenti… che rallentano pian piano, sforzandosi di rincorrerli per non perdere il ritmo senza riuscirci, annuendo appena per automatismo mentre fissa un punto imprecisato della stanza con sguardo vuoto. «Sono delusa, mi aspettavo almeno una battutaccia sul doverti spogliare da solo.» 

«Non sono dell'umore adat-... Cristo, 'Tasha.» inizia mentre la compagna lo infilza a tradimento con la punta delle forbici rigirandola nella ferita, avvertendo una vaga fitta a primo acchito, imprecando sorpreso quando la donna estrae il proiettile al primo colpo registrando una tenue stilettata di dolore con un paio di secondi di ritardo a causa della droga che aveva in circolo. «Un minimo di preavviso, no?» [5]

«Se ti avviso tolgo tutta la parte divertente.» afferma sua moglie con una scrollata di spalle, strappando la confezione contenente ago e filo con i denti, indugiando con le dita sulla ferita aperta quando gli fa togliere la garza con cui si stava tamponando il braccio. «Inizio a metterti i punti, preparati psicologicamente alla cosa.»

«Non sei simpatica… non ha più senso avvisarmi ora.» mormora seccato ignorando lo strano prurito che avverte quando l'ago inizia ad entrare ed uscire dalla sua pelle, cercando nel mentre di riprendere il filo dei propri pensieri con scarsi risultati, perdendolo definitivamente quando Natasha termina la fasciatura e si sporge nella sua direzione posandogli un bacio a fior di labbra. 

«Sei taciturno, звезда моя.» insiste la donna ad un soffio dalla sua bocca, rendendo James terribilmente consapevole che l'avere della droga in circolo aiutava unicamente sua moglie nel sottoporlo al terzo grado, spingendolo ad ammettere ad alta voce tutta quella parte di mezze verità che solitamente le nascondeva per una qualche ragione di dubbia ovvietà. 

«Sono fuori allenamento nel litigare con Steve, tutto qui.» cerca di liquidata scrollando le spalle, sfiorandole la guancia con la punta del naso in una tenue carezza, crollando con la testa contro la sua clavicola mentre un crepaccio si dirama dal suo sterno fino allo stomaco, rompendo i sigilli della muraglia che comprimeva i suoi sentimenti caotici in un angolo angusto del suo corpo. 

«Questa è la risposta standard per gli altri, quella veritiera per me qual è invece?» sussurra Natasha al suo orecchio iniziando a districargli le ciocche della nuca con movimenti lenti e ritmici delle dita, ignorando il suo vago tentativo di scrollare la testa in un cenno di dissenso ed evitare di rendere reali i propri pensieri articolandoli in parole. «звезда моя… ti ho cucito le ferite del corpo, permettimi di guarirti anche quelle dell'anima.»

«È che odio… odio avere ragione.» riassume spiccio strappandosi la confessione dai denti, alludendo a quel sussurro preoccupato che si era perso nel silenzio della cuccetta del Quinjet durante la notte appena trascorsa, percependo il corpo di Natasha fremere spaventato ed irrigidirsi preoccupato sotto il suo peso per la seconda volta in meno di dodici ore… e voleva evitare di farla sentire di nuovo in quel modo, maledicendo il siero che gli scorreva nelle vene per permettere alla morfina di sciogliergli ogni volta la lingua con facilità disarmante, invece di farlo addormentare subito come tutti gli altri comuni mortali. [5]

«Cosa gli hanno tolto?» mormora la donna al suo orecchio nonostante non ci sia un motivo preciso per cui stanno parlando con un tono di voce più basso di tre ottave, scendendo con le dita lungo la spina dorsale stringendolo in un abbraccio, come a tenere insieme tutti i suoi pezzi che pian piano si stavano sfaldando di pari passo con il crollo di tutte le sue difese. «Cosa non ricorda?» 

«La mamma… me, Becca e papà. Crede di avermi conosciuto a Londra. Londra, 'Tasha… sono quasi vent'anni di buco.» sfiata con un tono di voce che sembra giungere dal fondo di un sepolcro, circondandole la vita con il braccio di metallo avvicinandola a sé, cercando forzatamente del calore umano in grado di riscaldare il crepaccio innevato che gli squarciava il petto. «Ci sono quattro cose che tengono in piedi Steve e gliele hanno strappate via una ad una… manca solo che trovino il modo per rivoltargli contro Sharon e hanno creato la marionetta perfetta.»

La Vedova Zemo aveva steso una leggera passata di bianchetto apparentemente indelebile sui ricordi di suo fratello, confondendo i nomi, le facce e le esperienze reali con quelle progettate da una bambina di quattro anni… Elisa era stata in grado di cancellare il suo nome dalla mente di Steve collocandolo con una ventina d’anni di distacco, minando un’infanzia intera di esperienze che stava alla base del legame indissolubile che li univa, bruciando fino all'osso ogni appiglio e margine di recupero. Aveva portato a termine l’improbabile impresa di cambiare il soggetto di quel stramaledetto appuntamento andato in fumo per colpa dell'Artico, riuscendo inoltre a tramutare in assassini bugiardi ogni membro della loro famiglia allargata… e in tutto quel caos Sharon, miracolosamente, restava l'unica pedina grigia in una scacchiera di pezzi bianchi e neri dai colori invertiti. James poteva considerarsi ormai avvezzo dai metodi dei suoi ex datori di lavoro da sapere di non dover riporre false speranze nella risoluzione veritiera e coerente del punto interrogativo rappresentato dall'agente Carter, dopotutto era successo anche a Natasha, a lui era capitato innumerevoli volte, ma per una strana ragione quello era un concetto che trovava impossibile da accettare se applicato a Steve… forse perchè lo credeva al sicuro, forse perchè non aveva mai abbandonato la battaglia persa in partenza che lo vedeva concentrato nell’impedire che succedesse qualcosa di male al fratello, cosa assai probabile dato che aveva a che fare con un mulo testardo che trovava ragionevole buttarsi a capofitto in una mischia per il semplice desiderio di farlo, convinto che così facendo avrebbe reso il mondo migliore. Probabilmente pensava di essere dalla parte dei “buoni” anche in quel preciso momento… e Dio, sembra che debba scoppiargli la testa da un momento all’altro a discapito della morfina, desiderando ardentemente una sigaretta che non gli conveniva fumare. 

«A cosa pensi?» chiede Natasha a distanza di qualche minuto, continuando a districargli le ciocche in una coccola delicata e metodica che per una qualche strana ragione ha la capacità di placare il suo bisogno di nicotina, scivolando con la testa fino ad appoggiare la nuca contro la conca formata dal suo bacino, stiracchiandosi meglio sul divano allungandosi su un fianco e premendo la guancia contro il ginocchio della compagna. 

«Penso che sono stanco, di tutto… una volta chiusa questa storia mi ritiro.» afferma titubante inchiodando lo sguardo al muro color crema che ha di fronte… non erano molto bravi a fare progetti a lungo termine, o a parlare di cambiamenti radicali in generale, ma l'anestetico che gli rallenta il cervello lo convince che sciogliersi la lingua sia la soluzione migliore, che qualunque sentenza possa mai ricevere in cambio non sarà mai in grado di spaventarlo, formulando frasi meno brutali, con meno spigoli e silenzi ingombranti rispetto al solito.

«Ti ritiri?» gli fa eco la donna con tono sorpreso, lasciando la mano sospesa sopra i suoi capelli per una frazione di secondo, giusto il tempo per elaborare la frase da lui espressa e convertire l’affermazione dal singolare ad una proposta al plurale. «Ci ritiriamo?»

«Perché no? É quello che pian piano stiamo facendo tutti…» ragiona a voce alta riuscendo finalmente ad esprimere a parole quel discorso che inconsapevolmente si era preparato per un’intera settimana, riuscendo a realizzare – ora che i suoi pensieri correvano lenti ed aveva tutto il tempo per analizzarli tutti – che la sensazione destabilizzante tra l'equilibrio e la fuga che aveva sperimentato di fronte al loro ultimo fantasma necessitava semplicemente di un contesto nuovo. «Fa un attimo di mente locale e pensa al Complesso. Clint sta addestrando Kate con l'intenzione di cederle l'arco... Stark ha una figlia, Parker e si è comprato una casa sul lago... Sam ha ereditato lo scudo e si è rifatto una vita a Hell's Kitchen... Lang, Wanda, Visione e gli altri sono tutti operativi che sanno benissimo guardarsi le spalle da soli… e Yelena sarà anche una vipera irascibile, ma non ha certo bisogno di noi per sopravvivere tra i buoni.» 

«In linea teorica quella che dipingi sarebbe la soluzione migliore per entrambi…» gli concede Natasha con voce atona, respirando a fondo prima di afferrargli il mento tra due dita ed obbligarlo ad incrociare il suo sguardo.

«Lo è.» afferma deciso abbandonando lo stato di apnea quando un timido sorriso germoglia sulle labbra di sua moglie, osservandola con cipiglio confuso quando la vede scrollare il capo in un cenno di diniego.

«Dopo un po' ti mancherebbe l'adrenalina, James.» spiega con il sorriso sulle labbra, come se quella appena espressa fosse una verità assoluta che a lui tuttavia sfuggiva. «Non sei il genere di persona che riuscirebbe ad essere felice e godersi la pace senza una qualsiasi responsabilità sulle spalle…»

«Sei tu la mia responsabilità...» ammette cercando e trovando le sue dita con la mano sana, portandosele alle labbra imprimendo un bacio leggero sul dorso della sua mano. «...mi basti tu, ‘Tasha. Il resto del mondo può tranquillamente andare a farsi fottere.»

«Potrei vomitare la colazione sul tappeto ora come ora, e dopo chi lo sente zio Logan…» scherza la donna demolendo senza pietà il suo vago sprazzo di romanticismo, rabbuiandosi di colpo quando comprende che per una volta i binari dei loro pensieri si muovevano in due direzioni diverse.

«Natalia, io sono serio…» 

«Noi, a differenza degli altri, non possiamo semplicemente tirare su baracca e burattini e mandare al diavolo Nick, James… abbiamo Parigi, non ti basta?» chiede abbandonando il fare giocoso, alludendo tacitamente al fatto che al di fuori del lavoro non avevano e non potevano avere nient'altro, ruotando il polso della mano che lui stava ancora trattenendo tra le dita, accarezzandogli con il pollice la fossetta sulla guancia quando lui tende le labbra in un sorriso triste che voleva sembrare incoraggiante, sopprimendo l'istinto goliardico di replicare con un "no, voglio la Luna" scherzoso. 

«Non è che non mi basta, il punto è proprio questo, mi basterebbe di meno… il concetto di "casa" non sono quattro mura e un tetto, e possiamo riempirlo con qualunque cosa vogliamo.» spiega caparbio cercando il palmo della sua mano con le labbra, scivolando sull’interno del polso percependo il battito sordo e regolare del suo cuore contro la bocca, in una blanda dimostrazione di quel concetto basilare.

«Quindi stai dicendo che "casa" siamo io e te contro il mondo?» ironizza Natasha con il tono di voce forzato dal sorriso enigmatico che le solca le labbra, puntandolo con uno sguardo che sembra voler abbandonare le foreste selvagge celate nei propri occhi e salpare nel mare ghiacciato contenuto nei suoi. 

«Sì, immaginalo… basta telefonate nel cuore nella notte, basta punti di sutura, basta missioni. Solo io, te, il gatto, notti brave e dormite fino a pranzo.» elenca James con sguardo trasognato, beandosi della vista della compagna che per una frazione di secondo si perde in quella fantasia ad occhi aperti, smorzando il sorriso in concomitanza al suo quando abbassa di nuovo lo sguardo su di lui con aria disillusa.

«Dopo un po' troveremmo il modo di annoiarci anche del sesso, звезда моя… per quanto fantastico sia.»

«Quindi mi stai dicendo di no?» indaga James titubante, liberando un microscopico sospiro di sollievo quando la vede negare con un cenno del capo per l’ennesima volta.

«Quindi ti sto dicendo che ci serve un… un hobby con cui riempire le giornate, abbiamo bisogno di adrenalina e della giusta dose di paranoia per direzionare le energie negative.» afferma risoluta afferrandogli le guance con una mano chinandosi a baciarlo, strofinando la punta del naso contro al proprio prima di risollevarsi. «E fare yoga non funziona, ci ho già provato.» 

«Beh, con me funziona, mi calma i nervi e placa gli incubi…» la contesta tempestivo ottenendo un cenno della mano che pretendeva di liquidare il discorso reputandolo infondato, consapevole che il tentare di curare l’insonnia sedendosi a gambe incrociate ai piedi del letto contando i secondi tra un respiro e l’altro poteva rivelarsi un valido aiuto per placare l’ansia, ma ciò che lo faceva realmente addormentare precipitando in un sonno senza sogni era il dormire incollato a Natasha con il naso sepolto tra i suoi boccoli al profumo di vaniglia e la consapevolezza di aver messo a tacere tutti i loro fantasmi con almeno un proiettile a testa. «Ma è un palliativo, hai ragione, è-...»

«…è la polvere da sparo che ti fa dormire sonni tranquilli. Già.» Natasha giunge alla sua stessa conclusione, mettendo un punto alla questione ricominciando a districare le ciocche dei suoi capelli con le dita, incupendo lo sguardo ritornando all’argomento principale che richiedeva una risoluzione decisamente più immediata, morfina in circolo o meno. «Ma questo è un problema futuro, piuttosto, come risolviamo la situazione di Steve ora?» 

«Non credo che la ricalibrazione cognitiva serva a qualcosa stavolta, é convinto all'ottanta percento di ciò che dice e ciononostante non vuole scendere a compromessi…» ammette James riluttante con un tono di voce che cola a picco e verte verso il mutismo, rigirandosi su un fianco tornando a premere la guancia contro il ginocchio di Natasha.

«Non prenderla sul personale… Steve non scende a compromessi con nessuno, звезда моя. Mai.» afferma sua moglie con tono conciliante, sorvolando sul suo cambio di posizione che tradiva la volontà di chiudersi nella propria bolla ed ignorare tutto il resto, risolvendo il calo di attenzione attorcigliando una ciocca dei suoi capelli intorno all'indice tirandoli leggermente. «Parlami, non chiudermi fuori dalla tua testa.»

«Con me è diverso, 'Tasha.» sbuffa accontentandola, concedendole un spiraglio sull'altalena dei suoi pensieri liquidi con tono monocorde, sconfinando pian piano nel torpore dell'incoscienza. «Steve mi dà ancora retta ogni tanto, è che prima deve sbatterci il naso… ha sempre dovuto sbatterci il naso...»

 

Brooklyn, 1938 - un compromesso dibattuto

 

«Un giorno di questi mi manderai al manicomio, o peggio, mi costringerai a mettere di nuovo piede in un obitorio…» sibila James marciando a passo spedito lungo il vialetto lastricato, trascinandosi appresso uno Steve malconcio che respira a fatica nel tentativo di stargli dietro, nonostante fosse praticamente appeso alle sue spalle. «Ormai mi viene da pensare che hai della segatura al posto del cervello…» 

James si sentiva osservato… era un pensiero stupido, ne era consapevole, ma mentre trascinava il fratello zoppicante verso casa si era ritrovato a chiedersi se anche a notte fonda ci fosse davvero qualcuno in piedi nel vicinato a studiarli da dietro le tende tirate. 

È solo una stupida sensazione, James. Non preoccuparti, è solo un'idea nella tua testa. 

Continua a ripeterselo per tranquillizzarsi, zittendo le obiezioni di Steve e le richieste di rallentare il passo, ma quella è un'idea che non riusciva a schiodarsi dalla testa… dopotutto le sentiva le voci nel vicinato durante il giorno, le lodi velenose sul suo conto in merito al portare a casa due salari diversi e spenderne una parte al bar il venerdì sera dividendo un bourbon con una ragazza sempre diversa, i commenti ipocriti sui vestiti spiegazzati e le trecce disordinate di Rebecca, le critiche malevole sull'incapacità di Steve di farsi assumere e tenersi un lavoro che non fosse quello del lucida-scarpe o disegnare caricature al porto per i turisti. Le sentiva, come percepiva gli sguardi invisibili in quel preciso istante, con le nocche scorticate ed il sangue che gli gocciolava dal naso, mentre uno Steve dal zigomo tumefatto ed il sopracciglio spaccato gli zoppica affianco, arrancando fino alla porta di casa tentando di aprirla il più silenziosamente possibile in una precauzione inutile.

«Si può sapere che fine aveva-... oddio Jimmy, che cos'è successo?» esordisce Rebecca Barnes furente, in piedi a braccia conserte nel bel mezzo del salotto in camicia da notte, abbandonando il principio di ramanzina correndo loro incontro quando registra il sangue secco sul volto di entrambi. 

«Il solito, Steve non sa mai tenersi la lingua tra i denti e mi tocca ogni volta andarlo a ripescare dalle peggiori risse…» afferma raggiungendo il divano sgangherato, scaricandoci sopra il fratello di malagrazia, brontolando irritato tradendo una punta di frustrazione nella rabbia che gli colora la voce. «E tanti saluti alla mia serata libera… quei due erano il doppio di te Stevie, a volte mi chiedo cosa cazzo ti dice il cervello!» 

«Non che ci voglia molto per essere il doppio di me, Buck...» mormora Steve tra i denti nella vana speranza di non farsi sentire, istigando quella parte di lui che voleva placare il prurito alle mani con uno schiaffo così forte da fargli girare la testa di 360 gradi.

«Jimmy...» sibila minacciosa Rebecca troncando sul nascere ogni sua iniziativa, di ritorno in salotto con la valigetta di Sarah sottobraccio, premendogli contro il petto un fazzoletto di stoffa con cui tamponarsi il naso, sedendosi accanto a Steve armata di batuffolo di cotone e disinfettante. 

James inghiotte la bile ed inclina la testa all'indietro iniziando a ripulirsi dal sangue ormai secco, illustrando la dinamica dell'incidente dopo le sollecitazioni della sorella una volta appurato che Steve non era ragionevolmente intenzionato ad esprimersi al riguardo, spiegando che il farsi pestare a sangue nel vicolo dietro al bar in cui lui aveva annunciato di trascorrere la serata non sapeva definirla un'idiozia o un colpo di genio. Sicuramente un'idiozia, perché aveva espressamente chiesto a Steve di darci un taglio sia con le cazzate che con l'eroismo… perché non aveva più tempo per raccoglierlo dai vicoli, perché da quando era morto loro padre quasi sei mesi prima gli assistenti sociali li tenevano d'occhio, ed il fatto che loro due tornassero a casa pieni di lividi tre volte a settimana non aiutava per niente a zittire le voci nel vicinato.

«Avevano iniz-...» afferma Steve titubante, racimolando il filo di coraggio necessario per difendere la propria causa, ottenendo come unico risultato quello di gettare altra benzina sul fuoco. 

«Non mi importa chi ha iniziato cosa, tu ti mordi la lingua e taci!» ricomincia James puntandogli contro il fazzoletto sporco di sangue in forma esplicativa, accartocciando una sequela di imprecazioni sulla lingua ricordandosi che i muri della loro casa erano fatti di cartongesso. 

«Finitela, entrambi.» li riprende Rebecca con tono autoritario, dimostrando più maturità di loro due messi insieme, voltandosi in direzione di Capitan Idiota con sguardo comprensivo. «Stevie…» 

«Perchè prendi sempre le sue parti?» ribatte piccato l'interpellato levando gli occhi al soffitto, ricevendo due sbuffi spazientiti in cambio. 

«Perchè ho più buon senso di te, idiota.» replica James in un sibilo, afferrando al volo il pacchetto di sigarette che la sorella gli lancia dietro per zittirlo, evitando così di rischiare di svegliare l'intero vicinato a notte fonda a forza di urla. 

«Fuori, va a darti una calmata, qui ci penso io.» lo interrompe Rebecca autoritaria, eseguendo il richiesto, raggiungendo la ringhiera del portico accendendosi un fiammifero ed espirando una boccata di fumo liberatoria. 

«Ti prendi un raffreddore se resti fuori in queste condizioni.» afferma James con tono paternalistico quando la sorella lo raggiunge all'esterno, rigorosamente a piedi scalzi e con un solo strato sottile di stoffa addosso, avvolgendola subito in un abbraccio per riscaldarla e finendo per usare la sua testa come appoggio per il mento. «In più, a quest'ora tu dovresti essere a letto a dormire…» 

«Perchè tu pensi davvero che le altre sere quando mi spegni la luce in camera io mi metta a dormire subito?» commenta ironica la ragazzina appendendosi alle braccia che la tenevano stretta al suo busto, allungando due dita temeraria verso la sigaretta che gli pendeva dalla bocca, sfilandogliela dai denti con fare scaltro portandosi il filtro alle labbra concedendosi un piccolo assaggio.

«Mi piace illudermi che sia così, sì.» ribatte James riappropriandosi tempestivo del tabacco sottrattogli, allungando una mano per pizzicarle un fianco facendola sobbalzare. «Ti concedo di fratturarti il setto nasale sui libri fino a notte fonda, ma sei ancora troppo piccola per fumare signorina.»

«Per te sono ancora troppo piccola per fare un sacco di cose, Jimmy… ho tredici anni, non cinque.» lo riprende Rebecca scorbutica rifilandogli una gomitata alle costole, divincolandosi dalla sua presa finendo per stringersi le braccia al petto e premere la fronte contro il suo sterno per scaldarsi meglio, rimuginando in silenzio pentita per non essersi gettata sopra le spalle almeno una coperta leggera con cui ripararsi dalla brezza di inizio ottobre, scostandosi appena dal suo rinnovato abbraccio cercando il suo sguardo. «E Steve ne ha venti, Jimmy… ed è una testa calda orgogliosa, testarda e guerrafondaia come te, non sei nella posizione in incazzarti per come si comporta quando tu sei uguale

«Non è quello il problema…» mormora con tono monocorde, rischiando di scivolare e confessare la vera motivazione che alimentava la sua rabbia, filtrando la risposta con la prima scusante plausibile che gli viene in mente. «È che io avevo ben altri programmi per la serata, tutto qui.»

«Oh povero caro, non hai trovato nessuna con cui spassartela stanotte?» lo prende in giro la sorella con uno sguardo di profondo scetticismo, pizzicandogli un fianco in un debole incentivo al buon senso. «La "donna della tua vita" che cerchi tanto non potrà mai essere un'oca starnazzante che si accontenta degli avanzi, a te serve una pantera affamata che ti mastichi vivo… e stai parlando con me Jimmy, quindi fammi un favore e non fingere di essere incazzato per questo motivo.» 

«E per quale altro motivo dovrei essere arrabbiato? Sentiamo.» la sfida apertamente sibilando inviperito, reagendo in quel modo sconsiderato di fronte al timore concreto di essere stato colto in flagrante da Rebecca nel seppellire le proprie debolezze. 

«Sei arrabbiato con te stesso, perchè dopo la morte di papà ti sei sentito in dovere di auto-eleggerti l’adulto responsabile tra noi tre… ma nessuno te l’ha mai chiesto, Jimmy.» afferma sua sorella con una sentenza precisa ed affilata come un fendente di spada, trattenendo il respiro e svicolando con lo sguardo camuffando gli occhi lucidi… perché ovviamente ha ragione, sono mesi ormai che vorrebbe avere il permesso di accartocciarsi su se stesso ed abbandonarsi in balia degli eventi, ma non può farlo, ripiegando in un respiro profondo che gli impone di non barcollare di nuovo. 

«Potrebbe anche essere vero… ma vedi un’alternativa Becca?» si costringe a chiedere, obbligandosi a non pensare alla minaccia velata che si profila alle sue spalle sotto le sembianze di una custodia minorile revocata. 

«No… ma questo non ti da automaticamente il permesso di riversare tutto su Steve, quando litigate le cose peggiorano sempre.» afferma Rebecca tradendosi con uno sguardo azzurro ghiaccio che palesa tutta l'insicurezza e la paura dettata dall'idea di vedere andare in frantumi l'unica famiglia che le resta. «Non cambierete mai Jimmy, potete solo cercare dei compromessi per bilanciarvi.» 

«Lui non scende a compromessi sorellina, dovresti averlo capito ormai.» ribatte conciliante, sospirando appena, stringendo ancora di più la morsa delle sue braccia cercando di infonderle quel senso di protezione e sicurezza che cercava così disperatamente, sentendosi stringere a sua volta ricacciando indietro il groppo che gli era salito alla gola. 

«Con te ragiona e scende a compromessi, sempre, è che tu non te ne rendi conto e lui non te lo dice…» afferma Rebecca sfilandogli la sigaretta di bocca, spegnendo il mozzicone contro il bordo della ringhiera. «Steve ha bisogno di sbattere il naso sulle cose per capirle, tu devi solo tenerlo in piedi quando poi rischia di cadere per il contraccolpo… che dici Jimmy, torni dentro a rimetterlo in piedi?» 

«Ti hanno mai detto che sei troppo saggia per la tua età?» ribatte James ironico seguendo il suo cenno del capo affrettandosi a seguirla, agguantandola nuovamente in un abbraccio a metà strada per scoccarle un bacio sulla guancia. 

«Nah, non sono saggia, la verità è che in realtà tu hai tredici anni ed io ventuno.» afferma Rebecca facendolo ridere, salendo sulle punte dei piedi per posare le labbra contro la sua fronte. «Non sta scritto da nessuna parte che devi combattere ogni singola guerra da solo, Jimmy. Dovresti ricordartelo un po' più spesso.»


«… звезда моя?» lo richiama Natasha con un sussurro appena udibile che viene inghiottito da un'onda silenziosa, infrangendosi sul placido mare dell'incoscienza garantita dalla morfina. 

«… non mi lasci... da solo... vero?» biascica assonnato ad occhi chiusi, accoccolandosi meglio contro la compagna mormorando un verso di approvazione quando percepisce il tocco leggero delle sue dita lungo il corpo. 

«Mai.» promette la donna in un soffio, iniziando a canticchiare una ninna nanna a mezza voce che lo fa attraccare in porti sicuri, lontano dagli squali tenuti a bada dall'anestetico. «Dormi ora, io non vado da nessuna parte.» 

 

***

 

Era ormai pomeriggio inoltrato quando le guardie armate avevano sospeso le ricerche abbandonando le speranze, liberando le strade di Madripoor concedendo loro un attimo di respiro, uscendo dal bunker sepolto tra le fondamenta dell’orfanotrofio in cui Sharon e compagni si erano nascosti, aspettando che Jessàn Hoan aprisse loro le porte dall'esterno e li conducesse al proprio ufficio dove James e Natasha li stavano aspettando.

«State bene?» esordisce Clint aggirando la scrivania afferrando la rossa per le spalle, squadrando entrambi da capo a piedi. «Vi hanno sguinzagliato dietro un esercito...»

«E vi hanno anche sparato dietro, non è una novità… vorrei ricordarvi che siamo a Madripoor, vi aspettavate un comitato di benvenuto?» li mette tutti in riga Yelena Belova intromettendosi, indicando la manica della tenuta di James ridotta a brandelli in segno esplicativo, prendendo il controllo della situazione facendo rimanere di sasso tutti i presenti tranne i due interpellati, che tradiscono un sorriso ironico palesemente fieri di come stavano addestrando la loro nuova recluta. «Avevi ragione, vero Barnes?»

«Si… la modifica mentale non ha ancora attecchito completamente, ma non ci resta moltissimo spazio di manovra.» afferma James incupendosi, facendo colare a picco l’umore generale e causando a Sharon un brivido freddo lungo la schiena.

«Quindi ora che carta ci giochiamo?» interviene Tony passando al lato pratico, mentre l'agente Carter viene distratta dal trillo di una notifica in entrata permessa dalla ri-guadagnata ricezione telefonica, afferrando il cellulare prendendo atto della chiamata persa da parte di Steve e sperimentando la sordità completa per un lungo, interminabile istante. «Shar… tutto okay?»

«Ti ha chiamata?» si intromette James attraversando la stanza a lunghe falcate, strappandole il cellulare di mano quando non riceve risposta, liberando un respiro di sollievo riconoscendo il nome del fratello digitato sullo schermo, abbracciandola d’impulso ricapultandola presente a sé stessa ritrovandosi a ricambiare la stretta per istinto. «Grazie a Dio… ci giochiamo la “ carta Sharon” Stark, che era esattamente quello in cui speravo.»

«Aspetta… cosa?» replica la donna interdetta una volta elaborata la frase, districandosi dalla presa guardando spaesata l’uomo che la stava abbracciando. «Spiega.»

«Per farla breve, io e Steve abbiamo avuto una discussione molto accesa e molto dolorosa sul fatto che Elisa Sinclair dovrebbe essere sua madre, si è convinto di avermi conosciuto nel ‘43, ha rimosso quasi completamente Peggy ed è molto incazzato con tutti noi perchè siamo dei bugiardi traditori, eccetera eccetera…» elenca James monocorde senza infamia e senza lode, ignorando a forza gli sguardi sempre più sconvolti dei presenti ad ogni parola espressa, ottenendo una brusca interruzione respiratoria alla menzione di Peggy ed un sospiro sconsolato unanime a resoconto concluso, afferrandole le guance tra le mani in risposta all'apparizione delle prime lacrime agli angoli degli occhi quando Sharon metabolizza ed accetta la sentenza. «Io gli ho fatto sbattere il naso sul problema di fondo, tu invece devi farlo restare in piedi ora che sta vacillando. Sei l’unica persona di cui non dubita, Sharon… e ti ha chiamata, capisci dove voglio arrivare?»

Sharon aveva annuito convinta alimentando una scintilla speranzosa, pentendosene amaramente quando tutti i loro tentativi di ricontattare Steve per organizzare l’incontro in un luogo neutro erano stati pressoché inutili, arrendendosi alla triste realtà che il Capitano Rogers era entrato nel Palazzo del Leader Supremo ed evidentemente non aveva voglia o il permesso di uscire dalle mura dell’edificio, rassegnandosi al fatto che se volevano giocare d’azzardo lei sarebbe dovuta entrare di proposito nella fossa dei leoni… e Sharon trovava semplicemente surreale risolvere l’intera situazione citofonando al portone dell’edificio più sorvegliato di Madripoor, annunciandosi con un “sono Sharon Carter, vorrei parlare con il Capitano Rogers, posso entrare?” oltremodo ridicolo.

Due guardie armate l’avevano scortata all’interno dell’edificio senza fare domande, ispezionandola accuratamente privandola di armi, cellulare, transponder e giocattoli iper-tecnologici targati Stark Industries vari, scortandola fino agli appartamenti privati del Leader Supremo ritrovandosi a fronteggiare lo sguardo basito del suo fidanzato ed il sorriso saccente della loro principale fonte di problemi, conficcandosi le unghie nei palmi per impedirsi di compiere azioni avventate mentre l'elenco delle possibili complicazioni calcolate a monte si allungava man mano annodandole lo stomaco.

«Shar… che cosa ci fai qui?» chiede Steve raggiungendola con espressione a metà tra il confuso e il preoccupato, inglobandola in un abbraccio che le smorza il respiro, registrando speranzosa il microscopico sospiro di sollievo che si perde tra i suoi capelli quando lei ricambia la stretta… fingendo confusione a sua volta quando il compagno la afferra per le spalle, allontanandola. «Ti ha mandato Bucky, vero?»

«No… perchè avrebbe dovuto? Ho trovato la chiamata, ho provato a ricontattarti, ma la linea è caduta nel vuoto…» spiega dando inizio allo spettacolo, seguendo alla lettera il copione concordato con James, tacitamente grata che Natasha e Yelena le avessero dato qualche diritta per limare le sue doti recitative colmando le lacune che l’addestramento dello SHIELD e della CIA non erano mai riuscite a colmare, odiandosi un pochino per essere stata costretta dalla situazione a manipolarlo di nuovo. «Ti ho rintracciato, non sapevo cosa fare...»

«Oh… e tu stai bene ora? Le guardie ti hanno dato qualche problema?» chiede Steve cambiando immediatamente atteggiamento quando appura il fatto che lei non rappresentava nessun tipo di minaccia, serrando le dita sui suoi fianchi premendo gli indici con forza ponendo una tacita richiesta d’aiuto in quel strano codice che avevano collaudato negli anni.

Fammi uscire di qui, ho bisogno di parlarti.

«Stai scherzando, amore? Questa è la parte migliore della mia giornata.» afferma dipingendosi un sorriso stucchevole sulle labbra, leggendo un mare di dubbi nel suo sguardo azzurro cielo e promettendogli tutte le risposte con un bacio, premendo gli indici contro le sue spalle sentendo i nodi di tensione sciogliersi sotto le sue dita. «Forza, ti riporto a casa...»

«Io non credo proprio.» li interrompe Elisa Sinclair con un freddo sorriso sulle labbra, schioccando le dita richiamando un gruppo di guardie armate capitanate da un uomo biondo e massiccio, ordinando a quest'ultimo di separarla da Steve mentre i soldati puntavano loro i fucili contro. «Steven, tesoro, non possiamo fidarci di una spia

«Ma è Sharon…» prova a difenderla affermando un'ovvietà indiscutibile, ammutolendo di colpo rinunciandoci quando Elisa fa cenno di no con la testa affiancandolo, facendosi da parte silenzioso per permettere alle guardie di afferrarla. 

«Steve, non vorrai seriamente lasciarglielo fare!» strepita Sharon quando vede lo sguardo dell’uomo vacillare, cadendo vittima dello charme della donna che gli sorride dispiaciuta con aria amorevole, mentre le mani callose del capo delle guardie si stringono attorno alle sue braccia placando ogni suo possibile movimento. «Steve…!»

«Mi dispiace, è un rischio che non possiamo correre Sharon.» replica Steve inespressivo con rinnovata freddezza, tentennando appena quando lei inizia ad urlare il suo nome scalciando per aria senza ottenere alcun tipo di risultato, osservandolo impotente mentre Elisa Sinclair gli cinge la vita con un braccio e si solleva sulle punte per baciargli una tempia, ordinando soddisfatta la sua incarcerazione in forma preventiva e facendo espressiva richiesta della bambina per un piccolo “aggiustamento”.

Non era così che doveva andare… nel modo più assoluto. 

James era riuscito a farlo barcollare, ma Elisa Sinclair le aveva rubato la scena impedendo al “figlio” di cadere, stringendo le spire dei tentacoli intorno al suo collo… precludendo loro ogni margine di recupero da cui ricominciare, dichiarando guerra scegliendola come ostaggio, spingendola all’orlo della disperazione mentre il capo delle guardie la scorta personalmente fino alla propria cella strattonandola per un braccio, rifilandole una pacca sul sedere mentre la spinge dentro una stanza spoglia priva di telecamere.

«Ehi, ti sembrano questi i modi?!» sbraita Sharon strofinandosi il punto colpito, perdendo la voce di colpo quando tasta con i polpastrelli il bordo liscio di un telefono cellulare infilato nella tasca posteriore dei suoi jeans, reprimendo un sorriso grato per non compromettere le coperture di nessuno quando comprende di trovarsi di fronte al loro misterioso alleato.

«Oh taci, non fare tante storie.» lo sente rispondere in russo celando la transazione  chiudendo violentemente la porta della sua cella, richiamando le guardie all’ordine liberando velocemente il corridoio.

Sharon non lo credeva possibile, ma crede che il russo sia diventata la sua nuova lingua preferita.





 

Note:

1. L’HYDRA si fonda su Teschio e il suo Alto Concilio, ogni membro gestiva un aspetto diverso del conflitto e le famiglie fondatrici coinvolte finanziarono profumatamente la divisione scientifica cedendo nelle mani del Dipartimento X tutti i Campi di concentramento come copertura per studiare i primi casi certificati di mutanti. Dai fumetti di Capitan America (#620) si apprende che gli Howlings si perdono in Polonia e mettono effettivamente piede per sbaglio ad Auschwitz, scatenando accidentalmente una rivolta e un fuggi fuggi generale quando aprono i cancelli, evento che viene poi confermato in “Magneto Testamento”. Il fatto che tale peripezia di eventi causi indirettamente un giro di debiti (in seguito ripagati) tra Eric e Bucky generando un rapporto di amore-odio è un altro discorso, ma sarò ben lieta di dilungarmi sull’argomento qualora voi lettori foste curiosi dei retroscena.

2. Chiunque fa parte dell’Alto Concilio ha diritto ereditario sull’ "elisir di giovinezza" di Daniel Whitehall, genetista dell’HYDRA a cui bisogna imputare il merito per aver reso immortali i nostri cattivi di fiducia.

3. Tecnicamente il Barone Zemo non ha mai disertato dall’HYDRA, semplicemente ha sempre trovato più vantaggioso osservare le mosse dell’Alto Concilio dall’alto del suo trono, offrendo imparziale assistenza economica e un tetto sicuro sotto cui rifugiarsi ai vari membri dell'HYDRA quando decidevano di farsi la guerra tra loro. Tale approccio ha tramutato la famiglia in un’onta dell’organizzazione, venendo relegata a “pecora nera necessaria per la sopravvivenza” da ogni suo membro in quanto creduti erroneamente poco devoti alla causa. Morale della favola, i Zemo sono gli unici ad essere sopravvissuti ad ogni famiglia continuando puntualmente a dare del filo da torcere ai miei protetti. 

4. A Madripoor c'è anche la Mansion X di Magneto, Logan ci bazzica ogni tanto, ma considerato il suo carattere "amabile" se si ferma per qualche giorno non vuole avere gente intorno a rompergli le scatole, offrendo ospitalità all'amante o al fuggitivo di turno lontano da occhi indiscreti. Credo sia oltremodo risaputo che il nostro uomo ha le ossa rivestite di adamantio, ma con l'avanzare dell'età il fattore rigenerante inizia a fare cilecca (vedi l'ultimo film a lui dedicato). Il come conosca James e Natalia, e soprattutto il perché sia stato ribattezzato "zio Logan" da quest'ultima, verrà spiegato nei prossimi capitoli. 

5. I fisici potenziati dal siero sono resistenti a qualunque "aggressione" esterna (sostanze stupefacenti, alcol e morfina compresa). Nel caso specifico dell'anestetico la sostanza fa percepire un "fastidio" più o meno intenso invece di annullare completamente il dolore, mentre manifesta tranquillamente tutti gli altri effetti (tipo la sonnolenza) con più lentezza rispetto ad un fisico normale. 

   
 
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