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Autore: FDFlames    24/03/2020    1 recensioni
La Valle Verde era sempre stata un luogo pacifico, abitata da persone umili e semplici - contadini, pastori e mercanti. Ma è proprio la loro ingenuità che il malvagio Lord Vyde intende sfruttare.
Stabilitosi all'estremo ovest, è riuscito ad unire i clan belligeranti sotto l'unico simbolo e nome di Ideev. E ora gli Ideev, come edera su un albero, si arrampicano sulla Valle Verde, soffocando la vita e la libertà.
Aera non intende sottomettersi. Spinta dal suo coraggio, dall'amore per il suo clan, e dal desiderio di giustizia, decide di intraprendere un pericoloso viaggio, che la porterà dritta nella tana del suo nemico. Ed è disposta anche al sacrificio, pur di restituire al suo mondo la libertà.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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Capitolo Tre

Il clan si rimise in viaggio prima del previsto, tentando di sfuggire agli Ideev, ma ormai erano tutti allo stremo delle forze. Gli alberi, sempre più fitti man mano che il gruppo si inoltrava nel Bosco delle Frecce, riducevano tremendamente la visuale, e i membri di Knej continuavano, con la sensazione di essere seguiti da vicino.
Ma allora perché gli Ideev aspettavano ad attaccare? Forse stavano solo giocando con loro, sogghignando nel vederli marciare verso la loro trappola, verso la morte. Forse era un traditore a dirigere il clan, ignaro, e tutti avrebbero incolpato Ikaon della sua ingenuità. Ma che colpa ne poteva avere? Che colpa è, essere fedeli?
A chiudere la fila stavano i bambini e i ragazzi – i più veloci a correre nel caso un pericolo si fosse trovato di fronte al corteo, e i più attenti osservatori, con la vista migliore, l’udito migliore, e la voce più squillante.
La disposizione era stata ideata da Ikaon, ma a poco sarebbe servita, pensavano i membri del clan. Gli Ideev li avevano ormai circondati, e tutto ciò che rimaneva da fare era rinchiuderli in quel cerchio, soffocarli in quell’edera. Ogni passo che li avvicinava alla luminosa speranza di una salvezza, sapevano, li avrebbe solo feriti più nel profondo quando quella luce sarebbe stata spenta, per mano degli Ideev.
Aera, Zalcen e Aniène procedevano a passo lento, nel terrore di fare rumore e di lasciarsi sfuggire un fruscio diverso da quello del vento. Zalcen, in particolare, era in uno stato di ansia che tentava in ogni modo di nascondere. E se si fosse lasciato sfuggire un suono, il sibilo fatale di una freccia che gli avrebbe portato via Aniène e Aera? E se per la paura non fosse riuscito a parlare, a urlare, a dare l’allarme? Allora sarebbe stata colpa sua. Avrebbe fallito a difendere se stesso, a difendere i suoi amici, a difendere il clan.
Diede un altro sguardo ad Aniène, che faticava sempre più a tenere il passo, e che li avrebbe condannati a rimanere indietro, se non avesse accelerato. O se gli altri non avessero rallentato.
No, era un pensiero egoista. Compromettere la speranza di tutti per salvare una bambina che sarebbe morta di fame entro qualche giorno? Non gli avrebbero mai dato ascolto, eppure lui volle provare.
Il vento soffiò, agitando le chiome degli alberi.
«Ikaon!» urlò Zalcen, dal fondo della fila, «Ikaon, dobbiamo rallentare!»
«Non possiamo assolutamente fermarci ora. Avanti, tenete duro, siamo quasi arrivati.»
Ovviamente era una bugia, ma il capo del clan aveva intuito il motivo della richiesta del ragazzo.
Zalcen prese in braccio Aniène.
«Hai sentito che cosa ha detto Ikaon? Forza, ci siamo quasi.»
Così anche lui fu costretto a rallentare, ma non era la bambina a pesare; era qualcosa dentro di lui. Stancarsi portando Aniène era ciò che avrebbe portato alla peggiore delle conclusioni – non farcela. Se si fosse affaticato troppo, non avrebbe avuto la forza di correre, quando gli sarebbe servito darsela a gambe per salvarsi la vita, e gli arcieri Ideev non avrebbero avuto difficoltà a colpirlo. Ma aveva ancora la sua dignità, e Aniène era sua amica; lasciarla camminare da sola sarebbe stato un gesto di estremo egoismo.
Però la parte più profonda di lui gli ripeteva che la bambina non ce l’avrebbe fatta comunque, quindi tanto valeva lasciarla stare.
Era il suo cuore ad impedirgli di farlo, perché se anche quella voce, quell’istinto, aveva ragione, ciò significava che era l’ultima occasione di Zalcen per stare accanto alla sua amica.
Negli ultimi giorni le condizioni di Aniène erano peggiorate notevolmente: la povera bambina non mangiava nemmeno quel poco che c’era, era bianca come la neve, e non riusciva più a stare al passo. Le sue povere gambe sembravano ramoscelli secchi, sul punto di spezzarsi. Era fredda, gli occhi spenti eppure luccicanti come due stelle lontane.
«Riposati un po’, ora. Così, quando sarà il momento, riuscirai a correre più veloce di tutti.» le consigliò Zalcen, poi le baciò la guancia e si voltò verso Aera, come per scusarsi dell’ennesima bugia che era stato costretto a raccontare alla piccola.
La ragazza si sentì sul punto di scoppiare in lacrime, ma non poteva piangere, o anche Zalcen avrebbe ceduto, e di conseguenza Aniène. Si limitò ad annuire e distolse lo sguardo.
Aera aveva paura di non essere più in grado di guardare quei volti: era come se se ne fossero già andati, e il loro ricordo le provocava dolore.
Invece continuava a ripetersi che doveva guardarli, o i ricordi dei momenti passati insieme sarebbero stati sfocati e lontani, nella sua memoria.
Allungò il passo e li raggiunse.
 
La foresta si faceva sempre più fitta, e costringeva Knej a rallentare; persino Neal, il più ottimista del gruppo, sapeva che sarebbe finita, probabilmente quel giorno stesso.
Neal era il più legato al capo del clan, tra tutti gli uomini: aveva poco meno di trent’anni, ed era maestro nell’arte del pugnale. Aveva capelli neri e lunghi fino alle spalle, sopracciglia folte e occhi di un inspiegabile verde smeraldo, che attiravano l’attenzione di chi ricambiasse il suo sguardo. Sempre, un sorriso gli illuminava il volto, anche ora, mentre tentava di risollevare il morale ma, forse per la prima volta, falliva.
«Sì, magari non ce la faremo, ma quei dannati Ideev si ricorderanno per sempre quanto sono stati duri da sconfiggere, quelli del clan Knej, giusto?»
Di norma sarebbe stato seguito da cori di approvazione, invece questa volta si sentì solo qualcuno ragionare, a bassa voce: «Quindi quando ci avranno sconfitti ne usciranno ancora più forti di prima...»
Neal improvvisò la sua migliore espressione di stupore, anche se aveva valutato quella possibilità. «Ma che state dicendo? Nessuno di noi si unirà agli Ideev, vero?» volle accertarsi.
La domanda di Neal, alla quale la risposta appariva scontata, per lui, fece invece scattare qualcosa nei pensieri dei membri del clan: unirsi agli Ideev era l’unico modo per sopravvivere. Lo sapevano, ma non ci avevano mai pensato davvero. Ora che stavano sfiorando la Morte desideravano restare in contatto con la Vita, e nelle loro menti sembrava molto più sensato schierarsi dalla parte di Vyde.
Ikaon rivolse al suo clan un ultimo pensiero, altruista e comprensivo come era sempre stato. Non impose il suo punto di vista come l’unica via che fosse stato lecito percorrere, semplicemente espresse la sua preferenza. Non voleva spingere il suo clan a seguirlo senza obiezioni; voleva che la sua famiglia pensasse, e trovasse una risposta, scegliesse la propria strada.
«Io sono il capo del clan Knej, e morirò come tale. Non lo abbandonerò, a prescindere dalla scelta che ognuno di voi compirà.» esordì, «Non posso impedirvi di riflettere sui vostri valori, posso solo tentare di persuadervi a restare fedeli al clan. Non ci sono scappatoie, e prima o poi moriremo, tutti quanti. Ci sarà chi morirà oggi, come membro del clan Knej, e chi morirà tra anni, forse, come Ideev. Ma ricordate che ci sono anche Ideev che moriranno oggi, e domani, e il giorno dopo... L’unica differenza è che chi morirà oggi lo farà insieme a me, alla sua dignità e al suo onore. Un Ideev morirà con il peso del denaro, dei morti, e del senso di colpa per aver abbandonato i propri valori e i propri compagni. Ma non temete. Nulla di tutto questo avrà conseguenze, nell’aldilà.»
Non aspettò una risposta o una domanda da nessuno dei membri del clan. Tornò a dirigere il gruppo, e Neal si affrettò a seguirlo.
 
«Parlami sinceramente, tu che sei esperto,» cominciò il primo Ideev, «Secondo te quanto tempo ci vorrà perché li eliminiamo tutti quanti?»
«Se i traditori all’interno fanno quello che devono fare e conducono il gruppo nella direzione stabilita, dovrebbero essere in tre o quattro a raggiungere il punto in cui ci troviamo.» rispose lui.
«Tre o quattro, dici? Sicuro, giovanotto?» chiese il secondo, scettico.
«Considerando che noi siamo circa una ventina, in tutto, direi che alla fine di questa giornata non se ne dovrebbe salvare più di uno.»
«Uno? E saresti pronto a scommettere che ce ne lasceremo sfuggire proprio uno solo?» domandò di nuovo il primo.
«Uno.» ripeté il ragazzo, sicuro di sé come era sempre stato. «Soltanto uno.»
 
Aniène si lamentò per il freddo, e Zalcen le rispose che era naturale, dato che stava calando la sera e, avvicinandosi alle Montagne, stavano salendo di quota.
«Posso scendere?» domandò la bambina, «Magari, se cammino, mi scaldo un po’.»
Il ragazzo non era del tutto d’accordo, perché Aniène che camminava avrebbe significato rallentare, staccarsi dal gruppo, e diventare un facile bersaglio per gli Ideev, ma era stanco di portare in braccio la piccola, e lo era anche Aera; i due avevano fatto a turno per tutto il viaggio, e non avevano aperto bocca.
Una volta a terra, Aniène vacillò, e per poco non cadde nel dirupo che costeggiava il sentiero.
«Attenta!» si preoccupò Aera, ma un secondo dopo la bambina stava marciando a passo svelto verso il resto del gruppo.
«Secondo te, quanto andrà lontano, quando gli Ideev ci raggiungeranno?» chiese Zalcen ad Aera.
Era una domanda che aveva in gola dal momento in cui aveva preso in braccio Aniène la prima volta, ma non aveva potuto chiedere, con la bambina tra le braccia.
«Forse riuscirà a nascondersi da qualche parte, tra i cespugli, e...» ipotizzò la ragazza.
«Insomma, basta con questa farsa.» la interruppe Zalcen, «Non ti sto chiedendo un parere da Aera, l’amica di Aniène. Ti sto chiedendo un parere da Aera, la ragazza razionale, con i piedi per terra, che ho sempre conosciuto, che ho sempre...» Lasciò in sospeso la frase. Nemmeno quando ormai era chiaro che non ci fossero altre occasioni di rivelarle ciò che provava riusciva a trovare il coraggio di pronunciare quelle parole.
Ma no, non era mancanza di coraggio; era coraggio puro. Era solo un altro modo per proteggerla dal dolore; se Zalcen fosse morto come un suo caro amico, forse Aera si sarebbe ripresa, ma se a morire fosse stato un ragazzo che la amava, sarebbe stato un colpo molto più duro, per lei.
«Temo che sarà tra i primi ad essere eliminati, insieme agli altri bambini.» rispose allora Aera, obbediente. «Il gruppo fuggirà, e lei rimarrà indietro. È inevitabile.»
Zalcen voleva sentirsi dire proprio questo, tuttavia, ancora non riusciva ad accettarlo.
«No, non può andare così! Dobbiamo fare qualcosa, sia per farle fare soltanto un paio di passi in più.»
«Intendi dire che dovremmo perdere tempo e rischiare di farci colpire a nostra volta, oltre a spaventarla ancora di più? L’unica grazia che può ricevere quella bambina, ora, è che la sua morte sia veloce.» ribatté Aera. Una lacrima le rigò il viso.
«Sei egoista!» la accusò il ragazzo.
«No, tu sei egoista, Zalcen! Perché anche se tu non dai valore alla tua vita, dovresti sapere che io preferirei averti accanto, sempre!»
«Ma è nostra amica! Non eri tu quella che ci teneva alla dignità?»
«Non è questione di dignità, l’hai detto tu stesso! Uno, soltanto uno del clan ce la farà, quindi...» Fu incapace di trattenere il pianto, «Quindi è molto più probabile che sia un ragazzo giovane e veloce a sopravvivere. Zalcen, devi correre, veloce come il vento, e devi salvarti!»
L’avrebbe voluta abbracciare, come avrebbe voluto!, ma stavano rimanendo indietro, quindi si limitò a rispondere: «Certo che correrò, ma se davvero ce la facessi io, non riuscirei a continuare sapendo che per vivere ho dovuto lasciare che i miei amici più cari venissero uccisi. Aera, se succedesse qualcosa a te o ad Aniène, se per sbaglio doveste inciampare, io tornerei indietro anche a costo di morire. Non potrei sopportarlo.»
Ora stavano piangendo tutti e due, ed erano abbracciati – non era riuscito a resistere – consapevoli di essere facili bersagli.
Zalcen aveva ragione: se Aera avesse lasciato indietro lui o Aniène, anche se fosse sopravvissuta, si sarebbe portata dietro una colpa troppo grande. Sarebbe stato come se li avesse uccisi lei stessa, e questo le avrebbe provocato un dolore insopportabile.
E ciò che più avrebbe reso tale quel dolore era che si sarebbe potuto evitare, se solo lei avesse tenuto fede alle sue promesse. Perché sono proprio i dolori evitabili quelli che colpiscono più a fondo nel cuore.
 
Il clan Knej era probabilmente l’ultimo rimasto di quello che per Vyde era ormai diventato un gioco a eliminazione – e se non era l’ultimo, era il più forte. Non era il clan che si trovava più a est, e questo non lo avvantaggiava affatto. Infatti, il clan Lokeef, che controllava la zona delle Montagne, era già stato fermato.
Il clan Knej si trovava quindi accerchiato, senza nemmeno la speranza di tornare a sud, nella zona costiera – era completamente sotto il controllo di Vyde.
Zalcen e Aera si erano riavvicinati al gruppo, quando ad un tratto si sentirono delle imprecazioni provenienti dai primi della fila.
«È un vicolo cieco!» si sentì urlare.
Il sentiero terminava in un burrone, e l’unica cosa che si poteva fare, a quel punto, era tornare indietro.
Era una voragine senza fondo, che sfumava nella nebbia, separandoli chissà se dal mare, dalla roccia, o dal vuoto. Le pareti erano sorprendentemente umide, e cresceva del muschio nelle fessure.
Era come se una parte della Valle Verde fosse precipitata in quella nebbia, forse sprofondando nel mare, oppure fosse stata rimossa dall’alto per mano degli Dei, dividendo il regno dalle Montagne, dall’Oriente, dalla salvezza.
Erano stati costretti a fermarsi, a ripercorrere i loro passi, da quel vuoto. Nulla, il nulla, impediva loro di continuare a fuggire. Era ironico, ma nemmeno Neal trovò modo di prenderla con spirito.
Ad un tratto, si sentì il fruscio delle foglie dei cespugli e degli alberi attorno a loro, ma non era causato dal vento.
Ikaon si rese conto di ciò che stava per accadere. Non c’era tempo per salutarsi, prepararsi a combattere, nemmeno per arrendersi. Era troppo tardi. Era sempre stato troppo tardi, e ora ne avevano la prova.
«Aera, Zalcen, correte!» urlò Ikaon.
I ragazzi presero Aniène per mano e corsero più veloci che poterono, stando attenti a non cadere e non inciampare nelle radici degli alberi. Il fogliame rendeva invisibili gli Ideev al piccolo clan, ma non nascondeva loro ai nemici.
Alcune frecce erano state scoccate dagli arcieri Ideev, e un membro del clan era già stato colpito. L’urlo che quell’uomo lanciò rimase per sempre impresso nella memoria di Zalcen e di Aera.
I tre si immobilizzarono quando dal fogliame fecero la loro comparsa le figure di tre Ideev, tutti incappucciati e armati di arco. Uno di loro incoccò una freccia per primo, e si avvicinò di quel poco che bastava per ottenere la massima precisione. Puntò, spietato, in direzione di Aniène.
Zalcen spinse bruscamente lei e Aera contro la parete del versante della collina, lasciando passare il grosso del clan. Neal e Ikaon si erano fatti avanti, e ora aprivano la fila di nuovo. Neal sembrava danzare con il suo pugnale, e i suoi fendenti, anche se non sempre andarono a segno, furono abbastanza per allontanare i tre Ideev, che scomparvero nella foresta, verso valle. Solo uno di loro era ferito. Sarebbero tornati.
Zalcen aprì la fila, seguito da Aniène e in fine da Aera, mentre costeggiava la parete del sentiero, facendosi strada fra rocce e radici, rimanendo abbassato, e dando un’occhiata di tanto in tanto da sopra la spalla per controllare che le altre due lo stessero seguendo.
Il cuore di Aera batteva all’impazzata; era spaventata e triste, perché il momento che avevano previsto e che si ripeteva nei suoi incubi peggiori era arrivato davvero, ma ora che stava succedendo era così reale che il disastroso finale che avevano predetto era inaccettabile.
Il sentiero si allargò, e i tre si ritrovarono di nuovo in testa al lungo corteo del clan Knej. Ricominciarono a correre, sperando che i loro respiri affannosi non li rendessero sordi all’imminente comparsa degli Ideev, che sarebbero sbucati di nuovo dalla boscaglia.
Zalcen si sforzava di trascinare Aniène, e per un paio di volte la alzò da terra, ma non la lasciò mai andare.
Il gruppo correva più velocemente di loro. Zalcen fu rapido nel trovare un altro minuscolo nascondiglio, sotto la radice di un vecchio e secco albero di Wass, presso un bivio con un ripido sentiero che si dirigeva verso nord, ma questa volta lo indicò alle altre due con più gentilezza, spingendole appena. Il resto del clan li superò, ma non andò a nord. Ripercorse i suoi passi.
Zalcen, Aera e Aniène, invece, attesero nell’ombra per pochi secondi, in modo che la maggior parte degli Ideev seguisse gli altri.
Era ingiusto, nei confronti di Ikaon e gli altri, per tutto quello che avevano fatto, specialmente per Aera che se non fosse stato per loro sarebbe diventata un’orfana che vagava per i boschi. Ma andava fatto, per salvarsi. Ora la loro dignità era tagliata in due, e la ragazza era di nuovo orfana.
Da un momento all’altro sarebbe finita, per il gruppo che era tornato sul sentiero; era giunta l’ora di Ikaon.
«Perché fai questo?» lo si sentì domandare, evidentemente a uno dei traditori che – si era sempre saputo – si erano infiltrati nel clan.
Non venne udita alcuna risposta, né si sentì di nuovo la voce del capo del clan.
«A nord!» la bambina ricordò ai due ragazzi la promessa fatta, e indicò la direzione nella quale avevano concordato che sarebbero scappati.
Prese il ripido sentiero e corse su per la salita il più veloce che le sue fragili gambe le consentirono, aiutandosi con le mani, attaccandosi alle radici e ai rami più bassi degli alberi di Wass, che si diradavano, in quella zona del bosco. Significava che l’uscita dalla foresta era abbastanza vicina. Ma una volta in uno spazio aperto, un prato, che cosa avrebbe impedito agli Ideev di localizzare i tre superstiti ed eliminarli senza sforzo? Un miracolo non sarebbe stato sufficiente.
Zalcen e Aera seguirono la bambina, ma in poco tempo la superarono, e alla fine furono ancora loro due ad aiutarla. Decisero di deviare per orientarsi leggermente più a est, sia per rendere meno faticosa la salita, sia perché sapevano che l’est era la direzione che avrebbero dovuto prendere, alla fine.
Si udirono altre grida, di battaglia e di dolore, il tutto sovrastato dallo stridere delle lame e dal sibilo delle frecce. Il tutto contribuiva a creare una perfetta copertura per i passi svelti e i respiri affannosi dei tre che erano riusciti a sfuggire alla mischia, e al contempo sembrava uccidere, insieme agli uomini, quel bosco stesso, le intere Foreste di Wass, la Valle Verde, l’Oriente, e il cielo. Tutto moriva alle loro spalle, ma i tre continuavano. Smisero di correre, e presero a camminare, semplicemente, come se non fosse per la stanchezza fisica, ma perché erano stanchi di quei suoni, che ancora non smettevano.
Poi smisero. Ma ormai tutto era morto.

 
   
 
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