Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: PONYORULES    25/03/2020    0 recensioni
« Facciamo cinquecento grammi? ».
« No, stavolta non funzionerà ».
« Ok, cinquecento grammi di mandorle e duecento di fichi secchi » continua imperterrito.
Taehyung lo spinge via, usando l'unica mano libera. Nonostante ci sia poco spazio, per un attimo vede sparire la testa dell'amico mischiarsi alla folla che sta aspettando pazientemente la metro.
« Ti ripeto che non serve a farmi cambiare idea ».
« .. e una bottiglia da tre litri di succo al kiwi » conclude JungKook, mentre entra con fare distratto nel vagone. L'amico lo affianca, si siedono accanto e per dieci minuti non si parlano tra loro.
Potrebbero essere scambiati per perfetti sconosciuti, anche se con divise uguali continuano a sostenere ognuno il proprio cipiglio. Si guardano attorno: l'uno fissa la mappa delle linee metropolitane, l'altro conta le fermate che mancano, controlla di non aver sbagliato come è solito fare anche se scende alla stessa da che ne ha memoria.
« Due ».
« Mh? ».
« Hai capito benissimo ».
« No, affatto » sul viso del più giovane si apre un sorriso accattivante. « Due cosa? ».
« Due bottiglie, sei litri in totale » ora è il più grande a sorridere. « Prendere o lasciare ».
[Pairing: YoonKook/TaeJin] [Cameo: Block B, Apink]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sorpresa
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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The X Place
Shall we X


Park Jimin bussa alla porta della camera dei genitori, con il cuore in gola. Sa che la madre dorme sempre fino a tardi, causa dell'abuso di sonniferi che prende sempre dopo aver cenato. 
Non ricorda qual è stata l'ultima volta che si è confidato con lei e questa consapevolezza gli svuota il cuore: vorrebbe avere una madre normale, con cui parlare di tutti i problemi che ha in quel momento. 
Abbassa la maniglia non ricevendo risposta e si addentra nella grande stanza, immersa nel buio. E' da molto che la trova chiusa al suo passaggio mentre si dirige verso la cucina per fare colazione, perciò gli viene il dubbio che la disposizione dei mobili possa essere cambiata in sua assenza e di colpire il massiccio tavolino in rovere che di solito sta davanti al divano di velluto. 
In punta di piedi e con le braccia ben allungate davanti al tronco procede a rilento e con cautela, muovendosi in direzione delle lunghe tende che schermano l'intera camera dalla luce del sole. 
A tentoni e dopo diverse prove le dita sfiorano il tessuto morbido e riesce a tirarle per far entrare il giorno fra quelle quattro mura che odorano di chiuso e di incenso alla rosa. 
Jimin socchiude gli occhi, infastidito dalla sua stessa scelta di stile, dirigendosi poi verso la montagna di coperte che si trova davanti. Si siede sulla sponda sinistra e mette una mano sulla spalla di sua madre, dicendo una frase in cui riversa tutto se stesso. 
« Ho bisogno di te, Omma » la sua voce gli risulta lontanissima. La accarezza, ma non la sente muoversi. Aspetta qualche minuto. La donna si sveglia, ha gli occhi gonfi e ancora truccati, i segni del suo eyeliner costoso sono rimasti qua e là sul cuscino di cotone bianco. 
Mijeong fissa il soffitto per una manciata di secondi, portando una mano a massaggiare la base del collo; solo dopo un tempo che pare dilatato all'infinito si sforza di girarsi verso il figlio. 
I suoi occhi, nerissimi, la stanno fissando. « Ho dovuto prendere una pillola di sonnifero in più ieri sera perché avevo mal di testa. Questo cambio del tempo mi sta uccidendo » dice, mentre scosta dal corpo pesante le coperte, utilizzando anche i piedi per scalzarle meglio. « Dimmi, figlio mio, che cosa è successo? ».
Jimin si alza per farle spazio ma appena si mette in piedi le butta le braccia al collo e respira il suo odore sperando sia rimasto lo stesso. L'eco della fragranza che usa Mijeong è rimasto nell'incavo del suo collo e sulle pieghe della camicia del pigiama e quel profumo riporta Jimin alla sua infanzia. Sua madre lo teneva spesso in braccio, lo accarezzava e gli parlava del mondo al di fuori della loro grande tenuta. 
« Mamma aiutami, per favore » la voce del ragazzo sta tremando e così anche il suo corpo. Le braccia ricadono lungo i fianchi, rimane appoggiata solamente la testa. Si sente svuotato, senza forze, tanto è lo sforzo di ammettere di avere bisogno. « Papà, sai.. » ma non sa come continuare, non sa se vuole. 
Anni interi a proteggere la donna che lo ha partorito, chiudendo un occhio e girandosi dall'altra parte mentre la vede assumere una pasticca dietro l'altra, buttandole giù con un bicchiere di vino bianco. E adesso si sta appendendo a lei con le unghie e con i denti, alla ricerca di qualcosa che forse non c'è mai stato. 
« Che cosa succede? ».
« Si tratta di papà. Ha comprato un edificio nella parte popolare della città » cerca di parlare piano, perché vede la donna cominciare a massaggiarsi le tempie. « Un mio caro amico è in affitto lì, gestisce un negozio di parrucchieri assieme a suo padre. Papà vuole sfrattarlo solo perché mi sta simpatico, non sopporta che io abbia amici meno abbienti ».
Sua madre prende un respiro, chiudendo gli occhi ancora gonfi di sonno. « Che cosa stai cercando di dirmi? ».
« Ti prego, prova a parlarci tu ».
« Tuo padre non mi ha mai ascoltata, nemmeno il giorno del nostro matrimonio. Non vedo perché dovrebbe cominciare a farlo adesso ».
Jimin comincia a piangere, se ne accorge prima sua madre perché in un attimo lo sta stringendo forte. « E' che fa male » sussurra lui, mentre percepisce un dolore acuto al petto. 
« Non ti ho mai visto così ».
« E' da tanto tempo che non mi vedi, mamma ». 
Mentre si sciolgono dall'abbraccio la porta della camera si apre di colpo, sbattendo contro al muro. 
Il padre di Jimin entra nella stanza a grandi falcate: indossa un completo elegante e una cravatta color cremisi. Ha gli occhi che lampeggiano e sul viso guizza un'espressione di puro scherno.
« Ora sei venuto a chiedere aiuto pure a quella drogata di tua madre? » tuona, la voce profonda che riempie ogni angolo della camera. Le quattro pareti sembrano rimpicciolire e chiudersi attorno a Park Jimin. Guarda la donna che gli è seduta affianco alzarsi e andare incontro all'uomo che gli si è posto davanti. 
Jimin non sa cosa fare, è talmente agitato che il cuore gli batte forte contro i timpani e fatica a sentire la conversazione. Ha i piedi inchiodati al pavimento e sente la testa girargli. 
I suoi occhi registrano immagini frammentate, la lingua congelata in bocca, incapace di dire la sua, lo fanno diventare solo un triste spettatore della scena.
Vede sua madre affrontare suo padre, li sente alzare i toni e sentire il suo nome pronunciato più volte. Il dolore al petto continua a persistere, cominciano a bruciargli la base del collo e la punta delle dita. 
Muoviti. 
Ti devi muovere, merda.

Secondo dopo secondo, centimetro dopo centimetro, comincia a riottenere il controllo del suo stesso corpo. Non è più un semplice involucro ma diventa tutt'uno con le proprie gambe, le proprie braccia, il proprio petto. Si alza in piedi in un istante, ignora la stanza che comincia a vorticare davanti a sé. 
« Taci, donna! Non hai mai capito un accidente della vita! » sta gridando suo padre, mentre trattiene Mijeong per un polso. La sta scuotendo da diverso tempo, ma lei continua a guardarlo e a ribadire che non si lascerà più intimidire. 
« Prendevo tutte quelle pillole perché era troppo difficile continuare a vivere lucida con un essere schifoso come marito! Sei ignobile e stai disonorando la tua famiglia con la tua cattiveria e cupidigia! » la voce acuta di sua madre gli ferisce i timpani. « Nessuno ti ha mai amato nella vita, morirai solo! ». 
La fine della frase viene strozzata, Jimin vede le mani dell'uomo attorno al collo di sua madre e agisce d'istinto: tira fuori il telefono e schiaccia Rec una volta aperta la fotocamera. Sta registrando un video mentre urla a suo padre di lasciarla andare, grida “così la ammazzerai!” e poi fa cadere il cellulare per andare a salvarla. Si dà del maledetto stupido per aver tentennato ai danni della madre che ora giace incosciente fra le sue braccia. Il padre è accasciato poco più in là, sconvolto. 
« Io.. io non volevo farle.. » comincia a balbettare, mentre si passa una manica sulla fronte sudata. 
« Sei un uomo orribile » gli sputa addosso il ragazzo, fra le lacrime, mentre prova a svegliare sua madre. La pelle del collo è arrossata e c'è il segno delle grandi mani del padre ancora stampate. 
Recupera il cellulare e comincia a digitare il numero d'emergenza. 
« No, non lo fare! » sbraita l'uomo e in un attimo gli è addosso. Piazza il suo pesante corpo contro il suo e gli da un pugno sulla spalla, prendendo in pieno il nervo. Con un urlo di dolore, Jimin molla la presa sul telefono. Tenta di liberarsi ma suo padre è più muscoloso e pesante di lui, gli blocca entrambi i polsi contro al pavimento e Jimin torna ad urlare, mentre prova a divincolarsi. Muscoli, nervi, ossa, tutto il corpo stride allo sforzo che sta facendo per ottenere la libertà. Con il fiatone gira la testa verso la madre, per accertarsi se stia respirando. La vede riversa, un braccio teso verso di lui, come chiedergli un muto aiuto. 
Gli occhi gli si riempiono di nuovo di lacrime ed è in quel momento che individua il suo cellulare, scivolato sotto al mobile poco distante. Ha solo bisogno di liberare un braccio, il petto gli diventa pesante mentre sente il ginocchio dell'altro spingere sulla sua cassa toracica. 
Si gira per guardare suo padre, per ribadirgli ancora una volta quanto lo odia, ma non ha tempo per farlo. Il pugno dell'uomo lo colpisce sulla mandibola e Jimin perde i sensi. 

  
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