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Autore: Stella Dark Star    25/03/2020    1 recensioni
L'amore è nell'aria in questa notte di Capodanno! Mentre nel solito cafè i detective dell'Agenzia festeggiano e flirtano apertamente, l'unico ad isolarsi è Atsushi. Vorrebbe che Akutagawa fosse lì, vorrebbe festeggiare con lui come una normale coppia, ma i problemi sembrano aver preso il sopravvento da quando loro hanno deciso di vivere insieme... L'unica persona con cui si confida è la bambina che porta in grembo e che verrà presto alla luce. Quella notte, anche Dazai ha i propri grattacapi. Deve compiere un passo importante per far evolvere la sua relazione con Chuuya... ma solo dopo aver infastidito il Boss Mori, il quale a sua volta è impegnato in un affare piccante con un certo uomo...!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Atsushi Nakajima, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Ryuunosuke Akutagawa
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Mpreg
- Questa storia fa parte della serie 'SHIN+SOUKOKU SAGA'
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Akutagawa x Atsushi
Dazai x Chuuya:
Il primo fiore

 
 
Ormai era diventata un’abitudine quella di lasciare le tende aperte durante la notte. Magari le prime volte l’aveva trovato un po’ imbarazzante, anzi, mooolto imbarazzante, ma a lungo andare aveva cambiato idea, aveva cominciato ad apprezzare l’effetto della luce artificiale del lampione di fronte alla palazzina, quel modo discreto di attraversare il vetro e spargersi lievemente all’interno della stanza, mescolarsi al buio della notte e formare così un’aura rassicurante di colore blu. Colore che, negli ultimi mesi, era diventato il suo preferito. Be’…forse no. Il colore che amava, che più era lieto di vedere e sul quale non si stancava mai di posare lo sguardo, era quello della pelle di Akutagawa. Che fosse giorno o notte non aveva importanza, era e restava un colore che gli donava un numero indescrivibile di emozioni. Emozioni che, in verità, gli venivano donate da ogni cosa facesse parte di lui, soprattutto quando poteva godere appieno di quel paesaggio meraviglioso come in quel momento. Infatti Atsushi, sdraiato sul futon, quasi non riusciva a sbattere le ciglia talmente era incantato dalla bellezza del suo ragazzo. I suoi capelli neri come la notte più buia le cui ciocche dalle punte bianche fungevano quasi da lanterne, la sua fronte severa e leggermente aggrottata, i suoi occhi come perfette sfere grigie da cui talvolta si levavano luccichii, le sue labbra sottili e dischiuse, le sue spalle leggermente appuntite a cui spesso amava aggrapparsi, il suo petto magro, i suoi fianchi sottili…e le sue mani appena tiepide le cui dita lunghe sembravano artigliargli le cosce, ma che in realtà le stavano solo tenendo sollevate saldamente. Nonostante Atsushi stesse gemendo e anche il respiro di Akutagawa fosse piuttosto intenso, era comunque ben udibile il rumore sexy del rapporto, dei loro corpi uniti, il suono bagnato della virilità di Akutagawa che premeva e usciva dal suo rifugio intimo ad un ritmo sempre più rapido. Oltre alla vista e all’udito, era il senso del tatto a completare quella perfetta trinità. Percepire il calore e la presenza di Akutagawa dentro di sé, sentire il piacere espandersi per tutto il corpo fino alle estremità, la sensazione di essere…completo. Non aveva ancora perso la buona abitudine di ringraziare gli dei per ciò che gli avevano donato e anche per ciò che doveva ancora ricevere.
“Mh… Gh…” Afferrò i lembi del cuscino e li strinse fra le dita. Aveva le lacrime agli occhi, la voce gli uscì roca per il forte piacere: “Aku…Akutagawa!”
“Lo so.” Rispose lui, in una sorta di ringhio, prima di affondare le labbra contro la sua gamba per reprimere un gemito. Aumentò il ritmo e allungò una mano verso la virilità di Atsushi per massaggiarla.
Atsushi, sentendo la punta sfregare contro il palmo della sua mano, non riuscì a trattenersi oltre. Si lasciò andare all’orgasmo liberamente, gettò il capo all’indietro gridando e, un istante dopo, sentì il calore del proprio seme fondersi con quello della mano di Akutagawa.
Al termine di ogni rapporto, era solito entrare in una dimensione di pace totale, un luogo che considerava più importante del rapporto stesso, perfino più importante dell’orgasmo. Un luogo senza tempo e senza forma dove liberava tutte le emozioni che aveva accumulato e le lasciava disperdersi nel vuoto come bolle di sapone speciali, che invece di scoppiare si dissolvevano pian piano. Giusto il tempo necessario ad Akutagawa per asciugare e ripulire tutto per bene prima di stendersi accanto a lui, solo allora Atsushi chiudeva la porta di quella dimensione per tornare al presente.
Si girò sul fianco, così che Akutagawa potesse abbracciarlo da dietro, avvolgerlo col braccio e stringerlo al proprio petto. La sua mano andò a posarsi gentilmente sul ventre in un gesto d’affetto. Atsushi sorrise nel sentire le sue labbra stampargli un ultimo bacio nell’incavo fra la spalla ed il collo.
Sospirò sereno: “Quasi non riesco a credere che domani è il trentuno di dicembre. Questo anno mi è parso così lungo, con tutto quello che è successo!”
“Vero.” Due sillabe fu tutto ciò che riuscì a dire Akutagawa. Be’, non era mai stato un ragazzo di molte parole.
“Il proprietario del cafè è stato molto gentile ad affittarcelo per fare la festa. E scommetto che le ragazze, pur avendo solo un paio di ore per fare i preparativi, riusciranno ad agghindarlo al meglio.” Fece una breve pausa, quindi si schiarì la voce per un timido approccio: “Tu…sei proprio sicuro che…”
“Sì, Jinko. Domani notte devo restare alla sede principale, non posso partecipare ai festeggiamenti.” Il suo tono non era né arrabbiato né infastidito. Era semplicemente neutrale. Le cose stavano così e basta, non potevano farci nulla. Ma Atsushi non riusciva a farsene una ragione.
“Ma…è la festa di Capodanno. Ci saranno tutti e…”
“Ci saranno tutti quelli dell’Agenzia. Dubito che sarebbero felici della mia presenza. Anche se non fossi impegnato, la cosa più sensata per me sarebbe quella di unirmi alla festa che mia sorella ha organizzato con gli altri ragazzi della Port Mafia.”
Agenzia… Port Mafia…
“Questo muro fra noi non crollerà mai, vero?” Atsushi l’aveva detto come un rimprovero, ma subito se ne pentì. Non era certo colpa di Akutagawa. Sbuffò: “Scusami. E’ colpa mia se il Dottor Mori ti tratta così. Per stare con me, che sono un membro dell’Agenzia, ti ha tagliato lo stipendio e ha cominciato a darti incarichi assurdi ad orari altrettanto assurdi.”
Akutagawa temette che stesse per mettersi a piangere. Ultimamente il suo ragazzo aveva la lacrima facile a causa degli ormoni. O almeno era ciò che gli aveva detto la Dottoressa Yosano.
“Ti preoccupi troppo. Te lo dico in continuazione.” Sul serio, a cosa serviva colpevolizzarsi? Avevano affrontato quell’argomento in svariate occasioni e ogni volta lo aveva rassicurato. Sì, in effetti il Boss non aveva preso bene la notizia della loro relazione e si era mostrato spietato soprattutto dopo aver appreso che avevano deciso di vivere insieme nel minuscolo appartamento di Atsushi, ma…insomma, se lui per primo era convinto che prima o poi avrebbe riacquistato la propria posizione nella Port Mafia, perché Atsushi continuava a farsi problemi? L’unica risposta che riusciva a darsi era: ormoni. Sicuramente erano gli ormoni la causa di tutto. E in ogni caso non aveva voglia di ragionare per trovare altre risposte. (LOL)
Per quieto vivere, gli accarezzò il ventre e gli stampò un altro bacio sul collo.
“E’ tardi. Dormiamo.”
Atsushi non era affatto contento di quel comportamento. Secondo lui Akutagawa minimizzava troppo il problema, non lo affrontava nel modo giusto, e questo lo faceva sentire ancora più in colpa. Se non si fossero innamorati, magari Akutagawa sarebbe stato più felice? Si poneva spesso questa domanda, ma mai una volta aveva osato darsi una risposta. Perché era un vigliacco.
“…tsushi…Atsushi…ATSUSHI?”
Sgranò gli occhi e subito mise a fuoco il bicchiere pieno di spumante analcolico che teneva ancora nella mano.
“Ehi, ci sei?”
Volse il capo a sinistra ed incontrò lo sguardo scrutatore di Yosano. Niente da fare, neppure le ciglia colme di mascara e l’ombretto color terra sulle palpebre riuscivano a rendere il suo sguardo meno inquietante!
“C-cosa?” Chiese lui, sentendo un brivido corrergli lungo la schiena.
“Eri completamente assente! Non puoi esserti ubriacato bevendo spumante da mocciosi, no?”
“Ah…ecco…” Doveva togliersi d’impaccio per uscirne vivo. Si guardò attorno e cercò di cambiare discorso: “La festa procede bene, vero? Mi sembra che si stiano divertendo tutti!”
Yosano incrociò le braccia al petto e rispose stizzita: “Tutti tranne Dazai. Se n'è andato chissà dove.”
“Oh? Come mai?”
“Io lo so!”
La voce squillante gli ricordò che di fronte a loro due, all’altro lato del tavolo, erano seduti i fratelli Tanizaki.
“Ah sì? E dove sarebbe andato, di grazia?” Chiese tagliente Yosano.
Naomi ridacchiò: “L’ho sentito parlare al telefono qualche giorno fa! Pare che abbia un appuntamento importante!”
“Non dovresti ascoltare le conversazioni private, Naomi.” La rimproverò suo fratello, seppur debolmente.
“Colpa sua! Poteva andare da un’altra parte!”
“Ma…che si tratti di un lavoro? Questa notte?” Chiese preoccupato Atsushi.
“Certo che no! Ah ah ah! Dazai è andato di sicuro dal suo amoooore!” E nel dire quell’ultima parola fece correre il dito indice sul petto del fratello, facendolo arrossire. “Ne ha tutte le ragioni, comunque. E’ bello stare in compagnia, ma per festeggiare davvero il nuovo anno bisogna darci dentro con chi si ama! Vero, fratello?” Ed ecco che le sue mani partirono a colpo sicuro verso il basso ventre di Tanizaki, senza pudore e senza rispetto per chi, come Atsushi e Yosano, era lì e costretto a guardare!
“Naomi!!! Avevamo detto dopo la festa!! Fermati!!”
Certo che anche lui non aveva un minimo di spina dorsale…poveretto…
Nel mentre in cui i fratelli si dedicavano alle loro faccende incestuose, Yosano riprese la conversazione.
“Credo abbia ragione lei. Io stessa questa notte ho intenzione di fare scintille con la mia preda.”
Atsushi strabuzzò gli occhi: “P-preda?”
“Mh mh.” Sollevò la mano con cui teneva il bicchiere di spumante (quello vero) e indicò una persona precisa al bancone.
Impossibile.
“Ranpo???”
“Esatto. Mentre eravamo intrappolati nel libro di Poe, ho scoperto che quel nanetto dalla faccia da imbecille sta particolarmente bene con l’hakama . E che quando vuole sa fare un’espressione maledettamente sensuale. Perciò dopo la festa ho intenzione di sedurlo e passare il resto della notte con lui.” Dopo una pausa aggiunse: “A casa sua, ovviamente. Nel mio appartamento c’è Kyouka.”
Atsushi aveva la testa che girava come una trottola. Ranpo? Hakama? Sguardo sensuale? Cosa..? Almeno questo spiegava il motivo per cui quella sera Yosano si era superata in eleganza. Oltre al trucco che rendeva i suoi occhi ancora più belli, aveva raccolto i capelli all’indietro, creando una sorta di onda attorno al capo grazie alla lacca e un numero incredibile di forcine, inoltre indossava un abito nero luccicante senza spalline che le fasciava i seni e il busto, per poi scendere in una  lunga gonna composta di uno spacco vertiginoso che sembrava rendere le sue gambe ancora più lunghe. Era uno schianto! Atsushi distolse lo sguardo solo perché sentì di avere le gote accaldate e non voleva fare la figura del ragazzino imbarazzato. Purtroppo, gli ricadde nuovamente sui due fratelli spudorati, proprio nel momento in cui Naomi andò ad incollarsi alle labbra del povero fratello ormai sfinito dagli inutili tentativi di bloccarla. Avrebbe dovuto dire qualcosa ma…non aveva il coraggio di spezzare quel contatto fra loro. Erano così fortunati ad essere insieme quella sera, attorniati dagli amici, a divertirsi, a dare sfogo al loro -moralmente discutibile!- amore. Era tutto ciò che avrebbe desiderato lui. Invece Akutagawa non c’era.
Si alzò dal divanetto, all’improvviso.
“Te ne vai anche tu?” Lo fermò Yosano.
Si sforzò di mostrarsi allegro, ma sul suo volto non si dipinse altro che un sorriso amaro: “Ho bisogno di una boccata d’aria! Comincia a fare caldo qui dentro!” Recuperò il cappotto dall’appendiabiti a parete, lo infilò alla svelta e uscì dal locale con passo spedito.
A Yosano non era certo sfuggita l’aura di tristezza che aveva addosso. Quando era arrivato era parso abbastanza normale, ma poi aveva cominciato ad isolarsi mentalmente ed era sprofondato nel baratro. Sapeva cos’era successo e ne era dispiaciuta, però…sperava che la compagnia della ‘famiglia’ sarebbe bastata a tirargli su il morale. Peccato. Liquidò quel pensiero e allungò lo sguardo verso il bancone. Sorrise maliziosa. Forse era il momento giusto per avviare l’operazione ‘alla conquista del nanetto sexy’!
L’aria quella sera era particolarmente frizzante e Atsushi fu ben lieto di stringersi addosso il vaporoso cappotto bianco di lana. Akutagawa glielo aveva regalato a novembre, con l’arrivo dei primi freddi, ed era stato così accorto da scegliere un delizioso cappotto dal taglio a campana, in previsione delle forme tondeggianti che avrebbe assunto il corpo di Atsushi con il procedere della gravidanza. Ed infatti, ora che mancavano poche settimane al parto, il suo ventre aveva assunto la forma di un pallone da calcio! Lo cinse posando entrambe le mani alle estremità, sul suo volto si dipinse finalmente un lieve sorriso.
“Ti amo già con tutto me stesso, ma so che ti amerò ancora di più quando potrò coccolarti fra le mie braccia. Sai, Hana?”
Aveva saputo che si trattava di una bambina ancor prima che fossero le ecografie a svelarglielo. Tutto d’un tratto il suo mondo era diventato rosa. Ovunque posasse lo sguardo veniva attirato da quel colore e si era obbligato a reprimere il desiderio di acquistare innumerevoli vestitini e gonnelline! Questo fino a quando non aveva avuto la conferma del suo presentimento, allora si era dato allo shopping sfrenato dando fondo ai pochi soldi che aveva, tanto da far preoccupare seriamente Akutagawa. Ridacchiò ricordando la sua espressione mista tra ‘ti amo ma datti un contegno’ e ‘se non fossi incinto ti ucciderei con le mie mani’! Un bel ricordo.
“Piccola mia, anche se verrai alla luce in un mondo complicato, non ti faremo mai mancare il nostro amore. Potrai sempre contare su di noi, per qualunque cosa. Eppure, sento che sarai più forte di me e anche del tuo papà.”
Di fatto, il termine finiva i primi giorni di marzo, stando a quanto aveva detto Yosano.
“Arriverai prima tu della fioritura. Sarai il primo fiore. Il fiore più forte, proprio perché nascerai al freddo. E sarai tu ad accogliere la primavera.”
All’improvviso gli vennero alla mente un susseguirsi di flashback di se stesso e di Akutagawa. Per quanto incredibile, era come se le loro vite fossero state filmate interamente dal momento in cui avevano appreso della gravidanza e poi qualcuno si fosse occupato di ritagliare i momenti più belli e li avesse montati con cura, per far in modo che dalle immagini e dai dialoghi trasparisse appieno il loro amore e la loro gioia per l’arrivo della vita che avevano creato. Ogni sguardo, ogni gesto, ogni parola… Una lacrima di nostalgia gli rigò il viso, il cuore prese a battergli forte, il suo sguardo fisso sul ventre come attirato da una forza magnetica. Tutto finì esattamente com’era cominciato. Per alcuni istanti Atsushi rimase immobile, col fiatone. Possibile che fosse stata la bambina a fare…?
Prese il telefono dalla tasca, velocemente, e selezionò il numero di Akutagawa tra i preferiti.
*
 
Se qualcuno gli avesse chiesto di definire la solitudine, Akutagawa avrebbe senz’altro descritto la situazione in cui si trovava. Ormai aveva smesso di guardare l’ora all’orologio appeso alla parete. Il silenzio era così pesante che ogni ticchettio gli batteva nella mente come un gong. Se fosse uscito uno scarafaggio da dietro il banco dell’accoglienza, probabilmente avrebbe contato ogni passo di ogni zampetta. Invece quella sera perfino gli insetti avevano deciso di abbandonarlo, oltre agli agenti della Port Mafia. Oppure, semplicemente il Boss gli aveva mentito e quella notte non sarebbe venuto nessuno a fare rapporto. Era fermo di fronte alle porte vetrate, immobile come una statua, le mani nelle tasche del cappotto nero come il suo umore, lo sguardo che attraversava il vetro e si focalizzava sulla strada deserta. Sopra di lui il neon che fungeva da luce divina, l’unica luce accesa di tutto il piano terreno. Non mosse lo sguardo nemmeno quando fra le sue dita vibrò il telefono. Solo lo estrasse con gesto automatico, senza guardare lo schermo, e rispose con voce secca: “Sì.”
“Akutagawa…”
La voce all’altro capo lo scosse un po’, gli ridiede vita.
Jin-Atsushi!”
“Eh eh! Va bene anche se mi chiami Jinko!”
Accennò un sorriso tra sé. “Ti stai divertendo alla festa?”
“Sì. Sono tutti carichi e l’atmosfera è parecchio movimentata!”
Il tono era allegro, eppure fu il silenzio dopo quelle frasi a dare un segnale ad Akutagawa.
“Va tutto bene?”
“Io… Per la verità…”
Un sospiro gli arrivò al ricevitore come una pietra che sfrega contro il metallo.
“Atsushi?”
Lo sentì deglutire.
“Mi manchi… Vorrei che fossi qui con me. Con NOI due.”
Non era difficile capire che mentre parlava si stava sforzando di non piangere.
Akutagawa si spostò dall’ingresso, prese a camminare a zonzo pensando velocemente a qualcosa di carino da dire per tranquillizzarlo.
“Lo vorrei anch’io. Davvero. Vedrai che la prossima volta festeggeremo insieme. Magari in un attico nel grattacielo più alto di Yokohama!” Col pensiero pregò che la battuta funzionasse. Per fortuna sentì Atsushi ridacchiare.
“E’ un po’ improbabile, non credi?” Ed ecco che arrivò un altro sospiro triste.
“Comunque vada ti prometto che saremo insieme. Ora pensa a divertirti e poi vai a farti una bella dormita. E domani, nel pomeriggio, andremo al Tempio a pregare per la bambina.”
“Mh. Allora…a domani. Buon lavoro. E buon anno.”
“Grazie. Buon anno anche a te.”
“Ti amo…Ryuunosuke.” La voce spezzata dalla voglia di piangere.
Akutagawa strinse il pungo al fianco. Odiava se stesso più di ogni altro al mondo.
“Anch’io ti amo…Atsushi.” Non avrebbe sopportato di sentire il rumore del suo pianto, non avrebbe sopportato di esserne la causa, perciò si affrettò a chiudere la chiamata. Abbassò il capo, chiuse gli occhi. Si sentiva così miserabile…
“Idiota.”
Si voltò con aria giustamente sorpresa e vide Dazai camminare baldanzoso verso di lui.
“Tu? Cosa ci fai qui?” Era così preso dalla telefonata da non aver sentito la porta aprirsi. Se invece di lui fosse stato un nemico, magari armato, cosa sarebbe successo?
“La domanda giusta è cosa ci fai TU qui.”
“Sto lavorando.”
Dazai rise forzatamente: “Sciocchezze! Lo sai meglio di me che Mori ti ha detto di passare qui la notte solo per farti dispetto.”
Akutagawa cominciò ad innervosirsi. Va bene che pendeva dalle sue labbra, però non poteva tollerare che parlasse in quel modo del Boss, solo perché ormai aveva voltato le spalle alla Port Mafia per allearsi con l’Agenzia. Gli lanciò uno sguardo tagliente, come anche le parole che gli uscirono dalle labbra: “Per me è importante riconquistare la sua fiducia. Qualunque ordine io riceva ho intenzione di eseguirlo con devozione. E di certo non sarai tu a…” Sciaff!
Lo schiaffo che Dazai gli diede in faccia lo obbligò a voltare il capo di lato. Cosa…? Davvero aveva…?
Gli occhi sbarrati, non riusciva a muovere lo sguardo, tanto era incredulo e ferito nell’orgoglio.
“Atsushi e la bambina hanno bisogno di te. Sono loro la tua priorità. Davvero non lo capisci?”
Nonostante il tono severo, gli parve di percepire una leggera incrinatura nella voce. Finalmente riuscì a muovere il capo e a posare lo sguardo sul volto di Dazai. Sembrava…arrabbiato. Ma nei suoi occhi vi era traccia di tristezza. O era solo un’impressione?
“Hai idea di cosa significhi sentirsi in colpa ogni singolo giorno? Non riesco ancora e perdonarmi per aver spezzato il cuore a Chuuya e per essere stato spietato con te. Per essermene andato senza dire nulla. Per avervi lasciati invece di portarvi con me.” Ora i suoi occhi umidi tremavano. Posò entrambe le mani sulle spalle di Akutagawa e proseguì: “Non fare i miei stessi errori. Sii un buon compagno per il tuo innamorato. Sii un buon padre per tua figlia. O presto ti ritroverai anche tu a rimpiangere di non aver fatto la scelta giusta.”
Davvero non sapeva come reagire. Era così raro sentire parole così sincere. Era così raro che Dazai aprisse il cuore a qualcuno. Ed era….sì, era la seconda volta che quell’uomo riusciva a riempirgli il cuore di bontà affrontandolo da padre a figlio (per quanto non lo fossero biologicamente). La volta precedente, in una situazione simile, era rimasto così colpito dalle sue parole da svenire come un allocco, ma non era il caso di ripetere l’esperienza! Certo che anche stare immobile e con la bocca aperta come un pesce esposto al banco del mercato non era esattamente dignitoso…
Alla fine fu Dazai a rompere il silenzio. Fece un cenno all’indietro col capo e disse semplicemente: “Il taxi che mi ha portato qui è fuori che ti aspetta. Ho già pagato la corsa per entrambi. Vai.”
Niente da fare, Akutagawa era completamente immedesimato nel ruolo del pesce! E allora Dazai dovette agire a modo suo. Si spostò dietro di lui e gli diede una ginocchiata alle natiche, facendolo sobbalzare così forte che per poco quel povero ragazzo non perse l’equilibrio.
“Muoviti, idiota!” Lo disse ridendo, ma era chiaro che l’emozione del discorso di poco fa non era ancora scemata. I suoi occhi umidi erano come uno specchio della sua anima.
Akutagawa non perse altro tempo. Fece un cenno di ringraziamento e si avviò verso le porte vetrate per uscire dal palazzo.
Ora che aveva adempiuto al proprio dovere, Dazai si sentiva soddisfatto di sé. Eppure, non appena entrò nell’ascensore, si lasciò ricadere con le spalle contro la parete della cabina e sentì la necessità di piegarsi sulle ginocchia a causa delle gambe molli come gelatina.
Ridacchiò, guardando il soffitto: “Uh uh! Non è facile fare il padre!”
Sospirò per scrollarsi di dosso quel turbine di emozioni, quindi allungò la mano e fece per cliccare il tasto del piano dove era atteso per l’appuntamento. Ma si fermò. Invece, tirò fuori dalla tasca una piccola chiave argentea e la sollevò verso la luce neanche fosse stato un tesoro prezioso.
“Sarebbe un peccato non usarla dopo essere riuscito a farne una copia!”
Il ghigno sul suo viso disse più di mille parole. Infilò la chiave nella serratura che era sotto la tastiera e premette il pulsante dell’ultimo piano. C’era sempre tempo per divertirsi!
Com’era presumibile, Mori si irritò alquanto nel sentire qualcuno bussare alla porta a quell’ora.
“Chi diavolo si permette?”
Coi capelli visibilmente spettinati e con addosso solo la camicia sbottonata e i pantaloni dalla patta mezza aperta, aprì la porta con l’intenzione di uccidere il fastidioso intruso che aveva osato disturbarlo. E non cambiò certo idea nel trovarsi davanti un Dazai altamente borioso che se ne stava lì in posa come un damerino della vecchia Hollywood.
“Se non vuoi morire ti conviene sparire dalla mia vista.” Gli disse senza mezzi termini.
“Non mi chiede nemmeno come ho fatto ad arrivare qui?”
Gli occhi sanguigni di Mori brillarono nella semioscurità: “Vattene.”
“Ah ah! E io che ero venuto apposta per farle gli auguri, Boss!”
Mori era sul punto di esplodere, ma allo stesso tempo non aveva voglia di sporcarsi di sangue e perdere tempo con quell’imbecille. Per fortuna Dazai sembrò capire.
“Oh be’, ora che ho fatto quello che dovevo toglierò il disturbo. Vedo che è molto impegnato.” Fece finta di andarsene, invece all’ultimo si sporse all’interno della stanza e gridò gioioso: “Buon anno anche a lei, Presidente!”
“Figlio di-” Mori non riuscì ad afferrarlo per il collo solo perché Dazai fu più veloce a schivarlo e a scappare via a gambe levate! Dovette accontentarsi di richiudere la porta sbattendola violentemente per la rabbia, quindi vi posò la fronte contro nel tentativo di calmarsi.
“Quel ragazzo è fin troppo sveglio. Un giorno dovrai raccontarmi come hai fatto a farlo scappare dalla Port Mafia!”
Mori, suo malgrado, sorrise. Abbandonò la postazione e prese a camminare verso il letto a baldacchino il cui interno era totalmente al buio.
“Perché? Se vuoi liberarti di lui basta che lo cacci! Nessuno te lo impedirebbe!”
Si udì un click ed ecco che una lampada accanto al letto illuminò la figura di Fukuzawa. Semidisteso sul materasso, con la schiena appoggiata al cuscino accostato alla spalliera, aveva addosso un kimono più elegante rispetto a quello che portava di solito ma, essendo questo aperto, il suo corpo era in bella vista fino alla punta dei piedi. Nonostante avesse ormai una certa età, il suo petto era muscoloso e le sue gambe ancora in forma grazie agli allenamenti cui si dedicava regolarmente.
Mori si liberò velocemente dei pantaloni, svelando così la mancanza di biancheria intima. Con cautela salì ginocchioni sul materasso e si accomodò sulle gambe di Fukuzawa. Le sue dita scorsero lentamente il petto virile dell’uomo. Con sguardo malizioso chiese: “Dove eravamo rimasti?”
A quel punto Fukuzawa si sollevò con la schiena e avvolse il suo corpo in un abbraccio. Sussurrò al suo orecchio: “Mi aveva chiesto una dimostrazione, Dottor Mori.”
Mori gli cinse il collo con le braccia, quindi rispose divertito: “Giusto! Fammi vedere se hai imparato come si fa un’iniezione, altrimenti dovrò bocciarti nuovamente all’esame e darti ripetizioni!”
Non avevano più l’età per fare certi giochini erotici, però… contenti loro…
Fukuzawa posò le labbra sulle sue, con la lingua si aprì un varco fra di esse ed entrò per ricercare quella di lui. Contemporaneamente, dal basso lo afferrò per i fianchi e gli fece sollevare leggermente il bacino, poi lo fece scivolare lentamente sulla propria erezione. Nonostante le loro lingue fossero ancora impegnate in un duello, Mori non riuscì a trattenere un gemito. Solo quando la penetrazione fu completa si diedero tregua. I loro sguardi s’incontrarono, carichi di desiderio.
“Allora, Dottore? Ho superato l’esame?”
“E’ presto per dirlo. Hai infilato solo l’ago.”
Mori adorava provocarlo a letto tanto quanto gli piaceva farlo nella vita quotidiana o durante un combattimento. Il loro rapporto di amore-odio andava avanti da lungo tempo, nonostante avessero preso strade diverse, nonostante più volte avessero tentato di uccidersi a vicenda e non perdessero mai occasione di mettersi i bastoni fra le ruote quando si trattava di affari. E la cosa buffa era che nessuno -a parte Dazai, evidentemente!- sospettava che avessero una relazione sentimentale.
*
 
Ormai erano trascorsi una decina di minuti da quando la telefonata era terminata, ma ugualmente Atsushi non riusciva a mettere via il telefono. Il suo sguardo triste era incollato all’immagine di sfondo della schermata. Una foto che ritraeva lui e Akutagawa abbracciati di fronte alla ruota panoramica di Yokohama. Era stata scattata nei primi giorni d’estate, poco prima che scoprissero della gravidanza. Avevano approfittato di un giorno libero per uscire insieme e fare una passeggiata in città, camminando mano nella mano. Una delle rare volte in cui avevano indossato abiti diversi dal solito! In effetti, guardando la foto, sembravano due normali ragazzi con una vita altrettanto normale. Una delle prime volte in cui aveva visto Akutagawa sorridere. Quell’immagine, messa a confronto col presente, sembrava appartenere ad un’altra vita. Essere lì fuori al freddo, da solo…era il culmine dell’infelicità.
I suoi pensieri furono interrotti da un gran baccano proveniente dal locale. Notò l’orario sullo schermo del telefono. Era mezzanotte. Era cominciato un nuovo anno. In qualche modo trovò il coraggio di riporlo nella tasca, seppur sospirando malinconico. Tanto valeva rientrare e fare gli auguri agli altri, anche se non era affatto dell’umore giusto per festeggiare. Si voltò e fece quei due passi che lo dividevano dall’ingresso, ma proprio nel momento in cui sollevò la mano per afferrare la maniglia, gli sfrecciò accanto un tentacolo nero la cui sommità afferrò la maniglia al posto suo per tenere la porta chiusa.
Atsushi sbatté le ciglia, sorpreso: “Eh? Rashomon?”
Allo stesso modo un altro tentacolo gli avvolse il busto, giusto sopra il voluminoso ventre, e lo fece roteare su se stesso. Non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di cosa stava accadendo che si ritrovò fra le braccia di Akutagawa.
“Sei qui!” La voce gli si spezzò per l’emozione, gli occhi si riempirono di lacrime di gioia.
“Diciamo che qualcuno di molto fastidioso, che però ha a cuore la nostra felicità, mi ha ricordato qual è il mio posto!” Sorrise: “Felice anno nuovo, Atsushi!”
Le loro labbra si unirono in un bacio pieno di calore che nemmeno il freddo della notte invernale avrebbe potuto minacciare. Attorno a loro il mondo era in piena festa. Il cielo era illuminato dai colori brillanti dei fuochi d’artificio, dal locale arrivavano schiamazzi, risate e rumori di movimento. Fra chi brindava e chi lanciava stelle filanti, chi gridava auguri a quel nuovo anno che era giunto e chi abbandonava la serietà per lasciar posto alla gioia. Spalmata fra il bancone e lo sgabello, Yosano sfoggiava la propria bellezza statuaria, scambiando uno sguardo d’intesa con Ranpo seduto accanto a lei.
*
 
Quando Dazai aprì la porta dell’appartamento con aria serena e gli occhi socchiusi, venne accolto dallo ‘swish’ di un pugnale volante, che andò a conficcarsi nello stipite a meno di un palmo di distanza dalla sua testa.  Come niente fosse, richiuse la porta alle proprie spalle dicendo: “Auguri anche a te, amore!”
“Non chiamarmi amore.”
Un cane rabbioso avrebbe ringhiato in un modo meno inquietante. Ma vabbè. Gli dei gli avevano fatto dono della pazienza di un monaco buddista, fortunatamente. Con noncuranza diede uno sguardo attorno a sé. Ogni singola volta che metteva piede in quell’appartamento si sentiva quasi travolto dall’atmosfera antica e dallo stile fortemente europeo che ricopriva ogni cosa, dalla moquette rossa alla raffinata mobilia barocca, alle sculture del caminetto dove bruciavano dei ciocchi di legno. E nel bel mezzo di tutto ciò, Chuuya troneggiava come un sovrano sulla comoda poltrona di pelle scura, con addosso una veste da camera dallo stile tradizionale inglese, sotto alla quale non doveva indossare nulla, considerate le eleganti gambe nude accavallate una sull’altra. Sul tavolo accanto alla poltrona giaceva una bottiglia di rosso pregiato già stappata e due calici, di cui uno pieno  e l’altro quasi vuoto.
“E il nostro brindisi?”
“Sei in ritardo. Un bastardo come te non merita nemmeno di assaggiare un vino così costoso.”
Dazai si tolse il cappotto e lo ripose con cura su una delle sedie foderate, poi si sfilò il laccio con pendente dal collo e lo posò sul piano del tavolo.
“Solo di pochi minuti. Ti assicuro che avevo un buon motivo.”
“Che sarebbe…?”
Dazai sfilò anche il gilet e lo sistemò sullo schienale di un’altra sedia, quindi andò di fronte a Chuuya e allungò la mano per prendere il calice pieno.
“Ho contribuito alla felicità dei nostri amati figlioletti.”
“Amati figl-?” Chuuya si alterò ancora di più e premette le unghie così forte sui braccioli che per poco non rovinò la delicata pelle!
“Sul serio, Chuuya, anche tu potresti fare qualcosa per aiutare. Non è giusto che il Boss se la prenda con Akutagawa solo per aver scelto l’amore invece dell’odio.”
“Guarda che anche io ero preoccupato!” Disse con tono alterato, per poi continuare più civilmente: “Comunque mi sto dando da fare! Cosa credi? Ho parlato col Boss non so quante volte. Mi ha promesso che la smetterà coi dispetti infantili e ricomincerà a dargli lavori più onorevoli e lo stesso stipendio di prima. Inoltre mi ha confidato che, quando nascerà la bambina, come regalo ha in mente di dargli una promozione con rispettivo aumento di stipendio.”
Dazai sorrise soddisfatto. Chuuya era sempre stato un cane difficile da domare ma, per quanto abbaiasse e si divertisse a mordere, in fondo sapeva come guadagnarsi le coccole. Sollevò il calice: “Adesso un brindisi possiamo farlo?”
“Tsk.”
“No? Allora…” Si riempì la bocca di vino, si chinò su di lui e lo obbligò ad aprire la sua. Quando vi posò le labbra, oltre a trasferire parte del vino nella sua bocca, ne approfittò per gustarsi la sua lingua, nonostante i mugolii di protesta di Chuuya. Alla fine si leccò le labbra e disse compiaciuto: “Delizioso! …e anche il vino è buono.”
*occhiata assassina di Chuuya*
Una volta posato il calice, Dazai allungò le mani su Chuuya e andò ad insinuarle sotto la veste per scoprirgli il petto. Chinò il capo fino ad essere all’altezza giusta per stuzzicargli un capezzolo con la lingua.  Lo prese fra le labbra ed emise uno schiocco. Si era inturgidito subito! Vista la premessa, gli aprì le gambe e si inginocchiò fra di esse. Stranamente non ci fu protesta, nemmeno quando slacciò la cinta e denudò il suo corpo minuto. Un’idea gli stuzzicò la mente. Prese il calice e versò il poco contenuto restante sopra alla virilità di lui.
“Che cazz-AH!” Trasalì Chuuya, per quel gesto improvviso, ma la sorpresa di quello successivo fu tale da stroncargli la protesta. Sentire il calore umido della bocca di Dazai avvolgerlo completamente dalla punta alla base era così…dannatamente piacevole. Non tentò nemmeno di smorzare i gemiti, sarebbe stato impossibile. Quella parte del suo corpo era sempre stata incredibilmente sensibile e Dazai era sempre stato incredibilmente abile a ‘lavorarla’.
Lo stesso Dazai, che ormai conosceva alla perfezione le sue reazioni al piacere, non si sorprese nel sentire la mano di Chuuya fra i capelli, non per fargli male, ma per accarezzarglieli. Non appena la sua virilità diventò bella rigida, gli sollevò una gamba e la mise in modo d’avere la sua conscia appoggiata alla spalla. Il suo tallone piantato nella schiena, invece, fu un extra non esattamente gradito! Partendo dal ginocchio, Dazai fece scorrere le dita delicatamente lungo la coscia, poi sfiorò la curva della natica e col dito indice andò a penetrarlo.
Chuuya gemette più forte, la sua mente ormai era intorpidita dal piacere, ogni cruccio era finito nel dimenticatoio. Il  corpo esigeva sempre di più.
“D-Dazai…. Ahhh… Sto impazzendo!”
Tra la sua voce estasiata e i suoni umidi che provenivano dal lavoretto con la bocca e da quello più sotto, anche Dazai era sul punto di perdere il controllo.
“Non ce la faccio più.” Disse con voce roca, per poi scivolare via e rialzarsi in piedi. Mentre sbottonava la camicia con tanta foga da rischiare di strappare i bottoni, si sfilò le scarpe e le gettò all’indietro senza riguardo, stessa cosa che fece con la povera camicia maltrattata. In ultimo si aprì la patta dei pantaloni -o forse è meglio dire che la salvò prima che questa esplodesse!- e finalmente liberò l’erezione pulsante e dolorosa. I due si scambiarono un’occhiata di fuoco. Sembravano bestie in calore. Fu Chuuya il primo ad agire, saltandogli letteralmente addosso. Si aggrappò alle sue spalle e gli cinse i fianchi intrecciandovi le gambe attorno. Aveva disperatamente voglia di lui.
Dazai lo trasportò fino alla stanza accanto, dove constatò che il fuoco nel camino era stato acceso anche lì. Raggiunse l’enorme letto a baldacchino, le cui tendine di broccato ricamato a mano erano già state aperte, quindi salì con le ginocchia su un materasso talmente morbido da poterci affondare e lì ripose Chuuya con quanta più cura poté. Finalmente potevano dare libero sfogo alla loro passione.
Fra i loro corpi e la legna nel camino, era difficile stabilire chi stesse ardendo con maggiore forza. I loro corpi bollenti e madidi di sudore erano intrecciati come il groviglio formato da una pianta rampicante, il loro fiato si fondeva come anche i loro sguardi passionali. Il movimento simultaneo dei loro bacini si faceva sempre più frenetico, l’impatto sempre più rumoroso.
“AH…. AH… AAAH DAZAI!” Gridò Chuuya, gli occhi socchiusi che lacrimavano per il piacere. Sentì la necessità di allungare un braccio e di stringere il vaporoso piumone fra le dita.
Dazai affondò il viso sull’incavo tra la spalla ed il collo, la ciocca dei suoi capelli rossi gli solleticò le labbra.
“Anf anf anf…. Gh-Chuuya…” A sua volta ricercò la mano di Chuuya e fece in modo che stringesse le sue dita invece della stoffa.
“Fuuuuh….” Perché era così bello sentirsi sfiniti? Chuuya  se lo chiedeva ogni volta che facevano l’amore. In quei momenti di tranquillità, mentre riprendevano fiato, si chiedeva anche quando aveva cominciato ad essere dipendente dalle attenzioni di Dazai. Le prime volte era sicuro che si trattasse solo di sesso, quindi…
Di fatto aveva perso la verginità a sedici anni. Con quell’imbecille. Una cosa di cui si era vergognato per anni, anche se….nel lungo periodo di separazione non aveva minimamente pensato di trovarsi un altro amante. Essendo stato abbandonato aveva tutto il diritto di consolarsi o di fare del male a qualcuno usandolo solo per il piacere fisico. Invece no. Il suo corpo aveva pazientemente aspettato per quattro anni di essere nuovamente toccato dalle stesse mani che lo avevano toccato la prima volta. Alla fine chi era davvero l’imbecille tra loro due? Dazai aveva giurato che nemmeno lui aveva avuto una relazione o uno sfogo sessuale con altre persone, ma… Era la verità o lo aveva detto solo per non dargli un’ulteriore sofferenza? Qualsiasi domanda e qualsiasi timore, comunque, in quel momento non gli impedivano di stringerlo a sé, di sostenere il peso della sua testa contro la spalla, di accarezzargli i capelli umidi e di giocare con le sue dita intrecciate. Un momento… Perché oltre alle sue dita calde e bagnate sentiva qualcosa di freddo alla base dell’anulare? Volse il capo di scatto per guardare. Quello era…un anello con diamante???
Nel mentre, Dazai rialzò il capo dalla sua spalla e in un istante i loro visi furono così vicini che le punte dei nasi quasi si sfioravano. Chuuya notò il suo sguardo seducente, il suo sorriso malizioso. Improvvisamente si sentì la gola arida.
“Chuuya. Vuoi sposarmi?”
….non per dire ma….da dove saltava fuori quell’anello? E quando glielo aveva infilato al dito? Non stava capendo più niente, gli girava la testa e il cuore batteva così forte da rimbombargli nelle orecchie. Ehm…gli aveva fatto una domanda, giusto? Quindi doveva rispondere. Cosa gli aveva chiesto? Ah sì. Quello. Allora…allora… Doveva dargli una risposta. E la risposta era…era…
  
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