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Autore: Rei Murai    26/03/2020    6 recensioni
Dai film su Holmes erano passati a discutere dei loro casi reali, degli arresti eseguiti, di quanto erano magicamente bravi; e belli; e intelligenti… Kaito aveva sospirato esausto, aveva cercato di far comprendere che forse si era fatto un certo orario, che sarebbe stato bene che ognuno tornasse nella propria stanza.
Era stato ignorato, sotto ogni forma.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Missing Moments, Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Di quarantena e altre cose che non vi sto a spiegare.
 
 
NDA: L’idea è quella di riprendere a scrivere dopo un periodo molto lungo di blocco, quindi mi scuso se risulterò arrugginita e incapace di farlo; tanto potete sempre skippare.
Questa dovrebbe essere una mini raccolta (ciò non toglie che potrebbe anche semplicemente essere presente solo questa e via), le Flash fic non saranno necessariamente collegate tra loro e saranno TUTTE autoconclusive.
Alcune potranno presentare coppie varie – sia yaoi che etero che yuri a seconda dell’ispirazione, ma saranno comunque tutte ispirate ad un’immagine xD
 
Bando alle ciance e iniziamo…
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Prompt: pigiama party.
Personaggi: ¾ (Kaito Kuroba, Shinichi Kudo, Heiji Hattori e Saguru Hakuba)
Raiting: Verde
 

@Moyashi Nico  on Pixiv 
 
  1. Pigiama Party
 
Le dita premettero contro il cotone, artigliando il cuscino come se fosse la sua unica salvezza.
Le 2:27 di un banale sabato sera.
Kaito Kuroba serrò gli occhi con forza, si arrotolò a mo’ di bozzolo tra le coperte, digrignò i denti – quasi sentendo gli incisivi e i canini spezzarsi per quel gesto così avventato.
Le 2:31.
Poi le 2:32.
Poi le 2:33.
Quando, costretto a lasciare la presa per via dei muscoli doloranti, si accorse che la circostanza non accennava a cambiare, gemette di frustrazione.
Si voltò a pancia in giù, il cuscino ancora stretto tra le mani e i capelli arruffati tanto quanto il pigiama di flanella troppo largo che portava indosso.
Le 2:34; uno scoppio di risa poi di nuovo il silenzio.
Hattori allungò una mano afferrando una patatina dalla ciotola, Kudo lo colpì con forza, ammonendolo a seguito dello schiocco provocato dallo scontrarsi delle loro mani.
Hakuba, nemmeno a dirlo, nascose una risata divertita dietro la mano, gli occhi chiari ridotti a due fessure piene di ilarità.
Sabato, un sabato comune.
Un sabato come quelli che – fino a qualche mese prima – si era concesso troppo raramente.
C’era stato l’avviso dell’epidemia in Cina; poi si era sparsa velocemente per tutto il mondo. Nemmeno due settimane di preavviso ed era arrivato l’ordine di restare a casa.
Ognuno nella propria, si era sperato; ma quando il decreto era stato varato le tre scuole erano già in gita lontane da Tokyo.
La sfiga aveva voluto che si trovassero nello stesso posto, che Hattori riconoscesse Saguru, che l’hotel dove alloggiavano avesse impedito a tutti di uscire – garantendo la possibilità di restare a titolo gratuito alla scolaresca fino a che il governo non avrebbe tolto la quarantena.
Perché erano nella stessa stanza?
Perché assicuratosi che nessuno dei due fosse contagiato – dopotutto Hakuba era un cazzo di ipocondriaco di merda – e scoperti i gusti comuni, Saguru aveva proposto di guardare assieme i vecchi film inglesi sui libri di sir Arthur Conan Doyle e avevano scelto quella camera perché, in fondo: «non ti daremo alcun fastidio», o così gli avevano assicurato.
Era andata bene fino a che erano rimasti attaccati al computer, ovviamente.
Qualche commento a voce un po’ più alta c’era stato, mentre lui restava steso sul proprio futon leggendo un libro, ma nulla che avrebbe potuto rimproverargli.
Il problema era sorto dopo, quando si erano stufati di guardare i film e i tre detective, presi dall’inedia, avevano iniziato a parlare… e a parlare… e a parlare.
Dai film su Holmes erano passati a discutere dei loro casi reali, degli arresti eseguiti, di quanto erano magicamente bravi; e belli; e intelligenti… Kaito aveva sospirato esausto, aveva cercato di far comprendere che forse si era fatto un certo orario, che sarebbe stato bene che ognuno tornasse nella propria stanza.
Era stato ignorato, sotto ogni forma.
I tre detective erano troppo presi nella loro gara personale, nel loro tentativo di dimostrare di essere uno migliore dell’altro, per prestare minima attenzione a ciò che gli succedeva attorno.
Alla fine si era infilato nel futon con il cuscino sopra la testa, ma questo non aveva migliorato la sua condizione e lui era arrivato velocemente al proprio limite.
le 2:56.
Scostò le coperte con poco garbo, si tirò a sedere a gambe incrociate e rimase a guardare i tre ragazzi che, presi dalle loro chiacchiere sempre più concitate, avevano iniziato a fare uno stupido gioco; qualcosa con le carte che non aveva ben compreso.
«Ti vuoi unire a noi, Kuroba?» sia Hattori che Kudo erano stati di poche parole nei suoi riguardi, etichettandolo come un amico di Hakuba e mettendolo da parte.
Il londinese si voltò verso di lui, facendogli cenno di avvicinarsi e Kaito sbuffò, scuotendo il capo.
«Non avete sonno?» pigolò, ricacciando indietro il veleno e le parole cattive che gli stavano salendo spontaneamente fino alla bocca.
Li osservò mentre si guardavano tra di loro, cercando segni di stanchezza sui volti.
Kudo scrollò le spalle chiudendo la partita con un «Ho vinto di nuovo» e Hattori lanciò le carte in aria buttandosi sdraiato a pancia in su.
Conscio di aver perso ogni possibilità di dormire gattonò fino a loro, prendendo posto accanto a Hakuba e afferrò il mazzo di carte.
«Io gioco, ma se continuate a parlare di casi risolti alla grande e gente arrestata, vi giuro che mi trasformo nella peggiore rappresentazione mai esistita di santo Rattigan e vi metto tutti in gabbia, stupide copie di Basil».
Un’ombra confusa passò sui volti dei tre ragazzi e Kaito rimase folgorato dall’unica verità che non avrebbe mai voluto sapere: nessuno di loro aveva mai visto quel dannato cartone.
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