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Autore: MaxB    27/03/2020    7 recensioni
Questa è una storia che ho iniziato a scrivere dopo aver finito di leggere il secondo volume, quando ancora doveva uscire il terzo.
La considero una prosecuzione della storia originale come se il terzo libro non esistesse, e narra quindi delle vicende familiari che si sono succedute dopo la fine de Gli scomparsi di Chiardiluna, con leggere modifiche alla trama.
Sostanzialmente, Thorn e Ofelia saranno alle prese con la vita quotidiana da coppia sposata, cercando di capirsi, vivere insieme e prendere confidenza l'uno con l'altra.
E con un inaspettato desiderio di Ofelia...
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco il secondo capitolo. Una specie di flashback legato al capitolo 1, quando Ofelia ricorda in che modo lei e Thorn sono riusciti a diventare più intimi...
Grazie mille a chiunque leggerà, spero che il capitolo vi piaccia^^


Capitolo 2

Avevano imparato a condividere le loro notti molto prima che a darsi del tu. Ofelia trovava quasi più intimo sentirlo rivolgersi a lei con informalità, da pari a pari, che dormire con lui. O toccarlo…
Si erano concessi del tempo. Della calma. Thorn era una persona paziente, con Ofelia. Dava a chiunque poca rilevanza, era impassibile con tutti, non aveva preferenze o idiosincrasie troppo radicate, semplicemente non si fidava di nessuno, ma Ofelia esercitava su di lui un’ascendente che nessuno avrebbe mai potuto immaginare. Si aggiornava sui suoi pareri, su ciò che faceva durante il giorno o allo studio di lettura, su come stesse, e l’ascoltava davvero, sinceramente interessato. Non lo dimostrava con le espressioni, ad un occhio esterno sarebbero potute apparire domande di prassi di poco conto, ma Ofelia sapeva che non avrebbe mai rivolto quelle attenzioni ad una persona qualsiasi, a qualcuno di cui non gli importasse. E questo la lusingava. Aveva imparato a metterlo a parte dei suoi dubbi e tormenti e sapeva, sentiva che lui teneva in gran considerazione tutto ciò che diceva. Ogni tanto le faceva addirittura visita al suo studio, dicendo che era di passaggio e voleva assicurarsi che tutto fosse condotto in regola. Come se non avesse provveduto lui stesso a regolarizzare ogni postilla o comma della sua attività.
Il primo gesto romantico, del tutto inatteso, si verificò dopo due mesi dal ritorno di Thorn. Era passato diverso tempo dal loro matrimonio, ma dal momento che erano stati insieme solo poche ore dopo la funzione, e fino al suo ritorno, era come se fossero passati due mesi dallo stesso matrimonio. Ofelia aveva distrattamente accennato ai fiori di Anima, un pomeriggio trascorso con la zia Roseline, Berenilde e Thorn, e la zia aveva narrato di come fossero belli, colorati e profumati, mentre al Polo non ne crescevano di decenti nemmeno sotto le migliori illusioni. Ofelia aveva sentito gli occhi di Thorn su di sé, ma quando aveva incrociato il suo sguardo, lui si era alzato e congedato. Aveva dato poca importanza alla cosa, del resto era disinteressato alle chiacchiere da salotto. Ma poche sere dopo si era presentato a cena con un mazzo di fiori variopinti e freschi. Veri.
Li aveva posati sul tavolo da pranzo, mentre Ofelia li fissava interdetta, e alla fine Thorn aveva fulminato con lo sguardo la domestica che, a bocca aperta, li fissava e non accennava ad andarsene.
- Vi ho… - aveva mormorato lui, schiarendosi poi la voce per ricominciare. – Ho pensato di portarvi un piccolo dono. Non abbiamo avuto un matrimonio convenzionale e pensavo di…
La sua voce si spense. Ofelia non accennava ad alzare gli occhi. Quando riuscì a guardarlo, lo trovò profondamente a disagio, intento a fissarla, immobile, frugando nella sua espressione sbalordita.
- Ad ogni modo sono per voi.
Ofelia non era riuscita a dirgli nulla. Non un ringraziamento, non un complimento, non un convenevole. Aveva spostato delicatamente i fiori, con la paura di rovinarli, e avevano mangiato in silenzio, mentre la domestica li serviva fissandoli come se avesse scorto per la prima volta la loro indole innaturale, e si fosse resa conto di dover servire due bestie polari piuttosto che due coniugi.
Divorata dal senso di colpa, dopo la cena Ofelia aveva preso i fiori, li aveva annusati e si era commossa nel profondo per la loro presenza lì. Per il gesto e l’attenzione di quell’algido e impenetrabile marito.
Aveva raggiunto di corsa la camera degli ospiti dove dormiva, separato da lei, e dopo aver sbattuto contro vari mobili era arrivata di fronte a lui proprio mentre questi stava per aprire la porta e sparire al suo interno. Aveva perso l’equilibro, e con i fiori in mano sarebbe caduta lunga distesa, schiacciandoli, se Thorn non l’avesse afferrata per le braccia e aiutata. Quando aveva riacquistato l’equilibrio, si era affrettato a togliere le mani.
Ofelia lo aveva osservato con il fiatone, e lui aveva aspettato in silenzio, senza battere nemmeno le palpebre. Senza respirare.
- Grazie – gli aveva detto di slancio, senza preamboli.
Dietro l’angolo, nascosto, Renard si sarebbe voluto pizzicare una guancia dall’insoddisfazione. Se il suo compito era quello di consigliare e fornire opinioni, per quale motivo Ofelia non lo consultava nel momento del bisogno?
- Per i fiori, intendo – aveva precisato dopo alcuni attimi di rigida quiete. – Il vostro è stato davvero un gesto inaspettato e… molto gradito. Mi sento in dovere di ricambiare, ma non so come potrei…
Le labbra di Thorn, che si era chinato senza che lei se ne accorgesse, con un interminabile piegamento di colonna vertebrale per raggiungere lei, così piccola, avevano coperto le sue con delicatezza e trepidazione.
Ofelia non aveva avuto il tempo di reagire, non aveva capito se il gesto di Thorn fosse un tentativo di zittirla, di prendersi la sua ricompensa per il gesto, o solo un ghiribizzo, una voglia da togliersi.
Ricordava ancora il primo bacio che si erano scambiati. O meglio, il bacio che lui aveva tentato di prendersi, e lei aveva brutalmente rifiutato. Aveva compreso dal tocco leggero delle labbra di Thorn che anche lui ricordava l’evento, e per questo le stava dando il tempo di rifiutarlo senza ricorrere alla violenza. Non voleva scottarsi di nuovo. Ma Ofelia non aveva rifiutato. Aveva cercato di ricambiare il bacio, con timidezza, aiutata dal fatto che anche Thorn non era un esperto baciatore. L’inesperienza li aveva resi impacciati, ma questo non era bastato a spegnere la fiammella che ardeva nei loro cuori duri e ostinati, ognuno a modo proprio.
Thorn si era staccato silenziosamente e improvvisamente come si era chinato e, dopo essersi raddrizzato, si era schiarito la voce e le aveva augurato la buonanotte senza incrociare il suo sguardo. Ofelia era rimasta a lungo davanti alla sua porta chiusa, in silenzio, con in mano i fiori schiacciati dai loro corpi, a chiedersi cosa fosse successo. Alla fine era andata a dormire meccanicamente, sognando Thorn e un altro bacio.
La sera successiva, a tavola, Ofelia non era riuscita a proferire nemmeno una parola. Cosa avrebbe potuto dire ad un marito che non toccava, che non vedeva da più di due anni, però le aveva regalato dei fiori e poi l’aveva baciata? Ofelia avrebbe voluto un manuale di istruzioni che le spiegasse come comportarsi. Aveva pensato di sfruttare il vissuto della zia Roseline al riguardo, ma la cosa sarebbe stata imbarazzante. E Berenilde le avrebbe detto di portarselo in camera e rimanere impegnati fino al mattino successivo.
Persa nelle sue elucubrazioni, Ofelia era giunta di fronte a camera sua un po’ torturandosi le mani e un po’ cercando di calmare la sciarpa, e non si era resa conto della presenza di Thorn finché non ci aveva praticamente sbattuto contro.
- Vi ha dato fastidio ciò che è accaduto ieri? – le aveva chiesto senza mezzi termini, inchiodandola con il suo sguardo d’acciaio.
Ofelia, imbarazzata, aveva mormorato che no, non le era dispiaciuto.
- Ho il permesso di rifarlo, allora?
A corto di parole, e di fiato, lei aveva solamente annuito e chiuso gli occhi in attesa del bacio.
Da quella volta, Thorn l’aveva sempre aspettata di fronte alla porta della sua camera, per darle la buonanotte con un bacio che, in silenzio, diventava sempre più lungo e disinvolto, naturale e caldo.
Le sue mani avevano imparato a poco a poco a circondarle il volto o la vita per tenerla stretta a sé, come lei si aggrappava alla sua camicia o passava le mani tra i capelli chiarissimi.
Alla fine si staccavano, le prime volte senza guardarsi, con la fretta di tornare in camera, le volte successive con calma, condividendo i respiri prima di separarsi, guardandosi con una nuova luce negli occhi.
Una volta la zia Roseline, passando furtivamente per il corridoio, li aveva sorpresi, ed era rimasta ad osservarli sbalordita per alcuni attimi. Quando si era schiarita la voce per annunciare la sua presenza, i due si erano staccati così brutalmente che Ofelia aveva rischiato di perdere l’equilibrio. Thorn l’aveva afferrata saldamente per il braccio, e poi l’aveva lasciata subito, come se si fosse bruciato.
- Miei cari, se qualcuno mi avesse detto che vi avrei riferito le parole che ora sto per dirvi, prima che vi sposaste, avrei fatto rinchiudere questo qualcuno in una clinica, sotto l’attenzione di rinomati psicanalisti. Ma, per l’amor del cielo, siete sposati, e il mio ruolo di chaperon è terminato, quindi… prendetevi una stanza, per tutti i dizionari!
 
E la stanza se l’erano presa.
Per dormire…
Tre giorni dopo il caustico commento della zia Roseline, Ofelia aveva sentito per caso i domestici pettegolare sulla loro vita privata. I coniugi dormivano in camere separate, tutti lo sapevano, persino le alte sfere della corte lo sapevano, a causa del chiacchiericcio e dei muri con le orecchie, e qualcuno vociferava che addirittura il matrimonio non fosse stato consumato.
Deduzione corretta.
Quando aveva sentito un altro commento era con Renard, che aveva fatto finta di nulla e non aveva proferito parola. Anzi, si era zittito nel bel mezzo del discorso che stava facendo.
Quando, quella sera, Ofelia aveva raggiunto la soglia di camera sua, trovando Thorn in attesa come una statua, si era ritratta quando lui si era chinato per baciarla.
Con le sopracciglia aggrottate, leggermente confuso, era rimasto in attesa di spiegazioni, che sapeva Ofelia gli avrebbe fornito con i suoi tempi.
Stringendo i pugni, e guardando tutto fuorché i suoi occhi, gli aveva proposto di dormire con lei.
Se Thorn non fosse stato tanto bravo a nascondere reazioni e sentimenti, Ofelia avrebbe giurato di averlo visto vacillare leggermente.
- Dormire con voi?
- Sì – aveva sussurrato lei con un filo di voce. – In camera con me. In camera nostra, insomma. La corte rende la nostra vita privata troppo oggetto di pettegolezzo. Se cominciassimo a dormire insieme, probabilmente si placherebbero. Nessuno, oltre a noi due, saprà mai cosa succederà dentro questa camera.
- E cosa succederà dentro questa camera?
Ofelia era avvampata e aveva dovuto prendere dei respiri profondi prima di rispondere. – Dormiremo.
In silenzio, Thorn aveva girato i tacchi e si era allontanato, chiudendosi in camera sua.
Ancora preda dei tremiti di ansia per la proposta indecorosa che aveva avanzato, nonostante fossero sposati, Ofelia lo aveva imitato e si era buttata a letto, raggomitolandosi. Non avrebbe saputo dire se la morsa che le opprimeva il petto fosse causata dal calo di tensione o… dalla delusione. Dal senso di rifiuto.
Era ancora sdraiata quando, pochi minuti dopo, aveva sentito bussare alla porta.
Thorn era sulla soglia, con alcuni indumenti accuratamente piegati in mano.
La sua presenza aveva colto Ofelia così di sorpresa da lasciarla senza parole.
Thorn si era dovuto schiarire la voce per chiederle se l’invito era ancora aperto, dato che lei non lo invitava ad entrare.
Si erano mossi per la stanza come automi in procinto di esaurire la carica, muovendosi a scatti e con movimenti prima lenti e subito dopo rapidi e agitati. O così si era mossa Ofelia, almeno.
Thorn era andato a cambiarsi in bagno senza imbarazzo o tentennamenti, e ne era uscito con la divisa da intendente in mano, ben piegata. L’aveva poi posata fuori dalla porta.
Ofelia non sapeva se essere più confusa dal suo gesto o dalla vista di Thorn a petto nudo. Indossava solo un paio di pantaloni larghi, troppo corti per lui, di morbido cotone. Senza curarsi di lei, era andato sotto le coperte e si era sdraiato, non prima di aver guardato l’orologio da taschino, che aveva poi posato sul comodino. Aveva regolato la sveglia e non si era più mosso.
Destabilizzata, Ofelia era andata a lavarsi i denti in modo meccanico, per poi prendere posto accanto a lui. Tra di loro, nel letto, ci sarebbe potuto passare un dirigibile. Entrambi erano consapevoli del fatto che l’altro non dormiva. Impercettibili movimenti e i respiri irregolari erano come piccole conversazioni sussurrate. Lei voleva chiedergli per quale motivo avesse posato l’uniforme fuori dalla porta, e perché ce ne fosse una identica sulla sedia, stirata e profumata di bucato. Ma non aveva avuto il coraggio di dar voce a quelle domande. Era passato un tempo che a loro era parso interminabile quando si addormentarono. E quando Ofelia si era svegliata aveva trovato il letto vuoto.
La sera successiva aveva trovato il coraggio di chiedergli dell’uniforme. Lui si era già coricato, di nuovo a petto nudo.
- Quella fuori deve essere lavata e stirata. La domestica me la farà trovare domani pomeriggio in camera. Quella sulla sedia è l’uniforme che devo indossare domani mattina – aveva spiegato semplicemente, senza nemmeno girarsi a guardarla.
Lei era in piedi di fianco al letto, con la vestaglia lunga e gli occhiali storti sul naso, in attesa di essere tolti.
- E… come mai dormite a petto nudo?
Per calmare l’agitazione aveva bevuto due bicchieri di vino a tavola, che le avevano sciolto la lingua.
Sempre senza girarsi, Thorn aveva risposto: - Perché anche la maglia del pigiama mi è piccola. E sono costretto a portare indumenti scomodi tutto il giorno, quando dormo non desidero costrizioni. Buonanotte.
Chiusa la conversazione, Ofelia si era tolta gli occhiali e la sciarpa e si era sdraiata per dormire. Al contrario di Thorn, si era addormentata subito.
La notte seguente, Thorn si era avvicinato a lei, che era ancora in piedi dalla sua parte di letto, e l’aveva baciata dopo essersi sollevato sulle lunghe braccia. Senza riflettere, Ofelia gli aveva messo le mani sul torso, com’era abituata, ma le aveva subito ritratte quando si era resa conto che non poteva afferrare i bordi della giacca da intendente.
Quel bacio era durato più del previsto e, quando si erano separati, Ofelia aveva visto i suoi occhi brillare. Sdraiatisi a letto, questa volta l’uno verso l’altra, avevano allungato le mani per intrecciarle, e si erano addormentati subito.
Qualche giorno dopo, invece, Ofelia si era destata con la testa premuta sul suo petto e un braccio e una gamba avvinghiati a lui. Si era svegliata confusa e disorientata, e quando la sciarpa le aveva allungato gli occhiali, aveva spostato la testa e incontrato gli occhi metallici di Thorn, diventato una scultura di marmo contro il suo corpo. Ofelia si era resa conto della situazione equivoca e, paonazza e agitata come non mai, si era affrettata ad allontanarsi, dandogli anche un calcio nella foga di mettere distanza tra di loro. Ma Thorn l’aveva fermata per il braccio e, piegandosi, l’aveva baciata e le aveva accarezzato i capelli con delle dita leggere come piume.
- Cos’è successo? – aveva chiesto Ofelia quando si erano separati.
- Avete avuto un incubo. Vi siete dimenata e mi avete svegliato. Vi ho scossa leggermente per farvi riavere, ma voi vi siete girata e… vi siete raggomitolata. Contro di me. Poi vi siete un po’… - si era zittito, alla ricerca della parola giusta, - …allargata.
Non le aveva detto che quel contatto non lo aveva disturbato, anzi, o che era rimasto sveglio per godersi il tepore del suo corpo.
- Po-potevate svegliarmi e allontanarmi – aveva balbettato lei, che non sapeva dove guardare.
- Non mi avete dato fastidio. Penso che abbiate avuto freddo ad un certo punto, dunque avete cercato involontariamente una fonte di calore – l’aveva giustificata con una voce che di caldo aveva ben poco.
Ma Ofelia aveva capito che non era arrabbiato. La stava ancora trattenendo gentilmente per il braccio, contro di lui.
- Avete dormito bene lo stesso?
Thorn l’aveva squadrata in silenzio, fissandole prima l’attaccatura dei capelli scarmigliati, poi le sopracciglia, il nasino, le labbra, le guance, il mento e infine gli occhi.
- Poche volte ho dormito bene come questa notte – aveva ammesso senza vergogna.
Poi era uscito dal letto ed era andato in bagno, uscendone alcuni istanti dopo vestito e sbarbato di tutto punto. Ofelia era rimasta immobile, lusingata e confusa, e lo aveva guardato mentre la osservava in silenzio prima di uscire.
 
Dopo due sere passate a non guardarlo nemmeno per la vergogna, e per il disagio di non sapere come comportarsi, Thorn si era girato dalla sua parte non appena lei si era coricata, e l’aveva tirata a sé, abbracciandola. Le ci erano voluti due minuti per calmare il respiro e smetterla di restare in apnea, ma il cuore le batteva talmente forte che lei aveva temuto che Thorn potesse sentirlo.
Lui aveva il naso seppellito nei suoi capelli e l’aveva tenuta stretta, senza muoversi.
Quando Ofelia lo aveva chiamato con una vocina minuscola, lui non aveva risposto, si era solo staccato per allontanarla un po’ e baciarla.
Ofelia, a distanza di mesi, non sapeva ancora spiegare come lui le fosse finito sopra, o come lei avesse trovato il coraggio e la spudoratezza di allacciargli le gambe in vita, di ansimare e stringersi a lui, di baciarlo, accarezzarlo e lasciargli fare lo stesso a lei.
C’era voluta una settimana per riuscire a consumare interamente il matrimonio, e un mese perché Ofelia smettesse di arrossire vistosamente e balbettare in sua presenza. Thorn, da parte sua, non era sembrato minimamente turbato. Forse meno rigido, più rilassato, più presente in casa. I suoi ritardi avevano iniziato a diminuire, come i suoi modi bruschi, e aveva cominciato a scambiare più di due parole d’obbligo con la zia Roseline.
Non si poteva certo dire che fosse un tipo romantico, affettuoso, socievole o simpatico, ma persino Renard si era accorto del lieve cambiamento.
- Sembra che il matrimonio giovi fortemente alla tempra del signor intendente – aveva esordito un giorno con Ofelia, che stava cercando di effettuare una perizia particolarmente ostica nel suo studio.
Lei aveva mormorato un assenso senza curarsi di ciò che il suo consigliere e amico le stava dicendo.
- Pare che abbia trovato come… uno sfogo. È più sereno, non ha i nervi a fior di pelle come una volta. Voi gli fate bene al cuore.
Ancora, Ofelia non lo aveva ascoltato, ed era andata avanti con la lettura, concentrandosi sul passato di un piccolo anello intoccato da anni.
Alla fine Renard, divertito, le aveva bisbigliato all’orecchio: - Allora, ragazzo, è bravo a letto?
Ofelia era caduta dalla sedia, lanciando in aria l’anello, che era atterrato nessuno sapeva dove.
Balbettante, erubescente e più goffa del solito, aveva ordinato a Renard di ritrovarle subito l’anello, e se n’era andata fuori, nell’aria pungente del Polo, per raffreddare la temperatura delle sue guance, ormai prossime alla combustione come il resto del suo corpo.
Il suo “consigliere” aveva sghignazzato nonostante l’ardua impresa di ritrovare l’anello, che aveva portato a termine mezz’ora dopo. Ofelia gli aveva tenuto il muso tutta la serata, innervosita, e non aveva rivelato nemmeno a Thorn, a cena, il motivo del suo turbamento.
Renard però aveva comunque ottenuto risposta al suo quesito quando, quella notte, era passato casualmente in modo involontario davanti alla porta della camera da letto di Ofelia, che era diventata la camera di entrambi ormai ufficialmente.
I suoni attutiti che aveva intercettato al di là della porta e l’espressione serena della sua padrona il giorno dopo gli avevano confermato che il signor intendente era bravo nel suo lavoro quanto nel matrimonio. O per lo meno nella parte riguardante i doveri coniugali.
  
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