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Autore: mattmary15    28/03/2020    4 recensioni
Sequel de 'Il destino di una vita intera'. Un uomo crede fermamente nel destino, un altro non ci crede affatto. Qualcuno ha detto che sono due facce della stessa medaglia ma il tempo pare non avere dato ragione a nessuno di loro. La ruota del destino si è rimessa in moto e la domanda che si pongono tutti è sempre la stessa: Gli dei possono davvero giocare con la vita degli uomini? Il destino si può cambiare oppure una nuova guerra santa legherà i cavalieri al ciclo infinito di vita, morte e rinascita?
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Pegasus Seiya, Saori Kido, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il destino di una vita intera'
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Ritorno a casa
 

Subaru camminava avanti ed indietro sotto lo sguardo confuso di Aria e Niketas. Sospirava e camminava.

“Si può sapere cosa c’è?” Chiese improvvisamente Niketas saltando giù dal letto che gli era stato assegnato. Solo allora il ragazzino parve rendersi conto di non essere il solo nella stanza e fermò il suo incessante andirivieni.

“Dove diavolo è finito Seiya?” Sbottò allargando le braccia.

“Parli del nostro maestro?” Chiese Niketas.

“Maestro? Sarebbe un maestro se ci insegnasse qualcosa! Non si sa neppure dove sia finito!” Aria lasciò la scrivania alla quale si era seduta a leggere e raggiunse i ragazzi. A lei era stata data un’altra stanza ma era curiosa e audace per natura così l’aveva lasciata prima ancora di averne preso possesso ed era tornata dai suoi nuovi compagni di avventura.

“Se parlassi in questo modo al mio maestro, lui mi punirebbe molto severamente.”

“Il tuo maestro ad Asgard?” Chiese Niketas e Aria annuì.

“Il mio maestro è molto severo e molto forte. E’ l’unico in tutta Asgard a padroneggiare sia il gelo che il fuoco. Non ha eguali.”

“Almeno lui ti ha insegnato qualcosa!” Subaru rincarò la dose. “Ve lo dico io, qui si aggira un nemico di Atena molto potente e Seiya è veramente irresponsabile ad andarsene in giro lasciando Atena da sola.”

“Sai Subaru, Atena non è così indifesa! E’ una dea molto potente.” Precisò Aria. Niketas passò con lo sguardo da lei a Subaru e incrociò le braccia. 

“Non lo so. Mi sembra una fanciulla un po’ gracilina. Sono d’accordo con Subaru. Questo Seiya non è molto responsabile.” Subaru annuì. “Forse potremmo provare noi a fare qualcosa. Se davvero c’è un nemico che si aggira da queste parti, potremmo darci da fare noi per stanarlo.”

“Io ci sto!” Esclamò Subaru saltellando sul posto.

“E tu parli di responsabilità? Ti sembra responsabile impicciarti delle cose degli adulti. Soprattutto se il pericolo è grande? Noi non abbiamo armature.” Subaru si affrettò a dire la sua.

“Lo so che non possiamo battere un nemico tanto pericoloso con le sole nostre forze. Niketas ha detto ‘stanarlo’!”

“E pensate che se un nemico pericoloso e potente fosse penetrato nel cuore del santuario di Atena, se ne andrebbe a lasciare indizi su come trovarlo tanto facilmente al punto che un gruppo di allievi potrebbero riuscirci da soli?” 

Un rumore all’esterno fece scattare Aria che era già piuttosto nervosa. Si affrettò a lanciare un colpo congelante verso il colonnato temendo che qualcuno stesse origliando.

“Chi va là!” Gridò la ragazza lanciandosi all’esterno. Niketas e Subaru le furono subito dietro. 

“Che bel caratterino! La prossima volta però assicurati di colpire il tuo nemico.” Aria si rese conto di aver spolverato di brina solo una colonna.”

“Chi sei tu?” Chiese lei, piccata.

“Lui è Eden.” Si affrettò a dire Subaru. “Lui è un cavaliere. Di bronzo però.” Eden non fece una piega.

“Perfetto!” Esclamò Niketas. Eden si soffermò ad ascoltare quel ragazzo che non conosceva e incrociò le braccia sul petto.

“In che modo tutto questo sarebbe perfetto?” Chiese Aria.

“Ti lamentavi che eravamo solo un gruppo di allievi. Eden è un cavaliere. Ci aiuterà lui a scovare il nemico!” A Subaru  s’illuminarono gli occhi. Eden guardò prima Subaru e poi quello sconosciuto che, tuttavia, aveva un’aria familiare.

“Un momento. Non so di che parlate e non intendo interessarmene.” Disse deludendo le aspettative dei ragazzi.

“Buon per te! Non è affare per un cavaliere di bronzo. Venite, ragazzi, andiamo.” Tagliò corto Aria.

“Fermi! Non vi permetterò di combinare guai. Percepisco un potere inquietante in questi giorni al santuario. Non è una faccenda da bambini.” Aria pestò un piede a terra.

“Niketas, quanti anni hai?” Chiese la ragazza con tono di sfida.

“Quattordici. E mezzo. Quasi quindici.”

“Quindici. Io ne compirò quattordici in settembre. Tu quanti ne hai, cavaliere dei miei stivali?” Eden allargò il sorriso in una smorfia.

“Quindici il mese prossimo.”

“Quindi quattordici!” Esclamò lei.

“Tu non sai con chi hai a che fare.” Disse Eden con tono minaccioso. 

“Neanche tu!” Si affrettò a dire lei ma qualcosa nel ragazzo dalla carnagione pallida stava cambiando. Una specie di aura oscura si stava allargando da lui verso i piedi di Aria. Fu allora che Eden se ne accorse. 

Niketas aveva fatto un passo avanti e spinto Aria dietro di sé. Dal suo corpo si sprigionava una specie di luce dorata. Subaru corse in mezzo a loro e quietò i due cosmi che si fronteggiavano.

“Non è il caso di arrabbiarsi. Eden, se tu sei convinto come noi che qualcosa di pericoloso si aggiri tra le case del santuario, perché non collaboriamo?” Eden, che sembrava a disagio, si voltò.

“Io non sono tipo da gioco di squadra.” Fu la voce di Niketas a bloccarlo.

“Aspetta! Siamo stati scortesi con te. Per una volta, non potresti cambiare idea? Giù al porto ho visto un gruppo di ragazzi come noi combattere contro un uomo con un’armatura nera. Sembravano più deboli di lui ma non hanno avuto paura perché erano insieme.” Eden ripensò alle parole che suo padre usò quando lo condusse al santuario la prima volta. Voleva che diventasse uomo avendo dei compagni. Non era andata proprio così. In fondo, erano un gruppo di ragazzi svegli. Perché non provarci?

“In che modo potreste aiutarmi?” Disse più a se stesso che a loro. Niketas e Aria rimasero zitti. Fu Subaru a parlare.

“Perché io so qualcosa che nessuno di voi sa. Se formeremo una squadra, ve la dirò.”

“Io ci sto.” Disse Niketas guardando Aria. Lei sbuffò.

“Va bene. Anche io.” La ragazza guardò in malo modo Eden. 

“Scherzate?” Chiese ma capì subito dallo sguardo furbetto di Subaru che quello faceva sul serio. “Va bene.”

“Evviva! Saremo la squadra di soccorso!” Niketas e Aria risero. Eden alzò gli occhi al cielo.

“Invece di dire scemenze, vuoi dire cosa sai?” Subaru ritornò serio.

“C’è uno specchio magico nella stanza del trono di Atena.”

“Uno specchio magico?” Chiese Aria.

“Quindi continui a dire scemenze.” Intervenne subito Eden.

“Non è una scemenza. Dama Clio lo usa.” A quelle parole Eden parve farsi finalmente serio. Subaru continuò. “Lo usa e parla con qualcuno attraverso lo specchio ma non so chi sia.”

“Perché non l’hai detto ad Atena o al grande sacerdote?” Chiese Eden. Subaru abbassò lo sguardo.

“Se dama Clio sta tramando qualcosa, scoppierà una nuova guerra sacra, non credete? Voglio essere certo delle accuse che faccio.” Eden annuì.

“Questo non è sbagliato.”

“Allora indaghiamo!” Niketas intervenne con l’entusiasmo che, i suoi compagni avevano compreso, gli apparteneva di carattere.

“Dovremo farlo senza dare nell’occhio e se riterremo che ci sono seri indizi, informeremo Atena.” Concluse Aria.

“Ci darai una mano anche se tu vieni da Asgard?” Chiese Niketas. “Il tuo dio è Odino.” 

“Certamente, Odino e Atena sono alleati.” Eden ascoltò quello scambio di opinioni riflettendo. 

Era arrivato fino alla tredicesima casa con l’intento di parlare finalmente con Atena. Avrebbe voluto dirle con sincerità quello che sentiva. Confrontarsi con lei sulla situazione della cicatrice del tempo. Nonostante suo padre gli avesse rinnovato la sua più totale fiducia e spiegato che il Santuario avrebbe di certo fatto fronte ad ogni emergenza in modo egregio, lui sentiva di avere una parte importante da giocare. Qualcosa, nel suo cuore, gli suggeriva che quello che stava accadendo, riguardava anche lui.

Poi era incappato nei discorsi di quei ragazzi. Aveva conosciuto l’allievo di Seiya nell’arena e qualcosa in lui lo aveva scosso. Il suo sguardo limpido e allo stesso tempo fiero non sembrava appartenere ad un ragazzo della sua età. E poi Niketas e Aria. Lui con una sicurezza e un cosmo che non sapeva definire e lei cosi sfacciata, una vera guerriera di Asgard.

Forse, piuttosto che affrontare direttamente Atena, cosa che lo metteva ancora a disagio, poteva cercare di scoprire per conto proprio quale fosse il motivo dietro ai suoi dubbi. La voce di Niketas lo riportò alla realtà.

“Cosa ne pensi?” Eden si scosse e rispose senza esitazione.

“Se saremo cauti e furbi, nessuno farà caso a noi. Gli adulti tendono a sottovalutare i ragazzi. Vi avviso però, non accetterò colpi di testa. Si farà a modo mio. E se io dirò che il pericolo è troppo grande, vi farete da parte e affideremo la cosa a veri cavalieri di Atena.” Niketas annuì.

“Da dove si comincia?”

“Dallo specchio di cui parla Subaru.”

“Allora seguitemi. Vi ci porterò.” 

I ragazzi seguirono il più piccolo lungo uno degli stretti corridoi secondari che conducevano dalle stanze di Atena alla sala del trono. Quando la raggiunsero, era vuota. Subaru li guidò fino ad una parete quasi interamente coperta da un drappo rosso. 

“E’ qui.” Disse scostando appena il pesante tessuto. Uno specchio largo quanto due persone e molto alto comparve davanti ai loro occhi.

“Mi sembra uno specchio normalissimo.” Aria si avvicinò per prima e il suo riflesso riempì la superficie di vetro. Quando però Eden si avvicinò e fu la sua immagine ad essere riflessa nello specchio, i ragazzi sussultarono. Lo specchio rimandava la figura di una persona molto più alta, vestita di nero che impugnava una spada avvolta dalla stessa aura oscura che si era sviluppata dal ragazzo quando aveva discusso con Aria. 

“Che diavolo è quello?” Esclamò Aria portandosi le mani alla bocca per la sorpresa e facendo un passo indietro.

Eden si guardò nello specchio. La figura non si muoveva come lui ma il ragazzo sapeva che era lui. Gli tornò in mente l’incontro avuto tra la casa del Sagittario e quella dello Scorpione e comprese. Non era uno sconosciuto quello che aveva interrogato lungo i gradini. Non era un nemico. Era se stesso. O, meglio ancora, era la precedente incarnazione di Hades. La mano di Aria gli afferrò un braccio.

“Eden! Rispondi! Che cos’è quello?” Il ragazzo si girò a guardarla e stavolta la figura nello specchio fece lo stesso.

“Sono io. La parte del dio Hades che è dentro di me.” Nell’udire quelle parole, Niketas ebbe come un brivido. Parlò di getto.

“Tu sei imparentato con il dio dei morti?”

“In un modo che non saprei spiegare. Se avete paura di me, vi capisco.” Eden non smise di guardare Aria che non sapeva bene cosa dire. Ancora una volta fu Niketas a parlare.

“Non mi fai paura. Sei un cavaliere di Atena, giusto? E abbiamo deciso insieme di fare il possibile per proteggerla. Tu sei un nostro compagno.” Eden sorrise. Se i ragazzi avessero conosciuto suo padre, avrebbero riconosciuto immediatamente la sua espressione tipica su quel viso.

“Avanti, Niketas, specchiati tu. Vediamo se ho ragione e se questo specchio mostra la vera identità delle persone.” Eden allargò un braccio lasciandogli il posto. Niketas fece un passo in avanti ma Subaru lo fermò.

“Non è così. Lui ci vuole confondere.” Disse piano.

“Lui chi?” Chiese Eden.

“Lo specchio!”

“Lo specchio avrebbe una sua volontà?” Chiese NIketas portandosi una mano al mento. Subaru annuì.

“Altrimenti con chi parlava dama Clio?”

“Sei certo di quello che hai visto?” Lo punzecchiò Eden.

“Assolutamente.”

“Magari bisogna pronunciare una formula. Ad Asgard per chiamare il Bifrost bisogna pronunciare un incantesimo.” Intervenne Aria. “Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?” Scherzò lei dando le spalle allo specchio. Quando però vide l’espressione dei ragazzi si penti di aver giocato a quel modo. Almeno fino a che si udì come uno stridore e la superficie di vetro tremò appena.

Lei si voltò di scatto e vide una figura che sembrava un fantasma ondeggiare appena. Si affrettò a raggiungere Niketas non appena il fantasma parlò.

“Sei molto bella mia signora, in verità,  ma in questo reame esiste una creatura ancora più bella.”

“Ecco con chi parlava dama Clio!” Esclamò Aria ma la figura nello specchio parlò ancora.

“Clio, la favorita di Apollo è molto bella, in verità, ma in questo reame esiste una creatura ancora più bella.”

“E’ Atena la più bella?” Chiese allora Niketas.

“Atena in terra è molto bella, in verità, ma in questo reame esiste una creatura ancora più bella.” Rispose lo specchio. Subaru cominciò a dare segni d’intemperanza.

“Che c’importa di chi è la più bella! Cos’altro sai fare, stupido specchio?” Strillò.

“Calmati, Subaru.” Esclamò Aria. “Comprendo la tua frustrazione ma almeno adesso sappiamo con chi parlava dama Clio. E’ una buona notizia, no? Non credo che la presenza nello specchio sia una minaccia per Atena.”

“Molto cortese, mia signora. Qualcuno mi ha danneggiato.” Tutti e quattro i ragazzi si voltarono a guardare lo specchio. Si accorsero allora che in alto mancava un angolo. “Fino a che non sarò di nuovo integro, sono corrotto. La via è aperta.”

“Quale via?” Chiese Eden. “Quella per il labirinto di Crono?”

“Ogni via.”

“Chi sei tu?”

“Io sono Numen. Solo un dio può invocarmi dal mondo dello specchio.”

“Quindi non è stata la mia formula a svegliarti!” Disse Aria guardando di sottecchi Eden.

“Rispondo alla volontà degli dei.”

“Quindi non eri tu quello che parlava con dama Clio.” La figura nello specchio tremò in segno di diniego.

“Quando dici che ogni via è aperta, cosa intendi? Chiese di nuovo Eden. “Che è possibile passare per lo specchio?” La figura annui.

“Ma è una cosa terribile!” Esclamò Niketas. “Vuol dire che chiunque può entrare nel santuario.”

“Non chiunque. Solo un dio.”

“Peggio!” Gli rispose il ragazzo.

“Non necessariamente.” Gli fece da contraltare Eden. “Di certo nessun dio si lancerebbe nel cuore del santuario nemico se non seguito dai suoi cavalieri.”

“Ma hai parlato di Crono! I titani sono tutti dei!” Lo corresse Niketas.

“Questo è vero. Numen è aperta anche la via per il luogo dove giacciono i titani?” 

“Esiste una regola che gli dei non possono infrangere. Mai avere a che fare con i titani. Vale anche per me. Finché resto corrotto, la mia volontà non conta però.”

“Torniamo al motivo principale per cui ti abbiamo chiamato. Con chi parlava dama Clio nello specchio?”

“Non con me. Io compaio solo innanzi agli dei.”

“Se troviamo il pezzo che ti manca, la via sarà chiusa?” Chiese Niketas. La figura nello specchio annuì. “Come lo troviamo?”

“Se possedete un artefatto sacro, potrete usarlo per farlo entrare in risonanza con lo specchio.”

“E dove lo prendiamo un artefatto sacro?” Esclamò Niketas allargando le braccia.

“Io so dove trovarne uno,” disse Eden, “ma ci metteremo nei guai. Andiamo a parlarne da un’altra parte.”

Numen fu congedato e i ragazzi tornarono nella loro stanza da dove erano venuti.

 

――――――――――――-

 

Il traghetto che Death Mask aveva prenotato fece due ore di ritardo. Quando giunsero al Pireo, Seiya era sfinito. Sebbene il rapporto tra il cavaliere del Cancro e quello della Bilancia fosse migliorato, non lo era al punto da non causare battibecchi per tutto il tempo della navigazione. 

Seiya non vedeva l’ora di raggiungere Rodorio perché laggiù avrebbe potuto riassumere l’identità del cavaliere di Sagitter e spiccare il volo verso il santuario. Era preoccupato non solo per le condizioni di Saori e la faccenda di Kouga ancora in sospeso, ma anche per come doveva affrontare Pandora alla luce delle rivelazioni di Efesto.

Durante il viaggio aveva spiegato ai suoi compagni quello che aveva scoperto.

“C’è l’avevamo sotto al naso. La fenice farà scintille!” Aveva detto Death Mask senza aggiungere altro sull’argomento. Seiya sapeva che aveva perfettamente ragione. Anche se ci fosse voluta una sola goccia di sangue di Pandora per far funzionare il meccanismo di Antikyteras, per Ikki sarebbe stata una goccia di troppo.

D’altro canto era vero anche che si era appena riconciliato con tutti i suoi vecchi compagni d’arme e doveva solo dimostrare di nutrire in loro la medesima fiducia che loro gli avevano rinnovato solo pochi giorni prima.

Mentre camminavano verso la fermata dell’autobus, affiancò Shiryu.

“Ikki capirà?” L’uomo cui si era rivolto sorrise guardando dritto davanti a sé.

“Se lo domandi, non ne sei convinto.”

“Puoi mai essere certo di qualcosa quando si tratta di Ikki?”

“In effetti no. E’ il bello di Ikki. Stavolta capirà.” Seiya annuì. “Piuttosto, capirà Pandora?”

“Sono sicuro di sì. E’ una donna pratica. Non ho dubbi che reagirà con la stessa determinazione con cui ha fatto in modo di svegliare Hyoga.”

“E’ probabile. Tu stai bene?” Chiese improvvisamente Shiryu e Seiya perse un passo rimanendo appena dietro all’amico.

“Non fate che chiedermelo. Tu, Shun, Hyoga. Persino Ikki si è preso la briga di domandare.”

“Questa non è una risposta.”

“Che vuoi sapere, amico mio? Sto bene. Ho solo tante preoccupazioni.”

“Credevo che ti avessimo spiegato che puoi contare su di noi, che non devi portare il peso delle tue responsabilità da solo.”

“Tu dovresti capirmi. Sai cosa significa indossare un’armatura d’oro.” Shiryu sì rabbuiò.

“Penso di aver abusato troppo della libertà concessami da Atena in passato. E sai perché? Mi sono detto che lo facevo per Shun-Rei, che il mio posto fosse con lei e Ryuho. In effetti la verità è che ogni volta che ho indossato l’armatura di Libra, mi sono sempre sentito oppresso. Una sensazione simile non l’ho mai provata indossando l’armatura del dragone. Ero così fiero la prima volta che mi sono dimostrato degno dell’armatura d’oro. Eppure quando l’ho indossata ho capito che era come se la mia appartenenza ad essa fosse incompatibile con qualsiasi altra cosa in questo mondo.” Seiya non fece in tempo a rispondere. Death Mask che si era appena acceso una sigaretta lo fece per primo.

“Voi due! Cosa pensavate fosse un’armatura d’oro? Perché credete che ci sia una casa per ogni cavaliere? Ogni cavaliere d’oro è un universo a se stante. Siamo quanto di più vicino ad Atena e di quanto più lontano da un uomo comune. Non è qualcosa a cui tutti possono abituarsi. Girarci intorno non serve a niente. Dicono che Atena odi le armi e che per questo noi cavalieri combattiamo a mani nude. La verità è che noi siamo le armi della dea Atena e non ci si rassegna facilmente a vivere da strumenti.” Seiya avrebbe voluto dire che si sbagliava ma l’autobus per Rodorio accese i lampeggianti e non aggiunse altro. Salirono a bordo senza parlare.

L’autobus ci mise poco a raggiungere il villaggio che mostrava ancora i segni del recente terremoto. Eppure, quando scesero dal veicolo, Seiya e gli altri capirono subito che il via vai di gente non dipendeva dai lavori di ricostruzione. Shiryu si avvicinò ad alcuni uomini che parlavano tra loro.

“Che succede?” Il più anziano tra loro rispose.

“Sono scesi i soldati dal santuario. Cercano qualcuno.”

“Chi?” Chiese Death Mask.

“Un cavaliere d’oro.” A quelle parole il cavaliere di Cancer guardò dritto negli occhi Seiya mettendo su un’espressione cattiva.

“E’ capitato qualcosa di brutto.” Sentenziò. Fu allora che Seiya ruppe ogni indugio. Chiuse gli occhi e l’armatura d’oro comparve su di lui e si dispose sul suo corpo. 

“Io vado alla tredicesima casa. Shiryu va a dire a Pandora ed Ikki che ho bisogno di parlargli. Death Mask raggiungimi dopo esserti accertato se Rodorio è al sicuro.

Entrambi i cavalieri annuirono. Seiya spiccò un balzo e le possenti ali di Sagitter lo sollevarono oltre i tetti delle case di Rodorio.

Quando toccò di nuovo il suolo, gettò prima uno sguardo alla statua di Atena poi alle stanze di Saori.

Era certo di aver passato un sacco di tempo negli ultimi quindici anni sotto quel portico di maestose colonne eppure, nonostante quella sensazione gli scaldasse il cuore, non riusciva a riportare in modo chiaro alla mente un solo istante trascorso lì con Saori.

Stava per entrare nel corridoio che conduceva alla sala del trono quando una figura minuta, correndogli incontro, gli finì addosso. Seiya gli mise entrambe le mani sulle spalle e lo allontanò da sé quel poco che serviva per guardarlo in faccia.

Un paio di occhi blu lo guardavano con curiosità. Stava per chiedergli chi fosse, quando la voce di Subaru lo scosse.

“Seiya! Sei tornato!” Seiya lasciò andare il ragazzo e guardò l’allievo che Saori gli aveva assegnato prima che partisse alla volta dell’Italia. Insieme a lui c’erano Eden ed una ragazza che non conosceva.

“Subaru, cosa ci fate voi qui? Non dovreste essere con Hyoga?” Fu Eden a rispondergli per primo.

“E’ colpa mia. Mi hanno convinto a fargli dare un’occhiata alla statua della dea Atena. Li riporto dal maestro Hyoga.”

“Un attimo!” Esclamò il ragazzo che era andato addosso a Seiya. “Atena ci ha dato delle stanze al Santuario. Siamo tuoi allievi, non di Hyoga.”

“Niketas ha ragione.” Aggiunse Subaru. Seiya alzò gli occhi sul viso di Kanon poi tornò a guardare il ragazzo dai capelli rossi.

Qualcosa in lui gli dava un brivido. Seiya non riuscì a spiegarsi quella strana sensazione. Era come se il suo cosmo stesse vibrando sotto la pelle e in genere lo faceva solo in due casi. 

Era in pericolo o troppo vicino a Saori.

Scosse la testa e parlò con fermezza.

“Ora come ora devo vedere Atena e il grande Mur. Più tardi discuteremo di questa cosa.” Disse prima di guardare Aria. “Scusami signorina, faremo le presentazioni un’altra volta. Eden accompagnali e torna alla casa del Sagittario anche tu. Non è la giornata giusta per andarsene in giro da soli.”

Eden annuì e indicò la via per rientrare ai suoi amici.

Seiya, invece, proseguì per la sala del trono. 

Di nuovo il suo cosmo tremò, ma stavolta sapeva esattamente perché. 

Saori era seduta sullo scranno del grande sacerdote con la testa reclinata all’indietro fino a toccare lo schienale. Aveva gli occhi chiusi e le mani mollemente abbandonate sui braccioli.

Pareva stanca. Seiya avanzò lentamente e parlò sottovoce.

“Saori.” Lei aprì gli occhi e raddrizzò il capo.

“Sei tornato.”

“Lo avevo promesso.” Disse fermandosi a pochi passi dagli scalini su cui era issato il trono.

“Mentre non c’eri la cicatrice del tempo ha tremato di nuovo.” Seiya abbassò il capo e strinse un pugno. 

Lei non lo aveva detto con l’intento di farlo sentire in colpa, ma fu così che lui si sentì.

“Vuoi raccontarmi cosa è accaduto?” Lei non rispose. Portò la mano destra sopra il braccio sinistro e lo strinse.

“Ho solo avuto un’altra allucinazione.”

“Stai bene?”

“No, però posso resistere. Dimmi che hai compiuto la tua missione.”

“L’ho fatto.” Rispose lui alzando la testa e trovando il coraggio per guardarla negli occhi. Lei sorrise e lui trovò il coraggio per salire i gradini che li separavano.

“Sono tornato, sono io, sono qui.”

Saori allungò una mano e sfiorò la sua armatura all’altezza del petto. 

“Sì, sei tu.” 

Si alzò e lo fronteggiò.

“Camus è scomparso, Hyoga crede che gli sia capitato qualcosa di orribile. Mur è impegnato a rintracciarlo. La cicatrice del tempo è instabile e io sono sempre più debole.” 

Nell’udire quelle parole, Seiya ruppe ogni indugio, le prese la mano e la tirò a sé.

“Troveremo Camus, troveremo il labirinto di Crono e chiuderemo quella crepa che ci minaccia. Poi torneremo alla nostra vita. Ho appena scoperto che mi hai assegnato un altro allievo. Ne avremo di cose da fare! Risolveremo ogni cosa, come sempre.”

Lei si scostò appena e sollevò il viso.

“Seiya c’è qualcosa che devo dirti.”

“Ti ascolto.”

“Ho intenzione di salire sull’altura delle stelle e restare in meditazione per un po’.” Lui si rabbuiò e la prese per le braccia.

“Perché? Tu servi qui, adesso. Devo raccontarti un sacco di cose del mio viaggio.”

“Non ho detto che lo farò subito, ma devo. E’ importante per me.”

“D’accordo ma ora devi sapere tutto.” Disse sedendosi sull’ultimo scalino e portandola con sé.

“Hai incontrato Efesto?” Seiya annuì.

“Non immaginerai mai cosa ho scoperto.”

“Racconta.” Lo invitò lei.

“Il meccanismo di Antikyteras è in realtà l’Oroscopio, una specie di strumento in grado di stabilire con precisione dove si apriranno gli accessi al labirinto di Crono. Non funziona perché quando gli fu affidato, Efesto lo privò dell’Ichor che glielo consentiva.”

“Ma certo!” Esclamò lei. “Un meccanismo che sia in grado di trovare Crono, deve per forza possedere qualcosa di lui per funzionare e cosa meglio dell’ichor del titano stesso?”

“Esatto, ma la cosa più straordinaria è che l’ichor di Crono è sempre stato qui.”
“Qui?” Chiese Saori sorpresa. 

“Pandora. L’ichor di Crono fu usato da Efesto per dare vita a Pandora. L’ha sempre tenuto segreto, immagino per proteggerla. Le vuole bene come un padre ne vuole ad una figlia, credo.” Disse Seiya e Saori scattò in piedi come fosse stata colpita da un fulmine. “Ti prego, trova tu un modo per dirlo a Ikki, Saori.” Lei si voltò a guardarlo e non seppe nascondere un sorriso.

“Ora capisco perché sei venuto subito da me!”

“Se devo finire nei guai per farti sorridere, ricordami di farlo più spesso.”

“Lo dirò io ad Ikki e Pandora, in cambio di un favore. Aiuta Hyoga a ritrovare Camus. L’ho visto particolarmente angosciato.”

“Lo farò. Vado subito.” Disse alzandosi. Lei lo seguì e lo tirò indietro prendendogli una mano.

“Aspetta,” sussurrò lei, “resta solo un altro momento.” 

Seiya sentì la sua voce tremare e così fece il suo cuore. Sentiva che nel tempo in cui erano stati separati era comunque accaduto qualcosa che l’aveva preoccupata. Tornò sui suoi passi e l’abbracciò.

“Saori, io vorrei dirti tante cose. Mi sembrano tutte importanti e allo stesso tempo inopportune.”

“Allora non dire niente. Mi serve solo un momento.” 

Come se quel disperato bisogno che Saori gli stava manifestando avesse sbloccato qualcosa nella sua mente, nei suoi ricordi confusi, parlo piano stringendola ancora un po’.

“Saori, lo sai.” E lei provò un calore che non aveva più sentito da tanto, tanto tempo.

“Si, lo so. Anche io, Seiya.”

Rimasero così per un momento. Un unico momento di pace prima che il cavaliere di Cancer piombasse nella sala del trono urlando come fosse pazzo.

 

――――――――――――-

 

 

 “Non sono convinta che dovremmo farlo.”

Per la prima volta nella sua vita, Cora esprimeva una sua opinione e ne fu elettrizzata. I lupi che la seguivano, invece, guairono in segno di disapprovazione e lei li guardò con occhi supplici.

Saga poggiò le due borse in terra e mise le mani sui fianchi.

“Abbiamo fatto un lunghissimo viaggio. Prima a Delo e poi a Napoli. Ti ricordo che prima di tutto lo facciamo perché tu recuperi i tuoi ricordi e la tua identità, lo hai scordato?”

Cora scosse il capo guardandosi i piedi, ma non ebbe il coraggio di dire quello che pensava davvero stavolta.

Ora che sapeva di essere una Pizia, di certo non avrebbe potuto condurre quella vita peregrina che aveva fatto fino a quel giorno. Sarebbe dovuta tornare con le sue sorelle sull’isola sacra di Apollo. Di certo, loro l’amavano moltissimo dato che erano state pronte a mutarsi in lupi e a seguirla. Apollo le aveva ordinato di aiutare il cavaliere di Gemini a smascherare colei che aveva preso il suo posto di Voce di Apollo e questo le aveva consentito di seguire quello strano uomo che sembrava avere a cuore il destino di tutti più che del proprio. Quando lo aveva visto combattere i suoi demoni nella foresta, aveva compreso quanto dolore Saga avesse già affrontato e si era commossa nel vedere emergere tutti quei sentimenti d’amore e di senso di colpa che lui covava.

Pensava che le sue colpe lo rendessero indegno d’essere amato e forse Atena, la dea della saggezza e della guerra, poteva davvero pensarla così. Lo aveva forse condannato per sempre allontanandolo dal suo Santuario, privandolo del suo titolo di cavaliere? Cora sentiva montare la rabbia ogni volta che faceva quelle riflessioni.

Probabilmente per questo non voleva andare ad Atene. O più semplicemente, non voleva che il loro viaggio assieme finisse.

“Ma se adesso raggiungessimo il Santuario di Atena, cosa accadrebbe? Non dovremmo prima scoprire cosa sta succedendo?”

“So già cosa sta succedendo, ho già fatto un sopralluogo giorni fa.” 

La collera non faceva parte delle emozioni che Cora conosceva, per cui non seppe dare un nome a quella cosa che le fece arrossare le gote.

“Quindi è lì che sei stato quando ci hai lasciati con tuo fratello!”

“Perché ti arrabbi?” Cora balbettò.

“Io non sono arrabbiata.”

“Sì che lo sei.”

“Affatto.”

“Come vuoi tu ma non ha senso nasconderci ancora. A quanto pare, lei sa che sono vivo. Questo dice mio fratello almeno.”

“Parli di Atena? Saga annuì.

“E c’è in gioco molto più della fine che farò io quando saprà che le ho mentito.”

“Ti punirà?” Saga scoppiò a ridere.

“Niente affatto! Mi perdonerà costringendomi a sentirmi colpevole per il resto dei miei giorni.”

“E non ti rattrista tutto ciò?”

“Mi rattrista pensare che tu non conosca niente altro che la paura della punizione divina, Cora.” Nell’udire quelle parole, lei si voltò, offesa. Saga le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.

“Su, su, non essere risentita. Tu non potrai tornare in possesso dei tuoi poteri se non smaschereremo l’usurpatrice.”

“Non lo fai per me. Lo fai per lei.”

Come fosse stato colpito da una scossa, Saga ritirò la mano.

“Non starò a giustificarmi,” disse lui stringendo un pugno, “è nell’interesse di tutti, diteglielo anche voi.” Concluse guardando i lupi che, approfittando del fatto di essere in aperta campagna ormai lontani dal Pireo, tornarono umane. Tersicore abbracciò sua sorella mentre Urania la ammonì.

“Non possiamo ritardare gli eventi, sorella mia,” disse sollevando lo sguardo al cielo, “se non ci affrettiamo, alcune cose saranno irreversibili. Il cavaliere di Atena ha guadagnato la tua profezia. Vuoi pronunciarla quando sarà inutile?”

Cora sussultò e scosse il capo.

“No, avete ragione. Sono ancora molto confusa. E preoccupata.” Saga si avvicinò di nuovo.

“Preoccupata per cosa?”

“Da quando siamo arrivati in Grecia mi si è posata un’ombra sul cuore. Non saprei dirlo diversamente.”

“Se temi per la tua vita e quella delle tue sorelle, ho già giurato che vi proteggerò.” 

Cora sollevò il viso per guardarlo e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Scosse la testa e pianse.

“E’ come se sentissi che qualunque cosa proveremo a fare, non riusciremo a mettere tutte le cose a posto.” Urania stava per dire qualcosa, ma Saga sollevò una mano e la fermò. Fronteggiò Cora e le asciugò una guancia con il dorso dell’altra mano.

“Ricordi cosa mi dicesti il giorno che raggiungemmo Delo in barca riguardo al fatto che è molto triste fare scelte sbagliate? Tu mi dicesti che si può chiedere scusa, provare a rimediare.” Cora annuì e proseguì al suo posto.

“E avere la fortuna di essere perdonati per i propri errori.” Saga sorrise.

“Ora sai che il perdono può mettere a posto le cose. Sei già stata perdonata e ora sei qui con me.” 

Cora gli si gettò tra le braccia.

“Hai ragione,” disse tra i singhiozzi, “la paura di sbagliare è un’emozione nuova per me.”“Ed è una cosa buona. E’ ciò che ci rende umani. Per quanto vogliamo o possiamo assomigliare agli dei, non restiamo umani.”

Saga aspettò che si calmasse e poi riprese i bagagli. Le sue sorelle la presero sottobraccio e quella strana combriccola si incamminò verso Rodorio.

 

――――――――――――-

 

 

“Siamo stati interrotti sul più bello!” Esclamò Subaru. Aria sbuffò.

“Il tuo piano geniale era prendere lo scudo di Atena?” Chiese la ragazza in modo stizzito all’indirizzo di Eden. Il maggiore se ne stava con le braccia incrociate appoggiato alla parete della camera di Niketas e Subaru.

“Non ho detto che lo avremmo preso. L’idea era dargli un’occhiata per il momento. Non a tutti è concesso di usare un’arma sacra. Volevo capire.”

“Leviamocelo dalla testa.” Rispose di nuovo lei. “Sono quasi certa che la punizione per un atto simile sia la morte.”

“Ne sono certo anche io,” disse Subaru, “quindi troviamo un’altro modo per trovare il pezzo mancante dello specchio.”

“Stavo pensando una cosa,” intervenne Niketas che, da quando aveva visto la statua di Atena si sentiva euforico e pieno di energia, “se supponiamo che dama Clio sta parlando con qualcuno nello specchio, perché non proviamo a vedere se il pezzo ce l’ha lei? E’ la prima sospettata, no? In fondo se lo specchio torna integro la via per qualunque maledetto posto sarà chiusa. Lei è un’ancella di Apollo. Apollo è nemico di Atena, mio zio me ne ha parlato varie volte.”

“Tuo zio? Non eri orfano?” Chiese Eden.

“Adottivo, non è davvero mio zio.” Rispose Niketas rattristandosi. Aria si mortificò per quella precisazione e intervenne subito.

“La tua idea è davvero buona.”

“Come no!” Li rimbeccò di nuovo Eden. “Vi lamentate del fatto che osservare una statua è pericoloso e ora vorreste avvicinare quella che pensate rappresenti il nemico?”

“Lei non lo deve sapere. La spieremo.”

“E come pensate di fare?” 

“Io ho un’idea!” Intervenne Subaru.

“Un’altra?” Ironizzò Eden.

“Ci serve l’allieva del maestri Kiki.” Eden si ricordò immediatamente della ragazzina e dei suoi poteri.

“Sai che stavolta potresti avere avuto davvero una buona idea?”

“Visto?”

“Allora muoviamoci, dobbiamo attraversare dodici case e non sarà per niente facile.” Rispose Niketas.

“Evviva! La squadra di soccorso torna in azione!” Esclamò Subaru e Aria rise.

Niketas li guardò ed ebbe l’impressione di aver già vissuto un momento così anche se non con quelle persone. Scacciò quella sensazione e si concentrò sulla situazione. Chissà cosa ne avrebbe pensato suo zio Aspros! Di sicuro lo avrebbe rimproverato. Eppure in cuor suo sentiva che improvvisamente tutti quegli allenamenti e quello studio che gli erano stati imposti per anni, avevano finalmente senso. La donna che lo aveva accolto, l'incarnazione della dea Atena, era la donna che suo zio aveva amato per tutta la vita e lui l'avrebbe difesa. Forse, se ci fosse riuscito, suo zio l'avrebbe ritrovata e sarebbe riuscito ad essere felice con lei.


Note dell'autrice:
Grazie a tutti voi che a distanza di tantissimo tempo continuate a seguire questa storia e ad aspettarla.
Vi amo tantissimo.
Mary

  
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