Storie originali > Noir
Segui la storia  |       
Autore: Saeko_san    29/03/2020    4 recensioni
Un'ombra si risveglia alla Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, a Venezia, qualche giorno dopo l'uccisione di un importante imprenditore della zona.
Un patto di collaborazione viene stretto tra l'ombra e una giovane ragazza, in cerca di vendetta.
| written between 2009 and 2010 |
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 3:
Il primo incontro
 
29 gennaio 2002. Venezia, Campo dei Frari, sestiere di San Paolo. Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, sala del Capitolo.
 
Avvertì di nuovo quella sensazione, sgradevole e gradevole al tempo stesso, ovvero la sensazione di rinascere: era di nuovo ombra. Decise di prendere la forma del ragazzino con i riccioli neri, di immaginarsi senza le ciocche fosforescenti e gli occhi oro e azzurri; provò a raffigurarsi con gli occhi verdi e pensò di esserci riuscito.
Si reggeva nuovamente sulle due stesse gambe ossute della sera prima; indossava gli stessi pantaloni neri di velluto sporco e il maglione bianco; ai piedi aveva le stesse scarpe da ginnastica sporche e malridotte. Riprese lo specchietto.
Nulla di cambiato.
Le ciocche verdi erano al loro posto, sul lato sinistro della testa e gli occhi erano sempre azzurro cielo con delle pagliuzze color oro brillante qua e là nel colore dell’iride.
Come poteva andare in giro ad esplorare il mondo con quello strano aspetto, tutt’altro che umano?
Per il momento decise di uscire dalla sala del Capitolo; gli riusciva un pochino più semplice muoversi su quelle gambe, dato che gli parevano meno pesanti.
Si era svegliato più tardi del giorno prima: il sole era già spuntato, anche se da poco; entrò dunque nella navata principale della chiesa e si avvicinò alla cappella dell’altare.
Rimase a bocca aperta.
Davanti a lui, sopra all’altare di marmo coperto con il consueto drappo viola, non c’era lo strano buco nero del giorno prima, ma bensì un quadro bellissimo; notò che il disegno era identico a quello scolpito sopra la tomba di Tiziano.
Ma questo era semplicemente più bello: il volto della donna era più bello. Si avvicinò e con una mano sfiorò la tela. Osservò il volto di quell’essere dalle parvenze eteree: gli sembrava di vedere due profondi occhi azzurri, illuminati dalla luce oro del sole, esattamente come i suoi. Guardò gli uomini disposti attorno alla donna: in confronto a lei gli parvero rozzi e brutti, ma dipinti talmente bene da sembrare reali. La donna invece, sospesa su una corona di nuvole, aveva un che di soprannaturale. Perché ora vedeva quel quadro stupendo, se il giorno prima non c’era?
Provò a ritornare ombra e davanti a lui comparve di nuovo il buco nero visto il giorno precedente; dunque quell’ombra doveva essere il quadro: forse lui apparteneva a quel quadro, a quella donna.
Madre” pensò.
Era possibile? Era possibile che quella potesse essere sua madre? Era possibile che una donna così bella potesse essere la madre di un ombra? Non sapeva rispondersi, eppure sentiva di appartenere come un figlio a quella figura femminile dipinta su tela.
Avvertì dei rumori venire dalle altre sale della chiesa: i frati, le suore e i ragazzini si stavano svegliando. Doveva trovare il modo di uscire di lì in forma umana, senza essere notato; accanto all’altare vide un giaccone lungo nero, con tanto di cappuccio, dimenticato sicuramente da qualcuno; avrebbe potuto usare quello. Lo prese al volo e uscì di corsa, attraverso la porticina del campanile.
 
***

Mattino luminoso e con un cielo senza nubi.
Un’altra giornata passata a pensare alla vendetta. Lixa però, quella domenica, senza sapere perché, si alzò di buon umore. Era certa che qualcosa quel giorno l’avrebbe aiutata. Si vestì con un maglione azzurro e una gonna bianca. Si legò i capelli in una coda alta; nonostante fossero lunghi solo fino alle spalle a volte erano fastidiosi. Prese le chiavi di casa, una giacca a vento e uscì. Avvertì la vicina, poiché, essendo ancora minorenne e non avendo più famiglia, era stata affidata temporaneamente a lei. Anche la signora Laura però stava andando a messa. Le chiese se poteva accompagnarla.
 
***

Fuori, il botteghino delle gondole aveva appena aperto. Il gondoliere stava sistemando al meglio le sue due gondole, per renderle presentabili ai turisti, e attendeva che i suoi colleghi arrivassero. Un negozietto accanto al campanile aprì d’improvviso la serranda e il suo proprietario diede uno scappellotto a quello che doveva essere il figlio. Accanto alla porta del campanile c’era un barbone. Gli tremava una gamba, aveva un bastone da passeggio scheggiato e teneva in mano un barattolo di latta per fare le elemosina. Si doveva essere appena svegliato.
 
-Ragazzo!- disse, rivolgendosi proprio a lui –Aiutami. Dammi qualche moneta, così posso comprarmi qualcosa-.
-Mi dispiace, signore- rispose lui.
 
Si stupì del suo tono di voce vellutato e insieme roco.
 
-Non ho soldi-.
-Sei uno della chiesa?-.
-Non esattamente-.
-Allora sei come i fedeli-.
-Credo di differire proprio da quella categoria di gente- rispose lui, un po’ incerto.
-Quindi sei come me?!-.
-Può darsi. Ora però devo andare-.
 
Cercò di allontanarsi, ma il barbone lo fermò.
 
-Aspetta-.
 
Lo prese per il bavero e lo trascinò alla sua altezza. Il vecchio era mezzo seduto e mezzo appoggiato con la schiena allo stipite della porta del campanile, in una posizione assai innaturale; la barba grigia e sporca e la pelle abbronzata davano al suo volto un senso di trascuratezza non indifferente.
 
-Cosa c’è?-.
-I tuoi occhi … sei il primo che vedo con occhi così belli-.
-Mi lasci andare!- gridò allora.
 
Nessuno doveva vederlo. Si tirò sulla testa il cappuccio del giaccone e fuggì via. Vide un ponticello che collegava quel campo ad un altro, proprio di fronte al piazzale della chiesa. Vi corse sopra e finì addosso a qualcuno. Già malfermo sulle gambe (in fondo era solo un giorno che camminava), cadde a terra e il cappuccio gli volò via. Davanti a lui c’erano una donna sui quaranta e una ragazza, che riconobbe subito: era quella della messa del pomeriggio. I loro occhi si incontrarono, mentre la ragazza gli porgeva la mano per aiutarlo ad alzarsi. Spaventato si alzò da solo e corse dall’altra parte del ponte, senza voltarsi indietro.
 
***

Lixa conversava senza troppi pensieri con la signora Laura. Il cielo era terso, non c’era nemmeno una nuvola e splendeva un sole che accoglieva tutto. Era raro che a Venezia ci fosse un tempo del genere, soprattutto in quel periodo dell’anno. Qualcuno le venne improvvisamente addosso e, nel collidere con lei, cadde a terra. Sorpresa, si chinò ad aiutare un ragazzo con un giaccone nero e lungo. Forse un po’ troppo lungo per lui, tanto che lo aveva fatto inciampare nei suoi stessi piedi. Incontrò i suoi occhi. Erano azzurri, come il cielo di quel giorno e avevano delle sfumature oro brillante, lo stesso colore che aveva intravisto nell’ombra il giorno prima, a messa. Era sicura che fossero la stessa persona. La persona che l’avrebbe aiutata. Se lo sentiva.
Però il ragazzo era spaventato. Anzi, spaventatissimo. Si alzò di scatto e corse via da lei; il ragazzo non si voltò indietro, anzi corse velocemente in avanti; fuggì e basta. Voleva correre e seguirlo, fermarlo, tranquillizzarlo e scoprire qualcosa di lui, soprattutto sui suoi occhi. E poi parlargli della sua vendetta.
Ma ormai non poteva: la signora Laura la stava tirando per la manica della giacca, dato che la messa stava per iniziare. Allora Lixa si voltò e si avviò con la sua vicina alla chiesa.
 
-Lo conosci?- chiese la signora Laura, curiosa.
-No. Beh, non proprio. Lo conoscerò, però-.
-Sai, quando dici queste frasi enigmatiche a volte mi spaventi-.
 
Lixa rise di gusto, per la prima volta dopo cinque giorni di musi lunghi e rispostacce. Sapeva che, comportandosi in quel modo, era stata scortese con la signora Laura che aveva cercato, in qualche modo, di consolarla dopo la morte di Livio Tosca, di evitare che finisse in un orfanotrofio e di mantenerla, pur vivendo in due case diverse, che però si trovavano l’una di fronte all’altra. Poi entrò in chiesa e si zittì. Prese posto su una delle panche e iniziò ad ascoltare le parole di frate Luigi, che di domenica presenziava la messa al posto di frate Ballon. Ringraziò dentro se stessa il Signore. Lo ringraziò, per averle fatto vedere che poteva esserci una possibilità.
 
***

Corse, corse più veloce che poteva, non voleva essere raggiunto. Si rintanò in un vicoletto stretto. Non sapeva quanto si era allontanato dalla chiesa e temeva di essersi perso.
Davanti a lui c’era però un grande ponte; dalla parte opposta vide una specie di casermone e poi una fermata di un traghetto e la scritta sul cartellone che designava la fermata recitava: “Ferrovia”. Sentì dei crampi allo stomaco.
Fame.
Sapeva che dentro quel corpo aveva bisogno di mangiare. Riprese fiato e si tirò il cappuccio sulla testa. Anche di bere - aveva bisogno anche di bere. La sua gola era arsa dalla sete e lui era scosso dagli ansimi della fatica per la corsa.
Ma come poteva procurarsi acqua e cibo? Come aveva detto al barbone, non aveva soldi. Iniziò ad aggirarsi intorno al ponte. C’era un ristorante e accanto un fruttivendolo. Lentamente si trasformò in ombra e uscì fuori dal vicolo; si insinuò tra le ombre dei passanti e arrivò davanti alla bancarella, dove c’erano tante mele rosse e succulente; entrò nell’ombra della bancarella e arrivò sino all’ombra delle mele. Avvolse con il suo corpo ombroso uno dei frutti e poi scivolò via, trascinando con sé l’ombra dell’oggetto in questione, la mela era pesante e dunque cadde a terra. Nessuno si accorse di quel che succedeva.
Pian piano rotolò fino al vicolo dal quale era uscito. Lasciò andare l’ombra della mela e ritornò ragazzo. I morsi della fame gli ferivano lo stomaco. Prese la mela e la portò alla bocca, vorace. Con pochi morsi la finì e si sentì meglio. Molto meglio. Eccetto il picciolo, non risparmiò né torsolo né semi. Poi decise di fare un giro. Si incamminò verso il ponte.
Il sole era ormai alto. Per strada c’erano molti turisti per essere solo gennaio: famiglie con bambini, gondolieri che correvano nella direzione dalla quale veniva. Oltrepassò il ponte e si trovò davanti al casermone. Sentì i pensieri della gente e capì quel “casermone” in realtà si chiamava “stazione ferroviaria”.
Rimase affascinato per un attimo dal rumore scarrozzante e metallico che dovevano fare quelli che le persone chiamavano “treni”. Poi girò a destra e si ritrovò in una via affollata, affollatissima. C’erano negozietti, bar, pizzerie, pasticcerie e bancarelle di tutti i tipi. Si fermò davanti ad una pasticceria e sentì di nuovo i crampi allo stomaco. Aveva di nuovo fame? Possibile? Allora guardò il sole. Era quasi arrivato vicino ai tetti dei palazzi; era dunque evidentemente tardi. Non si era accorto di quanto fosse passato veloce il tempo.
Stava per voltarsi e tornare indietro quando a terra vide un dischetto di metallo, tondo. Era argentato fuori e dorato dentro. Aveva inciso un enorme 2 e uno strano disegno accanto. Sull’altra faccia c’era il volto di un uomo.
“Una moneta. Soldi”. Entrò velocemente e chiese alla signorina dietro il banco:
 
-Cosa ci compro con questi?- di nuovo lo stupì il tono della sua voce, roca e al tempo stesso vellutata.
-Uno di questi biscotti- disse la commessa sorridendogli.
 
Indicò un vassoio dove c’erano degli enormi biscotti verdi.
 
-Con cosa sono fatti?-.
-Pasta di mandorle, pistacchi e gocce di cioccolato-.
-Me ne da uno?-.
-Ma certo-.
 
La commessa prese un biscotto con due pinze d’acciaio e lo mise dentro una bustina di carta marrone. Gliela porse e tese la mano per prendere la moneta. Stava già uscendo dalla pasticceria quando la signorina lo fermò.
 
-Aspetta, piccolo! Non hai preso il resto-.
-Davvero?- fece lui come se fosse sorpreso, senza comprendere cosa fosse il “resto”.
 
La signorina gli diede una monetina tutta gialla dove c’erano un 2 e uno 0 vicini, sempre con quello strano disegno che c’era sulla monetina da due. Sull’altra faccia c’era un uomo eretto in una strana posizione. Sorrise alla commessa e uscì fuori. Si mise nella tasca del giaccone la monetina gialla e guardò il cielo. Il sole stava toccando i palazzi, lasciando una sfumatura arancione e rosso carminio dipinta sopra l’azzurro del cielo. Si mise a correre per raggiungere il ponte. Cercò di rifare tutta la strada che aveva compiuto per arrivare lì e stranamente ci riuscì. Si ritrovò di nuovo di fronte alla chiesa, alla sua casa; si sedette sulle scale del ponticello, nascondendosi ancora di più nel cappuccio della giacca; tirò fuori il biscotto dalla bustina di carta e iniziò a mangiarlo. Era duro, però gustoso. Vide un gruppo di persone che usciva dal portone principale dei Frari.
 
-Ehi tu!- una voce femminile lo chiamò.
 
Alzò il volto dal suo biscotto e fissò una ragazza: la ragazza della messa! La ragazza contro cui era finito quella mattina! Lei si avvicinò e lui decise di non fuggire di nuovo.
 
-Cosa vuoi?- disse con voce scontrosa lui.
-Parlare con te-.
-Io invece no-.
-E io ti parlo comunque. Ti dispiace se andiamo a casa mia?-.
-Io non mi muovo di qui-.
-Allora entriamo nella chiesa. Ti va?-.
-Nella chiesa sì-.
 
Si alzò di malavoglia, rimettendo il biscotto nella busta, che poi infilò nell’altra tasca del giaccone. Si affiancò alla ragazza e la osservò più da vicino.
Era alta, bella. I capelli erano biondo rossicci e nel momento del tramonto sembravano dello stesso colore del cielo che rosseggiava avanti a loro. Sembrava molto orgogliosa. Provò di nuovo a sondarle i pensieri, ma non sentì nulla provenire da lei. Sembrava che accanto a lui non ci fosse nessuno: un buco nero. La ragazza si voltò e lo guardò negli occhi. Non sussultò come aveva fatto quella mattina il barbone, ma ne rimase semplicemente affascinata.
 
-Come ti chiami?- chiese di getto.
-Come … come mi chiamo?- disse lui, incerto.
-Qual è il tuo nome?-.
 
Rimase un attimo a riflettere. Cos’era un nome?
 
-Cos’è un nome?- chiese, pensando ad alta voce.
-Non sai cos’è un nome?- chiese la ragazza sconcertata, mentre entravano dal campanile.
 
Abbassò di colpo il tono della propria voce.
 
-No-.
-Hai presente il disco luminoso che illumina il cielo?-
-Sì. Il sole-.
-Esatto. “Sole” è il nome di quel disco. Quindi qual è il tuo nome?-.
 
Rifletté. Lui era scuro, aveva la consistenza di un ombra. Poteva prendere la forma di un ombra e quando era ombra vedeva il quadro dove si trovava la sua probabile madre, scura come un buco nero, un’ombra profonda. Quindi il suo nome non poteva essere altro che…
 
-Chi va là?- chiese qualcuno d’improvviso.
 
Frate Luigi li aveva sentiti.
 
-Chi va là?- ripeté –Se siete dei fedeli, vi prego di uscire. In questo momento la chiesa ha terminato le sue funzioni. Se siete visitatori venite pure avanti. Qui è aperto fino alle sei-.
 
La ragazza si mise il cappuccio della sua giacca a vento in testa per non farsi riconoscere e camuffò la sua voce, mettendosi una mano davanti alla bocca.
 
-Siamo turisti- disse provando un accento diverso dal suo –Possiamo visitare ancora?-.
-Certo. Ma alle sei dovete già essere fuori-.
-D’accordo. Grazie- rispose la ragazza.
 
Passarono velocemente davanti all’altare e entrarono nell’anticamera che precedeva quella del Capitolo.
 
-Credo che il mio nome sia Ombra- disse lui, riprendo dunque il discorso.
-Ombra?-.
-Sì. Questo ragazzo che vedi davanti a te non sono veramente io-.
-E chi sei veramente tu?-.
-Posso farti vedere?-.
-Certo-.
-Sicura che non scapperai?-.
-Te lo prometto-.
 
La guardò ancora incerto e si abbassò il cappuccio. Le due ciocche verdi sul lato sinistro della testa risaltarono in mezzo al nero dei suoi capelli; la ragazza sembrò sussultare.
Nel frattempo lui si immaginò ombra: avvertì il suo corpo diventare di colpo leggero. Aprì gli occhi: il suo corpo era tornato scuro.
 
-Hai gli occhi d’oro- fu la prima cosa che disse la ragazza.
-Sul serio? Non sono anche azzurri?-.
-No. Sembrano oro puro. Due piccole monetine fatte di oro puro-.
-Pensavo di non avere gli occhi-.
-Invece ce li hai. Li ho visti ieri pomeriggio, a messa-.
 
Al che tornò di nuovo ragazzo. Si tolse la giacca e la mise per terra, sedendocisi sopra, mentre la sua nuova conoscente faceva lo stesso. Scoprì un volto pulito e fresco. Portava i capelli legati in una coda alta. Li per lì non ci aveva fatto caso. Era vestita con un maglione blu e una gonna bianca.
 
-Ombra non mi piace come nome-.
-Perché?-.
-Perché è troppo generico-.
-Allora...-.
 
Ci pensò su un attimo.
 
-Che ne dici di Manes?-.
-Manes?-.
-Vuol dire “ombra” o “spirito vitale”, in latino-.
-Sai il latino e non sai cosa sia un nome?-.
-Ehm, sì-.
-Se penso che io mi sto praticamente impiccando per imparare il latino!-.
-Ma non hai un cappio al collo-.
-Che cosa?-.
-Hai detto che ti stai impiccando e così …-.
-Ma no, è solo un modo di dire-.
 
La ragazza sorrise e mosse la mano accanto al viso, come a voler scacciare via una mosca.
 
-Comunque, vada per Manes. Mi piace di più come nome. È originale-.
-E tu come ti chiami?- chiese allora Manes alla ragazza.
-Il mio nome è Lixa-.
-Lixa … Lixa … in latino vuol dire “vivandiere”-.
-Davvero? Mia madre, in effetti, era una commessa in un negozio di alimentari. È stata lei a darmi questo nome-.
-Mi piace. È originale-.
-Che fai, mi copi?-.
-No. Ho semplicemente detto la verità-.
 
Manes guardò fuori nel cortile la luce, che ormai non c’era più. Era più buio. Ed era tardi.
 
-Lixa … credo che tu debba andare-.
 
La ragazza si guardò il polso, dove c’era un piccolo cinturino in pelle marrone con un disco bianco e delle lancette sopra. “Un orologio!” pensò Manes. Però era un orologio strano. Senza sapere perché lo ricordava più grosso, di legno e appeso ad un muro.
 
-Hai ragione. È davvero tardi. Sono le sei meno cinque. Devo scappare, o frate Luigi mi fa a fettine. Accompagnami fuori- disse, prendendolo per mano e trascinandolo in piedi.
 
Manes fece appena in tempo a prendere la giacca, a mettersela e ad abbassare il cappuccio. Alle sei e cinque erano fuori.
 
-Perché mi hai trascinato fuori?-.
-Tu puoi rientrare sotto forma di ombra, no?-.
-Ah già, è vero-.
-Allora … ci vediamo domani-.
-Domani tornerai?-.
-Certo. Sono curiosa di conoscerti, Manes-.
-D’accordo. Allora ti aspetterò-.
 
La ragazza gli sorrise, poi si voltò e se ne andò.
Strano. Perché quella ragazza voleva conoscerlo?
Lixa.
Bel nome davvero, anche se il suo significato lasciava un po’ a desiderare per una ragazza così bella. Si ritrasformò in ombra e rientrò. Prima di tornare alla sala del Capitolo tornò ragazzo. Guardò la donna che credeva essere sua madre. Toccò di nuovo il quadro.
 
-Madre- sussurrò.
 
***

Lixa salutò Manes.
-Allora … ci vediamo domani-.
-Domani tornerai?- chiese Manes, leggermente sorpreso
-Certo. Sono curiosa di conoscerti, Manes-.
-D’accordo. Allora ti aspetterò-.
 
Lixa gli sorrise, poi si voltò e se ne andò. Era felice. Aveva ragione di credere che quel giorno aveva trovato la sua speranza in un’ombra; un’ombra in grado di pensare e diventare umana. Quello che le serviva.
Senza sapere perché, provava già affetto per Manes. Certo, pensava a lui come a qualcosa da usare, eppure sentiva di non volerlo ferire. Sebbene non sapesse come o cosa attuare, vedeva la sua vendetta vicina.














Note di Saeko:
buona domenica a chiunque sia giunto fino a qui! Questo capitolo, sebbene sia lungo, non è almeno un wall of text come il precedente e spero vivamete che la storia cominci ad essere accativante; la descrizione dell'incontro tra Lixa e Manes è sempre stato un grosso scoglio per me e negli anni ho rivisto questo capitolo innumerevoli volte, poiché non mi soddisfava mai. In realtà ho qualche dubbio anche su questa versione, ma spero che risulti essere sensata; in caso, sono aperta a suggerimenti e critiche (nel limite dell'educazione ovviamente).
Passo ad alcuni ringraziamenti che sono d'obbligo:

Elgul1 per essere passato a recensire il prologo e il primo capitolo, per lo scambio del Giardino di Efp;
alessandroago_94 per essere passato a recensire il secondo capitolo.

Grazie per avermi sopportato sino a qui, dovrei tornare la prossima settimana con un nuovo aggiornamento.

Saeko's out!
 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Noir / Vai alla pagina dell'autore: Saeko_san