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Autore: Naomy93    30/03/2020    0 recensioni
Il piano di Cesare era abbastanza semplice. Lui e Nelson avrebbero iniziato a stare più vicini del solito, i primi giorni, poi sarebbe stato tutto un crescendo [...]
Era un piano perfetto, non c’era possibilità di fallimento.
(FANDOM: Space Valley
COPPIA: Celson/Nicario
Fanfic pubblicata anche su Wattpad)
Genere: Comico, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5:


A Cesare non andava di trascorrere il sabato sera sui colli bolognesi, soprattutto se avrebbe dovuto farlo stando vicino a Nelson. Non dopo l’ultima discussione che avevano avuto.

Si era preso il fine settimana libero per riflettere sulla loro situazione e decidere come muoversi, vedendosi due strade aperte davanti a se: Metterci davvero una pietra sopra, oppure rischiare.

Rischiare cosa?

Tutto.

Per Cesare, Nelson valeva la sua vita di sempre, il suo lavoro, la sua vacillante salute mentale. Era il suo tutto e non lo avrebbe mai messo a rischio per la stupida mancanza di una scopata, ne per nessun’altra ragione.

L’ennesimo messaggio da parte di Tonno lo distolse dai suoi pensieri:

 

 

Da: Tonno

 

Nelson già crede che tu voglia lasciare Space Valley , non dargli altri modi per farsi divorare dall’ansia e vieni con noi stasera!

Per favore, Cesare, è importante!

 

A malincuore, Cesare accettò di uscire con i colleghi, e la stessa cosa fece Nelson, nonostante avesse capito immediatamente che ci fosse qualcosa di architettato alle loro spalle.

Entrambi passarono le ore precedenti all’incontro a pensare cosa dire all’altro per far passare la serata senza particolari problemi.

In fondo, non avevano litigato, non avevano motivo di evitarsi o non parlarsi, anzi, forse se avessero parlato sarebbe stato meglio.

O forse no.

Non lo sapevano con certezza, sapevano soltanto di non potere lasciare in sospeso per molto quella situazione.

Loro, non potevano ancora lasciarsi in sospeso.

 

Quella sera il cielo di Bologna era coperto dalle nuvole. Non c’era la pallida luce della luna ad illuminare i passi dei sei ragazzi che passeggiavano, ridendo della pessima figura fatta da Tonno con la cameriera del sushi, a cui aveva chiesto il numero, vedendosi rifiutato senza un minimo di tatto davanti all’intero locale.

Come se non bastasse, la tipa servì il conto a Dario, facendogli scivolare in mano un biglietto con tanto di occhiolino furtivo.

Non servì constatare che contenesse il suo numero, Nicolas prese il pezzetto di carta, lo ridusse il mille pezzi, e lasciò sul piattino un ulteriore biglietto riportante il messaggio: “Ritenta, sarai più fortunata. Ps: Scordati la mancia.”

<< Avrei potuto passare quel biglietto a Tonno, se Nic non lo avesse distrutto! >> rise Dario << Ve la immaginate la reazione? >>

Nicolas, stretto dal braccio del fidanzato, fece una smorfia divertita, seguito da un Frank tanto interessato alla conversazione da aprirsi una bottiglia di birra, usando l’apribottiglie appeso alle chiavi di casa.

<< Ma secondo voi, il fatto che Frank abbia un apribottiglie attaccato alle chiavi, è segno evidente di alcolismo? >> domando Cesare, cercando di stuzzicarlo e distrarsi un attimo dai suoi pensieri.

Il Profeta, poco desideroso di discutere, e spinto da infinità pietà, si scostò lasciando vuoto lo spazio tra lui e Nelson, portandoli, inevitabilmente, a guardarsi.

L’imbarazzo salì ad una velocità così elevata da fare davvero, tanta, tanta compassione al resto del gruppo.

Cesare rallentò il passo, in modo da farsi superare e affiancarsi a Tonno, ma quest’ultimo lo urtò con la spalla, riportandolo al fianco di Nelson.

<< Andiamo, non hai cinque anni! >> lo canzonò, sussurrando.

Da parte sua, Nelson non aveva parlato molto in quelle ore, limitandosi a ridere e a rispondere nel caso gli avessero chiesto qualcosa.

Cesare non capiva perché il peso di dover parlare per primo stesse ricadendo tutto su di lui.

Fece per girarsi a guardare gli altri, trovandosi, però, il nulla alle sue spalle.

Spiazzato dal non vedere nessuno, si fermò, ed istintivamente afferrò il braccio di Nelson, prima che si allontanasse.

<< Maledetti bastardi! >> ringhiò quasi, frustrato.

<< Cesare, cosa…? Dove sono tutti? >>

Anche Nelson si guardò attorno, confuso, in un primo momento, poi consapevole di averci preso quando aveva sospettato che ci fosse qualcosa di architettato alle loro spalle.

<< Lo sapevo! >> disse portandosi la mano libera a coprirsi gli occhi.

L’altra mano era impegnata ad essere stretta da un’inconsapevole Cesare, ancora troppo confuso e preso dal tramare contro i suoi amici per accorgersi di avere la mano di Nelson stretta nella sua. Però, quando se ne accorse, si affrettò a lasciarla come se si fosse appena scottato, mormorando una serie di scuse e allontanandosi di almeno due passi.

<< Adesso ti scosti? >> domandò Nelson con una nota leggermente divertita.

A sentirlo, Cesare si diede mentalmente dello stupido e coprì nuovamente la distanza che lo separava dall’altro.

Ricominciarono a camminare, consci del fatto di non essere stati abbandonati dagli altri, ma soltanto lasciati da soli per un po’. Cosa di cui avevano bisogno, e sicuramente, non avrebbero avuto il coraggio di fare tanto presto.

Questo non toglieva, comunque, che gliel’avrebbero fatta pagare prima o poi.

<< Era tutto organizzato quindi! >>

<< Ci avrei scommesso! Capisco fin da subito quando Tonno sta mentendo! >>

Nelson guardò la mano di Cesare, abbandonata lungo il fianco, desiderando di afferrarla.

Sapere di non poterlo fare gli faceva male.

<< Dove andiamo? >> domandò.

<< Dobbiamo parlare, e stavolta come si deve! >>

Stavano risalendo la stradina, diretti al punto più alto, dove si vedeva l’intera città. Anche se il luogo era abbastanza trafficato, le persone si recavano lì per stare da sole.

Andare lì era come stare soli, perché nessuno doveva essere disturbato mentre contemplava la bellezza di Bologna dall’alto, specie se di sera o di notte.

Era una regola non scritta che ogni Bolognese conosceva e rispettava al pari di un comandamento.

Quale posto migliore per mettere una pietra sopra a un qualcosa di mai iniziato?

L’intenzione di Cesare era chiara, Nelson lo seguì sentendo i battiti cardiaci accelerare, accompagnati di tanto in tanto da una fitta dolorosa.

Era un avvertimento quello, stava per rompersi.

E Cesare quei battiti poteva giurare di sentirli rimbombare forti e chiari nelle orecchie, sapendo di esserne lui la causa.

Da una parte ne era quasi lusingato, ma, dall’altra, era profondamente spaventato, tanto quanto Nelson.

Sapevano entrambi che quella sera sarebbe stata decisiva.

C’era letteralmente in gioco il loro futuro in quel momento, gli stessi futuri inesorabilmente intrecciati a quelli dei quattro ragazzi in attesa, poggiati alle loro auto parcheggiate a qualche centinaio di metri di distanza.

<< Quindi, hai lasciato Beatrice! >>

<< Te lo ha detto Nic? >>

<< Lo so e basta! >>

Si sedettero su una panchina libera, di fronte allo spettacolo della loro Bologna illuminata dalle artificiali luci serali.

C’era un silenzio che avrebbe rilassato chiunque, ma per loro quel silenzio aveva solo in serbo la minaccia di farsi sempre più pesante e oppressivo.

<< Speravo si tenesse l’appartamento, almeno mi sarei trovato un posto più economico, però ha rifiutato! >> sospirò Nelson, tenendo gli occhi sulla città << Tornerà da sua madre, probabilmente, e io… Beh, vedrò se trasferirmi per l’ennesima volta! >>

Per quanto ne poteva sapere, Nelson aveva passato l’intera esistenza a traslocare: Da prima, con sua madre, poi quando le cose non andavano bene, si trasferiva da suo padre, per poi tornare dalla madre e seguirla in un altro trasferimento in compagnia delle sorelle.

Poi era riuscito a guadagnare abbastanza da prendere una camera in affitto, la prima di una serie infinita.

Ne aveva contate undici l’ultima volta, poi chissà.

Nelson diceva sempre di aver cambiato “tanti appartamenti” e non “tante case”.

L’unica casa pensava di averla messa su con Beatrice, fino a qualche mese addietro, ma anche quella si era rivelata essere un semplice appartamento, e lasciarla non gli avrebbe procurato alcun dispiacere.

Era solo uno dei tanti appartamenti, in fondo.

<< Non potevamo più andare avanti! Non in quella maniera, io non…. >>

<< Tu ti eri stufato! >> lo interruppe Cesare, portando l’altro a voltarsi a guardarlo << Non funziona così con te di solito? >>

<< Stai per farmi la paternale? >>

<< No, sto per dirti una cosa importante e voglio che mi ascolti! >>

Anche Cesare si voltò ed entrambi si guardarono negli occhi, finalmente, dopo un tempo infinito.

<< Tra noi non può funzionare, Nelson! >>

La fitta che accompagnava i battiti del cuore di Nelson si fece terribilmente dolorosa. Sentì il suo povero organo pulsare e urlare dal dolore, sforzandosi di non esplodere e ridursi in tanti frammenti, con cui si sarebbe inevitabilmente ferito di più.

Cesare lo sentì ancora, quel rumore gli giunse alle orecchie come l’eco lontano del rumore di un bicchiere di vetro scagliato al suolo.

Nelson, però, non era fatto di vetro, lui era una roccia. E come una roccia che veniva colpita, si sarebbe crepato, ma non si sarebbe spezzato.

<< C’è troppo in ballo e nessuna certezza, lo capisci? >>

<< Questo lo sapevo già da prima! Sono stato io stesso a dirti che non possiamo, no? >> disse << Però, vorrei sapere se… >>

Cesare attese senza fargli fretta.

Non si sarebbe spezzato, è vero, però, era un momento difficile per entrambi.

<< Vorrei sapere se, anche solo per un momento, non hai finto quando avevamo messo in scena la nostra finta relazione! C’è stato almeno un instante in cui sei stato sincero? >>

Nessuno dei due distolse lo sguardo dall’altro, nemmeno la città aveva il diritto di frapporsi tra loro. Nulla ne aveva il diritto.

<< Mi stavo abituando alla situazione! Si, nell’ultimo periodo, frustrazione a parte, sono stato bene e mi piaceva preparare da mangiare anche per te! >> rispose Cesare senza riuscire a nascondere un piccolo sorriso al pensiero.

Anche Nelson sorrise.

<< Che peccato, eh? >> domando, tornando a guardare la città.

Erano semplicemente due codardi, incapaci di rischiare per tentare di essere felici.

<< Dario non ti sta più addosso! >>

<< Già, non più da settimane! >>

<< Quindi… >> la voce di Nelson si abbassò per un istante << Quindi, missione compiuta! >>

<< Missione compiuta! >>

Se ne sarebbero pentiti amaramente.

Perfino il cielo sembrò maledirli dall’alto, illuminando il paesaggio con un grosso lampo, seguito dal rimbombo di un rumoroso tuono.

Maledetti codardi che tornavano a casa, per lasciarsi con un sorriso contornato dalle espressioni amareggiate dei loro amici.

Codardi che abbandonavano la maschera sorridente, non in più in grado di reggerne il peso, quando lasciati da soli, in balìa di loro stessi.
 

CONTINUA...

  
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