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Autore: Minako_    31/03/2020    3 recensioni
Sonoko, fra il frastornato e il dubbioso, la guardò mentre lanciava occhiate nervose alla porta, per poi veder far capolino sul suo viso un rossore incontrollabile. La biondina si girò e vide Shinichi sulla porta, entrare a testa bassa e dirigersi senza guardarla al suo posto. Esausta, alzò gli occhi al cielo, prendendo posto anch’essa.

Io non li capirò mai.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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WITHOUT WORDS.
ricordi.
 

« Ho bisogno di te ».
Shinichi strabuzzò gli occhi, stupito.
« Oh… dimmi », replicò dubbioso.
« Posso venire da te, sabato? Passiamo la giornata insieme magari ».
Shinichi si morse un labbro, mentre si guardava le scarpe.
Dannazione.

Sabato.
« Ehm… proprio sabato? », chiese, sperando con tutto il suo cuore che colui dall’altro lato del telefono capisse fra le righe che non era il giorno adatto.
« Si, ti prego! ».
Non poteva dirgli di no. Davvero non poteva. Sospirò.
« E va bene, Hattori. Ti vengo a prendere in stazione? ».
Si misero d’accordo per il giorno dopo, e infine, dopo aver cercato di nuovo di capire quale fosse l’aiuto che gli stava elemosinando, chiuse la chiamata. Heiji non aveva voluto rivelargli quale fosse il suo problema, e questo aiutò a intensificare il suo fastidio.
Merda, pensò.
Aveva in mente di passare il giorno successivo con Ran, visto che il week-end prima era stato preso da un caso fuori città, e ormai erano passati dieci giorni dal loro incontro in biblioteca. Improvvisamente, vedendola solo a scuola fra i suoi allenamenti di karate e i suoi di calcio, gli era sembrato di rifare dei passi indietro. Sembravano di nuovo tornati ad essere i vecchi, soliti amici di sempre. Per quello aveva pensato di passare la giornata con lei soli da qualche parte, e l’idea lo aveva rallegrato così tanto nei giorni prima che in quel momento, sogni infranti, sentì la delusione percuoterlo.
Sospirò, infilandosi le mani nelle tasche.
Non poteva dire di no ad Heiji, non dopo tutto ciò che il suo amico aveva fatto per lui. Raramente aveva sentito in lui quel tono così agitato e nervoso, e pensò che per “abbassarsi” a chiedere aiuto doveva avere un motivo davvero delicato.
Con l’aria bastonata, si diresse in palestra, dove Ran quel giorno aveva l’allenamento.
L’ennesimo.
Il torneo regionale si stava avvicinando, pensò con una smorfia Shinichi. Non vedeva l’ora che finisse: ormai non riusciva a stare mai con lei.
Quando era Conan, la poteva vedere quando desiderava. Ora, ognuno a casa sua, rimanere solo con lei era diventato quasi impossibile.
Oh, bene, ora stai rimpiangendo Conan?
La sua testa elaborò questo pensiero, facendolo sbuffare. Entrò in palestra, e adocchiò la sua ragazza ai bordi, mentre si massaggiava con aria sofferente una mano.
« Tutto bene? », domandò avvicinandosi. Lei sobbalzò, non aspettandosi di trovarsi davanti Shinichi. Effettivamente, pensò, dopo quei pomeriggio così intimi della settimana prima, aveva avuto poche occasioni per vederlo. Si morse un labbro, pensando a ciò che avrebbe dovuto rivelargli.
« Sì, solo un crampo », gli spiegò, togliendosi del sudore dalla fronte.
« Shinichi, ecco », iniziò dubbiosa. « Domani pomeriggio dovrei venire qui, per un allenamento extra prima del torneo », sputò velocemente, distogliendo lo sguardo.
Aveva appurato che tutti quegli allenamenti stessero irritando non poco il suo ragazzo quando lui il pomeriggio prima aveva sbuffato, non appena l’aveva vista con la divisa da karateka fra le mani. Non aveva commentato, ma la sua espressione delusa l’aveva colpita, e non poco.
Ormai da quando stavano insieme il sabato era il loro giorno.
Era diventato naturale passarlo insieme, da quando era tornato. E le dispiaceva immensamente deluderlo nuovamente, anche se sapeva bene che appena il week-end prima era stato lui a mollarla per un ennesimo caso. Ormai, quando lo sentiva dire così, una scarica di paura la tornava a tormentarla. Aveva sempre il silenzioso terrore che lui non tornasse da una scena del crimine, e doveva far fronte a tutto il suo autocontrollo per non telefonargli duecento volte mentre era lontano.
Sospirò, alzando lo sguardo su Shinichi, che la fissava sospirando affranto.
« Neanche io potevo domani », ammise, e le spiegò della telefonata con Heiji.
« Kazuha non mi ha detto niente », rispose Ran, confusa.
« No, penso venga solo lui… ma non mi ha voluto dire perché », Shinichi tornò a ragionarci.
« Allora facciamo che vi raggiungo per cena? », sapere che non avrebbe passato il sabato in pigiama sul divano da solo, un pò l’aveva sollevata.
« Sì, penso mangeremo qualcosa da me ».
In quel momento l’allenatore la richiamò, e lei con un sorriso si allontanò.
Per l’ennesima volta in più di una settimana, Shinichi tornò a casa da solo.

***
 

Quando Ran uscì dalla doccia della palestra, quel sabato, si sentì decisamente sfinita. Guardò l’ora, e affranta si accorse che erano quasi le sette.
Shinichi mi ammazza, si morse un labbro.
In fretta si asciugò i capelli, si infilò il maglioncino beige che si era portata come cambio e la gonna di jeans, buttando alla rinfusa la sua divisa nella sacca.
Nella fretta, ruppe anche un paio di collant, che prontamente rimpiazzò con un secondo di emergenza.
Merda.

Infilati per ultimi un paio di stivaletti, corse fuori con le ultime forze rimaste.
Non era più felice di lui, per quegli allenamenti. Lo aveva visto così poco ultimamente, che il ricordo di loro in agenzia e in biblioteca le parevano ricordi di un’altra persona.
Le si formava un nodo allo stomaco al pensiero che forse tutto quel tempo trascorso avesse smorzato ciò che si era creato fra loro, e sperò con tutte le sue forze che quella magia non si fosse irrimediabilmente rotta.
Dopo una leggera corsa di mezz’ora, si fermò davanti all’imponente cancello di casa Kudo. Prendendo leggermente fiato, suonò al campanello. Senza neanche domandare chi fosse, il cancello si aprì e lei entrò velocemente.
« Eccomi! », esclamò, togliendosi in fretta gli stivaletti e infilandosi le sue pantofole.
Si avviò in cucina, e lì vi trovò la scena più bizzarra che potesse immaginarsi.
Shinichi si voltò a guardarla, con un’espressione quasi disperata. Era seduto sullo sgabello della cucina, vestito con un paio di jeans chiari e una camicia blu raggomitolata sui gomiti. Nel vederlo, il resto della stanza svanì.
Quanto era bello.
Lo fissò, dandosi mentalmente della stupita al pensiero che quel giorno lo avrebbero potuto trascorrere insieme, e lei invece era corsa a quello stupido allenamento di karate.
Datti un contegno, urlò una vocina dentro di sé. Riuscì a tornare in sé anche grazie a qualcuno che le si buttò letteralmente addosso, abbracciandola con entusiasmo.
« La mia amica RAN! ».
Quasi si strozzò in quell’abbraccio, che subito non riconobbe come quello di Heiji Hattori.
« Heiji? », la sua voce uscì in uno stridulo, mentre cercava di ricambiare l’abbraccio con una informale pacca sulla spalla.
Alla vista della scena, Shinichi sentì un senso di profondo fastidio alla base dello stomaco.
« Ran! Ma dov’eri?! », finalmente si staccò, e Ran notò le sue gote lievemente arrossate.
« A-agli allenamenti », gli spiegò spiazzata.
« Sei così… così… allenatosa! ».
Shinichi si portò una mano al viso, esasperato.
« Oh », non potè trattenersi dalle risate Ran. « Tu invece… sai di birra… », concluse facendo una smorfia.
« Un pochino », ridacchio Heiji, tornando a sedersi malamente sullo sgabello al fianco di Shinichi, il quale fece un profondo sospiro, tornando a rivolgere lo sguardo alla sua fidanzata.
« Mmm… bene », fece lei, avvicinandosi. Regalò un sorriso furtivo a Shinichi, che ricambiò con uno sguardo che le fece sciogliere le gambe.
« Ma cosa è successo? », chiese poi, guardando almeno quattro bottiglie vuote di fronte ad Heiji, e la quinta che teneva ancora saldamente in mano.
« Ran, tu mi devi aiutare », replicò il ragazzo, appoggiando il suo viso sconsolato alla bottiglia. Lei inarcò un sopracciglio.
« Per cosa? ».
« Io non riesco a dichiararmi, capisci? », la sua voce pareva quasi infantile, mentre sbatteva un pugno sul banco di fronte a lui.
« Tutti ci riescono, tutti! Pure lui c’è riuscito », e dicendolo indicò fin troppo entusiasta Shinichi, tirandogli senza volere un pugno sulla spalla.
« Hey! », esclamò lui, massaggiandosi il punto colpito.
« Cioè, c’è riuscito lui, capisci?! », Shinichi lo guardò con sguardo fintamente offeso.
« Cosa vorresti d- ».
« Tutti, tranne me! », lo interruppe.
Ran era rimasta sbalordita. Mai nella sua vita avrebbe immaginato di vedersi Heiji Hattori in quello stato, nella cucina di Shinichi, avvinghiato a una bottiglia di birra. Solitamente, quella scena era prerogativa di suo padre.
« Q-quindi il problema è Kazuha? ».
Nel momento esatto in cui pronunciò questa frase, Shinichi si voltò a guardarla di scatto con espressione disperata, e cercò di fermarla gesticolando.
Troppo tardi.
« Sì! Ora ti racconto! ».
Shinichi si appoggiò sconsolato allo schiena dello sgabello.
Quando quel giorno Heiji lo aveva raggiunto, mai si sarebbe aspettato un pomeriggio simile. Aveva subito rivelato che il suo unico, insormontabile problema, fosse la sua incapacità di dichiararsi a Kazuha. Dapprima l’aveva preso inevitabilmente in giro, ma quando si era accorto della sua aria desolata, pensò che effettivamente pareva disperato.
Era così che Shinichi Kudo aveva trascorso quel pomeriggio.
Un intero pomeriggio ad ascoltarlo parlare di Kazuha.
Ogni.
Singolo.
Momento.
Non poteva crederci che Ran gli avesse chiesto quale fosse il problema, e che lui avesse ricominciato a raccontare dal punto di partenza l’intera storia. No, non lo avrebbe retto.
Si alzò di scatto, non sapendo nemmeno lui bene che fare. Aveva solo voglia di puntargli il suo vecchio orologio narcotizzante e metterlo a dormire in un angolo.
Ran lo guardò preoccupata, mentre prendeva posto sul suo sgabello appena liberato. Heiji intanto parlava così confusionariamente che non riusciva nemmeno bene a seguirlo, saltando da fatti avvenuti anni addietro, a farfugliare qualcosa sul Big Ben, per poi tornare a parlare di Kazuha.
Puzzava terribilmente di birra, e questo non l’aiutava a mantenere vivida l’attenzione.
Cercò di concentrarsi, e assecondare la sua totale disperazione. Dopo dieci minuti aveva capito che aveva provato a dichiararsi varie volte in quegli ultimi mesi, ma senza riuscirsi realmente.
« Ma perché non glielo dici in poche parole? », provò lei dopo quindici interminabili minuti, in un raro momento di silenzio fra i due. Lui la guardò, perso.
« Non lo so, Ran… », sbuffò, desolato. « A volte penso che non dovrei pensarci più, e basta… se lei mi dicesse di no, perderei perfino la sua amicizia ».
Ran fece per rispondere, ma un colpo sul tavolo la distrasse. Colta di sprovvista, si voltò verso Shinichi al lato opposto del tavolo, la mano appena sbattuta ancora ancorata al tavolo.
« Ma smettila! », sbuffò, alzando gli occhi al cielo. « Amica? Perchè, è tua amica? Heiji, il compromesso per essere amici, è che nessuno dei due si prenda una cotta per l’altro. Voi due non siete più amici da quando tu ti sei reso conto dei tuoi sentimenti ».
Scese un silenzio strano, che li lasciò interdetti tutti e tre.
Heiji fissò il suo amico ritrovando un minimo di lucidità, ripensando alle sue parole.
« A-ah… », fu solo capace di ribattere.
« E poi, ti piacerebbe fare l’amico per sempre? », riprese Shinichi, avvicinandosi a lui e togliendogli di mano la bottiglia. Heiji non provò nemmeno ad opporsi, guardandolo rosso in viso.
« Non credo di riuscirci ancora per molto », ammise.
« E allora diglielo, e basta! », sbuffò impaziente Shinichi.
Ran lo guardò, arrossendo. Quel suo tono perentorio le creò un immotivato brivido lungo la schiena. Si ritrovò a fissarlo intensamente, mentre con una mano svuotava la bottiglia nel lavandino e con l’altra tratteneva a distanza un Heiji disperato che voleva impedirglielo.
Quella schiena, quelle spalle.
Quel viso.
Quanto era cambiato in otto mesi, pensò. Fra poco avrebbero compiuto diciotto anni, e mai come allora lui sembrava sempre di più un uomo.
Aveva l’aria così imbambolata, che mentre Heiji tornava sbuffando al suo sgabello ciondolando su se stesso, Shinichi si accorse di essere osservato. Si voltò e la beccò a guardarlo, facendola arrossire.
Accidenti, pensò lei, abbassando lo sguardo alle sue pantofole.

Non pensavo volessi…
Nemmeno io pensavo di volerlo…

Nelle loro mentì tornarono incontrollate le parole della settimana prima, facendoli avvampare. Per fortuna Heiji era completamente nel suo mondo per rendersi conto dell’imbarazzo creato fra loro, e, sempre ignaro, tornò a parlare.
« Glielo dirò », confessò con voce roca. « Glielo dirò, così », annuì con vigore come a volersi auto convincere.
« Bene », rispose asciutto Shinichi, cercando di non guardare in faccia Ran.
« E siamo arrivati a questa conclusione solo dopo dieci ore, notevole », borbottò guardandosi l’orologio. Heiji non notò il suo tono di voce, anzi, si alzò di getto e gli fece un bizzarro e storto pollice all’insù.
« Film? », propose, girandosi e avanzando a falcate incerte verso la zona salotto, dove adocchiò la poltrona e ci si buttò con un tonfo maldestro. Ran a quella vista non potè non ridere interiormente. Quella era la prova che quindi anche i più freddi, riservati, stacanovisti detective del mondo avevano un cuore.
Gli fece una tale tenerezza, che pregò in cuor suo che riuscisse a trovare il coraggio di dichiararsi. D’altronde, pensò, Kazuha ormai era sull’orlo della disperazione. La sentiva spesso, e ogni volta era anch’essa sempre più desolata dal comportamento del suo amico di infanzia.
« Vieni? ».
Una voce la risvegliò dai suoi pensieri, mentre Shinichi le indicava un pò rosso in volto il divano. Peccato che un imbarazzante borbottio del suo stomaco, interruppe la sua risposta. Diventò rossa, portandosi una mano alla pancia, facendo inarcare un sopracciglio a Shinichi.
« Scusami, è vero », esclamò dirigendosi verso il frigo, Ran ormai completamente senza parole.
« Avevamo preso del sushi, te ne ho tenuto un pò ».
Guardare Shinichi così preso dal prepararle un piatto per cena, la fece ancora più imbarazzare. Era così carino, pensò. E ancora si ritrovò imbambolata a guardarlo, e desiderò ardentemente di essere sola con lui.
Chissà cosa avrebbero fatto quel sabato se fossero stati insieme. Forse si sarebbe di nuovo creata l’atmosfera di quei pomeriggi addietro, forse sarebbe successo qualcosa.
A quel pensiero la sua mente andò a quella mattina, a quando aveva dovuto prendere dal cassetto la biancheria pulita per quel giorno.
Quanto sono scema, pensò accaldata. Quando era stato il momento di scegliere, una vocina nella sua testa le aveva indicato il completino più carino che possedeva.
Non si sa mai!, le aveva detto una vocina nella testa che somigliava così terribilmente a quella di Sonoko.
Nel caso, vorresti farti trovare impreparata?!
E infatti, con la voce di Sonoko nella testa che rideva, si era portata quel cambio quel giorno in palestra, e al pensiero di starlo indossando anche in quel momento si sentì così stupida. Cosa pensava che sarebbe mai successo?
Accettò silenziosamente il piatto che Shinichi le porgeva, con lo stomaco improvvisamente chiuso. Il ragazzo la guardò un pò confuso, non capendo il motivo del suo improvviso mutismo.
Spesso e volentieri non la capiva, ma ultimamente era anche peggio. A volte si perdeva in pensieri così lontani che faticava a starle dietro. La guardò, mentre col piatto in mano si avviava con sguardo tormentato verso il divano, per poi sedersi e cominciare a mangiucchiare qualcosa.
Le sue doti da detective con lei proprio non volevano funzionare, pensò infastidito. Adesso perché si era chiusa in quel modo? Aveva fatto qualcosa di sbagliato?
Si passò una mano fra i capelli, chiedendosi se per caso il sushi non le piacesse.
Ma lo ha sempre mangiato, pensò disperato.
Cosa pensavi potesse succedere se sapevi che c’era anche lui, eh?!, pensava intanto una Ran desolata, mentre lanciava occhiatacce al detective dell’ovest, che ormai aveva la testa che ciondolava pericolosamente assonnata dalla poltrona.
Forse preferiva del riso?, Shinichi si appoggiò al bancone incrociando le braccia, pensieroso.
Ultimamente è tornato tutto come prima, perché ti sei messa quello stupido reggiseno.
Forse si è offesa perché non l’abbiamo aspettata per cena…
Non dovevo snobbarlo per gli allenamenti, lo vedo che è scocciato…
Però come potevo non mangiare con Heiji, con tutto quello che beveva dovevo farlo mangiare!

Sospirarono così forte all’unisono, che si voltarono a guardarsi stupiti.
« Ehm », iniziò Shinichi, avvicinandosi dubbioso.
« I-il sushi non ti va? », chiese infine, prendendo posto sul divano accanto a lei, guardandola serio.
Lei lo guardò persa, il reggiseno di pizzo nero nella sua testa che volteggiava velocemente.
« Il sushi? », ripetè.
« Sì… il sushi… », indicò il suo piatto a disagio.
« No, no va benissimo », rispose lei giocherellando con una fetta di tonno.
Shinichi abbozzò un sorriso forzato, per poi accendere la televisione, sperando che quell’imbarazzo scemasse.
Non è per il sushi, ma allora per cosa, pensò disperato.
Ran lo guardò di sottecchi, mordendosi un labbro. Era seduto a poca distanza da lei, i gomiti sulle ginocchia mentre annoiato e un pò pensieroso cambiava canale.
Chissà se sta pensando a quello che penso io, pensò arrossendo.
Forse dovevo prepararle una bella zuppa, pensò amareggiato lui.
Scese nuovamente il silenzio, rotto solo dalla televisione e dal russare prepotente di Heiji, che arrivò così forte da farli sobbalzare.
Ran, a quella scena, iniziò a ridere piano.
Shinichi si voltò a guardarla e, finalmente accantonando l’imbarazzo, si unì a lei ridacchiando.
« Tu non hai idea », iniziò sottovoce. « Della giornata che ho passato », si portò una mano alla testa.
« Posso immaginare », replicò lei, mangiando un roll al granchio.
Improvvisamente, le tornò in mente il discorso di poco prima, e una domanda le balenò in mente. In realtà era un quesito che le era già venuto in mente tanto tempo addietro, quando aveva accompagnato i bambini all’acquario di Beika, e in quel momento volle assolutamente ricevere una risposta che ai tempi non era riuscita a strappare a Shinichi.
« Quindi… », iniziò, giocherellando con una pallina di riso. « Da quanto tempo non siamo più amici? ».
Shinichi la guardò per un attimo confuso, mentre le gote di Ran si tingevano di rosa e un delicato sorriso si creava sul suo viso. Si rese conto di cosa stava parlando dopo qualche secondo in cui realizzò.
Merda.
« Cioè? », replicò, sperando di poter prendere tempo e organizzarsi per una risposta decente.
« Quello che hai detto prima ad Heiji », spiegò candidamente lei.
Shinichi la guardò e notò il suo tono fintamente innocente. Vederla così, con quello sguardo leggermente malizioso di chi ha appena toccato un tasto interessante, gli fece per un attimo perdere la ragione. Era così carina, in quella gonna di jeans e quel maglioncino aderente, che per un momento ringraziò di non essere stata con lei tutto il giorno. Probabilmente non sarebbe riuscito a controllarsi.
« Ah, quello », finse disinteresse.
La guardò, non sapendo bene cosa dire. Lei era in attesa, con gli occhi che brillavano.
Non potendo tergiversare oltre, e un pò rosso in viso, distolse lo sguardo.
« Mettiamola così… », iniziò, con tono fintamente disinteressato. « Siamo stati realmente amici per molto poco tempo ».
Ran sbatté più volte le palpebre, presa in contropiede. Velocemente posò il piatto sul tavolino davanti a loro, per poi mettersi in ginocchio sul divano al suo fianco.
« Cioè?! », esclamò, stupita. Lui divenne di una deliziosa tonalità di rosa, mentre cercava di non fissarle le gambe.
« Ecco… », deglutì. « Mi sei sempre piaciuta, penso », ammise lentamente, guardandola finalmente in volto. Fu li che si accorse dei suoi occhi sgranati misti meraviglia e la bocca semi aperta dallo stupore.
« Ah », riuscì solo a dire. Shinichi sbuffò, cercando un pò di coraggio.
« E tu? », replicò con tono di sfida. Lei per l’ennesima volta sbatte più volte le palpebre, presa in contropiede.
« Io… me ne sono accorta a New York », ammise piano.
« New York? », ripetè lentamente. Lei annuì, in evidente imbarazzo. Quando tornò a guardarlo, notò una leggera tristezza in Shinichi.
« Che c’è? », domandò sulle spine. Lui rinvenne dai suoi pensieri.
« A me sembrava che mi detestassi, dopo New York », ammise, con un sorriso incerto.
 

Quasi tre anni prima…
 

« Ran? ».
La voce di Sonoko le arrivò alle orecchie, mentre i suoi occhi fissavano il numero dieci scritto sulla schiena di quel calciatore che si stava allenando ormai da un’ora nel campo della scuola.
« Sì? », rispose distrattamente.
« Mi hai ascoltato, finora? », la voce di Sonoko divenne così infastidita che Ran si impose di prestarle attenzione.
« S-sì, ma certo », in realtà non ricordava una parola.
Dopo scuola, visto il sole stupendo di quella giornata, si erano sedute sul prato davanti al campo da calcio per ripassare per l’interrogazione del giorno dopo, ma Sonoko non capiva bene perché la sua amica fosse così irrimediabilmente distratta. Sbuffando seguì il suo sguardo, e notò che, con l’aria persa, stava fissando Shinichi.
Shinichi.
SHINICHI?!
« Ran, mi spieghi perché stai fissando Shinichi? ».
Finalmente ottenne la sua attenzione, e l’amica tirò un urletto imbarazzato.
« Ma cosa dici?! ».
Urlò così forte che perfino i giocatori si voltarono, e la fonte della sua distrazione la guardò facendole segno se fosse pazza. Sonoko avrebbe voluto rotolarsi dalla risate.
« Io stavo scherzando, ma dalla tua reazione devo pensare che fosse vero? ».
La sua amica Ran, quindici anni appena compiuti, ormai era rossissima. Si divertiva troppo a prenderla in giro.
« Smettila », soffiò, facendo finta di leggere il libro che aveva in bilico sulle gambe.
« Ora che ci penso, cosa vi succede ultimamente? », domando Sonoko chiudendole il libro, e fissandola sottosopra.
« Non capisco a cosa ti riferisci », mentì Ran.
« E’ da quando siete tornati da quella vacanza che ogni motivo è buono per battibeccare », indagò oltre Sonoko.
« Sei sempre così nervosa, lo stuzzichi », concluse.
Ran la guardò immusonita. Aveva realmente ragione.
Da New York, era stata realmente nervosa, e il motivo le era totalmente sconosciuto.
Sapeva solo che ogni mattina si svegliava quasi arrabbiata, e andava a dormire con la sensazione di star sbagliando tutto. Non riusciva a capire il perché di quei suoi sbalzi di umore, e non avere controllo su se stessa la stava facendo uscire fuori di testa.
« C’è qualcosa che devi dirmi? », insistette Sonoko, l’ombra di un sorriso malizioso sul viso.
« Niente, assolutamente niente », l’aggredì Ran, mentre dall’altro lato del campo adocchiava due ragazzine ridacchiare indicando il suo migliore amico.
« Ok, no perché pareva proprio che tu fossi gelosa di lui ».
Ran elaborò piano ciò che la sua migliore amica le aveva appena detto, e ci mise un attimo prima di replicare.
Gelosa.
Rise interiormente. Perché mai avrebbe dovuto essere gelosa di lui, dopotutto?
« Ma smettila ».
« Non la smetto. Da quando siete tornati da New York fissi sempre male chiunque gli ronzi intorno », sputò lì Sonoko, sperando di sortire una qualche reazione nella amica.
« Qualsiasi cosa lui dica o faccia gli rispondi male, se lo hai troppo vicino diventi nervosa ».
« Ma non è vero! E’ solo che lui è così… così… », al pensiero le salì nuovamente il nervoso. « Così immaturo, e stupido, e tutte quelle ragazzine che gli stanno intorno poi lo esaltano troppo! ».
« Mmm… », rispose Sonoko, annuendo.
« Certo », stette al gioco.
« E poi continua con questa storia del grande detective, sparendo per pomeriggi interi dietro alla polizia », ormai Ran era un fiume in piena, incapace di fermarsi.
« Mi dà fastidio, ecco, ultimamente mi irrita », concluse.
« … ti da fastidio che abbia le ragazzine intorno e che non stia con te per andare chissà dove per indagare? »
« Sì! ».
Subito si pentì di ciò che aveva appena risposto così a bruciapelo. Deglutì.
Lentamente si voltò verso Sonoko, che la guardava con aria di trionfo.
« E perché mai dovrebbe darti fastidio? », chiese gongolando.
Già, perchè?
Si morse un labbro.
« Non è che qualcuno qui si è presa una cotta, vero? ».
Ran aprì la bocca indignata, era pronta per replicare a tono quando sentirono un frastuono arrivare dal centro campo. Shinichi aveva appena fatto un goal così spettacolare che tutti si erano avvicinati in cerchio addosso a lui, riempiendolo di pacche sulle spalle.
Ran si immobilizzò a guardarlo in viso, mentre sorrideva e rideva con i suoi compagni.
Una nuova consapevolezza si impossessò di lei.
Gelosa.
Cosa le stava succedendo?

***
 

Ran tornò in sé dal suoi pensieri, tornando a fissare Shinichi seduto accanto a lei su quel divano. Cercò di rispondere velocemente a ciò che lui le aveva appena detto, sperando di non sembrare troppo impacciata.
« Non ti detestavo », borbottò. « Detestavo me stessa », ammise.
Lui corrugò la fronte.
« Cioè? ».
Ran sbuffo: perché a volte era così tardo?
« Perché non capivo cosa mi stesse succedendo », iniziò, a disagio.
« Il giorno prima eravamo amici, e il giorno dopo ero gelosa. Non capivo perché », spiegò piano. Non voleva certo svegliare Heiji in quel momento.
Shinichi sorrise gongolante.
« Eri gelosa? », chiese con tono divertito, voltandosi completamente verso di lei.
Lei fece una smorfia, guardando il piatto abbandonato sul tavolo. Ormai le era passata la fame.
« … non è stato facile, per me », ammise dopo un attimo, in un sussurro.
« Ammettere che, forse, provavo qualcosa per te », finì, e Shinichi dovette sforzarsi per sentire la sua voce così leggera contro il russare incessante di Heiji a poca distanza da loro.
« E perché? », domandò anch’esso in sussurro, avvicinandosi al suo viso. Il cuore cominciava a battergli decisamente troppo forte.
« Perché era nuovo per me trovarti così… carino ecco. Ti trattavo male perché speravo che mi sarebbe passata facendo così ».
« E ha funzionato? », domandò divertito.
Ran lo guardò male, ormai terribilmente vicino a lei. Aveva lo sguardo così brillante che si incantò a guardarlo, era evidentemente felice di sentire quelle parole. Non capiva bene il perchè, dopo tutto ormai i loro sentimenti erano palesemente messi nero su bianco, quindi cosa c’era da stupirlo così? Forse lo divertiva prenderla in giro.
Improvvisamente sentì nelle narici il suo profumo, e si accorse che lui era ormai molto vicino a baciarla.
Divenne paonazza, lanciando un’occhiata nervosa ad Heiji, ma lui era beatamente addormentato su quella maledetta poltrona. Il pensiero di averlo lì la agitò comunque, quindi quando Shinichi fece per baciarla si scostò di istinto.
Fu un attimo, nel quale notò chiaramente la delusione nello sguardo del suo ragazzo, che, rifiutato, divenne rosso.
Oh, no, pensò Ran. Sembrava proprio un rifiuto, e si sentì terribilmente in colpa. Non si era mai spostata da un suo gesto di affetto, e ora, al suo sguardo perso, le mancò un battito.
Cosa faccio, cosa faccio, cosa faccio.
E mentre Shinichi silenziosamente si ritraeva senza prestarle attenzione, le lo acchiappò per il colletto della camicia, e decisa lo portò a se baciandolo.
Dapprima sorpreso, lui si rilassò, cingendole la vita delicatamente. Silenziosamente terminarono il bacio, e lì lui si lasciò andare ad una risata leggera.
« Che c’è? », chiese lei, ancora ancorata al suo colletto.
« Stavo solo pensando », alzò le spalle lui. « Che forse Sonoko aveva ragione. Siamo stati un pò lenti, non trovi? ».
Ran sorrise. Se arrivava ad ammettere che Sonoko avesse ragione, era davvero convinto della cosa.
« A noi serve sempre tempo per ogni cosa », rise lei, ma presto smise di ridere.
Il pensiero le andò nuovamente a quel maledetto reggiseno di pizzo che indossava, e si sentì accaldata.
Cavolo, Ran! Vi conoscete da sempre, vi amate da sempre, già ci avete messo una vita a dirvelo, non vorrai metterci una vita anche ad andare “oltre”!
Le tornarono in mente le parole di Sonoko della settimana prima, e si morse un labbro. E se avesse avuto ragione anche su quello? Se avesse davvero aspettato troppo per fare qualcosa e lui si fosse stufato, o sentito rifiutato come poco prima?
L’agitazione si impossessò di lei, e smise di respirare. Tornò a guardarlo, ancora a poca distanza dalle sue labbra, e staccò completamente la spina del suo cervello.
Al diavolo.
Non seppe dire come ne quando si ritrovò a cavalcioni su di lui, che per poco non cadde dal divano non aspettandosela addosso. Ran chiuse gli occhi, non possedeva altrettanto coraggio per rendersi conto di ciò che stava facendo. Voleva solo dimostrargli che per lei non era cambiato niente da quel pomeriggio in biblioteca, che dopotutto era ancora lì, a volere ciò che voleva lui.
Lo baciò di nuovo, non rendendosi realmente conto di ciò che stava scaturendo in lui.
Quando l’aveva vista scavalcarlo con una gamba e appoggiarsi a lui, l’aveva prontamente afferrata per non farla cadere, e senza volere l’aveva spinta ancora di più contro di sé.
In quel momento ogni barlume di lucidità era svanito, e sentirla baciarlo non aveva aiutato.
Controllati, controllati, controllati. C’è Heiji a fianco, davvero, c’è Heiji qui a FIANCO.
Strinse i pugni per cercare di darsi un tono, e di non vagabondare eccessivamente su quella schiena così calda.
Se è impazzita lei, non vuol dire che devi impazzire anche tu.
Continuò a baciarla, cercando di mantenere dei pensieri razionali, ma quando lei, che di razionale nella sua testolina non possedeva neanche più una briciola, cominciò a sbottonargli la camicia e accarezzargli il petto, spazzò via ogni sua ragionevolezza.
Al diavolo.
Ormai, dopo i pomeriggi in agenzia e in biblioteca, ai loro occhi era quasi giustificabile ciò che facevano. Dopotutto era già successo, non c’era niente di male. Gli aveva già sbottonato quella camicia una volta, perché non farlo la seconda?
Ran deglutì, accarezzandogli la pancia.
Ecco, forse la pancia non gliela aveva mai accarezzata. Nervosissima continuò a baciarlo velocemente, quasi sperando che lui non se ne accorgesse.
Shinichi, dal suo canto, si lasciò fare, non capendo bene cosa stesse realmente accadendo.
Ragiona, ragiona, ragiona.
Ma non ci riusciva per davvero, mentre ricambiava i suoi baci e le sue mani andavano ad alzarle le maglietta da dentro la gonna.
L’importante è ragionare, ora per esempio puoi fermarti.
Le sfiorò la pancia, per poi risalire.
Ecco, ora basta.
Salì ancora, sentendosi sotto le sue dita una stoffa simile al pizzo, e un leggero sospiro fuoriuscire dalla bocca premuta contro la sua.
Rimani lì, anzi no, spostati.
Sfiorò nuovamente il pizzo, sospirando anch’esso.
Ran, sentendolo, si esaltò, non sentendosi l’unica sbagliata in quel momento così astruso. Evitò accuratamente di accarezzargli la schiena, il solo pensiero della cicatrice cancellava dalla sua mente ogni intenzione di quel momento, e gli accarezzò il petto. Shinichi ormai giocherellava con il suo reggiseno, e sotto le sue mani potè sentire chiaramente il suo cuore battere come un martello.
La stessa sensazione di potere che aveva avvertito la settimana prima la rese euforica, e decisa di voler vedere coi suoi occhi. Li riaprì dopo tutto quel momento, e vide Shinichi a occhi chiusi baciarle il collo, con un viso che la emozionò.
Era rosso, rossissimo. L’espressione sbruffona che aveva per la maggior parte del tempo davanti ai giornalisti o durante i suoi innumerevoli casi ormai aveva lasciato spazio a un viso completamente perso, rilassato, e felice. Aveva le orecchie così bordeaux che pensò potessero essere bollenti, e i capelli gli ricadevano distrattamente sugli occhi.
Vederlo così inerte su di lei, così indifeso la incoraggiò a continuare, euforica per renderlo così a causa sua, e sua solamente.
Non lo aveva mai visto così, senza barriere, senza lucidità. Era l’unica in grado di farlo cedere, e di far cadere i suoi ragionamenti come un castello di carte.
Tu sei il suo punto debole, non lo sapevi?
Una voce glaciale la lasciò interdetta un attimo, ma Shinichi era così distratto da non accorgersene.
Una stupida ragazzina che fa capitolare così il grande Shinichi Kudo.
Cercò di spazzare via quella voce, che le stava ghiacciando le vene.
E’ grazie a te se lo abbiamo preso.
Lo baciò con più foga, per togliersi dalla testa la voce di Gin.
Ma ormai il viso deforme di quell’uomo si mimetizzò nella sua testa, e il ricordo di lei imbavagliata in un angolo perduto di quel magazzino le fece saltare un battito.
Ti svelo un segreto.
Strinse convulsamente la camicia aperta di Shinichi.
Lui ha una bella cotta per te, ragazzina.
La mano di Shinichi ormai aveva completamente invaso il suo petto, togliendole il respiro nuovamente.
Ti svelo un segreto io.
La voce che le arrivò alla testa era cambiata: era la sua. Ferma, glaciale, nauseata.
Lo so già.
Pregò che il ragazzo non si stessa accorgendo del suo viso tirato, mentre nella sua testa prendevano forma quei brutti pensieri. E, per sua grande fortuna, Shinichi non se ne accorse. Gin aveva ragione: lei era il suo punto debole. Ormai la sua mano non aveva più pudore, e continuava a tergiversare sul suo petto.
Sapeva bene cosa celava, sotto quella maglia. Probabilmente la sua ragazza aveva voluto eludere il discorso o addirittura il pensiero, ma lui si ricordava bene i loro bagni insieme quando era Conan o i pomeriggi trascorsi alla terme. Era stato così imbarazzante, così frustrante, averla al suo fianco e non poter fare niente. Ma ora era lì, così felice, così adulto.
Adulto.
Sgranò gli occhi, in stato di disagio crescente, e sperò con tutto se stesso che lei non se ne accorgesse. Non aveva più controllo sul suo corpo, pareva che tutto si muovesse senza il suo consenso. Ma che lei potesse rendersi conto del suo stato era davvero troppo. Per quello, si rese conto, non era davvero ancora pronto.
In quel momento, completamente in panico, a salvarlo fu Heiji che, russando fragorosamente, li riportò alla realtà. Spaventata Ran si diede una spinta dal suo petto per allontanarsi velocemente, presa alla sprovvista da quel rumore improvviso. Destabilizzata cadde rovinosamente a terra, facendo un gran fracasso a fianco del tavolino. Shinichi, da parte sua, si voltò verso l’amico, che si era risvegliato da quel caos.
Ran rimbalzò come una molla sul divano, mettendosi a guardare fintamente interessata la televisione, che stava trasmettendo un documentario sui pinguini.
« Cosa è successo? », biasciò Heiji impastato, strofinandosi gli occhi.
Ran evitò accuratamente di guardare il suo ragazzo, ormai completamente nel panico. Fissò prima Heiji, poi la televisione, e indicò velocemente l’apparecchio.
« I pinguini! », esclamò con finto entusiasmo. Heiji la guardò confuso, per poi girare il viso verso la televisione.
« Pinguini? », ripetè.
« Pinguini! », annuì energicamente lei, per poi dare una gomitata senza guardarlo a Shinichi. Lui recepì solo in quel momento, e sobbalzò anch’esso.
« I pinguini! », ripetè con un sorriso forzato.
Heiji, ormai totalmente ripresosi dalla birra, ma ancora molto assonnato, li fissò confuso.
« Hai caldo? », chiese, sbadigliando e stiracchiandosi sulla poltrona. Shinichi corrugò la fronte, poi si maledì interiormente. Aveva la camicia aperta.
Sii indifferente.
« S-sì, un pò sì », alzò le spalle, cercando di non lasciar trasparire alcuna emozione in volto. Ran al suo fianco avrebbe voluto seppellirsi.
« Ah, beh… io credo andrò a dormire », Heiji si alzò in piedi, stiracchiandosi ancora.
« A-anche io », Ran sobbalzò velocemente, per poi guardarsi e rendersi conto che aveva la maglia spiegazzata. Velocemente se la infilò nella gonna, mentre Heiji si girava per sistemare la poltrona.
« Bene », annuì Shinichi, ancora accaldato.
Se fossero stati in un’altra situazione, Ran avrebbe riso, non capendo cosa gli stessa passando per la testa. Ma visto che era ancora completamente nel pallone, pensò bene di lasciar correre e salutandoli velocemente, si avviò verso la porta, acchiappò i suoi stivaletti e corse fuori. L’aria fredda la risvegliò completamente dal torpore nel quale si era lasciata andare pochi istanti prima e, rendendosi conto di ciò che era successo, si sentì quasi esplodere l’imbarazzo nel petto.
Gli era saltata addosso, l’aveva praticamente spogliato. Con che coraggio lo avrebbe guardato in faccia, lunedì? Eppure doveva, altrimenti sarebbero di nuovo incappati nell’ennesima discussione come la settimana prima. Ma era davvero troppo, troppo imbarazzante.
Ormai non riusciva più a contenersi con lui, quello era chiaro. Si sentì stupida a pensare che lei fosse il suo punto debole, quando in realtà Shinichi in lei sortiva lo stesso identico effetto. Quando c’era lui, non capiva più niente. Per tutto il tragitto verso casa, pensò e ripensò a ciò che era successo. Erano veramente andati oltre, e immaginò cosa sarebbe successo se Heiji non fosse stato lì. Avrebbe davvero avuto il coraggio di arrivare fino in fondo? Ne era realmente consapevole e pronta?
Infilò piano la chiave nella serratura, sperando di non svegliare suo padre.
Era pronta davvero a lasciarsi completamente a lui? Di toccarlo, di rimanere completamente inerte e, deglutì, nuda, davanti a lui? E vedere lui, nudo.
Chiuse gli occhi, cercando di non immaginare l’inimmaginabile. Pensare a lui così la faceva così vergognare che sperò di cancellare quell’immagine di testa. Gli aveva detto che lo voleva, ma era sicura? In quel preciso momento avrebbe potuto accadere, avrebbe potuto essere ancora su quel divano con lui, nessuno dei due si sarebbe fermato.
Quando accese la lampada sul suo comodino, tornò un attimo in sè, e le sembrò che qualcosa non andasse. Corrugò la fronte, per poi sentire il suo telefonino vibrare.
Raggelò, quando lesse che era di Shinichi. Cascando nuovamente nella vergogna, pensò di non aprirlo neanche.
Cosa voleva?
Si morse un labbro, e alla fine la curiosità vinse. Aprì il messaggio, e lesse velocemente.
Hai lasciato la sacca sportiva qui.
Ecco, cosa le pareva strano. Si era completamente dimenticata della sacca con la sua divisa, nella fretta di uscire da quella casa. Stava ancora ripensando a dove l’aveva appoggiata, che il telefono vibrò di nuovo, e nel leggere il nuovo messaggio di Shinichi, inevitabilmente sorrise.
Non mi parlerai per altri due giorni?
Probabilmente aveva pensato bene di rompere immediatamente l’imbarazzo che si sarebbe potuto creare il lunedì successivo se non si fossero parlati per l’intera domenica. Mentalmente lo ringraziò, cercando la risposta migliore per rispondere. Voleva assolutamente mettere sul ridere la scena, perché altrimenti sarebbe impazzita di vergogna. Quando fu soddisfatta, cliccò invio.
Penso che stavolta due giorni non bastino.
La sua risposta non tardò ad arrivare.
Forse hai ragione, ho esagerato, SCUSA.
Rise, ripensando alla loro discussione di una settimana prima. Si chiese allora nuovamente se si sarebbe sentita pronta, finalmente cosciente di farlo con lui. Dopotutto, con chi altri avrebbe mai potuto? Se fosse stato difficile farlo con lui, immaginarlo con qualsiasi altro ragazzo al suo posto sarebbe stato impossibile. Così si ritrovò a pensare che dopotutto lui l’avrebbe capita, che lui l’avrebbe aiutata. Sarebbe stato dolce, comprensivo e imbranato quanto lei. Non doveva avere paura di lui, perchè, ne era convinta, lui non l’avrebbe né obbligata, né costretta a fare qualsiasi cosa non volesse.
Seduta sul bordo del letto, ripensò nuovamente alla voce di Gin, e le venne da vomitare.
 

***
 

« Lo so già », gli aveva ribattuto in quel momento con fare fiero, come a volergli tenere testa. Era legata, a terra, nelle narici un odore nauseante che non capiva bene da dove arrivasse. La testa vuota, piena di pensieri contrastati.
Si ricordava solo di essere arrivata lì, con suo padre e gli altri per un caso, ed essersi ritrovata a terra svenuta, in quella stanza così piccola. Dopo un tempo infinito quella maledetta porta si era aperta, e vi era entrato quell’uomo così spaventoso, che aveva iniziato a prenderla in giro, avvicinandosi pericolosamente a lei.
Non sapeva chi fosse, né tantomeno cosa volesse. Ma il pensiero di averlo così vicino la terrorizzava e nauseava nello stesso tempo.
« Hai il coraggio di ribattere? », un primo schiaffò la colpì così forte che per poco non svenne. Si sentì la testa pesante, mentre incassava anche il secondo, arrivatole pochi secondi dopo il primo.
Le venne da piangere, ma quasi si fece sanguinare un labbro per trattenersi. Non voleva dargliela vinta, non voleva.
« Cosa ci trovi in te, non lo capisco », le aveva risposto con fare sprezzante, e nel dirlo le strappò i bottoni della camicia. Si sentì così indifesa che non riuscì nemmeno a reagire, quando lui fece una smorfia.
« Di ragazzine come te, è pieno il mondo ».
Non voleva davvero che lui la toccasse. Non voleva nemmeno che la guardasse così, sul pavimento, la camicia aperta e le lacrime che le colavano sul volto sporco. Si sentiva così sbagliata e così spogliata della sua dignità che sperò di chiudere gli occhi e risvegliarsi a casa sua, nel suo letto.
« Ma possiamo chiederlo direttamente a lui », quelle parole le fecero sgranare gli occhi, e con il viso dolorante ancora dagli schiaffi subiti, guardò un secondo uomo buttare nella stanza Conan. Il bambino cadde a terra con un gemito dolorante, e quando si accorse di lei in quello stato sbarrò gli occhi. Cercò di rimettersi seduta, le ginocchia al petto: non voleva che lui la vedesse così, non il suo fratellino.
« Allora, Kudo… ».
Kudo? Perché aveva detto Kudo? La testa le doleva così tanto che non capiva bene cosa stessa succedendo.
« Ci stavamo chiedendo cosa ci trovassi di tanto speciale in questa ragazzina ».
La sua voce era maledettamente divertita, e fece ridere anche il secondo uomo, decisamente più in carne di lui, notò Ran solo in quel momento. Ma dov’era Shinichi, perché stava parlando con Conan in quel modo?
Sbattè più volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco intorno a lei. In quel momento si accorse di Conan, che indossava dei vestiti davvero troppo grandi per lui, e si chiese scioccamente il motivo.
« Guardala bene ».
Si sentì le mani del primo uomo di nuovo sul viso, mentre glielo stritolava fra le mani.
« E’ banale », la spinse a terra, facendola cadere su se stessa, mentre gemeva e si lasciava andare ad un singhiozzo.
Aprì un occhio, e vide Conan completamente disperato cercare di dimenarsi fra le braccia del secondo uomo.
Conan.
Non doveva vederla così, non doveva. Doveva andare lì, rassicurarlo, dirgli che sarebbe andato tutto bene. Era lei l’adulta, era lei che doveva badare a lui.
« Piagnucolosa », proseguì la sua lista Gin, assestandole un calcio nella pancia. Conan gemette, mentre Ran sputava un pò di saliva a terra.
« Non posso crederci che hai perso la testa per lei ».
Ormai le forze di Ran la stavano abbandonando, lì, su quel pavimento. Guardò un’ultima volta Conan, e, seppur sfocato, videro che mentre si dimenava gli infilavano qualcosa in bocca. Lui provò a sputarla, ma con foga gliela spingere in gola.
Conan.
« Ringrazialo, ragazzina. E’ grazie alla sua cotta, se sei qui », sentì la voce ovattata di Gin in lontananza. Non stava capendo niente, e pensò che dovessero aver iniziato a picchiare selvaggiamente anche Conan, perché dopo poco lo sentì iniziare a urlare. Urli atroci, che le fecero gelare il sangue nelle vene. La vista appannata, dolori ovunque, ma riuscì a guardare per un’ultima volta il bambino a poca distanza da lei, dimenarsi e quasi strapparsi la maglia all’altezza del petto.
Ha un infarto, pensò disperata. Iniziò a piangere rumorosamente, i due uomini che assistevano alla scena divertiti.
Poi accadde tutto così in fretta che le venne la nausea. Dopo quello che parvero urla di ore, rifissò il corpo inerte a poca distanza da lei.
Era più grande, e si iniziava a contorcere meno.
« Bene, bene », disse il secondo uomo, avvicinandosi a Conan. « Chi abbiamo qui ».
Con un calcio sprezzante girò sulla pancia il ragazzo, che aprì gli occhi colmi di disgusto.
« Tu… », iniziò Vodka, tirandogli un calcio. « Dovresti », un pugno nello stomaco, che fece sputare Shinichi. « Essere morto! », l’ultima frase la urlò, sputandogli addosso.
« Chi è il tuo angioletto custode, eh Kudo? », Gin si accovacciò su di lui, prendendolo per i capelli.
« Perchè, se non sbaglio, Shiho Miyano ha firmato i documenti della tua effettiva morte ».
Shinichi rise sprezzante.
« Shiho non è mai stata vostra », ribattè con le ultime forze rimaste, il sorriso insanguinato da quel labbro rotto poco prima.
Gin alla vista di quell’espressione sbruffona, lo buttò per terra con un pugno così forte che Shinichi non si mosse più. Prese di tasca la pistola, e gliela puntò alla tempia, salvo poi essere interrotto da una terza figura, apparsa improvvisamente sulla porta.
« Oh, non vorrai davvero concludere così il giochetto », disse una voce femminile, entrando dentro la stanza. Ran vide con sguardo sfocato che quella appena entrata doveva essere una donna, i lunghi capelli biondi a contrastare il suo look interamente nero. Le parve di conoscerla, e sentì un brivido percorrerle la schiena quando vide il suo sguardo su di lei. Vermouth la guardò attentamente, prima lei, poi Shinichi, svenuto a terra dopo l’ennesimo colpo.
« Non è il momento », ringhiò Gin, la pistola ancora alla tempia di Shinichi.
« Invece sì, il capo ti vuole », disse lei, cercando di nascondere il suo crescente nervosismo. Gin strinse il pugno, per poi riporre la pistola in tasca e uscire velocemente dalla stanza, seguito da Vodka. Vermouth li guardò sparire oltre la porta, per poi lanciare un’occhiata a Ran, che piangeva silenziosamente in un angolo.
« Siamo pari », sussurrò, prima di seguire i due chiudendosi la porta alle spalle.

Quando Shinichi riprese conoscenza, subito non capì dove si trovasse. Sentiva solo un fastidioso sapore di sangue in bocca, e l’intero suo corpo dolorante. Si mise seduto, toccandosi la testa dolente. Quando improvvisamente gli tornarono alla mente tutti i ricordi, sobbalzò terrorizzato. Si voltò così velocemente verso Ran che gli girò la testa ma, adocchiandola appoggiata al muro con sguardo vuoto, le si avvicinò a quattro zampe. Non aveva nemmeno la forza di alzarsi.
« Ran », soffiò stremato, prendendole le mani e sciogliendo il nodo che le teneva insieme da davvero troppo tempo. Lei lo lasciò fare, l’espressione apatica. Lui buttò a terra la corda, e le guardò orripilato i polsi: sanguinavano, laddove la corda aveva tirato fino a quel momento. Alzò lo sguardo su di lei, vedendo lucidamente per la prima volta come era conciata.
Era sporca, piena di lividi e graffi, un labbro sanguinante e la camicia strappata, in bella vista il reggiseno bianco che indossava. Una rabbia folgorante lo travolte, e una realtà ben peggiore si impossessò di lui.
« Ran », si schiarì la voce, tenendole le mani. « T-ti hanno fatto qualcosa? », le chiese, terrorizzato.
Lei lo guardò per la prima volta, e non rispose.
« Ran », ripetè lui impaziente. « Ti hanno toccata? », la sua voce era incrinata. Aveva paura della risposta, non voleva forse saperla. Il pensiero che avessero allungato le mani su di lei gli faceva venire da vomitare.
E’ colpa mia.
Ran provò a riprendere lucidità, e tolse le sue mani intorpidite dalla sue.
« No », rispose asciutta, guardando a terra. Ma si sentì prendere per le spalle, e si voltò a incontrare lo sguardo allucinato di Shinichi.
« E’ la verità?! ».
« Certo. Io la dico sempre, la verità. A differenza tua ».
Quelle parole raggelarono Shinichi, che improvvisamente si rese conto di ciò che era successo. Lo avevano trasformato lì, di fronte a lei.
Deglutì, sentendosi perso.
« E’ complicato », disse solo, con voce glaciale.
« Immagino », replicò Ran, cercando di mettersi in piedi. Traballò per un attimo, seguita da lui, che la imitò.
« Ran », provò a toccarle una spalla, ma lei si ritrasse.
« Non toccarmi », la sua voce pareva un ringhio, mentre con mani tremante cercava di abbottonarsi la camicia come meglio poteva. Ma presto si rese conto che non poteva, era letteralmente strappata. Allora si andò a coprire malamente, guardandolo di sottecchi.
« Non toccarmi, non guardarmi! ».
Shinichi emise un flebile gemito, prima di stringere i pugni.
« Ran, posso spiegare, davvero ».
« Ti odio », iniziò a piangere lei, lentamente.
« … mi stai spezzando il cuore ».
La voce di Shinichi spezzò anche il suo, ma non ci badò. Non volle badarci, e con quelle poche forze che possedeva, alzò lo sguardo glaciale verso di lui.
« Il mio lo hai spezzato da un bel pò ».
 

***
 

Ran si risvegliò in un bagno di sudore, e con mani tremanti accese la lampada sul suo comodino. Col respiro accelerato si mise seduta, la nausea forte e il corpo tremante.
Mi stai spezzando il cuore.
Si mise una mano sulla bocca, ma non riuscì a trattenersi. Mise velocemente le gambe a terra, e corse in bagno a vomitare. La sensazione di Gin che le strappava la camicia, della trasformazione di Shinichi tornò così vivida nella sua mente che si mise anche a piangere.
Arrivò appena in tempo al water, e lì vomitò quel poco di cena che aveva mangiato.
Quando finì si accasciò li a fianco, prendendo fiato.
No, così non poteva continuare. Non poteva, e non voleva. Quei incubi, quei ricordi, le stavano rovinando la vita.
Doveva parlarne con qualcuno, aveva bisogno di qualcuno.
Shinichi.
Pianse silenziosamente, mentre si trascinava in camera, e acchiappava il telefonino posto sulla sua scrivania. Con mani tremanti compose il suo numero che sapeva a memoria, e attese. Dopo un pò di squilli, una voce fra l’assonato e il preoccupato rispose.
« Ran? », chiese la voce così bella del suo ragazzo, che le scaldò momentaneamente il cuore.
« Io non ti odio », singhiozzò, ancora rintronata dal sogno.
« Non ti odio Shinichi, te lo giuro ».
E scoppiò in un pianto disperato.

Sei mesi prima
 

Ran entrò ormai automaticamente attraverso quella porta bianca, e subito si sentì investire da un fastidioso odore di ospedale. Come un automa si diresse verso la terza camera sulla destra, e senza neanche controllare il suo ospite vi entrò. Sorrise piano, guardando quel viso così perfetto a poca distanza da lei.
Shinichi Kudo era ormai in ospedale da una settimana, in un sonno profondo. I medici le avevano detto che speravano in un suo risveglio autonomo entro due settimane, e Ran aveva deciso di aspettare pazientemente, andando ogni giorno a trovarlo per ore. Anche addormentato, era la cosa più bella che lei avesse mai visto.
Prese la sedia e si mise al suo fianco, prendendogli la mano.
Appena il pomeriggio prima, accanto a lei si era avvicinata lentamente Yukiko Kudo, che, mettendole una mano sulla spalla le aveva iniziato a spiegare di Conan.
Ran era rimasta in silenzio, ascoltando con attenzione le sue parole. Non sapeva nemmeno lei ma quell’odio improvviso nei suoi confronti erano scemati, i mesi di menzogne spariti. Non le importava più niente, l’unica cosa che desiderava era che lui si svegliasse, che tornasse a prenderla in giro, a ridere insieme per qualcosa di decisamente irrilevante, con lei, al suo fianco.

Lo ha fatto solo per proteggerti, Ran.
Avrebbe voluto rispondere a tono, ma non lo fece. Non ne aveva le forze. La maggior parte di esse le usava per lunghi pianti sotto la doccia, dove l’acqua nascondeva i suoi singhiozzi.
Tante volte avrebbe voluto dirti la verità, ma glielo abbiamo impedito noi.
Tanti ricordi con Conan le erano tornati alla mente in quei giorni lunghi, nelle quale il suo rituale era diventato un sonno agitato, il pianto mattutino in bagno, e poi via, tutto il giorno in quella stanza claustrofobia al suo fianco.
Di Conan, dopotutto, ne avrebbero potuto parlare con calma una volta risvegliato, avrebbero potuto confrontarsi, magari litigare, e sistemare le cose come sempre. Bastava semplicemente che aprisse quei suoi occhi, la guardasse e le regalasse un sorriso.
Sì, di Conan avevano una vita per parlarne.
Invece quella voce, quella maledetta voce che bisbigliava al suo orecchio quella semplice parola, invocando il suo perdono, le tornava in mente ogni momento della giornata come un pugno nello stomaco.
Glielo aveva sussurrato, con una pallottola nella schiena, come ultimo desiderio. Perché lei poco prima lo aveva aggredito, spinto via, gli aveva urlato che lo odiava.
Ecco cosa gli aveva detto l’ultima volta che gli aveva parlato. Che lo odiava.
Conan era così irrilevante, rispetto al fatto che Shinichi avrebbe potuto morire convinto che lei lo odiasse. E lei a sua volta si odiava per avergli vomitato la sua rabbia addosso in quel magazzino, senza ragionare, senza rendersi conto della gravità della situazione.
« Come potrei odiarti? », gli chiese un giorno, accarezzandogli il viso addormentato, le lacrime che le pungevano gli occhi.
Cercò di assottigliarsi al suo fianco, incastrando il suo viso nell’incavo del suo collo.

Quando più tardi, Yukiko Kudo andrò a trovare suo figlio, trovò Ran Mouri al suo fianco, rannicchiata su quel poco spazio rimasto, il viso bagnato contro il suo.
E per un momento, non le parve la stanza di un ospedale, e suo figlio non le parve in coma. Le tornò alla mente quando da bambini li trovava sfiniti sul divano, a dormire dopo un interminabile pomeriggio di giochi…

   
 
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