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Il
buio della notte in quegli istanti pareva una luce
limpidissima. La macchina superò velocemente i boschi che
nella direzione
opposta avrebbero riportato alla stazione di servizio degli Hewitt. Le
mani sul
volante erano ben salde, ma tremavano. Se ne stava andando. Ogni metro
percorso
le dava sempre più speranza. A tratti Erin guardava il
bambino seduto accanto a
sé. Si era addormentato.
Nella sua mente la ragazza non aveva ancora realizzato.
Perché era successo? Perché
d’un tratto tutto si era trasformato in un incubo?
Si avvicinò sempre di più ad una
città. Lì avrebbe chiesto aiuto, lì
tra
persone normali, tra veri poliziotti avrebbe detto
dell’accaduto e li avrebbe
implorati di mandare intere unità ad uccidere quei figli di
puttana.
Le avrebbero dato ascolto? In fondo guidava la macchina di uno
sceriffo, forse
non era il massimo per poter credere a una simile testimonianza.
L’avrebbero
presa per pazza? Magari rinchiusa in un manicomio. Avrebbe rischiato.
Dopo circa due ore di viaggio raggiunse la città. Non seppe
quale fosse, non
vide nemmeno un cartello. Guardava dritto davanti a sé senza
rendersi conto che
era la città in cui aveva sempre vissuto.
Iniziò a piovere, era ancora notte fonda. Distrattamente
parcheggiò lungo una
via. Nessuno camminava per le strade. Sentiva battere forte le gocce
d’acqua
lungo il parabrezza. Quella calma improvvisa la rendeva ancora
più inquieta.
Iniziò a piangere terrorizzata. Si accasciò sopra
il volante chiedendosi perché…
Perché era successo. La ragazza che si era suicidata nel
loro pulmino diceva la
verità, lei non era altro che l’ennesima vittima.
In un impeto di rabbia iniziò a sbattere i pugni sul cofano,
come per alleviare
il dolore. D’un tratto si aprì il cruscotto di
scatto. Erin si fermò. Lo guardò
a lungo, poi senza pensarci vi mise le mani dentro. Forse lì
avrebbe trovato
delle prove che avrebbero incastrato quei bastardi.
Fogli, una collana insanguinata appartenente probabilmente ad una donna
uccisa
da quei mostri, altri fogli, una pistola scarica, uguale a quella della
donna
che si era suicidata, poi trovò una piccola scatoletta blu.
Era una di quelle
che sogni di vedere in mano al tuo fidanzato, una di quelle che ti
fanno capire
subito quale sarà la sua imminente domanda.
Quando l’aprì vi trovò un anello. Era
semplicemente stupendo. La pietra che vi
era sopra risplendeva alla luce di un lampione lì fuori.
Erin se lo rigirò tra
le dita. Quanto aveva sperato che il suo ragazzo gliene desse uno e
quanto
aveva desiderato sentirsi fare quella domanda. Ora era tutto scomparso,
tutto
buio.
Teneva l’anello tra l’indice e il pollice quando
sentì all’interno dell’anello
che vi era un’incisione. Presa dalla curiosità
guardò cosa vi era scritto nella
parte interna.
“Erin & Kemper”
.
La ragazza si mise una mano sulla bocca terrorizzata, poi continuando a
tremare
ripose l’anello nella scatoletta e se lo mise in tasca.
Iniziò a piangere e gridare… Gridò
forte. Il bambino accanto a lei si svegliò
spaventato, ma lei non ci fece caso. Continuò a gridare con
tutta la rabbia
possibile.
Leatherface appena trovato l’anello doveva averlo dato al suo
fratellastro, lo
sceriffo Hoyt, che l’aveva riposto lì.
Una volta esausta, Erin accarezzò la guancia del bambino
più volte per farlo
riaddormentare e finalmente anche lei chiuse gli occhi.
Il sonno durò poco per via degli incubi. Non avrebbe dormito
per molte notti.
In un attimo di silenzio, quando anche la pioggia aveva cessato di
scendere,
qualcuno bussò al suo finestrino. Spaventata tirò
un urlo e si voltò per vedere
chi fosse.
Dalla divisa capì subito che si trattava di un poliziotto.
“Grazie a Dio” si disse.
Quando aprì la portiera, parlò così
freneticamente che ci volle un po’ prima
che l’uomo la facesse calmare. La invitò a
risedersi sul sedile e a raccontarle
più tranquillamente quello che le era successo. Il
poliziotto nel frattempo notò
le macchie di sangue sulla sua maglietta e il bambino seduto sul sedile
del
passeggero.
<< Dovevamo andare ad un concerto…
>> disse tra le lacrime.
<< Signorina, si calmi… Respiri e mi spieghi
tutto >>.
Ci provò. Spiegò del loro viaggio in Messico,
della ragazza lungo la strada a
cui diedero un passaggio, del suo suicidio, della stazione di servizio,
dell’uomo
con la motosega, di tutti i suoi amici uccisi da una famiglia di pazzi.
Più la sentiva parlare, più l’uomo
stentava a credere a ciò che sentiva.
<< Mi deve credere… Non sono pazza. Se
percorre questa strada li troverà…
Ma non può andare da solo, non ci deve andare… No
>> disse scuotendo la
testa.
<< Mi spieghi perché si trova con la macchina
di uno sceriffo >>
<< Era l’unico mezzo che avevo per andar via da
lì… Dovevo andar via
>>
<< E il bambino? >>
<< L’avevano rubato, non era loro…
Il bambino non era di quella donna,
non potevo lasciarlo lì. L’avrebbero ucciso
>> disse urlando.
<< Si calmi, la prego >>.
Il poliziotto la calmò per poi andare nella sua auto ad avvertire
altri agenti della
situazione. Fece inoltre chiamare un’ambulanza.
<< Lei mi crede, non è vero? >>.
L’uomo la guardò e non disse nulla. Non poteva
pensare che si fosse inventato
tutto, ma la storia sembrava un racconto dell’orrore. Non
poteva essere
successa una cosa simile.
Arrivò l’ambulanza che portò Erin e il bambino
in un ospedale. Le dissero
che il piccolo, non essendo suo figlio, sarebbe subito stato affidato
ai
servizi sociali.
<< Come si chiama? >> le chiese una donna,
mentre lo prendeva in
braccio.
<< N-non lo so >> disse lei piangendo.
Lo portarono via e non lo vide più. Lei intanto, dopo aver
passato molte ore in
ospedale, una volta fatto giorno venne portata al distretto di polizia
della
città.
Lì parlò a lungo con lo sceriffo del posto e con
alcuni agenti che la
interrogarono.
<< La macchina è stata perquisita. Abbiamo
trovato tracce di sangue nel
portabagagli, pezzi di vetro sui sedili di dietro, una pistola nel
cruscotto,
più diversi oggetti e alcuni fogli. Lei ha detto di non
c’entrare niente, di
aver preso quella macchina per fuggire da un posto >>
<< So che sembra assurdo, ma dovete credermi. Un pazzo
con una motosega
ha ucciso il mio ragazzo e i miei amici e molte altre persone. Sono
tutti lì…
>>
<< Signorina, noi vorremmo crederle, ma non sappiamo dove
si trovi questo
posto. Non ha qualche luogo particolare da indicarci, dove potremmo
fare dei
sopralluoghi >>.
Erin rimase in silenzio un paio di secondi.
<< Il mulino dei Crawford… >>
<< Il mulino dei Crawford? >>
ripeté lo sceriffo.
<< Sì… E un mattatoio, poco lontano
da lì… E la casa dove tenevano le
vittime >> disse iniziando a tremare sulla sedia e a
piangere.
<< Signorina, noi non abbiamo nessun potere per poterla
arrestare, anche perché
tutto quello di cui ci sta parlando a noi giunge nuovo e non abbiamo
mai avuto
segnalazioni di gente scomparsa. Tuttavia, la terremo agli arresti
domiciliari,
visto che ci risulta qui la sua abitazione. Effettueremo dei controlli
nel
posto in cui dice ed esamineremo meglio l’auto con cui
è arrivata >>
<< Non andate soli, vi prego non andate soli
>> urlò paonazza in
viso << Vi ucciderà tutti >>.
Una volta fuori dal commissariato venne accompagnata nella casa che
prima di
quell’incubo aveva condiviso con il suo ragazzo. Tutto le
sembrava così nuovo,
come se lì non ci fosse mai stata. Osservava le pareti di
casa, l’arredamento e
alcune foto sparse su dei mobili, come se in realtà non
fossero mai esistite.
A turno, fuori dalla sua porta, un poliziotto rimaneva lì
intento a sorvegliare
ogni sua mossa. Di questo ne fu più che sollevata.
Passò del tempo. Ogni sera, nel letto che una volta
condivideva con Kemper,
Erin fissava incantata l’anello che le avrebbe dovuto
regalare e lo posava
accanto a una loro foto prima di addormentarsi.
Qualche giorno dopo fu proprio lo Sceriffo a recarsi a casa sua.
<< Abbiamo rinvenuto i corpi dei suo amici…
E… Due agenti sono morti
>>.
La ragazza si posò le mani sul viso colma di paura.
<< Non avevo mai visto nulla di simile. Lei ha vissuto
tutto ciò… Mi
dispiace tanto. Spero… Spero potrà continuare a
vivere serenamente… Un giorno
>>
<< Sarà difficile >>.
Erin accompagnò l’uomo alla porta, ma prima che se
ne andasse volle fargli una
domanda.
<< Che ne è stato del bambino che era con me?
>>
<< Verrà affidato a una famiglia che se ne
prenderà cura >>
<< Se fosse possibile… Potrei adottarlo io?
>>
<< Lei? >>
<< Saperlo in mani sconosciute mi spaventa. Quel bambino
non saprà mai
che fine ha fatto sua madre… Vorrei che almeno stesse con
qualcuno che possa
stargli vicino davvero e condividere insieme a lui il suo dolore un
giorno >>.
Lo sceriffo annuì e le disse che le avrebbe fatto sapere.
Chiusa la porta Erin si gettò sulle ginocchia.
Era finita… Per lei era finita lì. Non avrebbe
rivisto mai più i suoi adorati
amici, non avrebbe mai più sentito le loro voci. Li avrebbe forse sognati, ma avrebbe così rivisto ancora la morte, che nuovamente l’avrebbe perseguitata forse per la sua intera esistenza. Le macchie di sangue sui suoi occhi, non si sarebbero cancellate.
Ho visto questo film solo mercoledì scorso, e devo dire che mi ha impressionato non poco. Più che per le scene, ovviamente per la storia in sè, pensando poi che tutto è ispirazione degli omicidi di Ed Gein, veramente terrificanti. Questa Oneshot è nata per voler dare un breve proseguimento alla vita di Erin, totalmente sconvolta dagli eventi. Spero sia stata di vostro gradimento =) ! Bacioni