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Autore: Vale__91    07/08/2009    2 recensioni
[Film_Non Aprite Quella Porta_2003] Erin è riuscita a sfuggire ai suoi aguzzini perdendo però gran parte di sè in quel posto, la casa degli Hewitt. Come sarà il suo ritorno a casa? Riuscirà a ricominciare a vivere?
Oneshot che racconta il viaggio di Erin lontano dalla casa degli Hewitt e le sue profonde sensazioni
Genere: Triste, Malinconico, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Coming Back Home

Il buio della notte in quegli istanti pareva una luce limpidissima. La macchina superò velocemente i boschi che nella direzione opposta avrebbero riportato alla stazione di servizio degli Hewitt. Le mani sul volante erano ben salde, ma tremavano. Se ne stava andando. Ogni metro percorso le dava sempre più speranza. A tratti Erin guardava il bambino seduto accanto a sé. Si era addormentato.
Nella sua mente la ragazza non aveva ancora realizzato. Perché era successo? Perché d’un tratto tutto si era trasformato in un incubo?
Si avvicinò sempre di più ad una città. Lì avrebbe chiesto aiuto, lì tra persone normali, tra veri poliziotti avrebbe detto dell’accaduto e li avrebbe implorati di mandare intere unità ad uccidere quei figli di puttana.
Le avrebbero dato ascolto? In fondo guidava la macchina di uno sceriffo, forse non era il massimo per poter credere a una simile testimonianza. L’avrebbero presa per pazza? Magari rinchiusa in un manicomio. Avrebbe rischiato.
Dopo circa due ore di viaggio raggiunse la città. Non seppe quale fosse, non vide nemmeno un cartello. Guardava dritto davanti a sé senza rendersi conto che era la città in cui aveva sempre vissuto.
Iniziò a piovere, era ancora notte fonda. Distrattamente parcheggiò lungo una via. Nessuno camminava per le strade. Sentiva battere forte le gocce d’acqua lungo il parabrezza. Quella calma improvvisa la rendeva ancora più inquieta. Iniziò a piangere terrorizzata. Si accasciò sopra il volante chiedendosi perché… Perché era successo. La ragazza che si era suicidata nel loro pulmino diceva la verità, lei non era altro che l’ennesima vittima.
In un impeto di rabbia iniziò a sbattere i pugni sul cofano, come per alleviare il dolore. D’un tratto si aprì il cruscotto di scatto. Erin si fermò. Lo guardò a lungo, poi senza pensarci vi mise le mani dentro. Forse lì avrebbe trovato delle prove che avrebbero incastrato quei bastardi.
Fogli, una collana insanguinata appartenente probabilmente ad una donna uccisa da quei mostri, altri fogli, una pistola scarica, uguale a quella della donna che si era suicidata, poi trovò una piccola scatoletta blu. Era una di quelle che sogni di vedere in mano al tuo fidanzato, una di quelle che ti fanno capire subito quale sarà la sua imminente domanda.
Quando l’aprì vi trovò un anello. Era semplicemente stupendo. La pietra che vi era sopra risplendeva alla luce di un lampione lì fuori. Erin se lo rigirò tra le dita. Quanto aveva sperato che il suo ragazzo gliene desse uno e quanto aveva desiderato sentirsi fare quella domanda. Ora era tutto scomparso, tutto buio.
Teneva l’anello tra l’indice e il pollice quando sentì all’interno dell’anello che vi era un’incisione. Presa dalla curiosità guardò cosa vi era scritto nella parte interna.
“Erin & Kemper” .
La ragazza si mise una mano sulla bocca terrorizzata, poi continuando a tremare ripose l’anello nella scatoletta e se lo mise in tasca.
Iniziò a piangere e gridare… Gridò forte. Il bambino accanto a lei si svegliò spaventato, ma lei non ci fece caso. Continuò a gridare con tutta la rabbia possibile.
Leatherface appena trovato l’anello doveva averlo dato al suo fratellastro, lo sceriffo Hoyt, che l’aveva riposto lì.
Una volta esausta, Erin accarezzò la guancia del bambino più volte per farlo riaddormentare e finalmente anche lei chiuse gli occhi.
Il sonno durò poco per via degli incubi. Non avrebbe dormito per molte notti.
In un attimo di silenzio, quando anche la pioggia aveva cessato di scendere, qualcuno bussò al suo finestrino. Spaventata tirò un urlo e si voltò per vedere chi fosse.
Dalla divisa capì subito che si trattava di un poliziotto.
“Grazie a Dio” si disse.
Quando aprì la portiera, parlò così freneticamente che ci volle un po’ prima che l’uomo la facesse calmare. La invitò a risedersi sul sedile e a raccontarle più tranquillamente quello che le era successo. Il poliziotto nel frattempo notò le macchie di sangue sulla sua maglietta e il bambino seduto sul sedile del passeggero.
<< Dovevamo andare ad un concerto… >> disse tra le lacrime.
<< Signorina, si calmi… Respiri e mi spieghi tutto >>.
Ci provò. Spiegò del loro viaggio in Messico, della ragazza lungo la strada a cui diedero un passaggio, del suo suicidio, della stazione di servizio, dell’uomo con la motosega, di tutti i suoi amici uccisi da una famiglia di pazzi.
Più la sentiva parlare, più l’uomo stentava a credere a ciò che sentiva.
<< Mi deve credere… Non sono pazza. Se percorre questa strada li troverà… Ma non può andare da solo, non ci deve andare… No >> disse scuotendo la testa.
<< Mi spieghi perché si trova con la macchina di uno sceriffo >>
<< Era l’unico mezzo che avevo per andar via da lì… Dovevo andar via >>
<< E il bambino? >>
<< L’avevano rubato, non era loro… Il bambino non era di quella donna, non potevo lasciarlo lì. L’avrebbero ucciso >> disse urlando.
<< Si calmi, la prego >>.
Il poliziotto la calmò per poi andare nella sua auto ad avvertire altri agenti della situazione. Fece inoltre chiamare un’ambulanza.
<< Lei mi crede, non è vero? >>.
L’uomo la guardò e non disse nulla. Non poteva pensare che si fosse inventato tutto, ma la storia sembrava un racconto dell’orrore. Non poteva essere successa una cosa simile.
Arrivò l’ambulanza che portò Erin e il bambino in un ospedale. Le dissero che il piccolo, non essendo suo figlio, sarebbe subito stato affidato ai servizi sociali.
<< Come si chiama? >> le chiese una donna, mentre lo prendeva in braccio.
<< N-non lo so >> disse lei piangendo.
Lo portarono via e non lo vide più. Lei intanto, dopo aver passato molte ore in ospedale, una volta fatto giorno venne portata al distretto di polizia della città.
Lì parlò a lungo con lo sceriffo del posto e con alcuni agenti che la interrogarono.
<< La macchina è stata perquisita. Abbiamo trovato tracce di sangue nel portabagagli, pezzi di vetro sui sedili di dietro, una pistola nel cruscotto, più diversi oggetti e alcuni fogli. Lei ha detto di non c’entrare niente, di aver preso quella macchina per fuggire da un posto >>
<< So che sembra assurdo, ma dovete credermi. Un pazzo con una motosega ha ucciso il mio ragazzo e i miei amici e molte altre persone. Sono tutti lì… >>
<< Signorina, noi vorremmo crederle, ma non sappiamo dove si trovi questo posto. Non ha qualche luogo particolare da indicarci, dove potremmo fare dei sopralluoghi >>.
Erin rimase in silenzio un paio di secondi.
<< Il mulino dei Crawford… >>
<< Il mulino dei Crawford? >> ripeté lo sceriffo.
<< Sì… E un mattatoio, poco lontano da lì… E la casa dove tenevano le vittime >> disse iniziando a tremare sulla sedia e a piangere.
<< Signorina, noi non abbiamo nessun potere per poterla arrestare, anche perché tutto quello di cui ci sta parlando a noi giunge nuovo e non abbiamo mai avuto segnalazioni di gente scomparsa. Tuttavia, la terremo agli arresti domiciliari, visto che ci risulta qui la sua abitazione. Effettueremo dei controlli nel posto in cui dice ed esamineremo meglio l’auto con cui è arrivata >>
<< Non andate soli, vi prego non andate soli >> urlò paonazza in viso << Vi ucciderà tutti >>.
Una volta fuori dal commissariato venne accompagnata nella casa che prima di quell’incubo aveva condiviso con il suo ragazzo. Tutto le sembrava così nuovo, come se lì non ci fosse mai stata. Osservava le pareti di casa, l’arredamento e alcune foto sparse su dei mobili, come se in realtà non fossero mai esistite.
A turno, fuori dalla sua porta, un poliziotto rimaneva lì intento a sorvegliare ogni sua mossa. Di questo ne fu più che sollevata.
Passò del tempo. Ogni sera, nel letto che una volta condivideva con Kemper, Erin fissava incantata l’anello che le avrebbe dovuto regalare e lo posava accanto a una loro foto prima di addormentarsi.
Qualche giorno dopo fu proprio lo Sceriffo a recarsi a casa sua.
<< Abbiamo rinvenuto i corpi dei suo amici… E… Due agenti sono morti >>.
La ragazza si posò le mani sul viso colma di paura.
<< Non avevo mai visto nulla di simile. Lei ha vissuto tutto ciò… Mi dispiace tanto. Spero… Spero potrà continuare a vivere serenamente… Un giorno >>
<< Sarà difficile >>.
Erin accompagnò l’uomo alla porta, ma prima che se ne andasse volle fargli una domanda.
<< Che ne è stato del bambino che era con me? >>
<< Verrà affidato a una famiglia che se ne prenderà cura >>
<< Se fosse possibile… Potrei adottarlo io? >>
<< Lei? >>
<< Saperlo in mani sconosciute mi spaventa. Quel bambino non saprà mai che fine ha fatto sua madre… Vorrei che almeno stesse con qualcuno che possa stargli vicino davvero e condividere insieme a lui il suo dolore un giorno >>.
Lo sceriffo annuì e le disse che le avrebbe fatto sapere.
Chiusa la porta Erin si gettò sulle ginocchia.
Era finita… Per lei era finita lì. Non avrebbe rivisto mai più i suoi adorati amici, non avrebbe mai più sentito le loro voci. Li avrebbe forse sognati, ma avrebbe così rivisto ancora la morte, che nuovamente l’avrebbe perseguitata forse per la sua intera esistenza. Le macchie di sangue sui suoi occhi, non si sarebbero cancellate.


Ho visto questo film solo mercoledì scorso, e devo dire che mi ha impressionato non poco. Più che per le scene, ovviamente per la storia in sè, pensando poi che tutto è ispirazione degli omicidi di Ed Gein, veramente terrificanti. Questa Oneshot è nata per voler dare un breve proseguimento alla vita di Erin, totalmente sconvolta dagli eventi. Spero sia stata di vostro gradimento =) ! Bacioni

   
 
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