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Autore: Frizzina    01/04/2020    5 recensioni
“Per due rubli, posso fare una domanda stupida?” chiese questi a mezza voce.
“Meglio di chiunque altro”
“Secondo te…” iniziò, dando un colpo al tamburo che prese a ruotare ticchettando. “…quel che vediamo nel sogno è più reale della realtà?” Nikolai distolse lo sguardo dalle sue dita e gettò un’occhiata distratta a Fëdor prima di alzare la pistola.
Genere: Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fyodor Dostoevsky
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Per due rubli.
 
La lunga lampada a neon si accese con un ronzio. Dopo qualche lampo, la stanza fu illuminata da una luce bianchissima. Le pareti e il pavimento, candidi come neve, riflettevano quella luce rendendola a poco a poco più intensa, quasi accecante. Il tavolo e le sedie, accuratamente riposti in un angolo della stanza, proiettavano a terra ombre nette e taglienti.
La maniglia cilindrica della porta di metallo si abbassò lentamente, cigolando appena sulle molle una volta giunta alla fine della sua corsa. Un breve fischio sommesso, quasi gommoso, accompagnò l’apertura della porta.
Il tacco di legno di un lucido stivaletto scuro produsse per primo il suono secco e improvviso che squarciò l’immobilità della sala nella quale lo scorrere del tempo sembrava essersi arrestato.
A passi misurati e decisi l’uomo si avvicinò al tavolo, tirò verso di sé lo schienale della seggiola di plastica e sorrise.
“Пожалуста, сядь*»
Solo allora anche l’altro uomo fece il suo ingresso. Percorse in due saltelli i pochi metri che lo separavano dal banco, facendo svolazzare dietro di sé il mantello bianco che portava sulle spalle.
«Спосибо*» ridacchiò per poi lasciarsi cadere mollemente sulla sedia. La lunga treccia nella quale stavano stretti i suoi capelli lo seguì a ruota.
Mentre si spostava verso il lato opposto del tavolo, il suo compagno si tolse il mantello nero con un gesto fluido della mano e lo ripiegò appendendolo allo schienale della sedia. Sedendosi, ebbe cura di non appoggiarsi al colletto di pelo bianco che stava riprendendo lentamente volume.
Unì due dita e con un gesto invitò una guardia ad entrare. Impassibile, la guardia posò sul tavolo un involto nero, chinò lievemente il capo ed uscì richiudendosi la porta alle spalle.
Con una calma quasi voluttuosa, svolse i lembi del panno di camoscio e un sorriso di piacere gli incurvò le labbra quando finalmente la vecchia pistola a tamburo vide la luce.
L’altro si tolse il cappello a cilindro e lo posò sul ripiano davanti a lui.
“Dos-kun, è davvero bella” sbuffò giocherellando con una ciocca di capelli.
“Ti ho già detto di non chiamarmi in quel modo” sussurrò sfiorando il calcio della pistola. La impugnò. Il contatto del metallo gelido sul suo palmo gli fu sgradevole, ma ben presto la mano si abituò al peso del revolver. Inserì un proiettile. Soppesò con lo sguardo il riflesso sul metallo scuro. Correggendo soltanto di poco la mira, la lama di luce guizzava da un lato all’altro, abbracciando e accarezzando la canna della pistola senza alcuna tenerezza. Quando la posò nuovamente sul tavolo, essa traballò sull’ingombrante tamburo e lì il riflesso si scompose saltellando a lungo tra una scanalatura e l’altra. Gli sembrò prendesse vita.
“Nikolaj, comincia pure tu” sussurrò Fëdor e con un gesto inatteso spinse il revolver in direzione del compagno. Egli afferrò l’arma interrompendo il rumore rotolante che l’aveva inseguita lungo il suo percorso. Sollevandola, Gogol’ aggrottò le sopracciglia e rimase a fissare le sue dita che si chiudevano e si riaprivano, avvolgendo il calcio.
Fëdor si carezzò il mento chiedendosi che cosa stesse frullando nella mente del suo compagno.
“Per due rubli, posso fare una domanda stupida?” chiese questi a mezza voce.
“Meglio di chiunque altro”
“Secondo te…” iniziò, dando un colpo al tamburo che prese a ruotare ticchettando. “…quel che vediamo nel sogno è più reale della realtà?” Nikolai distolse lo sguardo dalle sue dita e gettò un’occhiata distratta a Fëdor prima di alzare la pistola.
 
Click.
 
Un angolo delle labbra si piegò all’ingiù e un’espressione infantile gli si dipinse sul volto. Il colpo non era partito.
“Tocca a te” disse imbronciato posando la pistola sul tavolo e spingendola verso Fëdor.
Egli si stiracchiò languidamente le braccia ed impugnò la rivoltella.
“Credo sia più vero ciò che abbiamo davanti agli occhi. Come questo tavolo, questo revolver. Sono cose che posso toccare, dunque esistono.”
“Quindi non puoi essere sicuro che io esista. Sono troppo distante da te perché tu mi possa toccare”
“Però se ora puntassi questa pistola verso di te, premessi il grilletto e il proiettile dovesse partire, tu moriresti. Questo proverebbe la tua esistenza, e anche quella della rivoltella, anche se io non ti posso toccare”. Nikolai annuì.
Fëdor abbassò piano il calcio che si bloccò con uno schiocco. Sollevò il braccio e puntò la pistola.
“E che mi dici di quello che c’è al di fuori di questa stanza, Dos-kun? Esiste, in questo momento, oppure esistiamo soltanto noi perché siamo la sola cosa che possiamo vedere?”
Fëdor non replicò. Trattenne il respiro e premette il grilletto.
 
Click.
 
Di nuovo la pistola non sparò. Rilassò il braccio espirando mentre lasciava ricadere nuovamente le spalle sullo schienale di plastica.
“Anche se esistessero soltanto le cose in questa stanza, le possiamo vedere entrambi. Nonostante li vediamo ciascuno dal suo punto di vista, nessuno di noi può negare che questa sia una pistola o che quello sia un cappello” disse Dostoevskij restituendo l’arma. “Se più persone possono vedere la stessa cosa, ci sono meno dubbi che tale cosa esista”
“Allora un sogno non è reale perché soltanto una persona lo vede”
“Non ho detto questo. Un sogno non potrà mai essere uguale ad un altro, nemmeno se sognato due volte dalla stessa persona”
Nikolai sembrò riflettere sulle parole del compagno. Annuì poco convinto e prese la pistola tra le mani.
“Ma per quella persona, il suo sogno sarà stato inconfutabilmente vero”.
“Eppure nessuno può provarne l’esistenza. Vedi…” iniziò, ma Gogol’ lo interruppe.
“C’è stata gente che ha studiato i sogni, ne hai mai sentito parlare?” chiese illuminandosi in volto “Qualcuno diceva che i sogni non sono altro che il modo che l’inconscio ha per esprimersi, la rappresentazione dei desideri umani”
Fëdor annuì.
“A volte si tende a negare l’evidenza e si finge di non vedere. Ma nei sogni si vede ogni cosa, anche se assume sembianze diverse da persona a persona” sollevò la pistola e caricò il colpo.
 
Click.
 
Ancora nulla. Sospirò spingendo di nuovo la rivoltella verso il suo compagno.
“Eppure l’inconscio è influenzato dalla realtà. Ammettiamo che stanotte sognerai una stanza con un tavolo e due persone sedute. Qualunque sarà la loro attività, che stiano mangiando, leggendo o giocando alla roulette come noi ora… ebbene, il sogno sarà stato influenzato da questo momento” rimarcò Dostoevskij.
“E il processo inverso? Un sogno può essere trasportato sulla realtà”. L’altro alzò impercettibilmente un sopracciglio.
“Ci sono artisti che hanno accumulato un successo enorme per aver rappresentato acqueforti di mostri provenienti direttamente dagli abissi della loro psiche” Nikolai s’accalorava sostenendo le sue tesi, dimenticandosi per un istante il gioco mortale nel quale erano impegnati.
“E secondo te, Dos-kun, se prometti ad un uomo di realizzare i suoi desideri più segreti, non farà egli tutto il possibile per ottenere ciò a cui brama?”
“Così mi stai dando ragione: un uomo, guidato dal suo sogno, utilizza la realtà per realizzare un desiderio materiale, qualcosa di reale”
“Qualcosa di reale che, nel momento stesso in cui viene ottenuto, non costituisce più fonte di gioie e speranze. Quando l’uomo realizza il suo sogno, non gli attribuisce più alcun valore e allora ecco che già insegue un’altra chimera”
“I tuoi discorsi sono strani, Nikolai. Vorresti dire che vivere in un sogno sia più reale per l’uomo piuttosto che vivere nella realtà?”
“Dico che talvolta è così. Hai sentito parlare di asomatognosia?” chiese, un sorrisino sottile gli incurvò le labbra mentre raccoglieva dal tavolo la pistola.
“È un disturbo neurologico, non c’entra con il nostro discorso”
“Io invece dico che c’entra. Prendiamo una persona con asomatognosia. Anche se non vede più un oggetto, una parte di un corpo o addirittura il corpo intero, ciò non vuol dire che esso non esista. Vedi? Se io avessi questo disturbo e non potessi più vedere questo cappello, come potremmo decidere se sia reale senza toccarlo? Se tu lo vedessi e io no, come potresti convincermi della sua esistenza?” Nikolai battè un palmo sulla superficie lucida del tavolo. Era sicuro di aver giocato la sua carta vincente. Sollevò il braccio, si mise in posizione. Sparò.
 
Click.
 
La pistola per la quarta volta fallì il colpo. Un lieve senso di delusione s’ impadronì dei due uomini. Nikolai fece scivolare il revolver verso Fëdor.
“Però…” Gogol’ continuò con un tono lievemente più basso “Però un paziente affetto da questo disturbo potrà continuare a vedere il corpo dell’amato nei suoi sogni e ci si aggrapperà disperatamente considerandoli come realtà”.
“Oppure li considererà come incubi e cercherà in ogni modo di cancellarli. L’uomo non si accontenta di qualcosa che non può possedere”
“Se però quello è l’unico ricordo che si possiede di qualcosa che non c’è più, diventa più caro il ricordo della realtà” ribattè Nikolai piccato.
“Stai dicendo che la memoria di un sogno è più vivida rispetto alla memoria della realtà?” Fëdor posò una mano sul tavolo e iniziò a picchiettare sulla superficie lucida con la punta delle dita. Nikolai annuì.
“A volte capita che le persone non vedano quello che hanno davanti agli occhi. O che non vogliano vedere” Gogol’ guardò il compagno mentre si preparava a sparare.
“Cosa intendi dire?” chiese.
“Che ci sono cose che qualcuno fa ma in seguito non se ne ricorda. O viceversa, ci si convince di aver fatto un’azione che in realtà non è mai stata compiuta”
“Questo criterio non è oggettivo” ribattè Fëdor sfiorando il cane con le labbra.
“Che ne dici di questo allora? Il tempo sbiadisce i ricordi e la gente tende a rivederli come coperti da un velo, un velo che rende tutto ovattato e lontano. Ci si racconta così tante menzogne che si finisce per crederci, e allora ecco che il ricordo originale svanisce, sostituito da qualcosa di artificiale, frutto della mente. Questa non è più realtà, è un sogno.”
“Anche il sogno è frutto della mente” sottolineò l’altro voltandosi verso sinistra.
Lentamente tese il braccio davanti a sé. Fece scattare il cane della pistola e inclinò leggermente il capo. Legato ad una sedia di plastica bianca, con indosso soltanto un paio di bermuda, un uomo tremante lo fissava con gli occhi sgranati dall’altra parte della stanza. Le corde ruvide gli avevano ferito i polsi e le caviglie, abradendo poco a poco la sua pelle ogni volta che cercava invano di liberarsi. Le lacrime e il sudore avevano inzuppato il fazzoletto che stringeva tra i denti. Nei suoi occhi sgranati si leggeva soltanto il terrore.
Fëdor puntò la canna della pistola verso la fronte dell’uomo. Questi iniziò ad agitarsi sulla sedia, gemendo, ormai quasi privo di forze.
“Oh andiamo, non hai ancora capito che non serve a niente?” sbottò Gogol’ osservandolo. “Sembri un insetto. Tsk. L’uomo è davvero insulso”.
“Nikolai, credo che nessuno di noi due abbia ragione. Realtà e sogno sono le due facce della stessa medaglia. L’essere umano sta in un limbo teso tra due mondi: la realtà plasma i sogni, i sogni plasmano la realtà. Nonostante questo caos, l’uomo continua a vivere e a provare emozioni, e questo è…”
 
Bang.
 
“…è bellissimo” concluse in un sussurro.
Abbassò il braccio. Un sottile filo di fumo, dalla canna, saliva verso l’alto. Fëdor rimase fermo per qualche minuto, in silenzio.
Sospirò riponendo l’arma scarica nell’involto di camoscio nero. Non appena il suo compagno ebbe finito di riavvolgere la rivoltella, Gogol’ si alzò rimettendosi il cappello.
“Oh” esclamò Dostoevskij “Chi ha vinto i due rubli?”
Gogol’ sorrise aprendogli la porta.
“È stata una discussione interessante, va bene così” disse con una lieve alzata di spalle.
“Dos-kun, che modello è quella pistola?”
“È una Lebel, di fabbricazione francese, prodotta…” i due uscirono dalla stanza, lasciandosi alle spalle l’uomo che per tutto quel tempo era stato davanti a loro.
Indifeso e legato, costretto ad ascoltare i discorsi di due folli, vittima innocente di una roulette strampalata della quale sin dall’inizio era stato il bersaglio, ora sedeva scomposto sulla sedia, sorretto soltanto dalle corde che impedivano al suo corpo esanime di cadere a terra.
 
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*”Per favore, siediti”
*”Grazie”




L’autrice all’angolo.
 
Buonsalve a tutti, cari lettori!
Oh cielo.
Che cosa ho appena scritto.
Me lo domando anch’io.
Non so che cosa sia, ma è venuta fuori questa follia.
Dunque un grande, grandissimo grazie a tutti coloro che stanno leggendo anche queste ultime righe!
In questo periodo non sto riuscendo a scrivere molto, mi manca l’ispirazione per proseguire nelle altre scritture ma credo che questa fanfiction delirante mi sia servita per riaccendermi un po’.
 
Comunque sia, grazie di nuovo per la paziEHM per aver letto fin qui!
Ci si legge!
 
F.

 
 
  
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