Nel caos generale del Dirty Robber nessuno dei presenti si accorse della figura sospetta appena entrata nel locale. Era una donna sulla cinquantina, indossava un giubbotto smesso e un cappellino da baseball che usava, a tratti, per nascondere il viso. 
Al solito tavolo intanto c’era la squadra della Omicidi di Boston: Maura, Kent, Nina e Franky. Ridevano di qualcosa che aveva detto Angela mentre serviva loro da bere, sotto gli occhi attenti della angusta donna seduta al banco. 
« Le porto qualcosa? » chiese l’uomo al bar. La donna si voltò di scatto e vide poco distante da lei quello che doveva essere l’ex sergente Vincent Korsak. « Un’acqua tonica » gli rispose pacatamente e lui gliela porse. 
Tutte quelle facce felici le avevano fatto venire la nausea, ma non avrebbero riso ancora per molto. Soprattutto il medico legale capo. 
La musica del Dirty Robber era assordante e le luci soffuse rendevano difficoltosa la visuale a lunga distanza, per questo nessuno si accorse in tempo di quello che stava succedendo. Colei che poco prima era entrata nel locale e aveva riconosciuto il detective Korsak, si era piazzata proprio di fronte alla dottoressa Isles, lasciando quest’ultima completamente di stucco. Da qualche  tavolo vicino un ragazzo gridò: « Quella è una pistola? » vedendo che cosa la donna aveva puntato in direzione di Maura. Accadde tutto nella frazione di qualche secondo. Le urla, le minacce e poi Nina e Frankie che rispondevano al fuoco. Due colpi e la donna stramazzò al suolo. Kent intanto porto Maura via da lì. 

« Ma chi era? » le chiese Kent mentre si sedeva vicino a lei sul divano, e le porgeva una tazza di tè. Non era, certo, la prima volta che succedeva che qualcuno minacciasse il medico legale capo, ma Maura così sconvolta non l’aveva mai vista. Questa fece un respiro profondo lasciandosi andare contro lo schienale del divano nel soggiorno, bevve un sorso di tè e guardò Kent. « È la madre di un ragazzo che io e Jane facemmo arrestare un anno fa: aveva sparato ad un commerciante. » Maura fece una pausa « È morto in carcere qualche mese fa, non si sa se sia stato un suicidio o, beh... Puoi immaginare. Presumo che quella donna incolpasse noi di quello che è successo al figlio. » A Kent bastò guardarla per capire che in fondo era quello che pensava anche lei; le tolse la tazza dalle mani per poggiarla sul tavolino e, con fare protettivo,  la cinse con un braccio premendole il capo contro il proprio petto. 
« Tu hai fatto solo il tuo lavoro » le sussurrò tra i capelli « Non lo hai ucciso tu. »