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Autore: mattmary15    02/04/2020    0 recensioni
Sono passati anni dagli eventi di Cuba. Charles ed Erik si sono separati, ma il destino ha in serbo un tiro mancino per loro e a riunirli sarà l'ultima persona a cui pensano. Stavolta saranno alle prese con un nuovo avversario dei mutanti e una potente organizzazione che ne gestisce le risorse e che reclama l'eredità di Sebastian Shaw.
Seguito de 'L'anello mancante' ma può essere letta anche senza conoscere il contenuto del prequel.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto, Nuovo personaggio, Raven Darkholme/Mystica
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eredità di Shaw'
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Capitolo III
Verità pesanti come scudi

 

Il più nervoso fra loro era Hank. Nonostante ciò, fece perfettamente la sua parte.

S’infilò nel gruppo di visitatori che dovevano vedere il Pentagono e mise fuori uso il sistema di videosorveglianza. 

Quando Tessa e il professore arrivarono alle scale per i piani interrati, tutti i vigilanti guardavano un episodio di Star Trek. Tessa sorrise compiaciuta ma Charles si affrettò a stemperare il suo ottimismo.

“Sono ancora molte le cose che possono andare storte.” Disse proprio mentre un uomo grande, grosso e minaccioso gli si parò innanzi. Charles si bloccò sul posto ma la mano di Tessa sul braccio gli diede ad intendere che era tutto a posto.

“Lui è Mitchell Tanner.” Si affrettò a precisare.

“Stai combinando un bel casino, Sage.” Disse l’uomo mentre poggiava un borsone a terra e vi infilava le mani dentro per tirare fuori un uniforme. Si cambiò in men che non si dica. Nonostante la stazza, sembrava esattamente quello per cui doveva passare. Una delle guardie della sorveglianza di Erik. Charles notò che la donna al suo fianco si limitò a scuotere le spalle.

“Credevo che farla in barba all’esercito ti avrebbe fatto piacere.”

“Sono qui solo per quello. L’idea di tirare fuori dal gabbio uno come Magneto, invece, non mi piace per niente. Lui chi è?” Chiese indicando con un cenno del capo Charles.

“Un amico.”

“Che non ha un nome?”

“Che te ne frega?”

“Ha ragione Payge. Hai un carattere che è una vera merda.”

“Disse l’uomo che prima spara e poi chiede cos’è successo.” Tanner fece una smorfia.

“Vado.”

“Non combinare guai.”

“Per sicurezza, ho Payge nell’auricolare.” Rispose l’uomo allontanandosi. 

Charles era rimasto in silenzio ad ascoltare la conversazione. Quando l’uomo sparì dietro l’angolo si rivolse a Tessa.

“Sage?”

“E’ il mio nomignolo. Te l’ho già detto, no?”

“E Payge? Chi è?”

“Un altro membro del circolo. E’ una mutante con il dono di persuadere gli altri con la sua voce. Diciamo così.”

“Capisco. Deve essere la donna che ha preso il posto di Emma Frost.” Tessa sorrise.

“Esattamente, professore. Ora andiamo. Fra poco tocca a noi andare in scena.”

 

Erik stava sdraiato sulla sua coperta con gli occhi chiusi.

La sua giornata era come tutte le altre. Orribile. Si sforzava di percepire il metallo ovunque fosse. Chi l’aveva rinchiuso in quel luogo era convinto che il cemento armato e la plastica speciale che lo circondava per miglia e miglia fosse sufficiente ad annullare completamente il suo potere.

Non era così. Giorno dopo giorno, i suoi sensi si erano spinti poco a poco più in là fino ad arrivare a percepire qualcosa sopra e sotto di lui.

Nulla che potesse consentirgli la fuga, ovviamente, ma sufficiente a farlo sentire ancora vivo.

Gli anni erano passati ed Erik aveva acquisito maggiore controllo sui campi magnetici anche se in quella prigione non poteva essere certo di quale effetto quel controllo potesse avere sulle sue capacità. 

Quell’allenamento immaginario e l’autodisciplina imposta lo avevano salvato dall’apatia e dalla pazzia. Quello e la voce di Charles. La voce di Charles però era sparita presto. Lo aveva abbandonato nonostante lui lo invocasse ogni momento.

Intendiamoci, non invocava il suo aiuto per se stesso. Lo voleva per tutti i fratelli e le sorelle mutanti che erano là fuori senza la sua protezione.

Qualche giorno addietro, anche se il senso del tempo era una delle cose che aveva lentamente smarrito, gli era sembrato di rivederlo. Forse però era stata un’allucinazione poiché, prima di Charles, aveva visto Lena. La sua bellissima e forte Lena che gli sorrideva. 

Nel suo cuore, non l’aveva mai perduta. Non come aveva perso Charles. Non come aveva perso Raven a cui aveva concesso l’occasione di risvegliare tutti i suoi demoni. Non come aveva perso la Confraternita prima e la libertà poi.

Lena era rimasta sempre con lui. L’odore della sua pelle nelle narici. I brividi della notte che avevano quasi fatto l’amore sulla pelle.

Nonostante lui l’avesse uccisa, lei era rimasta. Bellissima e fedele accanto a lui.

Aprì gli occhi sentendo il rumore del vassoio del pasto che gli era scivolato accanto. Percepì subito qualcosa di strano. La guardia che glielo aveva consegnato era rimasta immobile a fissarlo. Ad un tratto, come se volesse colpire proprio Erik, abbassò un pugno sul vetro che separava la stanza di contenimento dal resto della camera. 

Per un solo istante, Erik pensò che fosse pazzo. Aveva provato a colpire quel vetro centinaia di volte. Un pugno solo non avrebbe mai potuto abbatterlo. 

Invece, l’istante dopo, il vetro si frantumò come fosse fatto di cristallo e cadde in migliaia di piccolissimi pezzi.

“Chi diavolo sei tu?”

“Un amico di Sage.”

“E chi diavolo è Sage?”

“Una tua amica, a quanto pare.”

“Deve essere una pazza. Tra meno di un minuto, almeno otto guardie armate entreranno da quella porta e hanno l’ordine di sparare.”

“Allora ti conviene restare dietro di me.” Disse frapponendosi tra lui e la porta.

Le parole di Erik non tardarono ad avverarsi. Le guardie entrarono nella stanza armi in pugno. Erano armi a prova di Magneto. Lui non avrebbe potuto difendere né se stesso, né il suo strambo salvatore. Capì che non ce ne sarebbe stato bisogno. I proiettili sparati dalle guardie rimbalzarono addosso all’uomo come su una superficie imperforabile sotto lo sguardo incredulo di chi aveva fatto fuoco. Non ebbero il tempo di ricaricare. L’uomo si lanciò addosso a loro con incredibile velocità e agilità e li mise tutti fuori combattimento.

“Sei un mutante.” 

“Sono un soldato.” Disse invitandolo a raggiungere l’ascensore dall’altra parte del corridoio che rappresentava la loro sola via di fuga.

Quando le porte dell’ascensore si chiusero Erik lo osservò con attenzione. Era stato mandato da qualcuno a salvarlo ma non aveva idea di chi potesse essere. Raven forse? Quale altra amica aveva al mondo, ammesso che Raven fosse ancora sua amica?

Le porte dell’ascensore si aprirono ed Erik si ritrovò nelle cucine del Pentagono totalmente allagate. 

Di fronte a lui, completamente fradicio, stava ritto Charles. Al suo fianco un paio d’occhi azzurri lo fissavano curiosi. Erik pensò che se quello era un sogno, era davvero giunta l’ora di svegliarsi.

 

“Sei pronto, professore?” Chiese Tessa mentre si sistemava un cartellino sul taschino della sua giacca. Charles annuì ma, in verità, non era pronto. Un po’ perché se si fosse reso necessario usare le sue capacità non era certo di riuscire a fare un buon lavoro e un po’ perché fra pochi attimi avrebbe rivisto Erik dopo quanti anni, dieci? 

Tessa usò la sua telecinesi per mandare in corto il sistema antincendio.

Charles aprì la porta ed entrò a passo veloce.

“Signori, vi chiediamo di evacuare con ordine il piano. C’è stata una fuga di gas e dobbiamo mettere in sicurezza l’intera sezione.” Lo disse con decisione e nessuno dei presenti mise in dubbio le sue parole. Ogni addetto ai servizi lasciò ciò che stava facendo e uscì dalla stanza. 

“Complimenti, professore. La tua capacità di persuasione è impeccabile anche senza l’utilizzo delle tue facoltà.” Charles sorrise ma la sua attenzione fu catturata dalla percezione, seppure flebile, della mente di Erik. Il segnale acustico dell’ascensore li avvisò che era arrivato al piano. Le porte si aprirono.

Erik non sembrava invecchiato di un giorno. Charles fissò i suoi occhi in quelli grigi dell’altro ma capì subito che ogni fibra del corpo e dell’essenza di Erik era fissa su Tessa. Il suo smarrimento nel vedere quella che ai suoi doveva sembrare Lena, rimbalzò nella sua mente non appena l’uomo lo guardò.

‘Che cazzo di stronzata è, Charles?’ 

Erik allungò una mano come a voler toccare il viso di Tessa. 

Charles reagì stringendo un pugno e colpendolo al viso. Erik rovinò all’indietro e si rialzò senza smettere di guardarlo.

“E’ un piacere anche per me, Charles.” Disse Erik massaggiandosi la mascella e voltandosi a guardare la donna. Lei lo squadrò da capo a piedi e poi si rivolse a Tanner.

“Bel lavoro, Warhawk. Professore, vuoi fare tu le presentazioni?” Erik sentì la sua voce ed era la voce di Lena. Guardò di nuovo Charles.

“Tessa, lui è Erik. Erik, lei è Tessa, la gemella di Lena. Ti spiegherò tutto una volta fuori di qui. Devi solo promettermi che non farai cazzate.” Erik, ancora stordito da quella rivelazione, guardò Charles con la sua solita espressione provocatoria.

“Non ce n’è bisogno. Non ho il mio elmetto.” Disse indicandosi la testa. La reazione di Charles però non fu quella che si aspettava. Lui lo fronteggiò e gli rispose con rabbia.

“Non entrerò mai più nella tua testa.”

Fu allora che Tessa si girò verso la porta come avesse percepito il pericolo e sei guardie armate entrarono puntando le pistole contro di loro.

“Charles, fermali.” Disse serio Erik. Guardò quello che era stato il suo migliore amico e lo vide tremare dalla testa ai piedi. “Non puoi?” Chiese incredulo. Uno dei soldati urlò.

“Tutti a terra!” Erik, piuttosto che obbedire, prese a far tremare ogni utensile di ferro presente in cucina. Sentire di nuovo il suo potere scorrergli nelle membra lo elettrizzò. Charles lo percepì e gli mise una mano sul petto. Lo avrebbe fermato. A qualunque costo. Non gli avrebbe consentito di fare del male a nessun altro dopo Lena. Questo era l’unico pensiero che riusciva a formulare. Non importava se era fuori allenamento, se gli avrebbe causato dolore. 

Fu in quel preciso momento che ogni oggetto di metallo rimase immobile dove si trovava. Forchette a mezz’aria, coltelli di traverso, pentole mezze rovesciate. Ogni cosa sembrava sospesa.

Erik percepì che era la donna con le sembianze di Lena che stava usando una specie di forza opposta alla sua. Nello stesso tempo, l’uomo alle sue spalle si mosse e tutti i soldati finirono al tappeto in una manciata di secondi.

“Voi parlate troppo per i miei gusti. Andiamocene di qui prima che tutto il fottuto esercito degli Stati Uniti ci piombi addosso!” Esclamò Tanner tirando dritto oltre la porta.

“Dovremmo seguirlo.” Disse Tessa andandogli dietro. Erik si voltò a guardare Charles.

“E’ davvero identica a lei.”

“Lo so.” La figura di Tessa ricomparve sulla porta.

“Non restate impalati. Erik, va con Mitchell. Professore, tu vieni via con me.”

Erik sopravanzò la donna e seguì il soldato nel corridoio, Charles afferrò la mano di Tessa e la guidò di nuovo per le stanze dalle quali erano entrati.

 

“Grazie di tutto, Mitchell.” Disse Tessa mentre i suoi nuovi compagni di avventure salivano a bordo dell’aereo che Hank aveva preparato per lasciare Washington.

“Non devi ringraziarmi, Sage. Ho fatto il lavoro per cui sono stato pagato.”

“Ti ringrazio lo stesso. E’ merito tuo se il mio piano ha funzionato.”

“Allora accetta un consiglio. Quello che hai tirato fuori di prigione è un tipo molto pericoloso. In più è sulla lista di Pierce. Non metterti contro Pierce. Tra i tizi pericolosi è il più pericoloso.”

“Vedremo.”

“Forse tu puoi vedere gli esiti delle scelte tue e degli altri ma Pierce controlla Hellfire. Non ho nient’altro da dire su questa sporca faccenda.” L’uomo si voltò, salì su una jeep e si allontanò velocemente dalla pista. 

Tessa salì a bordo dell’aereo e andò a sedersi insieme ad Hank nella cabina di pilotaggio. Il ragazzo la guardò con la coda dell’occhio mentre si preparava per il decollo.

“Parleranno di te di là. Non vuoi essere presente?”

“Francamente no. Credo che il professore sia la persona più adatta a spiegare ad Erik cosa sta succedendo.”

“Speriamo che tu abbia ragione.” Rispose Hank decollando.

Nella cabina, invece, regnava il silenzio. Charles se ne stava seduto guardando fuori dal finestrino ed Erik invece lo fissava dall’altra parte cercando di elaborare tutte le informazioni che aveva ricevuto quel giorno.

Una donna identica a Lena, la sua gemella, si era data da fare per tirarlo fuori di prigione. Per quale ragione l’avesse fatto, ancora non gli era dato saperlo. Charles forse sapeva tutto ma non parlava. Riguardo a quest’ultimo la cosa più grave era che sembrava incapace di usare il suo potere.

“Come lo hai perso?” Chiese senza smettere di inchiodarlo al sedile con lo sguardo. Anche senza le sue capacità, Charles percepì l’ostilità nella sua voce.

“Hank ha preparato un siero che mi permette di allontanare le voci.”

“E ti sembra giusto?”

“Non accetto lezioni su cosa sia giusto da uno che abbiamo tirato fuori da una prigione.”

“Non ho ucciso Kennedy.” Charles allungò le labbra in un ghigno.

“Devi ritenermi davvero stupido, vero Erik?”

“Non sono stato io, ti dico.”

“La pallottola ha curvato!” Esclamò Charles cercando di mantenere un certo controllo.

“Volevo salvarlo. Me lo hanno impedito.”

“Sì, come no!”

“Era uno di noi!” Stavolta fu il turno di Erik di alzare la voce.

“Raccontalo ad un altro.” Erik si alzò dal sedile in cui si era sistemato al decollo e lo fronteggiò.

“Lo dico a te. Se invece di rifiutare ciò che sei, ti fossi battuto con la tua gente, lo sapresti.”

“Non puoi capire. Non puoi sapere cosa ho passato. Ho perso tutto. Mi hai portato via ogni cosa!”

“Te lo ripeto, se ti fossi battuto per ciò a cui tenevi, magari non sarebbe successo! Invece ci hai abbandonati tutti. Chiuso nel tuo dolore. Come se l’unico ad avere il diritto di soffrire fossi tu! Mi hai abbandonato, Charles! L’unico che aveva la forza per proteggerti. L’unico che voleva ancora farlo!”  Erik urlava e tutto l’aereo tremava come se stesse sul punto di spezzarsi. 

Di fronte alla durezza di quelle parole, di quella voce, della verità di Erik, Charles barcollò. La sua mente, ormai completamente priva dell’effetto del siero di Hank, si sincronizzò su quella di Erik ed esplose di dolore nel percepire la solitudine e il profondo senso di abbandono che la riempiva.

Il suono d’allarme del segnalatore di quota dell’aereo prese a suonare. Charles si portò le mani alla testa e sembrò accartocciarsi su se stesso mentre si piegava sulle ginocchia. La porta della cabina di pilotaggio si aprì e Tessa comparve nel corridoio.

“Professore! Calmati, professore, ti prego!” Charles urlò più forte l’aereo si capovolse. Erik usò il suo potere per bloccare il corpo di Charles tra il proprio e il pavimento. Con una mano afferrò Tessa e la sollevò. La donna si aggrappò con entrambe le mani al braccio di Erik e riprovò. “Professore! Charles!”

Sentendosi chiamare per nome, il telepate aprì gli occhi e cercò di capire cosa stesse accadendo. Quando si rese conto di essere il responsabile di quella situazione, portò due dita alla tempia e si sforzò di riportare il velivolo nella giusta posizione. Erik si ritrovò addosso a Charles con Tessa sdraiata sulla sua schiena.

“A quanto pare, siete ancora affiatati dopo tutto.” Fece lei alzandosi e sistemandosi la camicetta. Erik la imitò e rimase a fissarla. Ancora non si capacitava del fatto che fosse identica a Lena. Solo i capelli biondi, portato corti sulle spalle, le davano un aspetto diverso. Un po’ per uscire da quella situazione, un po’ perché la reazione di Charles lo aveva colpito, si girò a guardare l’amico. Era seduto sul pavimento, il respiro ancora accelerato. Erik gli allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi. Lui l’afferrò senza pensare e si sedette al suo posto.

“Che ti ha preso?” Chiese il tedesco. “Io non leggo la mente. Se non mi parli, non potrò mai capire.” Charles guardò Erik e poi Tessa. La donna superò Erik e lo raggiunse. Gli poggiò una mano sulla spalla.

“Se gli dici cosa provi, le possibilità che questa storia finisca bene sono di molto superiori, professore.” Tessa sparì dietro la porta e Charles sospirò. Erik si sedette di fronte a lui. “Allora?”

“Non ti ho abbandonato. Avrei voluto. Più provavo ad odiarti, più odiavo me stesso. La morte di Lena mi ha ferito ma é stata la morte di Shaw a farmi davvero del male. Quella moneta non ha attraversato solo la testa di Shaw. A parole non posso spiegarti ma non voglio neppure mostrartelo. Ti ucciderebbe. A malapena riesco a difendere me stesso. Tutte le barriere che avevo alzato in anni e anni di autodisciplina sono cadute. Mi sono sforzato di superare il dolore ma quando è iniziata la guerra in Vietnam e mi hanno portato via i ragazzi, sono crollato. E tu non facevi che biasimarmi.”

“Volevo che li proteggessi dato che non potevo più farlo io.”

“Ti ho abbandonato.” Sussurrò Charles.

“Prima l’ho fatto io.” Asserì Erik versandosi da bere e versando un bicchiere anche a Charles. Il telepate scosse la testa.

“Ho bevuto troppo.”

“Per oggi?”

“Per i prossimi dieci anni.” Erik sorrise. Non il solito ghigno che faceva a tutti. Il sorriso che conoscevano solo lui e Lena.

“Avanti, reverendo, il bicchiere della staffa non ti ucciderà! E poi devi ancora dirmi di lei.” Charles prese il bicchiere e lo fece tintinnare con quello di Erik.

“Non c’è molto da dire. Mi ha scritto una lettera anonima invitandomi a presentarmi al monumento di Lincoln. Ci sono andato perché qualche notte prima ti ho visto e mi sono ricordato delle nostre partite a scacchi.” Si fermò vedendo lo sguardo accigliato di Erik.

“Qualche notte fa ti ho visto anche io. Eri con Lena.”

“Lena? La mente deve avermi fatto un brutto scherzo. Ho ceduto al desiderio di rivederla ma, insieme a lei, sei apparso tu. A questo punto devo credere che non vi ho materializzati nella mia mente ma devo aver spinto la mia mente fino a te, se anche tu mi hai visto.” Erik annuì.

“Sì, eri fuori dalla mia cella. E quindi quella che hai visto era Tessa?” Charles scosse il capo.

“No, era Lena. Ne sono certo. Ad ogni modo Tessa era là. Se hai pensato ad un fantasma quando l’hai vista al Pentagono, pensa cosa posso aver provato io a vedere la sua immagine in mezzo alla gente.”

“Che idea ti sei fatto di lei? Che poteri ha?”

“È una telecineta. L’hai vista in azione. Inoltre pare che sia capace di anticipare gli esiti delle decisioni che prendiamo.”

“Vede il futuro?”

“No. Stando a quello che dice può solo vedere le conseguenze di ogni gesto con un certo anticipo. Vedere il futuro era il dono di Lena. Lei però ha un’altra facoltà. Può connettersi alla mente di un individuo e scaricarne i ricordi.”

“Può leggere il pensiero?”

“Non è quello che mi ha detto. Deve toccare fisicamente la testa dell’individuo di cui vuole scaricare la memoria.”

“Non so abituarmi a questa versione di te che non sa le cose. Ti preferivo quando ci bloccavi a tuo piacimento e sapevi sempre cosa stavo per dire.”

“Hai sempre detto che lo odiavi.”

“Eri tu. Come avrei potuto odiarlo? E adoravo dire che lo odiavo.” Charles sorrise appena.

“C’è un’altra cosa che devi sapere su Tessa.”

“State insieme?” La domanda uscì dalle labbra del signore dei metalli come fosse la più scontata al mondo. Charles allargò le labbra con un’espressione stranita.

“No. No!” Si affrettò a dire. “Non cominciare.”

“Volevo esserne sicuro.”

“Perché?”

“Per evitare altri errori.”

“Non mi chiama neppure per nome.”

“Invece ti chiama esattamente per nome, professore. E adesso dimmi cosa devo sapere.” Charles tirò un sospiro e parlò con calma.

“Era a Cuba. È stata lei a convincere Lena a fermare il condizionamento su di te e a lasciarti uccidere Shaw. Ha previsto l’esito delle scelte di Lena e l’ha dissuasa dal salvare suo padre.”

“Quindi le devo un favore. O forse è lei a dovermi un favore. È per questo che mi ha liberato?” Charles scosse il capo.

“È successa un’altra cosa sulla spiaggia.”

“Non costringermi ad elemosinare. Parla.”

“Una volta morto Shaw, il futuro è cambiato e Lena lo ha visto.” Disse abbassando lo sguardo sulle sue mani che si torturavano a vicenda.

“Ti ha visto morire e ha preso il tuo posto. Non è così?” Le parole uscirono lentamente dalle labbra del tedesco. Senza alcuna inflessione.

“Non so darmi pace.”

“Non te ne sei mai data.” Sorseggiò il liquore e riprese. “Le avevo fatto una promessa.” Charles sollevò gli occhi, curioso.

“L’hai mantenuta?” Erik scosse la testa.

“No, ma credo di essere ancora in tempo.”

“Buon per te. Anche io le avevo fatto una promessa ma non l’ho affatto mantenuta.”

“Cosa le avevi promesso?” Charles esitò.

“Che non avrebbe più avuto brutti sogni.” Erik guardò fuori dal finestrino. Le nuvole sembravano un tappeto soffice su cui distendersi. “E tu?”

“Che ti avrei fatto da scudo.” Charles strinse un po’ più forte il bicchiere che aveva tra le mani. Erik preferì cambiare argomento. “Se non mi avete liberato per affetto, perché lo avete fatto?”

“La visione di Lena. Ha visto il futuro mutato dopo la morte di Shaw. Un uomo di nome Stryker faceva esperimenti sui mutanti e contribuiva alla creazione di un progetto chiamato ‘Sentinella’. Tessa ha visto gli esiti delle scelte di Stryker e di un uomo chiamato Trask. Ha visto la fine della razza mutante. Ha visto una guerra orribile con milioni di vittime da entrambe le parti in battaglia. E tutto comincia con Raven.”

“Raven?” Chiese Erik, sorpreso. Charles annuì.

“Quand’è stata l’ultima volta che l’hai vista?”

“Due giorni prima di Dallas.”

“E com’era?”

“Bellissima, fiera, determinata.”

“Come stava, Erik?” L’uomo sospirò.

“Turbata. Non condivideva i miei metodi. Era ancora la tua Raven ma voleva lottare per i suoi fratelli e sorelle.”

“Lo so.”

“Come potrebbe, Raven, dare il via ad una guerra?”

“Tessa mi ha detto che le sentinelle, in futuro, si adatteranno ad ogni mutazione usandola contro di noi. Questa programmazione verrà studiata con i geni di Raven.”

“Quindi la cattureranno? Quando? Dove?”

“Non lo sappiamo ancora.” Erik posò il bicchiere sul piccolo tavolino e sospirò.

“Ti fidi di lei?”

“La mia mente è ancora troppo instabile per sondare la sua. Potrei farle del male. Per quel poco che ho visto, è sincera.”

“Vedremo.”

“Erik, non fare nulla per cui potrei pentirmi di averti fatto uscire dalla tua splendida prigione di plastica.” 

“Se mai un giorno vorrai rinchiudermi di nuovo, entra nella mia testa e uccidimi subito.”

Charles non replicò e il silenzio cadde all’interno dell’aereo.

 

Tessa chiuse la porta del suo appartamento e accese la luce. 

Memore di quello che le era accaduto l’ultima volta che era rincasata, guardò subito nel salotto. 

Era vuoto.

Raggiunse la finestra e l’aprì. L’aria della sera entrò rinfrescandole la pelle. Il sole stava tramontando. La giornata era stata incredibile. Era entrata nel Pentagono e aveva fatto evadere uno degli uomini più pericolosi del pianeta. Il suo pensiero andò ad Erik Lehnsherr. 

Quando aveva visto Charles la prima volta sotto allo sguardo severo di Lincoln, aveva sentito subito un’empatia con quell’uomo dai tratti dolci e dallo sguardo limpido.

Di contro, la sensazione provata incontrando Erik era stata di distacco. Il volto dell’uomo che aveva ucciso suo padre e, involontariamente, sua sorella era freddo e indecifrabile. Qualcosa, nella sua espressione, gli aveva ricordato Shaw. 

Si accarezzò le braccia per soffocare sul nascere un brivido di freddo e si sedette sul davanzale.

Stava per accendersi una sigaretta quando bussarono alla porta. Non si chiese chi potesse essere.

Era certa di sapere chi fosse. Si alzò e andò ad aprire.

“Tessa! Tesoro, posso entrare?”

“Accomodati.” Fece lei spostandosi di lato per lasciarlo entrare. L’uomo con un impermeabile beige su un completo scuro e un cappello a cilindro color cammello, attraversò ad ampie falcate la stanza fino al divano e si sfilò cappotto e cappello poggiandoli con cura sul bracciolo.

Si sedette accavallando le gambe e la esortò a seguirlo.

“Vuoi qualcosa da bere?”

“Sarei un cafone a rifiutare. Servimi pure.” Disse sottolineando il verbo adoperato. Tessa sollevò gli occhi al cielo e raggiunse il mobile della cucina. Prese due bicchieri e una bottiglia di scotch e li poggiò sul tavolino davanti all’uomo.

“Serviti pure.” L’uomo sorrise sornione e riempì un bicchiere porgendoglielo.

“Tessa, Tessa, tu mi provochi ed io, invece che arrabbiarmi, pendo dalle tue labbra.” La donna prese il bicchiere, attese che l’uomo versasse il liquore nel suo e brindò alla sua salute. “Ora dimmi, amor mio, hai avuto ciò che volevi? Un usignolo mi ha detto che non avrò ciò che desidero fino a che tu non sarai soddisfatta.” Solo allora Tessa si accomodò sulla poltrona di fronte e guardò l’uomo di fronte a sé. 

Si potevano dire molte cose di Donald Pierce tranne che fosse di brutto aspetto. Folti capelli biondi circondavano un paio di occhi verdi e un viso dai tratti decisi. Lo sguardo, sottile e attento, suggeriva astuzia. Non era una persona da sottovalutare. 

“Abbiamo fatto un patto. Tu metti a disposizione le risorse dell’Hellfire per aiutarmi a trovare  Mystica. Io impedisco al futuro che ha visto Saltire di avverarsi e, solo dopo, ti consegno Magneto.” Lo disse accavallando le gambe, con malizia.

“L’unico problema di questo patto, mia cara, è che tu incassi tutto subito. Io devo fidarmi. Non perché dubiti della tua fedeltà, ma gradirei un anticipo.”

“E cosa dovrei fare?”

“Un gesto di buona volontà.”

“Che consisterebbe in cosa, esattamente?”

“Quando la CIA ha chiuso la sezione G in cui lavorava Hank McCoy, il dottore aveva progettato una macchina chiamata Cerebro. Dicono che c’è l’abbia ancora il professor Xavier.” L’uomo sorseggiò il suo liquore e le sorrise.

“A che ti servirebbe? Tu non sei un telepate.”

“Io no, ma Payge potrebbe usarla.”

“Credevo che ti interessasse il potere di Magneto.”

“Se devo essere un re tanto potente, avrò bisogno di una potentissima regina. Non credi?”

“Non ho un’opinione su questo in realtà. Comunque non è nei patti. Ho valutato ogni opzione dell’impatto del nostro accordo sul futuro di entrambi. Non intendo alterarlo consegnandoti Cerebro.” Tessa parlò schiettamente. “Se non ti fidi di me, è affar tuo. Avresti dovuto pensarci prima.” L’uomo rise. Poggiò il bicchiere sul piccolo tavolo che li divideva, si alzò e infilò cappello e cappotto.

“Ero certo che mi avresti risposto così. Ti consiglio di non tirare troppo la corda.” Disse allungandole un biglietto. Era identico a quello che Charles le aveva dato la sera che l’aveva accompagnata al taxi. L’indirizzo della villa faceva bella mostra di sé sul cartoncino spiegazzato. “O il tuo caro professore finirà con il cervello attraversato da una moneta. E stavolta sarà sangue e materia grigia sul bel tappeto persiano del suo studio.”  Pierce le accarezzò una guancia e rimase fermo accanto a lei. 

“Avrai Magneto quando troverò Raven. È una promessa. Lascia in pace il professore però, o il futuro in cui tu sei il Re Nero dell’Hellfire, si sgretolerà sotto al peso della tua ingordigia.”

“Così sia.” Disse Pierce lasciando l’appartamento.

 

La villa era in condizioni pietose e, la mattina seguente, Erik si rese conto che ricalcavano esattamente quelle del proprietario.

Charles si era alzato in tarda mattinata ed era sceso nella sala da pranzo con la vestaglia da camera e la faccia di uno che non aveva dormito.

Vide Hank che gli versava del tea porgendogli il giornale come se fosse del tutto normale che Charles non fosse già lavato e vestito perfettamente a quell’ora.

Si avvicinò al tavolo e prese del caffè.

“Buongiorno, nottata difficile?” Charles non rispose. Si massaggiava le tempie. Affondò un biscotto nel tea, lo addentò e prese il giornale. “Non intendi parlarmi?” Chiese Erik.

“Per l’amor del cielo, parla a voce più bassa.” Rispose Charles. “Non c’è nessuno in questa casa a perte me ed Hank e siamo entrambi in questa stanza. Non c’è bisogno di urlare.” Erik bevve il suo caffè e posò la tazza.

“Intendi affrontare il problema di Raven o dobbiamo aspettare il tea delle cinque? Magari per quell’ora sarai presentabile e di umore più bendisposto.” Alle sue spalle sentì Hank digrignare i denti. Charles lasciò il giornale e si alzò allargando le braccia.

“Mi dispiace che il mio umore non sia di tuo gradimento ma su una cosa hai ragione: in genere alle cinque sono talmente ubriaco da essere molto più amorevole. Fino a quell’ora ti conviene non rivolgermi affatto la parola.”

“Che fine ha fatto l’uomo che mi ha detto che aveva bevuto abbastanza per i prossimi dieci anni? O devo pensare che quando Tessa non c’è, il professore sparisce per lasciare il posto a questa specie di barbone?” Annotò Erik indicando il modo in cui era vestito. “Hai persino lasciato cadere in rovina la casa! E’ in un posto come questo che vuoi che Raven ritorni?” Charles ridusse la distanza tra loro ed Erik si accorse delle occhiaie bluastre sotto gli occhi arrossati di Charles. L’uomo premette l’indice sinistro sulla tempia e quasi sussurrò.

“E’ questa la mia casa. E fa schifo. Non ha più porte, né finestre. Ogni cosa è in rovina. In quanto a Raven, lei non tornerà. E Tessa, Tessa non è Lena. Io amavo Lena.” Charles si rese conto che era la prima volta che lo diceva ad alta voce ad Erik e una lacrima sfuggì ai suoi occhi stanchi. “Lena di certo non tornerà, quindi non c’è bisogno di mettere a posto la casa.” Incapace di sostenere ulteriormente lo sguardo di Erik, Charles si voltò e raggiunse il frigo bar. Prese una bottiglia di brandy e lasciò la stanza.

“Complimenti.” La voce di Hank ricordò ad Erik che quella conversazione non era stata privata. 

“Non ti intromettere, Bestia.” Si voltò immaginando l’uomo più giovane che gli saltava addosso come aveva sempre fatto in passato quando lui lo provocava chiamandolo col nome di battaglia che Alex gli aveva affibbiato. Invece Hank era rimasto immobile a fissarlo.

“Tu non sai quanta fatica fa solo per alzarsi al mattino dopo che le voci lo tormentano tutta la notte. Non può dormire, non può riposare, non può fuggire. Può solo gridare e impazzire e tutto perché tu dovevi avere la tua vendetta. Avrebbe dovuto lasciare andare la mente di Shaw. Forse lui ti avrebbe fatto a pezzi come tu hai fatto a pezzi il suo cervello e, indirettamente, quello di Charles. Ha perso la donna che amava, tu l’hai tradito, Raven l’ha abbandonato e lui non ha smesso di credere di avere ancora qualcosa da dare. Poi ha perso i ragazzi. Quello è stato troppo. E tu hai il coraggio di fare ancora le tue solite battute del cazzo? Quello patetico sei tu.” Concluse Hank.

“Forse. Di sicuro però, non starò con le mani in mano mentre si autodistrugge.” Stavolta Hank mutò forma e lui si ritrovò con le fauci di Bestia ad un centimetro dal suo viso.

“Ho provato a curarlo.”

“Lo hai drogato perché smettesse di sentire le voci.”

“L’ho curato perché non impazzisse, perché avesse anche una sola notte di sonno senza incubi.”

“L’hai mutilato!” Stavolta fu Erik a gridare e tutti gli oggetti di metallo tremarono, persino le fondamenta della casa. Hank si ritrovò a non toccare il pavimento con i piedi. La rabbia di Erik era tale che li aveva sollevati entrambi di mezzo metro. Poi quella rabbia sparì come era comparsa ed Hank lasciò la presa e tornò in sé. Erik si sistemò il bavero della giacca. “La colpa di ciò è mia, ad ogni modo. Per cui sarò io a rimediare. Ti prego di non iniettargli mai più quel veleno nelle vene.”

“E cosa farai quando la sua mente si aprirà al punto da sentire le voci di chiunque nel raggio di dieci chilometri?”

“Metterò uno scudo intorno a lui fino a che non sarà in grado di crearsene un altro da solo.” Concluse Erik uscendo dalla stanza.

 

Tessa arrivò a villa Xavier nel primo pomeriggio.

Non aveva mangiato nulla dopo che Payge le aveva telefonato per darle le ultime notizie. Stando a quanto le aveva detto, Pierce era tornato alla residenza del circolo e si era chiuso nelle sue stanze senza proferire parola.

Solo quando la donna gli aveva chiesto lumi su come fosse andato il suo incontro con lei, l’uomo si era acceso un sigaro e aveva detto solo un frase.

‘Aiutatela a trovare la mutante chiamata Mistyca.’

Così Payge aveva contattato un mutante noto nella loro cerchia per essere sempre aggiornato su tutto. Calibano, così si chiamava, le aveva riferito che Mistyca si era procurata un passaporto vietnamita intestato ad una certa Valentine Brooks.

A nome di questa Valentine erano stati emessi due biglietti aerei, uno per Hanoi e uno per Parigi a distanza di due giorni uno dall’altro. 

Tessa non ci aveva messo moto a dedurre le intenzioni di Raven. Tuttavia non poteva intercettarla da sola. Doveva parlare con Charles.

Quando stava per bussare alla porta, una voce la raggiunse alle spalle.

“Vai e vieni come fosse casa tua?” Tessa non ebbe bisogno di voltarsi. Riconobbe la voce di Erik.

“Sono la benvenuta.” Solo allora si girò a guardarlo. Era in piedi con le braccia rilassate lungo i fianchi. Solo gli occhi detonavano una certa tensione.

“Questo non significa che tu non possa essere pericolosa.”

“Parli per esperienza personale?” Chiese lei incrociando le braccia.

“Vieni con me. Dobbiamo parlare.” Fece lui voltandosi e prendendo la via per il lago. Tessa avrebbe voluto ignorarlo ma sapeva bene che ignorare Erik Lehnsherr era impossibile. Lo raggiunse quando lui rallentò il passo.

“Tu possiedi i ricordi di Lena.” Non era una domanda ma Tessa annuì ugualmente. Qual è l’ultimo ricordo che ha avuto di me?” La donna guardò il suo profilo indecisa se fosse meglio rispondergli o meno. Lui si voltò a guardarla. “Puoi parlare liberamente. Anche se fosse un ricordo orribile.” Tessa decise di dire la verità.

“Non è affatto un ricordo orribile. Sono solo stupita dal fatto che tu me lo chieda. L’ultimo ricordo che Lena ha conservato di te, riguarda una moneta, la luna e il tetto di una vecchia macchina.” Erik allargò le labbra in un sorriso amaro.

“Quella notte voleva baciare Charles, in realtà.”

“Non è quello che ricordo io.”

“I suoi ricordi non sono le sue emozioni.” Di fronte a quelle parole, Tessa provò, per la prima volta, simpatia per quell’uomo.

“Ne aveva talmente tante che, al confronto, penso di non averne nessuna.” Stavolta toccò ad Erik sentire qualcosa di diverso dalla diffidenza per la piccola donna accanto a sé.

“Ognuno di noi ha le sue emozioni.”

“L’amavi molto?”

“Meno di quanto meritasse. L’ho uccisa.” Disse in modo schietto. “Ma tu questo lo sai.”

“È stato un incidente.” Le parole di Tessa furono in grado di attraversare la corazza di Magneto.

“È quello che pensi davvero?” La donna sorrise.

“Tu non puoi leggermi la mente e, se ti toccassi, non percepiresti le mie emozioni, quindi devi fidarti di me.” Erik accennò appena un sorriso.

“Toccare Lena è sempre stato complicato. Magari con te andrà meglio.”

“Non ti conviene provare. E anche stavolta dovrai fidarti della mia parola. È di questo che volevi parlarmi?” Erik scosse il capo.

“Il futuro è davvero così brutto?”

“Lo è.”

“C’è qualcosa che sai e che non hai detto a Charles?” La domanda arrivò a bruciapelo ed era l’unica, in quella conversazione, che lei non aveva previsto. Pensò che la stima e l’affetto che sua sorella aveva provato per lui non erano immotivate. In realtà aveva detto a Charles molto più di quanto avesse deciso di rivelargli quando aveva concepito il suo piano. Gli aveva parlato dell’Hellfire senza che in realtà ce ne fosse alcun bisogno. Erik interpretò il suo silenzio come una conferma ai suoi dubbi. “Se c’è qualcosa che non hai detto a Charles e che può metterlo in pericolo, sei pregata di dirlo a me. Probabilmente ti sarai accorta che non è al meglio. A Cuba ho perso una delle due persone più importanti della mia vita. Non voglio perdere l’altra in questa storia.”

“Mi fa piacere sentirlo. Per questo sarò sincera. Nel futuro che ha visto Lena, tu muori per dargli qualche minuto in più.” Erik rise.

“Futuro di merda. E tu? Che fine fai tu?”

“Lena non mi ha vista ma io morirò molto prima.”

“Perché parli così?”

“Perché in un futuro dove Trask porta a termine il progetto Sentinella, la mia mutazione é di interesse governativo. Verrò ricercata, schedata e esaminata tra le prime. Mi rinchiuderanno e mi useranno per affinare il progetto. Credo che potrei essere proprio io a migliorare l’algoritmo che porterà il progetto a colpire non solo i mutanti ma anche coloro che potrebbero dare alla luce soggetti mutanti.”

“Quindi c’è in gioco la tua vita.”

“C’è in gioco la vita di tutti. Non abbiamo scelta che cambiare il futuro. E su una cosa hai ragione. Ci serve il professore al massimo delle sue potenzialità per farlo.”

“Lo avrai. Ho bisogno solo di un po’ di tempo.”

“Temo che non ne abbiamo, Erik.”

“Cattive notizie?”

“Le peggiori. Raven si sta muovendo.” Erik la fronteggiò e la guardò negli occhi.

“Non abbasserò la guardia solo perché somigli a Lena.”

“Non ti ho chiesto di farlo.”

“Allora cosa vuoi da me? Perché mi hai liberato?”

“Perché a Charles serve aiuto.” Erik non smise di fissarla mentre gli dava le spalle e andava verso la villa.

 

Charles guardava il soffitto. Bevendo aveva perso l’equilibrio ed era rovinato a terra. Non si era più rialzato. L’alcol aveva il potere di confondere le voci nella sua testa al punto che lui non le distingueva più. Facevano male ma, non capirle, era meno doloroso che sentirle una ad una nelle loro incessanti invocazioni.

Come ogni volta, si chiese se poteva cadere più in basso di così.

Sollevò la bottiglia e la trovò vuota. La lasciò rotolare lungo il fianco. Il senso di frustrazione che ne derivò lo costrinse a stringere i denti. Si lasciò andare in un gridò di rabbia e non senti la serratura della porta scattare. Si accorse dell’uomo solo quando la sua testa riempi il suo spazio visivo.

“Hai bisogno di una mano per rialzarti?”

“No, Erik, e se mai volessi saperlo, non puoi entrare nella mia stanza senza permesso.”

“Pensavo volessi sapere che Tessa è qui.”

“Credi che saperlo mi spingerà a tirarmi su da questo comodo tappeto?”

“Se è così comodo, non vorresti condividerlo?” Chiese Erik sedendosi accanto alla testa dell’amico.

“E’ il mio tappeto e non vorrei. Potrei solo se mi avvicinassi un’altra bottiglia.”

“Ho di meglio da offrire.” Disse l’uomo muovendo una mano davanti al viso di Charles. 

Il telepate era sempre stato affascinato dalle mani grandi di Erik, dal modo in cui tendeva quelle dita affusolate e costringeva ogni cosa a seguirle. In quell’occasione però, qualcos’altro lo stupì. 

Le voci erano scomparse. Esattamente come quando riusciva a controllarle. 

“Cos’hai fatto?” Chiese guardandolo dritto negli occhi.

“Uno scudo. E’ stata Lena a farmici pensare. Lei riusciva a trasformare il suo campo emozionale in uno scudo. Ho pensato di poter fare lo stesso con il campo gravitazionale che ho imparato ad usare mentre ero prigioniero al pentagono.”

“E non ti danneggia usarlo?” Chiese l’uomo sdraiato a terra con lo sguardo ora carico di apprensione. Erik scosse la testa sorridendo.

“Charles, Charles. Come posso fare con te? Possibile che non riesci mai ad anteporre le tue esigenze a quelle degli altri? No, non mi danneggia. Dovrai avermi in giro. Questo non t’infastidirà?” Charles si sollevò sui gomiti.

“No. Per una cosa come questa, non ti basterà prenderti il mio tappeto.”

“Vero. Voglio qualcos’altro.”

“Cosa?” Chiese Charles indurendo l’espressione del viso.

“Voglio che la fai finita col siero di Hank e con tutta questa merda.” Charles abbassò lo sguardo e si toccò l’interno del gomito sinistro.

“Io posso provare.”

“Mi basta.” 

“Quindi ora come funziona? Non possiamo più separarci?” Erik rise.

“Avanti, professore! Puoi tenerti la stanza. Posso coprire l’intera casa. Non ti costringerò a dormire con me!” Charles allargò le braccia e gli tirò un cuscino che aveva sotto ai piedi.

“Non fai ridere. Piuttosto, portami un’aspirina. Ho mal di testa.”

“Sono il tuo scudo, non la tua badante. Fattela portare dalla Bestiolina.”

“Hank è mio amico.”

“Rivedi il tuo concetto di amicizia. E mi riferisco anche alla biondina là fuori.” Charles, seppure a fatica, si rimise in piedi.

“Tessa non è esattamente un’amica.”

“Allora stai in guardia.”

“Lo farò. Vado a rendermi un po’ più presentabile.” Concluse raggiungendo la porta del bagno. Erik chiuse la porta della camera e scese in salone.

 

Tessa era seduta in salotto a chiacchierare con Hank quando Erik e Charles entrarono nella stanza. Non fu sorpresa di vederli insieme. Provava sollievo a vederli così. L’idea che fosse riuscita a riavvicinarli la faceva sorridere. Forse avrebbe fatto sorridere anche Lena.

A guardarli, fianco a fianco, non c’era da stupirsi che sua sorella non fosse stata in grado di scegliere fino alla fine. Se guardavi gli occhi blu di Charles, potevi perderti in un oceano sconfinato. 

Se invece guardavi il metallo fuso negli occhi di Erik, venivi soggiogata da una tempesta. 

Tessa tornò con lo sguardo ad Hank che li aveva invitati a sedersi con loro.

“Hai notizie di Raven?” Chiese il professore. Tessa si accorse subito che la sua espressione non era tesa come tutte le altre volte che lo aveva incontrato. Annuì.

“Purtroppo non sono buone. Raven procede nel suo piano.”

“Come fai a dirlo?” Charles, seduto sul divano, si sporse un po’ in avanti.

“Ho avuto delle informazioni secondo le quali si è procurata un passaporto vietnamita e ha prenotato un volo per Hanoi e uno per Parigi.”

“Chi ti ha dato queste informazioni?” Chiese Erik.

“Tanner.” Rispose lei guardando Charles dritto negli occhi. Il telepate comprese subito, anche senza leggerle la mente, che Tessa aveva usato le sue conoscenze all’Hellfire ma non disse nulla. Non voleva che l’odio di Erik per Shaw e per qualunque cosa avesse a che fare con lui, mandasse ogni loro progetto a monte.

“Cosa sappiamo?” Charles la esortò a proseguire.

“Nulla di più, ma tanto è sufficiente per capire quali sono le sue intenzioni.”

“Sul serio?” La sfidò Erik. Tessa annuì.

“C’è solo una cosa che riunisce Hanoi, Parigi e Trask. Gli accordi di pace per il ritiro dell’esercito americano dal Vietnam. Raven è andata laggiù perché pensa di infiltrarsi con la delegazione vietnamita agli accordi di pace che si terranno fra due giorni a Parigi. Ritiene che sia più facile entrare con il gruppo diplomatico vietnamita che con quello americano. Non ha torto. Inoltre gli americani non sono stati invitati alla festa personale di Trask.”

“Come sarebbe a dire?” Hank aveva un’espressione veramente preoccupata.

“Trask ha provato a farsi finanziare il progetto Sentinella dal governo americano. Non ci è riuscito. Stryker è un mercenario. Fa affari con tutti. Proverà a vendere il progetto a chiunque voglia finanziarlo. In realtà a lui interessa solo che venga sviluppato. Lo proporrà a Parigi durante una riunione privata. Raven pensa che, arrivandogli abbastanza vicino, potrà avere la sua occasione di ucciderlo.” Charles sospirò.

“Lo hai calcolato nel dettaglio?” Erik passò con lo sguardo dall’amico a Tessa.

“Non potrei sbagliare nemmeno volendo. E non è tutto. Trask ha già perfezionato un dispositivo in grado di individuare i mutanti. Se Raven si avvicinasse a lui, la scoprirebbe.”

“E non potremmo più scongiurare il futuro che ha visto Lena.” Concluse Hank.

“Quindi dobbiamo andare anche noi a Parigi, trovare Raven prima che arrivi a Trask e fermarla.” Disse Charles.

“O magari fermarla dopo che è arrivata a Trask. Quel bastardo ha assassinato migliaia di noi.” Ipotizzò Erik.

“Erik!” La voce di Charles lo fece sorridere e il tedesco sollevò entrambe le mani in segno di resa.

“Certe cose non cambiano, vero professore?” Stavolta fu Tessa a sorridere.

“In realtà non tifo per Trask ma se muore durante i trattati di pace per mano di un mutante, non credo che il progetto Sentinella verrà fermato.” Charles si trovò d’accordo.

“Dobbiamo fermarla. Però Raven può assumere l’identità di chiunque.” Tessa si alzò.

“Non di chiunque. Di una persona in particolare. E’ andata ad Hanoi. Nella delegazione vietnamita ci sono molti generali che parteciperanno agli accordi ma solo uno può autorizzare il finanziamento di un progetto come quello di Trask. Il generale Hang Won Su. Lei avrà le sue fattezze.”

“E anche questo lo hai dedotto?” Chiese Erik che cominciava a trovare interessante il modo di ragionare della donna.

“Sì.”

“E dimmi,” le chiese il tedesco sporgendosi verso di lei, “sai anche come la fermeremo?” Tessa rise.

“Se veste i panni di un uomo, sarà più propensa a farsi avvicinare da una donna. Lei però ci conosce tutti. Avremo bisogno di una mano anche stavolta.”

“Tanner?” Ipotizzò Charles.

“No.”

“Lasciami indovinare,” disse Erik appoggiandosi di nuovo allo schienale del divano, “si tratta di una tua amica mutante di cui dovremmo fidarci.” Charles guardò Erik in malo modo. Tessa scosse le spalle.

“Indovinato. Anche se non è una mutante. E’ la segretaria personale di Trask.”

“Come conosci la segretaria personale di Trask?” Chiese Erik alzandosi e fronteggiandola.

“L’ho incontrata cinque anni fa. Tecnicamente allora non lavorava per Trask. Ha accettato questo lavoro per aiutarmi nella mia missione. E’ mia amica.”

“Ma guarda un po’!” Esclamò Erik. Tessa mise entrambe le mani sui fianchi.

“Sono stanca del tuo sarcasmo, Lehnsherr. Se vuoi credermi, fallo. Altrimenti, ognuno per la sua strada.” Erik mantenne lo sguardo su di lei ancora per un attimo poi, si voltò a guardare Charles. Il più giovane infilò le mani in tasca.

“Ci stiamo avvicinando a Raven. Non possiamo fermarci ora. Troviamola ed evitiamo che finisca nelle mani di Trask. Hank, puoi raccogliere tutte le informazioni che puoi sull’evento di Parigi? Vedi di scoprire dove alloggerà il generale Hang Won Su.” Hank annuì e lasciò la stanza. “Tessa,” la voce di Charles era profonda e preoccupata, “hai un piano anche questa volta?” Erik rimaneva in piedi accanto alla donna.

“Sì ma non è perfetto come l’altro.”

“Intendi come quello con cui mi avete tirato fuori di prigione?” Chiese Erik.

“Esatto. Quello però era facile. Stavolta abbiamo un problema.” Charles non ebbe bisogno che continuasse.

“Raven. Tu stai pensando al fatto che Raven potrebbe fare resistenza.” Tessa annuì.

“Non può cadere in mano a Trask. Nessuno di noi può farlo.” Charles strinse i pugni.

“Stai suggerendo che dovremmo uccidere Raven se si rifiutasse di collaborare?”

“Sto solo dicendo che se qualcuno di noi, Raven compresa, dovesse finire in mano a Stryker o Trask, gli altri dovrebbero risolvere il problema e, credetemi se ve lo dico, sarebbe meglio morire che diventare una delle sue cavie.” Charles oppose resistenza.

“Non se ne parla. Abbiamo aggirato tutta la sorveglianza del Pentagono. C’è sempre un modo.”

Erik fece su e giù un paio di volte per la stanza.

“Non ti agitare, Charles. Sta parlando per ipotesi e comunque, ci penserei io. E’ per questo che mi hai tirato fuori da lì, no?” Chiese Erik rivolgendosi a Tessa.

“Sei quello più dotato di senso pratico tra noi.” Asserì Tessa. Erik rise. Charles, invece, no.

“Nessuno uccide nessuno se non siamo tutti d’accordo che non ci sono altre soluzioni.” Erik gli mise una mano sulla spalla.

“Sei tu quello dotato di maggior senso morale, professore.” Tessa annuì.

“Abbiamo un piano. Dei dettagli mi occupo io. Va bene, professore?” Charles annuì sperando che, per una volta, tutto filasse liscio.

  
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