Libri > Le Cronache di Narnia
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Autore: Dhialya    03/04/2020    1 recensioni
Il legame profondo tra una ragazza divenuta Regina e una guerriera dallo sguardo dolce e le frecce dalle piume bianche.
Un passato di cui pochissimi sono a conoscenza, risalente a prima dell'arrivo di Jadis e dei cento anni d'inverno.
Il compito di una lupa dagli occhi di ghiaccio ed un destriero dal manto nero come la notte.
Cosa si cela realmente dietro la Grande Magia e il cui potere è conosciuto solo dal grande Aslan?
C'erano regole che erano state rotte, accordi strappati e segreti che non potevano più essere taciuti, legami che andavano ripristinati e compiti da svolgere. E tutto ciò sarebbe venuto a galla, presto. E non osava - o non voleva - immaginare le conseguenze che tutto ciò avrebbe comportato.
Sulle persone coinvolte e sull'equilibrio di Narnia stessa.

Sullo sfondo della guerra contro Telmar un segreto, tenuto nascosto per più di milletrecento anni, sta per essere rivelato.
[Revisione totale programmata alla sua conclusione.]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Famiglia Pevensie
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Spirits Within - The Just and the Sly special moments.'
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Narnia's Spirits
Collana di sentimenti.
[Capitolo collegato allo spin-off Necklace of Feelings]









-Peter.-

Evelyn sbatté le palpebre cercando di mettere a fuoco la figura del Pevensie, cercando di cogliere, tra le ombre della sera, ogni particolare di quell'espressione contrita che gli si era dipinta in faccia. Cercò, inconsciamente, una qualsiasi dimostrazione di affetto su quel volto che conosceva fin troppo.

Uno spiraglio di comprensione, un segno – qualcosa che fungesse da ancora in quel mare di caos che si stava abbattendo senza pietà su di loro.

Ma Peter era rimasto fermo immobile nello stesso punto in cui lo avevano visto, le braccia molli lasciate cadere lungo il corpo – ed Eve scorse, tra il vorticoso appannamento che stavano diventando i propri pensieri ed i propri sentimenti e la penombra della sera, come le sue mani fossero strette a pugno.

Due pugni rabbiosamente serrati, come rabbioso era il modo in cui la mascella gli si era contratta, gli occhi che, se avessero potuto, i due Pevensie erano certi avrebbero lanciato fulmini per poterli folgorare sul posto.

Avevano commesso un errore. Un errore enorme.

Non ci sarebbe stato nessun sorriso d'incoraggiamento, nessuno sguardo di comprensione, per loro, quella volta. Niente.

Peter.

Si sentì montare l'ansia, Eve, percependo i battiti del proprio cuore accelerare per il panico esattamente come il proprio respiro, così tanto violentemente che boccheggiò, portandosi una mano al petto, angosciata. Cosa aveva visto, Peter?

Incapace di fare qualsiasi cosa rimase lì, immobile nell'erba ancora tra le gambe di Edmund, come congelata sul posto. Strinse in modo spasmodico il corsetto, aggrappandosi al tessuto come se potesse essere l'unica fonte a poterle dare del sostegno in quel momento.

Peter.


Si morse un labbro, la Pevensie, per cercare tramite il dolore di riportare ordine nella propria mente tormentata. Le sembrava di stare annegando, trascinata inesorabilmente a fondo dall'improvviso macigno che le si era posato crudelmente sul cuore.

E fu come se un treno la investisse quando realizzò ciò che era successo, quando captò l'ironia di quel tempismo che molte volte l'aveva tirata fuori dai guai ma che, in quella circostanza, stava mandando a monte tutto. Lo capì osservando per l'ennesima volta gli occhi rabbiosi e delusi di suo fratello, nello scorgere nel viso di Edmund, nei suoi occhi sgranati, lo stesso sconcerto che doveva essere specchio del suo.

Edmund l'aveva baciata... e Peter li aveva visti.

Le cose non sarebbero potute andare in modo peggiore.

Silenzioso com'era arrivato, il Pevensie diede loro la schiena e se ne andò.

Edmund rimase attonito ancora qualche minuto, incapace di ragionare lucidamente esattamente come Evelyn. Le emozioni ed i pensieri da processare erano troppi, troppi e troppo diversi tra loro, e venirne a capo si stava rivelando parecchio difficoltoso. Un attimo prima era felice per essersi finalmente tolto un peso, quello dopo si sentiva completamente soggiogato dalla piega che aveva assunto il tutto.

Non sarebbe dovuta andare così.

Sapeva che non sarebbe stato facile, sapeva che ci sarebbero state conseguenze e per anni aveva immaginato di affrontarle nella propria testa, in mille e più modi differenti.

Ma credeva che il problema principale sarebbe stata Evelyn, doverle spiegare le motivazioni consapevole che avrebbe dovuto mettersi completamente a nudo, che avrebbe dovuto dare voce a quella parte di sentimenti che aveva custodito sempre gelosamente dentro di sé, non... non Peter.

Deglutì rumorosamente, tenendo gli occhi sbarrati nel punto esatto in cui il biondo era sparito, inghiottito dalla fitta e sempre più buia vegetazione che l'aveva sputato fuori così improvvisamente – e così crudelmente.

Dannazione, perché Peter li aveva raggiunti proprio in quel momento? Perché?

Si schiarì la gola, prendendo coraggio e spostando lo sguardo su sua sorella. Quel gesto gli costò uno sforzo che non si aspettava, il corpo sembrava non volerlo ascoltare, improvvisamente troppo pesante per fare anche solo un gesto così semplice.

Evelyn era attonita quanto lui, bianca in volto e con le labbra tremanti, e il modo in cui lo guardava... il modo in cui lo guardava, lo sguardo spaesato che gli stava rivolgendo, la muta richiesta di aiuto che vi scorse all'interno lo lasciarono totalmente inerme. Edmund si sentì svuotato anche dell'ultima briciola di sollievo che aveva provato capendo che a Eve, probabilmente, il bacio che si erano dati non aveva fatto del tutto schifo.

Era tutta colpa sua. Era solo colpa sua.

Evelyn si stava trattenendo in tutti i modi ma lui aveva capito che avrebbe voluto scoppiare in lacrime nell'esatto momento in cui aveva posato gli occhi lucidi su di lui.

Si allungò verso di lei consapevole che, a quel punto, qualsiasi suo gesto non avrebbe potuto venire frainteso. La vide osservare con particolare attenzione i suoi movimenti, studiarlo mentre si allungava per prenderle una mano tra le sue. Evelyn non si mosse: il suo corpo era lì, vedeva cosa stava facendo Edmund, sentiva il pollice che le accarezzava il dorso della mano in un impacciato gesto di conforto, eppure era come se non si sentisse totalmente presente.

Era una cosa che aveva sempre desiderato, eppure quel momento era troppo sbagliato perché potesse apprezzare quei gesti. Troppe cose insieme si stavano accavallando. Troppe.

L'aria sembrava trafiggerle i polmoni ad ogni respiro.

Aveva bisogno di riflettere. Di stare del tempo da sola per poter fare chiarezza con se stessa. Aveva bisogno di aria. Di poter sfogare tutta la frustrazione senza essere giudicata, senza sentirsi osservata, senza che Edmund continuasse a rivolgerle imperterrito quello sguardo colpevole che le si stava scolpendo nella testa.

Voleva stare da sola.

Sola.


-Vado a parlare con Peter. Andrà tutto bene, vedrai.- Evelyn nemmeno gli annuì, quando le strinse maggiormente la mano prima di lasciarla, a malincuore, per andare a parlare con il fratello maggiore. Perfino a se stesso era chiaro quanto fossero intrise di dubbiosità e spavento quelle poche sillabe.

Edmund iniziò a preoccuparsi di quell'assenza che stava dimostrando ma si impose di non pensarci troppo, raccogliendo le briciole di coraggio che ancora possedeva ed alzandosi. Fece quasi violenza su se stesso per non restare li, in quella radura, a stringere Evelyn in un abbraccio – per cullarla, e forse egoisticamente per trovare del conforto per se stesso.

In quel momento era più importante che agisse e c'era solo una cosa che poteva fare. Arrivati a quel punto i nodi andavano sciolti. Tutti. 

Doveva parlare con Peter.


***


Fu solo quando anche la figura di Edmund venne inghiottita da bosco che ad Evelyn sembrò che il tempo riprendesse il proprio corso e lei tornasse a respirare.

I passi del fratello erano risuonati attutiti sul terreno e, una volta che anche il fruscio provocato dal contatto con i cespugli più bassi si fu allontanato del tutto, nella radura già silente calò un silenzio quasi innaturale. L'unico rumore che lo spezzava era il suo respiro. Un suono affannoso, agitato, che rispecchiava perfettamente come si stesse sentendo: in panico, spaesata, con l'opprimente sensazione che il mondo fosse pronto a crollarle addosso.

Tra i fiumi di pensieri odiò se stessa per il poco autocontrollo che sentiva di possedere in quegli istanti.

Eve sbatté le palpebre, facendo cadere un paio di lacrime dal bordo degli occhi e portandosi le mani in grembo. Le sentì quasi bruciare mentre scorrevano lungo le guance secche.

Cosa era accaduto?

Con un gesto seccato si passò la manica del vestito sulla faccia, cercando di riprendere lucidità e cancellando le tracce di quel pianto pieno di frustrazione che stava prendendo forma. Avrebbe voluto urlare, eppure stava annegando nel silenzio dei suoi tormenti.

Edmund l'aveva baciata.

Senza volerlo Evelyn sentì uno sfarfallio al petto, colpita in pieno da dei flashback: il suo viso improvvisamente vicino, il suo profumo, le sue labbra che gentili, quasi paurose, la sfioravano appena... Sentì le guance andare a fuoco, la Pevensie, e nascose il sorrisino d'imbarazzo dietro una mano che, inconsciamente, si portò a coprire la bocca.

Molte volte aveva immaginato quel momento ma... averlo vissuto era stata una cosa completamente diversa.

Edmund l'aveva baciata.


Si sentì spiazzata, Evelyn, da quella constatazione che sembrava non volesse lasciarle la mente. Perché aveva fatto una cosa simile? Si trattenne dal tirarsi un pizzicotto per cercare di allontanare la sensazione di torpore che la stava avvolgendo.

Edmund l'aveva baciata...

Aggrottò la fronte, cercando di afferrare quella consapevolezza che sembrava continuasse a sgusciarle via fra il turbine di pensieri che era diventata la sua mente. Non riusciva ad afferrarla. Aveva avuto la verità davanti agli occhi per tutti quei minuti e ancora non ci era arrivata.

L'aveva baciata… perché provava qualcosa per lei?

Sbatté le palpebre, Eve, sentendo gli occhi tornarle lucidi per lo strano sentimento di commozione che sentì nascerle nel petto, portandosi meccanicamente una mano al ciondolo.

Fu come se una luce di speranza si fosse fatta spazio tra il buio opprimente che l'aveva assalita in quegli istanti.

Ripensò ad Edmund, a tutte le volte che aveva sperato ci fosse un doppio significato per certi suoi comportamenti, a tutte quelle situazioni fraintendibili che avevano vissuto. Le tornarono in mente i segreti, le risate, i pianti e le litigate. Ripensò allo sguardo di suo fratello poco prima.

Evelyn lasciò cadere la mano in grembo fissando un punto davanti a sé senza vederlo davvero, completamente immersa in un mondo tutto suo, l'espressione indecifrabile.

Perché provava qualcosa per lei.


***


-...Evelyn.-

Mh... ?

-Eve! Alzati!-

Chi diavolo era che la chiamava così insistentemente a notte fonda?

-Dai, svegliati!-

Dalle coperte arruffate provenne uno sbuffo mal celato e dei lievi movimenti, poi tutto tornò immobile. Ci aveva messo pochi secondi, la Pevensie, a capire chi l'aveva svegliata. Aveva socchiuso gli occhi quel tanto per permettersi di capire che no, probabilmente non era piena notte come credeva, ma semplicemente aveva le coperte tirate fin sopra la testa. Doveva aver avuto freddo durante le ore notturne, per essersi raggomitolata in quel modo nel letto.

No che non aveva intenzione di alzarsi, si stava così bene li...

-Evelyn, vuoi tirarti su o no?- Lucy si avvicinò alla grande finestra della stanza, impaziente, tirando senza pietà le tende che fino a quel momento avevano nascosto la luce del sole come potevano. I raggi mattutini inondarono l'ambiente.

-Oh insomma, Lu! Che diamine...- la Pevensie non fece caso alle maledizioni che sua sorella aveva iniziato a mandarle contro borbottando, avvicinandosi invece al letto in cui si ostinava a rimanere rifugiata.

-Lo sai che giorno è?- domandò retorica, afferrando le coperte per poterle tirare indietro. Si bloccò a metà di quel movimento rischiando di perdere la presa, perché Evelyn era stata più furba: nonostante il corpo ancora addormentato aveva artigliato le lenzuola con tutte le forze che era riuscita a raccogliere.

-Dai Lucy, lasciami dormire.- fu il lamento implorante che le uscì. Tuttavia, ormai la sua mente era abbastanza sveglia ed aveva già iniziato a lavorare e pensare. Alzò gli occhi al cielo, abbassando lievemente le coperte e mostrando parte del viso, arrendendosi. La Pevensie sorrise, portandosi le mani sui fianchi e sospirando.

-Sei sempre la più pigra di tutti.- la prese in giro, immaginando la smorfia imbronciata che sicuramente nascondeva sotto le lenzuola. Eve sospirò, iniziando ad abbassare le coperte. L'aria fresca - anzi, fredda - che aleggiava per la stanza le fece venire dei brividi.

-Visto che è il mio giorno potevi lasciarmi dormire di più.- si limitò a dire, occhieggiando la figura di Lucy ancora in piedi accanto al letto per nulla toccata dai suoi lamenti. Come tutte le volte che si soffermava a guardarla, si rese conto di quanto fosse cresciuta. Il viso le si era fatto più affilato, era diventata più alta, i corpetti degli abiti avevano iniziato a modellarle maggiormente la vita ed i fianchi.

Lu aveva iniziato ad abbandonare le forme di bambina dando inizio al cambiamento che l'avrebbe portata a diventare una donna. Se avesse ricordato anche solo lontanamente Susan, come già era capitato qualche volta, Evelyn era certa che sua sorella sarebbe diventata bellissima senza niente da invidiarle. Anche se la sorella maggiore era quella che riscuoteva ancora maggiore successo nei Regni limitrofi – e a ragione.

Susan era una figura da cui prendere ispirazione, ma con la consapevolezza che non la si sarebbe mai potuta raggiungere.

Non che a lei importasse più di tanto, in ogni caso.

Sospirò, iniziando a sistemarsi aiutata dalla sorella. Erano passati tre anni da quando erano arrivati a Narnia. Tre lunghi e bellissimi anni.

Le stagioni si erano susseguite lente ed equilibrate – c'era stata un po' d'ansia tra i Narniani durante il primo inverno dopo la sconfitta della Strega Bianca, in realtà, ma il freddo era durato giusto il necessario.

Evelyn si perse nei propri pensieri mentre Lucy le raccoglieva i capelli in una treccia laterale e l'aiutava a vestirsi.

E mentre Narnia rinasceva ogni giorno più forte, loro erano cresciuti, maturati, cambiati... avevano imparato le strategie di guerra, le musiche, le tradizioni, gli abitanti, i cibi e tutto ciò che faceva parte di quel regno di cui si erano ritrovati Sovrani quasi per caso. Un caso fortuito... o destino, come diceva la leggenda? Due figli di Adamo e due figlie di Eva... C'era qualcosa che non le era mai stato ben chiaro in quelle parole. Perché quattro? Forse c'era qualcosa di sbagliato nella predizione?

Aslan non ne aveva mai parlato e lei non aveva mai avuto possibilità di domandare, dal momento che era sparito.

-Sei silenziosa. E' perché sei emozionata?- commentò ad un certo punto Lucy, mentre le stringeva il corsetto. Evelyn si ridestò da quei pensieri, voltando il viso quel tanto che bastava per scorgere la figura della sorella dietro di lei. Qualche centimetro e l'avrebbe raggiunta in altezza.

Evelyn sospirò, socchiudendo gli occhi, indagatrice. Tutti erano cresciuti, ma lei era rimasta bassa.
Bassa.

-Mi ero distratta.- le confessò, sbadigliando. La risatina di Lucy la strappò definitivamente dai propri dubbi ed Eve fece spallucce con se stessa.

-Dovresti esserlo... emozionata intendo. Dopotutto è il tuo compleanno! Ho finito, girati.-

Un giorno come un altro.

Si prese il viso tra le mani mentre roteava su se stessa, mostrando teatralmente una smorfia angosciata.

-Non è bello sapere di stare invecchiando!- Lucy roteò gli occhi al cielo, sorridendo suo malgrado e prendendo qualcosa che aveva lasciato sul comò li vicino sotto lo sguardo scrutatore di sua sorella. Evelyn non l'aveva vista portare niente in mano, probabilmente perché era rimasta ostinatamente nascosta sotto le coperte a lamentarsi. La vide nascondere qualcosa dietro la schiena ed alzò un sopracciglio, indagatrice.

-Manca l'ultimo tocco.- fu la sola spiegazione che le diede, prima di avvicinarsi nuovamente. La Pevensie non capì cosa avesse fatto ma attese pazientemente finché sua sorella non le piazzò uno specchio davanti al viso.

Tra la treccia spuntavano dei fiorellini azzurri e all'orecchio le aveva messo una margherita.

Si sfiorò l'acconciatura, emozionata per quei piccoli dettagli che Lucy le aveva riservato, reprimendo un lieve nodo di commozione e specchiandosi nel riflesso di una giovane ragazza che non immaginava potesse appartenerle. Si era sempre soffermata sui cambiamenti dei suoi fratelli, raramente sui propri.

-Buon diciassettesimo compleanno, Evelyn.-


***


Si diede un leggero slancio quel tanto che bastava per riuscire a smontare da cavallo. Le foglie sotto i calzari scricchiolarono leggermente, quando le calpestò, eppure era riuscita ad essere abbastanza aggraziata da non disturbare troppo la natura che la circondava con quel gesto.

In autunno, con il terriccio secco, era decisamente più rumorosa, tanto che i suoi fratelli più volte l'avevano rimproverata perché aveva fatto scappare qualche preda – non che le importasse più di tanto, in realtà, dal momento che cacciare lo trovava una perdita di tempo. Non capiva perché gli uomini fossero così fissati. Non era più emozionante leggere qualche bel libro davanti al camino acceso o nel giardino del castello?

Accarezzò il collo del destriero, assorta, allungando poi una mano verso la bisaccia che pendeva dalla sella. L'animale sembrò capire le sue intenzioni, perché girò il muso e nitrì leggermente, dandole un colpetto sul braccio.

-Si, si. Tieni. Bravo ragazzo...- lo lodò, allungandogli un pezzo di carota. Gli diede un altro paio di carezze mentre l'animale iniziava a brucare l'erba, poi gli voltò le spalle, osservando con attenzione lo spiazzo di radura che le stava davanti, soppesando se ci fosse qualcun'altro.

Una leggera brezza le scompigliò i capelli ed Evelyn rabbrividì, cercando di coprirsi maggiormente le spalle con il mantello che indossava. Non era ancora piena estate, non si sorprese quindi che ogni tanto potesse fare freddo anche in pieno giorno. Inoltre, nelle giornate precedenti aveva anche piovuto e le temperature si erano abbassate.

Sospirò, iniziando a camminare, allontanandosi dal bordo della foresta da cui era spuntata ed avvicinandosi con passo lento verso il cumulo di rocce abbandonato in mezzo alla piana.

Ad avvolgerla c'era solo il silenzio, rotto talvolta dai suoni della natura. Nonostante tutto, però, quel luogo rimaneva comunque il più silenzioso di Narnia, come se perfino i suoi abitanti non volessero disturbare la quiete che vi regnava.

Anche in mezzo al nulla però l'unica cosa che provava era una sensazione di serenità. Narnia non le faceva paura. Non avrebbe mai potuto. E la solitudine che l'avvolgeva non le dava fastidio, accogliendo i suoi pensieri portandola come in una bolla personale.

Sfiorò la roccia quando fu abbastanza vicina, soppesando le crepe che ne frastagliavano la superficie con sguardo malinconico, osservando per l'ennesima volta la spaccatura che l'aveva divisa come se fosse ancora la prima volta. La tavola su cui si era sacrificato Aslan. Il luogo in cui era morto... e risorto.

La mattina della battaglia lei ed i suoi fratelli avevano saputo della morte del leone tramite i messaggi portati dagli alberi. Lo sgomento per quell'evento era stato troppo perché potesse dargli una voce.

Solo molti giorni dopo, e facendosi coraggio per soddisfare quella punta di curiosità che la stava tediando da tempo, aveva raccolto quel poco di forza per andare a domandare a Lucy e Susan come fossero andate le cose e cosa avevano visto. Aveva osservato gli occhi delle sorelle rattristarsi ricordando quella che a detta loro era stato un tentativo brutale di umiliare il Re di Narnia, ed Eve si era sentita trafiggere dal senso di colpa per aver riportato loro a galla quelle immagini.

Era sicura che ogni tanto le tormentassero ancora nei sogni. Non erano cose che si potevano dimenticare facilmente.

Tuttavia, lo sguardo della minore si era illuminato nuovamente in quel modo particolare che le veniva solo quando pensava ad Aslan, raccontandole come fosse riapparso dopo il boato che aveva fatto la pietra spezzandosi.

Evelyn si morse un labbro, pensierosa, sedendosi su uno dei sassi che formavano i resti di quello strano altare e fissando lo sguardo davanti a sé ed iniziando a torturarsi le mani.

Aslan...

Non sapeva bene perché fosse andata nuovamente in quel luogo, Eve. Ogni tanto le era capitato di tornare in quell'angolo di mondo che avevano volutamente lasciato intoccato, come a ricordare e testimoniare tutti gli eventi che dal loro arrivo a Narnia si erano susseguiti e che sarebbero, poi, diventati racconti e leggende.

Non poteva immaginare che quel posto più di mille anni dopo sarebbe diventato testimone degli eventi che avrebbero cambiato per sempre la sua vita.


Forse era perché nessuno vi si avvicinava senza una valida motivazione. Forse era per cercare di immergersi in quello che avevano potuto provare le sue sorelle quella terribile notte, sentendosi in difetto per non essersi accorta di quello che stava accadendo. Forse perché quello era diventato un luogo sacro, e sperava in qualche modo che vi aleggiasse la presenza di Aslan pronta a darle un qualche tipo di conforto. O, magari, era il luogo in cui sarebbe finalmente riapparso... quanto tempo era passato da quando era sparito?

Sospirò, spostando lo sguardo sul cielo che la sovrastava.

Più di quattro anni, ormai. Non era un po' troppo per farsi una vacanza? Forse gli era capitato qualcosa.

Avevano provato a cercarlo, ovviamente senza risultati. Lucy era quella più ottimista: secondo lei sarebbe tornato quando meno se lo aspettavano, e nessuno dei fratelli aveva osato alzare dei dubbi a quelle affermazioni.

Evelyn alzò le braccia al cielo, socchiudendo gli occhi per via del sole e cercando di allontanare quei pensieri con poca convinzione.

Scavando un po' più a fondo ed ammettendolo a se stessa senza troppi problemi, seppe darsi la risposta che cercava: si sentiva inquieta. E non sapeva spiegarsi il motivo.

Egoisticamente aveva pensato che raggiungere quel posto le infondesse una qualche sorta di pace interiore come succedeva tutte le volte che rimaneva da sola a riflettere. Tuttavia, in quelle giornate, affrontare se stessa e la sua mente non stava portando i buoni risultati che avrebbe voluto e non ne capiva il motivo.

C'era qualcosa che le sfuggiva e non riusciva ad afferrarla, dandole la stessa percezione di quando non viene in mente una parola ma con la brutta sensazione che ci fosse dietro qualcosa di molto peggiore.

Perché?

Evelyn si grattò la nuca ed allontanò una mosca, occhieggiando velocemente il cavallo poco distante come per sincerarsi fosse ancora nei paraggi. Usò un ginocchio come appoggio per il gomito e poggiò il viso su una mano, concedendosi nuovamente di lasciare andare i propri pensieri ed il proprio sguardo. Si perse ad osservare la vasta vallata che si estendeva ai piedi di quell'altura senza mostrare un interesse particolare, conoscendola ormai a memoria, quasi accartocciata su se stessa per la posizione assunta.

Fu forse il tintinnio che stavano facendo le briglie del suo destriero, ormai poco distante da lei, o forse l'osservarne di sfuggita il manto castano scuro, che ad Eve balenò in testa un solo pensiero incontrollato.


Edmund.


Una singola parola – no, un singolo nome,
il nome di suo fratello – capace di ghiacciarle il sangue nelle vene all'istante. Evelyn sentì il proprio corpo irrigidirsi in modo innaturale e quasi si spaventò per quella reazione tanto che smise di respirare.

Che cosa stava succedendo? Cosa le stava succedendo?

Scosse violentemente la testa cercando di scacciare il malessere che sentiva crescerle dentro, portando una mano al ciondolo che portava al collo. Sicuramente era colpa di quello che era successo. Non c'era altra spiegazione.

Per i suoi diciassette anni Edmund le aveva regalato una collana.

Ricordava di esserne rimasta sorpresa perché già ne portava una – quella stessa collana che portava anche in quel momento – regalatagli per l'incoronazione dal popolo di Narnia. Tutti loro avevano ricevuto qualcosa che, secondo i Narniani, li rappresentava: Lucy una sciarpa vellutata, Susan un bracciale, Edmund una spada dagli intarsi particolari e Peter un elmo nuovo che ricordava il pomo di Rhindon. E, salvo rare occasioni, non se ne era mai separata.

Per quel motivo era rimasta un po' spiazzata davanti al regalo che il Pevensie le aveva riservato per il suo penultimo compleanno – in realtà, ricordava di aver sentito una punta di amarezza per quell'idea che sapeva di riciclato, sentendosi in colpa subito dopo per quel sentimenti di ingratitudine.

Nonostante quei pensieri aveva iniziato ad indossarla sempre più spesso, le aveva tenute perfino nella festa che le avevano organizzato un paio di mesi prima per i diciotto anni.

Le due E spiccavano appena sopra l'incavo dei seni, talvolta attirando anche le attenzioni di qualche nobile particolarmente curioso. Eve aveva imparato a leggere negli sguardi che le venivano rivolti il lieve disorientamento che li trapassava quando si posavano su quei due gioielli giudicati probabilmente così tanto
anonimi per una Regina.

La Pevensie sorrise senza allegria, ricordando distrattamente anche i loro tentativi di non soffermarsi troppo palesemente ad osservarle il seno.

Eppure...

La bocca di Evelyn s'increspò in una smorfia e delle rughe le si formarono in mezzo alla fronte, rendendo la sua espressione improvvisamente tirata, gli occhi che, amareggiati, continuavano a sondare l'orizzonte.

Eppure, non aveva potuto nascondere il dispiace quando, qualche giorno prima, le si era rotta. In realtà, era stata una brutta coincidenza.

Stava combattendo nel giardino insieme a Peter, dopo averlo portato all'esasperazione per fare un po' di esercizio con lei. Aveva da fare, il Supremo Re di Narnia, era pieno di impegni come sempre ma alla fine aveva accettato: Edmund non c'era quel pomeriggio e Susan preferiva di gran lunga l'arco, e a Lucy, ad Evelyn, nemmeno passava per l'anticamera del cervello di chiedere.

Dopo pochi minuti si era ritrovata contro la serie di cespugli ed aiuole che dividevano quello sprazzo di prato dal giardino in cui le ragazze si trovavano spesso per rilassarsi. Avevano continuato come se niente fosse, perché entrambi cercavano di rendere quei duelli il più reali possibile.

Imparare ad aprirsi dei varchi quando ci si ritrovava con le spalle al muro era importante tanto quanto saper attaccare per poter sopravvivere.

Non si era accorta dei rami che in qualche modo le si erano incastrati tra i capelli e sul collo fino a quando non si era abbassata di scatto per cercare di sgusciare via: aveva sentito un dolore alla gola e per un attimo le era mancato il respiro, finendo poi a terra di botto.

Peter aveva lasciato cadere la spada all'istante, chinandosi e mettendole una mano sulla schiena mentre tossiva e aiutandola a tirarsi su un po' su. Evelyn si era sentita i suoi occhi indagatori addosso mentre si ripuliva la bocca dalla saliva ed inspirava grandi boccate d'aria, percependo sotto il palmo della mano con cui si stava sostenendo il terreno ancora umido di pioggia.

-Tutto bene?- le aveva domandato dopo qualche minuto, senza staccarle lo sguardo di dosso. La Pevensie aveva alzato gli occhi verso di lui, ancora incapace di realizzare cosa fosse accaduto e sentendo i capelli scompigliati sulle spalle.

-Si... si, credo. Cosa è successo?- si portò una mano alla gola, percependo un lieve bruciore sulla pelle. Rivolse a Peter uno sguardo spaesato mentre si rimetteva in piedi, in cerca di risposte.

Lo vide sospirare ed osservarla criticamente, probabilmente ricordando la scena di pochi minuti prima, poi lo sguardo del biondo virò drasticamente verso il terreno, nascondendo quell'alone di preoccupazione che ancora vi si leggeva. Aveva preso un infarto.

-Te lo avevamo detto di non metterle in queste circostanze.- Evelyn non capì quelle sue parole fino a quando non lo vide chinarsi e raccogliere qualcosa da terra che, all'istante, rifletté la luce del sole che animava quella giornata.

Oh...

Automaticamente si portò nuovamente la mano al petto, in un gesto involontario per sincerarsi della presenza delle collane come ogni tanto faceva quando le veniva il dubbio di non averle indossate, con una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco.

Le sue dita ne strinsero soltanto una.


***


Edmund ci aveva messo poco a capire che la persona che stava cercando non si trovava all'interno di Cair Paravel: una volta attraversata la sala con i troni il suo corpo si era mosso in automatico verso la biblioteca, il giardino e la stanza di Evelyn, convinto di poterla scovare in uno di questi tre luoghi in cui spesso si rintanava, senza successo.

Passò accanto allo studio di Peter e rallentò il passo solo per qualche secondo, sentendo la voce del fratello borbottare qualcosa con qualcuno e suoni di pagine girate di tanto in tanto. La porta rigorosamente chiusa, però, non gli permise di sentire altro se non delle frasi confuse.

Edmund proseguì la sua ricerca cercando di scacciare il senso di colpa che sentiva all'altezza dello stomaco per aver lasciato il biondo a svolgere i propri doveri da solo, in quella giornata, nonostante le sue richieste. L'aveva fatto per un buon motivo. Peter stesso l'aveva lasciato andare quando gli aveva spiegato la sua motivazione sul perché quel pomeriggio proprio non potesse restare.

Non c'era motivo che si sentisse in difetto.

Serrò la mascella, promettendosi che appena possibile sarebbe tornato a dare una mano al Pevensie nell'organizzazione delle trattative che stavano portando avanti, stringendo la scatolina che portava in una mano.

Il suo istinto lo portò, pochi minuti dopo, alla balconata che dava sulla spiaggia, iniziando ad avere il dubbio che anche Eve potesse essere andata chissà dove e non fosse ancora rientrata.

Edmund si concesse qualche attimo per osservare il mare estendersi in maniera infinita poco sotto di lui. Le onde si infrangevano delicatamente sulla sabbia, riflettendo i raggi del sole che, splendente nel cielo, aveva iniziato a calare verso la linea dell'orizzonte.

Ogni tanto si immaginava cosa dovesse aver provato Lucy il giorno in cui aveva osservato Aslan allontanarsi. Un attimo prima c'era... e quello dopo era sparito - aveva detto.

Immaginò la scia delle impronte sul bagnasciuga, il profilo regale della sua figura farsi sempre più piccolo, la criniera al vento, i raggi che accompagnavano il suo percorso... fu facendo scorrere lo sguardo sulla porzione di spiaggia poco distante che gli occhi di Edmund incontrarono una figura.

Oh.

Non ci mise che qualche secondo, la mente del Pevensie, nel riconoscere il profilo di Evelyn nella sagoma accovacciata sulla sabbia. Strizzò gli occhi per metterla a fuoco, incuriosito, ma per quanto la vista fosse buona l'unica cosa che riuscì a capire era che la sorella stesse osservando il mare, probabilmente pensierosa.

Si morse l'interno di una guancia, indeciso, soppesando se andarla a disturbare fosse una buona idea. Quando era partito qualche ora prima per raggiungere il villaggio di fabbri che gli era stato consigliato le aveva rifilato una scusa, sperando in quel modo di farle una sorpresa gradita – o, se le cose fossero andate male, di non deludere delle eventuali aspettative.

Già che c'era, mentre attendeva, aveva davvero fatto limare anche la propria spada, approfittando di quei momenti di attesa per fare un giro per quella piccola – piccolissima, molti abitanti ancora vivevano distanti gli uno dagli altri, nelle cave degli alberi o nascosti tra le montagne ed i boschi – cittadella e soppesare l'umore dei Narniani. Per lui e le sue sorelle era importante che non ci fossero malcontenti tra la popolazione.

-Sei tornato prima di quanto pensassi. E' andato tutto bene?-

Edmund si girò, colto di sorpresa. Si ritrovò davanti la figura di Susan, le mani congiunte in grembo e le labbra piegate in un sorriso. Indossava un elegante vestito azzurro con ricami argentati. Gli occhi della Pevensie lo scrutarono velocemente, come a sincerarsi che nelle condizioni del fratello non ci fosse nulla di anomalo, poi tornò ad osservarlo con quella nota di silenziosa aspettativa con cui l'aveva accolto.

Edmund le diede la sua totale attenzione, strappato ormai dai propri pensieri.

-Ah si, tutto bene. Grazie.- mosse la mano in cui teneva la scatolina davanti al viso di Sue e dall'interno provenne un lieve tintinnio metallico. Sorrise compiaciuto, osservando gli occhi della maggiore brillare.

-Non era una tragedia, come le avevamo detto.- fu la constatazione che fece, avvicinandosi di qualche passo alla Dolce. La ragazza annuì, ricordando lo sguardo mortificato che Evelyn si era trascinata dietro quella manciata di giorni. Sembrava che avesse commesso un crimine imperdonabile.

-Dai, vai a dargliela, nel frattempo cerco Lucy e Peter. Mangiamo qualcosa insieme, ti va? Sarai stanco ed è quasi ora di cena.- spezzò il silenzio lei, dopo qualche attimo, mettendo in risalto le proprie capacità di osservazione. Lo sguardo che gli stava rivolgendo era quello di una persona che già sapeva perfettamente quale sarebbe stata la risposta senza bisogno di sentirsela dire.

Edmund, semplicemente, annuì.


Impiegò pochi minuti a fare il giro a ritroso del castello, scendere le scalinate e raggiungere la spiaggia tramite il sentiero che la collegava al giardino. Sperò di non essere risultato troppo impaziente di uscire agli occhi dei servitori che aveva incrociato suscitando loro dei dubbi – o, peggio ancora, in Susan.

La brezza che lo accolse quando si affacciò sul mare gli fece venire una lieve pelle d'oca, insinuandosi sotto la casacca e percorrendogli il profilo della schiena. Non era ancora piena estate e, quando arrivava la sera, se c'era il vento dava fastidio.

Senza starsene troppo a rimuginare aveva raggiunto Eve, imprecando silenziosamente per i calzari che affondavano nella sabbia bianca e sentendosi particolarmente impacciato nei movimenti. Soppesò la figura della Pevensie in silenzio, rimanendo a qualche metro di distanza e trovandola esattamente come l'aveva vista dalla balconata.

Non si accorse di aver trattenuto il respiro fino a quando l'acqua non gli raggiunse gli scarponi.

Maledizione.

Lanciò un'occhiata a Eve, avvicinandosi leggermente, rendendosi conto che non si era accorta della sua presenza e continuava ad osservare il mare persa in chissà quali pensieri, l'aria abbattuta e gli occhi socchiusi.

Edmund si permise di osservarne il profilo solo per qualche attimo ancora, stringendo la scatoletta che teneva in mano in maniera quasi spasmodica per sfogare la tensione che percepiva. Il sole che tramontava le illuminava il volto, donando ai capelli quei riflessi più chiari che a lui piaceva tanto osservare – gli piacevano così tanto da volerli toccare con mano.

Si morse un labbro, nervoso, cercando di scacciare quel pensiero dalla testa con tutta la volontà di cui era capace.


Maledizione.


Le si avvicinò ancora di qualche passo, cercando di cancellare dal proprio viso qualsiasi traccia di turbamento che potesse farle sorgere qualche domanda. Evelyn lo stava imparando a conoscere sempre di più, ma in quella circostanza non poteva permettersi che gli leggesse dentro scoprendo il suo segreto.

Non poteva.

La vide sussultare quando la sovrastò con la propria figura, pentendosi di non averle annunciato la propria presenza, spaventandola – ma fu solo una frazione di secondo, perché nel momento in cui Evelyn alzò il viso per capire chi fosse l'intruso che aveva rotto la sua quiete lui percepì il respiro venirgli a mancare quando incontrò i suoi occhi chiari.

Si trattenne dal leccarsi le labbra secche, percependo le parole morirgli in gola insieme a tutta l'indifferenza che aveva raccolto. Non andava bene così. Doveva stare calmo.

-Dove sei stato?- gli domandò, senza guardarlo in faccia. Edmund le si sedette accanto, smuovendo la sabbia con i calzari ancora bagnati e lanciandole una fugace occhiata, ringraziando mentalmente che fosse più interessata al mare. Non seppe decifrare il tono di voce con cui gli aveva posto quella domanda, chiedendosi se quello che aveva percepito tra le parole fosse un principio di stizza.

-In giro.- fu la laconica risposta che si permise di darle, cercando di fare spallucce per dissimulare. Non voleva che Evelyn percepisse quanto lo rendesse orgoglioso di se stesso quello che aveva fatto quel pomeriggio. In realtà, non aveva nemmeno molto senso ciò che stava provando in quel momento, alla fine non era nulla di che.

Chissà che faccia avrebbe fatto, sua sorella...

-Tieni.- si decise ad allungarle la scatoletta, non facendo caso al silenzio in cui Eve era rimasta immersa per tutti quei minuti. Era troppo curioso di vedere la sua reazione.

La Pevensie prese la scatoletta dalla sua mano dopo averla soppesata per qualche secondo, lanciandogli delle occhiate interrogative di sottecchi a cui volutamente non fece caso, limitandosi ad indicarle con un gesto eloquente di aprire la confezione.

Edmund sentiva la trepidazione bruciargli nelle vene, ansiosa, iniziando a percepire la paura di un possibile fallimento ogni secondo che passava. Ma di cosa si preoccupava, poi? Evelyn sarebbe di sicuro stata contenta.

Vide la faccia spiazzata di sua sorella, gli occhi che per qualche attimo si strabuzzavano, sorpresi, per poi posarsi su di lui in una muta richiesta di spiegazioni.

Ad Edmund ricordò fin troppo la scena che si era svolta quando si era trovata di fronte quello stesso ciondolo la mattina del suo compleanno. L'aveva trovata bellissima, con gli occhi chiari sgranati di stupore e il volto incorniciato dalle ciocche volutamente lasciate libere da Lucy quando le aveva fatto la treccia. Eppure, i lineamenti che aveva assunto il suo viso l'attimo subito dopo l'avevano lasciato stranamente spiazzato.

Una sensazione di inquietudine gli chiuse lo stomaco in una morsa esattamente come era capitato quel giorno.

Forse era stato troppo ottimista. Forse si sarebbe arrabbiata perché era andato a ficcare il naso tra le sue cose – in realtà, non aveva nemmeno dovuto cercare troppo. La collana rotta era in bella vista sulla cassettiera e una volta presa era filato via dalla camera per paura di essere visto. Forse aveva capito male il muso che aveva piantato in quei giorni e non le fregava niente che si fosse rotta, o di rimetterla.

Era esattamente la sensazione che l'aveva colto l'anno precedente. Di aver sbagliato qualcosa, di aver fatto un errore.

Edmund deglutì, cercando di non lasciar trapelare l'insicurezza che iniziava a tediarlo.

-L'ho fatta riparare.- si decise a dirle, quando fissò lo sguardo su di lui per l'ennesima volta e protendendosi per afferrare il ciondolo. Egoisticamente, voleva che Evelyn tornasse a rimettere quella collana. La collana che lui le aveva regalato. La collana con la sua lettera. La E di Evelyn. Ma anche la E di Edmund.

Era un sentimento ingiusto, che un fratello non avrebbe dovuto provare – non in quel modo, ne era fin troppo consapevole. Eppure tutto nella sua testa si era azzerato, svuotandola da ogni ragionamento logico come ormai sempre più spesso capitava.

Edmund aveva in fretta capito come convivere con quelle emozioni, cercando di dargli un freno per quanto possibile ed imparando a simulare una tranquillità che in realtà non possedeva. Un po' come quando doveva strappare qualche accordo durante una trattativa e sfoggiava quel suo sguardo distaccato pronto a captare ogni possibile bluff o inganno.

Ma Evelyn non era un nobile qualunque o un pezzo di contratto ed i sentimenti che provava per lei non potevano contenere menzogne.

Si sforzò di concentrarsi sull'agganciare la collana stando ben attento a non appoggiarsi a lei o toccarle la pelle. Era invitante, la porzione di pelle liscia  candida che aveva lasciato scoperta quando aveva tirato di lato i capelli, tanto che Edmund fece quasi violenza su se stesso per non soffermarcisi con gli occhi o le dita. Chissà se era morbida come quella delle mani che ogni tanto aveva sfiorato per sbaglio...

Se fosse stato meno preso dai propri pensieri avrebbe anche notato che Eve stava parlando con una voce più acuta del solito, balbettando ed incapace di guardarlo in faccia per più di qualche secondo.

La Pevensie sospirò leggermente e le mani di Edmund tremarono, mentre il dubbio che si stesse spazientendo per il tempo che stava impiegando ad agganciare un semplice anello gli attanagliò le viscere di agitazione.

No, doveva stare calmo. C'era quasi. In verità pensava sarebbe stato più semplice, dann_ Ah!

-Finito!- esultò senza trattenersi, allontanandosi come scottato da quella vicinanza troppo prolungata. Cercò di far riprendere al proprio cuore un ritmo sostenibile.

-Non dici niente?- domandò dopo qualche attimo rivolto alla sorella, accorgendosi che lo fissava. Per il disagio si alzò in piedi. Quella sembrò riscuotersi, sbattendo le palpebre e voltando lo sguardo.

-Grazie.- disse, mentre sorrideva ed osservava la mano che gli porgeva. Edmund le fece un segno di vittoria, sollevato che non avesse mosso obiezioni sulla sua decisione di rimetterle il ciondolo senza interpellarla, dandole le spalle ed incamminandosi verso il castello.

Non vedeva l'ora di togliersi le scarpe umide e farsi un bagno.

Occhieggiò il mare, il sole ormai a metà sulla linea dell'orizzonte ed il suo riflesso arancione che si rifletteva sull'acqua, il cielo tendente verso un forte colorito rosato.

Un bel tramonto... chissà quanto tempo era passato da quando era tornato a Cair Paravel. Non gli sembrava fossero trascorsi più di una decina di minuti. Accanto ad Evelyn il tempo sembrava passare fin troppo velocemente.

Edmund corrugò la fronte, improvvisamente pensieroso.

Tempo... ?

Il ricordo della discussione con Susan lo trapassò da parte a parte come un fulmine, esattamente come era sicuro avrebbe fatto il suo sguardo se li avessero fatti aspettare per troppo tempo.

Si voltò alla ricerca di Evelyn, trovandola inaspettatamente dove l'aveva lasciata. Iniziò a sbracciarsi per attirarne l'attenzione.

-Eve, muoviti! Gli altri ci staranno sicuramente aspettando!-


***


Evelyn sospirò, circondandosi le ginocchia con le mani ed appoggiandovi sopra il mento. Perché proprio in quel momento le tornavano in mente quei ricordi? Era sicura che quello era solo il primo di una lunga serie di coincidenze che si sarebbe messa a guardare con occhi diversi – e non sapeva bene se potesse permetterselo o meno.

Dannazione.


Continuò a fissare il punto in cui Peter ed Edmund erano spariti non sapeva nemmeno quanto tempo prima, immobile, nascondendo gli occhi lucidi dietro le palpebre per qualche istante.

Una sensazione di gelo l'avvolse dandole i brividi, eppure era sicura che non facesse freddo.

Si sentiva sperduta. Travolta da quello che stava succedendo. Angosciata per le conseguenze. Eppure, da qualche parte dentro di lei, era come se il grosso peso che l'aveva sempre accompagnata si fosse un po' dissolto. Solo un po'.

Non era sola.

Era stato Edmund a baciarla per primo. Non era da sola. Non era solo lei. Non era solo lei a essere la difettosa della famiglia.

Eppure non andava bene lo stesso. Eppure avevano fatto qualcosa che non avrebbero dovuto. Non era giusto provare quella sensazione di sollievo che ogni tanto sentiva affiorare.

-Andrà tutto bene, vedrai.-

Eve aggrottò la fronte, riaprendo gli occhi e tirando la bocca in una smorfia amareggiata, mettendosi a fissare il cielo stellato sopra la sua testa e sentendo un magone in gola.

No, che non sarebbe andato tutto bene.

























































































Benritrovati a tutti cari e care! Come state? Visto il periodo, spero vi stia andando tutto bene.
Personalmente con la scusa della quarantena mi sono messa a recuperare un bel po' di roba, molti anime in primis. Poi, come potete vedere, ho cercato di far tornare anche l'ispirazione. Spero che vi sia gradita come cosa e di avervi fatto un pochino di compagnia in questo periodo un po' pesante e un po' infelice.

Note sulla storia: questo capitolo da come avete potuto leggere è il primo che si collega a uno degli spin off a cui ho voluto dare un'anticipazione - ormai molti anni fa. La one shot l'ho revisionata perché altrimenti non mi sarei trovata con alcuni dettagli sulle tempistiche - che spero vi siano chiari -, e vi consiglio di leggerla nel caso non l'abbiate fatto, in quanto tratta l'ultima parte degli eventi dal punto di vista di Evelyn. Per il resto, credo sia tutto chiaro, mi scuso se è molto riflessivo come capitolo ma come avrete letto dal titolo la collana la fa da padrona e veniamo a sapere che il primo ad innamorarsi è stato Edmund. Ricordo inoltre che Eve è nata a fine gennaio, quindi siamo ambientati verso metà aprile, stagione ancora non troppo calda.
Nota inutile: dato che la maggior parte degli eventi che avrebbero dovuto arrivare alla conclusione con il finale che avevo in mente - non questo, mannaggia -, li ho già scritti qui, potrebbe essere che il prossimo sia un pochino più corto rispetto alla media per raggiungere quel punto nella storia - non vorrei sembrasse che lo butto li così tanto per aggiornare, ecco.

Vi ringrazio per le recensioni, i preferiti, le ricordate ed i seguiti e l'immensa pazienza che dimostrate.
Spero di tornare presto. <3
D.

   
 
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