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Autore: NeveDelicata    03/04/2020    7 recensioni
Questi personaggi non mi appartengono, sono di proprietà di Mann Yzawa. Questa storia è stata scritta senza fini di lucro.
"I tre iniziarono a passeggiare beatamente in giardino, viali aperti che conducevano ad una grande fontana zampillante, dove le dame, amiche della viscontessa si accalcavano per ammirare carpe di provenienza orientale, d’un rosso corallo, nere e bianche."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Arthur Butman, Elisa Dangering, Maria Dangering
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono, sono di proprietà di Mann Yzawa. Questa storia è stata scritta senza fini di lucro.





“Viscontessa Windmire” la salutò il conte Wilson “Theresa.”. Le baciò la mano e la guardò negli occhi mentre pronunciava emotivo “Tessa”: la signora arrossì sentendosi appellare col nome di ragazza dall’ancor avvenente barbuto sessantenne, dal viso cordiale e spontaneo e dagli occhi chiarissimi.
“Mi lusingate. Alla mia età” fece eco civettuola la signora, portando il ventaglio a coprirsi le gote arrossate; iniziando le presentazioni da perfetta ospite.
Il pomeriggio era soleggiato e l’aria invitava a godere del bel giardino, orgoglio della padrona di casa: una donna eccentrica che ambiva a impressionare la nobiltà creando un luogo quasi ameno, nella periferia di Londra.
“Ricordate credo il figlio del Duca Dangering, Irwin” ipotizzò la signora, ricevendone immediata conferma dall’anziano conte, quanto la precisazione del giovane che appuntava stringendogli la mano “Spero che non ci intratterrà nuovamente con i suoi racconti di caccia in Africa”: diciamo che il giovane rampollo del duca Dangering non era il migliore uditore per il conte Wilson, ma era quello il bello, dopo tutto, rifletté il vecchietto soddisfatto. L’antipatia era reciproca, diciamo. Del resto il bel giovane alto e alquanto altero di portamento, ambiva a ben altra compagnia e le molte giovani presenti sembravano già volerselo accaparrare, lanciando sorrisetti ammiccanti da sotto i ventagli.
Irwin aveva un bel viso, perfettamente rasato, occhi verde scuro misteriosi e lunghi capelli biondo scuro decisamente accattivanti e intriganti per una donna, che trovava il suo essere eccentrico e sorprendentemente attento alla moda, ricco di fascino. Il doppiopetto scuro perfettamente abbinato ad un cappotto lasciato aperto che non ne gessava la figura ma la slanciava grazie ad un tessuto vellutato.
“Non credo conosciate di persona la duchessina Maria Dangering e il suo fidanzato Cain Dangering” ammise imbarazzata la viscontessa, ancora preda d’un sentimento che da ragazza l’aveva emozionata e che ora nel parlare di fidanzati le riaffiorava alla testa, accalorandola già non bastassero le vampate dell’età.
Il conte Wilson sorrise concedendo la mano alla graziosa ragazza, adorna di fiocchi e nastri nel vestito e nei capelli, che sembrava una bomboniera confezionata con arte. Una figura sottile, dai capelli castani, un naso minuto e due grandi occhi celesti, quasi una bambola.
“Sono incantato” ammise il vecchio signore con garbo e cordialità alla fanciulla, per poi dare la mano al ragazzo che l’accompagnava.
“Onorato di fare la vostra conoscenza, conte Wilson” parlò con tono educato il giovane; un ragazzo stimabile sui quindici forse sedici anni, di bei lineamenti, occhi azzurri e capelli castano chiaro, ma dall’aria affaticata, anche se non sembrava lasciarsi andare mantenendo un contegno estremamente distinto.
“Il piacere è mio, credetemi” fece affabile l’anziano alla giovane coppia, iniziando dopo i convenevoli a ripercorrere il proprio vissuto “Avevo la vostra età quando conobbi la mia prima moglie Amily”, strappando un sorriso imbarazzato alla fanciulla, che sembrò interessata alla sua storia, che si preannunciava romantica. A vederli quei due giovani gli ricordavano lo splendore di una coppia di amici, da sempre innamorati l’uno dell’altra: Friz e Sophie. Il destino pur troppo non era stato clemente con loro, rifletté con amarezza il conte per un istante, disprezzando i risvolti imprevisti della vita.
Wilson notò il volto del fratello di lei cedere alla sofferenza d’un racconto che stimava all’apparenza troppo soporifero da sopportare; cosa che non dispiacque a Wilson che insisté prendendo sottobraccio i due fidanzati continuando, volutamente ben più noioso, ripartendo dal principio “La conoscevo da ben prima, in verità. Mia madre era amica della contessa..”. Come da previsioni, sentire iniziare un racconto potenzialmente prolisso ed esclusivamente personale del conte sembrò abbattere definitivamente l’interesse del giovane Irwin, che si sbrogliò adducendo “Scusate, devo salutare la duchessa Smith, o non me lo perdonerà”.
Il conte fece cenno di comprendere.
“Vi lascio soli per un po’” scherzò il giovane Irwin baciando sfuggente la sorella sulla guancia, che apparve lusingata da quella premura; poi precisando al fidanzato, da bravo fratello maggiore, “Mi raccomando Cain, comportati bene”, con sguardo decisamente severo e autoritario.
Dopo quelle parole Irwin gli abbandonò senza troppi complimenti, non aspettando rassicurazioni, tanto da far ironizzare il vecchio Wilson “Insopportabile direi” prima di continuare con ravvivato impegno il racconto del suo vissuto come un nonno a due nipoti.
I tre iniziarono a passeggiare beatamente in giardino, viali aperti che conducevano ad una grande fontana zampillante, dove le dame, amiche della viscontessa si accalcavano per ammirare carpe di provenienza orientale, d’un rosso corallo, nere e bianche.
Amici pomposi e dai baffi arricciati sugli angoli salutarono il conte tra una sbuffata di pipa e l’altra, profondamente assorbiti da discorsi di politica che li facevano accalorare, lamentandosi  al contempo dei capricci delle mogli solo interessate a vestiti di sartoria francese; lasciando Wilson alla rivelazione delle sue personali memorie.
Il vecchietto continuò a sviolinare aneddoti sulla propria giovinezza, quanto sulla sua competenza di cacciatore. Parlò di viaggi, disprezzando di tanto in tanto la politica che lo costringeva in città, sorpreso piacevolmente di quel pubblico così giovane eppure così interessato: aveva sperato ci fosse l’occasione di fare nuove conoscenze. La solitudine iniziava a pesargli, come la mancanza di veri amici, che negli anni la vecchiaia, la malattia o un destino avverso gli aveva portato via, oltre alla sua adorata Amily naturalmente.
Ogni qual volta il discorso andava sul personale ed augurava ai due giovani la stessa felicità che lui per primo aveva vissuto, alla fanciulla si coloravano le guance come due pesche, mentre gli occhi grandi e luminosi le si assottigliavano al pensiero della medesima dolcezza che l’attendeva in un bel bianco vestito da sposa, che Wilson aveva descritto fin nei minimi particolari.
Sapeva quanto potevano incuriosire una fanciulla e tenerne viva l’attenzione. Avesse avuto una figlia, Wilson le avrebbe comprato l’abito più stupendo che fosse stato disponibile a Londra, se non nel mondo. Magari uno di quelli indiani, degni d’una principessa, fantasticò per un attimo.
Un accenno di sorriso fin troppo di circostanza, invece nel giovane che era destinato alla bella Maria e, che si limitava ad ascoltare, sembrando di tanto in tanto assente quasi immerso in lontani pensieri. Il fidanzamento non sembrava entusiasmare il giovane Cain al pari della fanciulla. Erano giovani, rifletté Wilson; forse i sentimenti del giovane non erano maturi a tal punto da fargli accettare un vincolo come il matrimonio. Comunque Wilson ne apprezzò l’onestà di non mentire spudoratamente idolatrando quel giorno.
Maria era una duchessa, sposandola il ragazzo avrebbe avuto enormi vantaggi e così la famiglia di lui che probabilmente influiva sulle scelte del ragazzo per meglio accreditarsi tra la nobiltà, ma Wilson per educazione non ne chiese le origini.
“Non vorrei annoiarvi” disse il conte, sentendosi in dovere di passare loro il testimone.
“No, per niente” precisò il giovane sincero, che sembrava grato di sostenere il suo braccio allo stesso tempo ricevendone il sostegno.
“I vostri racconti non ci annoiano affatto” accordò anche la giovane, compiacente al fidanzato. Sembrava stravedere per lui. Innamorata come fosse stata colpita da uno strale di Cupido.
Continuarono così una distensiva passeggiata fino ad arrivare ad una serra di limoni ed arance provenienti dalla stupenda Italia: uno tra i paesi più belli che il conte avesse avuto il privilegio di visitare. Raccontò della bellissima Venezia, città sull’acqua; della dotta Padova, sede di una tra le più antiche università; di Roma millenaria; Napoli baciata dal sole e pittoresca nella parlata; di Caserta principesca residenza; della Sicilia, ovvero la Magna Grecia, espressione d’incontro tra Oriente ed Occidente. Wilson era un’amante della storia ma la rendeva viva con i resoconti dei suoi viaggi.
“Amo il mare” chiarì poi con passione “Nel suo orizzonte sconfinato il mio spirito trova conforto”: lasciò le braccia dei due giovani per un piccolo scatto di giovinezza “Sono stato marinaio: ufficiale di corvetta” precisò, “Dovevate vedermi in divisa” ammiccò alla giovane Maria che emise una risatina civettuola in approvazione. Ora di certo i chili di troppo non ne rendevano merito.
 “Conte Wilson, che piacere. Ricordate i fasti vissuti in compagnia di mio nonno vedo” li intercettò la giovane Elise Dangering, intervenendo con fare distaccato: da sotto il ventaglio la bella e puntigliosa Elise sorrise.
Wilson la salutò calorosamente “Negli anni diventate ogni giorno più bella; quanto vostra nonna Margherite”. Lei sorrise lieta, smorzata nel carattere arrogante da quel commento che la confortava, con il ricordo dei nonni che le era molto caro.
 “Vostro nonno è stato un ottimo amico” le fece un perfetto baciamano.
Diciamo che parlare dei suoi anni in marina era il suo più collaudato repertorio per impressionare, ma questa volta era stato lieto di raccontarlo alla coppietta.
Anche Elise si unì loro, ma solo per iniziare a chiacchierare con la cugina dei prossimi “impegni” di mondanità, quasi rubandogli la scena.
A poco a poco il conte e Cain lasciarono indietro le due giovani.
Wilson continuò il suo monologo sostenuto come un vecchietto dal braccio del giovane, che come un bravo nipote lo stava a sentire con amorevole zelo, senza interromperlo.
Senza la presenza quasi oppressiva della giovane Maria il ragazzo appariva più disteso e spontaneo: un sorriso più sereno e onesto.
“Presterete servizio nella marina di sua maestà?” ipotizzò d’un tratto Wilson stupendolo o meglio imbarazzandolo con una domanda che sembrò spiazzare il giovane.
Wilson lo puntò agli occhi solare “Potrei mettere una buona parola per voi con sua maestà. Di certo il duca lo apprezzerebbe” sembrò metterlo alle strette di accettare quell’opportunità.
Un secco “No” interruppe l’armonia che si era creata tra loro.
Il ragazzo intuendolo, sentendosene colpevole, si scusò subito “Vi prego di scusarmi ma non credo sia possibile”: era chiaro centrasse il duca, più che una carente istruzione del ragazzo.
“Non potete o non volete?” ammise sottile Wilson, parole che si scavarono nel giovane opprimendolo.
Subito una scusa, cercando con lo sguardo chi eventualmente fosse presente nelle vicinanze, un’aria guardinga “Comprendo le vostre passioni, conte. Anch’io amo il mare ma non …”. Chissà per quale motivo il giovane Cain non poteva essere sincero con lui, sembrando quasi spaventato di parlare, come se entrambe le scuse potessero metterlo in pericolo. Lontane Elise e la giovane Maria colloquiavano con la padrona di casa, ridendo e approvando la raffinatezza del giardino della viscontessa che arrossiva quasi senza ritegno, tanto i complimenti delle duchesse la deliziavano.
“Non a tal punto” accordò Wilson, per non metterlo a disagio.
Rifletté che il ragazzo non era preparato a discorsi così diretti, del resto aveva sempre lasciato lui e Maria a parlare, approvando o limitandosi a sorridere per accordare il suo bene placido in maniera compitamente diplomatica.
“Pochi giovani lo amano completamente. Molti si rifugiano in lui…” caldeggiò Wilson quanto l’immensità dell’oceano desse spazio ad un cuore tormentato. Quel suggerimento sembrò far affiorare ricordi nella mente del giovane: forse conosceva qualcuno avesse cercato nel mare sollievo.
“Il richiamo del mare per certi uomini è come un canto di sirena” scherzò Wilson: qualcuno e lui per primo avevano provato quell’incanto.
“Immagino sia così per molte persone” accordò il giovane, tornando tranquillo grazie ad un ricordo che sembrava sorreggerlo, forse attraverso una persona che per lui era importante e sapeva infondergli forza.
Arrivarono nei pressi di una voliera, dove quella inguaribile collezionista della viscontessa Windmire allevava piccioni, merli indiani e variopinti pappagallini.
Il giovane Cain sembrò rapito entrando, aggredito da quel cinguettio, intenso e cacofonico.
I giovani occhi brillavano davanti a quei colori preziosi e iridescenti. Il giovane riprese dinamismo e forse ottimismo perché il braccio con un moto spontaneo sollecitò Wilson ad aumentare il passo per girare attorno alla grande voliera. Più gabbie, alcune alte diversi metri, qualcuna più piccola venivano intervallate da preziose fioriere. Cain si staccò, meravigliandosi tra una gabbia e l’altra come un bambino che desiderava vedere il più possibile, mosso da una fame insaziabile di colore. Il conte Wilson come un bravo nonno sorrise, avendo preso in simpatia quel giovane d’una compostezza ineguagliabile.
“Non ne ho mai visti tanti tutti insieme” precisò il giovane; la voce carica di entusiasmo: la prima volta che Wilson la sentiva veramente viva e, perciò nuovamente sorrise. Avesse avuto un nipote accanto a sé la sua vita sarebbe stata meno solitaria, sospirò.
Una piccola gabbia infine; all’interno un piccolo uccellino dai colori in maggioranza azzurro e verde smeraldo: piccolo quanto una mano. Il suo canto un tenero e timido cip.
Il ragazzo lo guardò e, un altro melodico cip. L’uccellino che poneva il capo di lato per poi ritornare a guardare il ragazzo per concedere nuovamente un timido cip.
Altrettanto timidamente Cain allungò il dito dentro la gabbietta. L’uccellino emise ancora il suo impercettibile e allegro cip in risposta.
Cip, cip sembrò voler continuare a rispondere cordiale, non avendone paura.
“Ma che bell’uccellino in gabbia” ruppe l’atmosfera l’antipatica ironia del giovane Irwin, che li aveva raggiunti ed ora sbucava alle spalle del giovane Cain. Spaventato da quel tono di voce, l’uccellino svolazzò nervoso alzandosi dall’altalena; le ali che vibravano su e giù, quasi isteriche.
Il giovane Cain del resto aggrappò le dita tra le maglie della gabbia, bloccandosi di colpo, stringendo le dita attraverso il sottile ferro, quasi quelle sbarre fossero per lui. Lui come il piccolo uccellino azzurro, spaventato da una vicinanza che si faceva più stringente e che rifiutavano entrambi, come se la temessero.
Il ragazzo chinò la fronte su quelle sbarre, gli occhi che si stringevano quasi a chiudersi, come a ricacciare una sensazione fastidiosa, dominando la propria ansia,  sentendo il giovane Irwin alle spalle. Un sussulto che Cain non riuscì a mascherare. Il viso tirato, le dita che stringevano ancor più la maglia della gabbia.
Irwin scherzò “Torniamo in gabbia anche noi?”, quasi a precisare che per i nobili le divagazioni di un pomeriggio fossero solo un diversivo ai rigori richiesti in cupe dimore.
Quando la mano del giovane Irwin calò sulla spalla del giovane Cain questi sembrò impallidire ma obbligato verso il giovane duca accordò un discreto “Sì. Andiamo pure”.
“Scusateci, conte Wilson.” si accomiatò quasi per entrambi Irwin, invitando il giovane a concludere quell’incontro.
“E’ stato un piacere ascoltarla” confidò il giovane Cain brevemente, scavalcando le parole di Irwin che corrucciò la fronte liscia.
Wilson percepì sincerità in quelle parole, quanto una sofferenza che gli strinse il cuore nel vedergli voltare le spalle. La giovane Maria si accostò ai due, salutando Wilson da lontano, mentre Elise lo raggiungeva.
“Una bella coppia” ammise Wilson, quando Elise gli si avvicinò. Elise alzò smorfiosa le spalle non volendo approvare avesse ragione, ma poi ammise “In effetti… sì.”.
   
 
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