Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    05/04/2020    0 recensioni
Fanfic ambientata in seguito agli eventi raccontati nell'oav "Message". Ryo e i nakama si sono ritrovati e capiscono che non possono più separarsi e che il senso della loro esistenza lo troveranno solo nello stare insieme. Ma Realizzare tale sogno potrebbe non rivelarsi così semplice.
Dinamiche polyamorose. Non si trova tra la opzioni così lo diciamo nell'introduzione: possiamo definirla una fivesome più che threesome :P
Questa fanfic andrebbe letta dopo la nostra "Owari no mae ni owari".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
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CAPITOLO 14
 
La sera si era presentata con un momento di calma dalla pioggia, dando modo alla luna appena sorta di scivolare fuori dalle nuvole. La cucina e la sala, sotto la mano di Shin, avevano assunto un aspetto rispettabile; la camera di Touma era al massimo tollerabile di disordine. Ma almeno l'armadio era vuoto e le due valigie piene.
Shin non doveva sapere che metà di una di esse era piena di libri, l’avrebbe trasportata lo stesso Touma. Tenku non poteva aspettare l'arrivo dei cartoni per poter continuare la lettura dei suoi gialli. E poi, sì, c'erano anche un paio di libri di scuola.
Erano quasi le sette quando, dall'entrata, giunse il rumore inconfondibile di chiavi che giravano nella serratura. Touma fece capolino dalla cucina e vide Shin fare lo stesso mentre, dalla porta d'entrata, spuntavano i visi maturi dei genitori di Touma.
“Ma cosa è successo a questa casa?” esclamò la donna, avanzando per prima, gli occhi sgranati. “Ti sei trovato una compagna, Genichirou? Te la sei cercata all’opposto di me, però!”.
L'uomo, espressione confusa e stanca, si passò una mano sulla barba incolta e fece passare lo sguardo sul corridoio e parte del salotto, finché non gli cadde su Shin:
“Non una compagna... pare”.
Il ragazzo non poté trattenere il rossore, mentre chinava il capo in segno di educato saluto, ma non fece in tempo a dire nulla, perché un ciclone sotto forma di donna gli piombò addosso e lo strinse in un abbraccio così energico che Shin si sentì mancare il fiato per un po’.
“Shin-chan! Ci sei anche tu, questa sì che è una sorpresa!”.
Touma dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere, sua madre non cambiava mai.
“Sapevo che avrei fatto la tua felicità, 'kaasan. Oyaji, lui è il famoso Shin!” con un ampio gesto della mano e con una certa buffa ironia nella voce, presentò il ragazzo al padre. Quest'ultimo si passò con ancora più confusione la mano sulla barba, socchiudendo gli occhi, in uno sforzo di memoria.
“Il pesce?”.
Shin sussultò, il suo rossore esplose in un fuoco d’artificio e trovandosi in quello stesso momento libero dalla stretta mortale si rivoltò, al colmo dell’imbarazzo, verso il compagno.
“TOUMA!”.
Occhi al cielo, sbuffo e ghignetto divertito, Touma specificò:
“Shin Mori, detto 'pesciolino', 'squaletto' e anche 'sirenetto'. Sì, è lui, oya!”.
Touma si avvicinò all'entrata, mentre il padre fece qualche passo, allungò una mano sul capo di Shin, la lasciò sospesa per un attimo, poi la posò, muovendola con energia:
“Pesce rosso, direi...”.
“Non hai dimenticato… fochetta?” aggiunse la donna, posando una mano sotto al mento di Shin e sollevandolo, come se volesse osservarlo meglio.
Shin, in quella situazione, avrebbe solo voluto sprofondare; lanciò in tralice un’occhiataccia a Touma che tradotta significava:
Quando siamo soli facciamo i conti.
Spingendo col proprio corpo la porta contro lo stipite, Touma sospirò: doveva trovare un modo per iniziare il discorso. Lui non era bravo in queste cose.
“Okaasan, Shin ora rischia di sciogliersi. E poi, noi...”. Partiamo? Andiamo? “Dobbiamo parlare”. Accidenti. Da quando era diretto come Seiji?!
Shin colse la palla al balzo per mettere un po’ di distanza tra sé e i genitori di Touma.
“Io vi lascio soli e… posso… usare la cucina? Se permettete vi preparo qualcosa da mangiare”.
Sapeva che era infantile e sciocco farlo, ma Touma dovette ammettere che senza Shin si sarebbe sentito parecchio a disagio. Prima di quel momento non aveva pensato che potesse trovare una qualche difficoltà nel raccontare ai genitori della sua scelta.
Non aveva fatto scelte molto più... toste?
Touma si infilò le mani nelle tasche dei jeans, camminando con una certa rigidità verso il divano, senza però sedervisi. Si voltò a guardare i due adulti, sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
“Vi sedete, per favore?”.
Lo sguardo di Shin, ancora sulla soglia della sala, passò dall’uno all’altro, in attesa; i genitori di Touma sembravano un po’ straniti e, forse, non l’avevano udito.
“Allora… io…” balbettò, compiendo qualche passo in direzione della cucina.
“Shin-chan, sicuro che non ti serva una mano?”.
Il giovane abbassò il capo.
“Oh, no, Okaasama, parlate tranquilli, io… mi arrangio bene in cucina se… mi permettete…”.
“Fai come se fossi a casa tua” intervenne il padre, senza tuttavia smettere di tenere i propri occhi curiosi puntati sul figlio.
Le mani nelle tasche stavano cominciando a sudare e quello non era un buon segno.
“Potreste sedervi? Sono già abbastanza nervoso così…”.
Il padre alzò un sopracciglio, infilò, come il figlio, le mani nelle tasche del giaccone che ancora indossava e si sedette sul divano. Poi si volse verso la donna e la invitò a prendere posto accanto a lui.
“Non è una cosa da tutti i giorni...”.
Mentre Shin si volatilizzava più veloce e silenzioso che poteva, due paia di occhi rimasero puntati addosso a Touma; non che fossero occhi preoccupati, o arrabbiati… solo velatamente ansiosi, perché certo l’atteggiamento del figlio era bizzarro.
“Ti è successo qualcosa?”.
“Touma-kun, è una cosa seria?”.
“Possiamo fare qualcosa per aiutarti?”.
“Touma-kun, spero tu stia bene!”.
E avanti così, a fare domande a turno, facendo a gara per sovrastarsi a vicenda e per carpire qualcosa dall’espressione del ragazzo.
Touma sentì le mani sudare ancora di più, insieme alla schiena: ma i suoi genitori, un po’ di autocontrollo...?
“Sto bene! Stiamo tutti bene! Non è una cosa terribile!”. Era arrossito, un po’ tremando, un po’ rabbrividendo. “Se non state calmi voi, come faccio a stare calmo io a dirvelo?”.
“Se tu stai bene, tutti stanno bene, noi stiamo bene, perché essere nervosi, allora?” asserì la donna gesticolando, visibilmente rassicurata, ma non per questo più silenziosa e composta.
 
 
Il silenzio che seguì la propria rivelazione gli risultò spaventoso; i due adulti erano rimasti immobili e muti come statue, poi ci fu uno sbattere di palpebre dell’uomo più anziano e, contemporaneamente, l’urlo della donna:
“Finalmente!”.
Si alzò, corse a prendere le mani di Touma e le strinse, agitandole con foga.
“Vi siete decisi, mi chiedevo quanto ci avreste messo!”.
Touma rimase allibito e silenzioso, mentre veniva scosso dall'energia della donna: le parole non venivano, sembrava di essere in una strana realtà alternativa. Certo, i suoi genitori non erano quelli di Seiji, ma... certo, lo avevano reso indipendente, lo era sempre stato, ma...
“S-sei sicura?”.
Aveva bisogno di una conferma.
Le mani della donna si posarono, finalmente ferme, sulle sue guance.
“Cosa può far sentire più realizzata una madre se non vedere il proprio figlio che, finalmente, si abbandona alla propria felicità e ai propri sogni?”.
Touma quasi trasalì, sentì qualcosa di strano salirgli in gola.
E trovò l'unica via di fuga negli occhi del padre.
“Oyaji?”.
Questi era rimasto un poco più scombussolato della madre: d’altronde era naturale, era lui quello abituato a trovare il figlio quelle poche volte che decideva di tornare a casa, quella casa che la moglie aveva lasciato anni prima, che ora il figlio si apprestava a lasciare.
Per la prima volta nella sua vita, era solo lui quello che restava.
Indietro… restare indietro…
Non aveva mai riflettuto su particolari così tormentosi e ci faceva i conti all’improvviso, senza la minima preparazione.
Eppure, quando Touma cercò il suo aiuto con lo sguardo, l’uomo sorrise, fece qualche passo e la sua mano, lenta, si posò sulla sua testa, dove lasciò una ruvida carezza.
“Finalmente hai trovato il tuo nido…”.
Non c'era nulla di chiaro dentro Touma.
Strano come il destino, finalmente dalla sua parte, ora gli paresse così... malinconico.
Perché si sentiva così scombussolato?
Forse era il ricordo della telefonata con Seiji, la sua voce spezzata, a tratti, aveva lo stesso sapore del tocco di suo padre.
Non avrebbe dovuto piangere, davanti a loro non lo faceva da una vita intera.
Ma non riusciva a fermare le lacrime, non ora, non con loro.
“Ma… Touma-kun… piangi?”.
Il tocco della madre sulla sua guancia.
“A noi va bene, figliolo… credimi…”.
Un'altra carezza del padre tra i capelli.
Bene... bene...
Andava bene, ma lui era triste lo stesso.
Senza riuscire a capire del tutto il motivo.
“Aspetta, aspetta!” esclamò la madre, come se avesse all’improvviso ricevuto un’illuminazione e gli riprese saldamente le mani, “non ti sentirai mica in colpa, vero?!”.
Quando gli occhi di Touma si rialzarono, bagnati e rossi, incontrarono quelli del padre, similmente blu e fluttuanti. E allora comprese con chi si sentiva davvero in colpa.
“Otoosan...”.
Genichirou non era mai stato molto abile nel campo dei sentimenti, così quello che gli si stava agitando nel cuore fu una sorpresa difficile da comprendere, soprattutto per lui. Non che non fosse mai stato triste, le esperienze dolorose del passato avevano fatto breccia anche in lui, il fatto che non fosse tanto avvezzo ad ascoltare il proprio cuore non significava che non ne avesse uno e, si era scoperto a pensarlo alcune volte, persino sensibile.
Ma non aveva mai imparato ad interpretarlo, questo cuore, quando si comportava in quel modo irrazionale.
Tutto ciò che riusciva a fare, in quel momento, era tenere la mano tra i capelli del figlio ed un gesto simile, per lui, significava tanto, era come un abbraccio, come un ti voglio bene che non era mai sfuggito alle sue labbra.
“Ti preoccupi per me?” finì per chiedere, con voce un po’ tremula – e anche questo lo colpì.
Touma voleva parlare, usare la migliore dialettica del cuore, quella che i suoi nakama conoscevano sempre meglio di lui.
Ma non ne era in grado.
Ora meno di prima.
Touma ingollò, si morse le labbra, cercando di fermare le lacrime, mentre col naso tirava su, come da bambino.
“Perché, 'toosan, quando sei solo ti perdi piú di me...”.
E quella frase, per loro, diceva tutto.
“Oh, me la caverò benissimo, per chi mi prendi?”.
Tono basso, appena sussurrato e quella mano, che insisteva nei capelli scomposti, come se fosse incollata.
Gli occhi della madre corsero dall’uno all’altro, poi sfiorò a entrambi una spalla.
“Io vado a vedere come se la cava Shin-chan, voi parlate un po’”.
Era veloce sua madre nel fare ciò che desiderava, fin troppo.
Touma si sentì ancor più indifeso senza di lei.
Sentiva di poter dire tutto e la cosa faceva fin troppo paura.
Cercò di asciugare le lacrime e fermarle, mentre la sua mente tentava di trovare il modo migliore per non sconvolgere ogni cosa più di quanto non avesse già fatto.
La mano del padre premette un po’ di più sulla sua testa.
“Ehm… Touma… tua madre ci ha inguaiati, eh?”.
Cercare l’ironia… l’aveva sempre fatto, un po’ come sua moglie e Touma aveva preso da loro, ma non sempre era facile usarla, non sempre sembrava adeguata. O, meglio, a Genichirou di solito sembrava adeguata, a sdrammatizzare ogni situazione era sempre stato bravo e sarebbe stato davvero utile in quest’occasione in cui il figlio stava male per lui.
Male per lui…
Che strano pensarlo, non aveva mai pensato che sarebbe potuto succedere…
Eppure si poteva stare male per qualcuno…
Forse a Touma era già successo e lui non aveva mai ascoltato le mute richieste di aiuto del figlio bambino che vedeva la propria famiglia sfaldarsi, che si comportava come il più maturo dei tre…
Quanti complimenti gli avevano fatto?
Quanto erano stati egoisti, incapaci di stare al passo di quel figlio che adesso era maturato, tanto, più di quanto loro due fossero mai riusciti a maturare in tutta la vita?
“Touma… non sai quanto mi rendi orgoglioso”.
E quello glielo doveva, avrebbe, forse, dovuto dirglielo più spesso, ma forse Touma lo sapeva che erano orgogliosi di lui… forse era altro che, da parte loro, gli era sempre mancato.
 
C'era riuscito.
Quelle dannate lacrime si erano fermate.
E ora? Perché accidenti suo padre doveva essere così dannatamente...
“Non ti sentirai solo? Dovresti chiedere alla mamma di tornare...”.
Touma sobbalzò alle proprie stesse parole e si zittì, singhiozzando e arrossendo di nuovo. Che accidenti faceva la sua bocca?! C'erano cose che non dovevamo essere... mai... dette...
Lui lo sapeva.
Perché stava facendo così, ora?
“Ma tu sei pazzo” rise un po’ forzatamente l’uomo, “un terremoto per casa!”.
Poi si strinse nelle spalle.
“Sto a casa talmente poco che non sentirò alcuna solitudine, sai?”.
Nel momento in cui lo disse, ricordò tutte le volte in cui, rientrando, non aveva trovato Touma a casa… possibile che solo adesso si rendesse conto di aver provato, quanto meno, un pizzico di delusione quelle volte?
Di aver trovato la casa decisamente triste così muta e silenziosa?
Certo, prima non si era mai dato la briga di rifletterci sopra: una scrollata di spalle, se aveva qualcosa da dire c'era un messaggio lasciato in segreteria oppure un biglietto veloce e ripartiva, verso qualche conferenza o qualche nuovo studio che avrebbe potuto rivoluzionare il mondo della scienza.
Finalmente Touma trovò il coraggio di muovere una mano verso quella del padre, ancora sul suo capo, e poggiarla su quella dell'uomo.
“Io penso che se glielo chiedessi... lei... lei tornerebbe più spesso... da te...”. Il coraggio tornò come un'onda addosso a lui e gli occhi tornarono a posarsi in quelli del padre. “Dovresti dirle quello che senti...”.
Non c'era bisogno di specificare. Lui sapeva cosa girava nella mente arruffata del padre. L'aveva visto, in tutti quegli anni.
“Suvvia, Touma, non possiamo giocare a fare marito e moglie, non lo siamo più”.
Certo, l’amicizia era rimasta e, forse, Touma non aveva tutti i torti.
Il fatto era che Genichirou di quell’amicizia aveva paura… di cosa?
Che per lui non si trattasse solo di amicizia e trovarsi coinvolto, ancora una volta, in qualcosa che non capiva e che avrebbe suscitato ulteriori incomprensioni, per lui era ancora più difficile che rimanere solo.
“Non vi chiederei di giocare...” sussurrò il ragazzo, sfuggendo gli occhi del padre. “Solo di darvi un'altra possibilità”.
Ma come gli venivano in mente certe idee?
“Touma… adesso mi stai spiazzando”.
Quei discorsi lo spiazzavano, ma quegli occhi, che non si soffermava mai a guardare, ancora di più. Lui non ammetteva mai a se stesso ciò che lo destabilizzava, perché non doveva esserci niente che lo destabilizzasse... però era sempre più difficile negare che quegli occhi erano tanto pericolosi per lui.
Quegli occhi, quegli atteggiamenti, ogni modo di fare, l’energia… quella stessa energia che lo portava a seguire con determinazione i suoi sogni.
“Sei proprio come lei” un po’ sbuffò e un po’ sorrise e un po’ si spaventò anche, perché di quella somiglianza non ne aveva mai parlato.
Certo, Touma somigliava anche a lui, fisicamente e anche per alcuni lati del carattere… forse quelli maggiormente in difetto… le qualità erano quelle di sua moglie, dalla prima all’ultima. L’unica differenza, forse, era che seguire con determinazione i sogni, per Touma significava rincorrere una famiglia e, con essa, l’amore.
“È per quello che non l'hai mai dimenticata... vero?”.
Credeva che non avesse mai capito cosa gli passava per la testa, in certi giorni? Prima del divorzio suo padre l'aveva sempre guardato con uno sguardo perso, dolce, particolare.
Dopo... non era stato altro che triste.
Non sempre, ma spesso... spesso percepiva che quello sguardo non era rivolto a lui, ma a qualcuno che non c'era più.
Suo padre era davvero semplice da leggere, molto più di lui.
Sua madre era davvero una testa fra le nuvole a non averlo ancora capito.
Inaspettatamente, Genichirou chiuse due dita sul naso di Touma e ridacchiò con quella strana dolcezza.
“Una volta che siete entrati nella vita di qualcuno, persone come voi non possono essere dimenticate… e anche i tuoi nakama lo sanno”.
La testa di Touma si ritrasse un poco tra le spalle, poi arricciò il naso e sbuffò.
“Allora lo chiederò a 'kaasan...”.
Perché mentirgli così? Non era un bambino.
L’uomo scosse il capo e mantenne intatto il sorriso.
“Adesso andiamo d’accordo, come due carissimi amici; non voglio rovinare il rapporto facendola sentire di nuovo legata”.
Touma abbassò lo sguardo, si morse le labbra e sussurrò:
“Non dirò nulla”.
L'aveva detto lui una volta, tanto tempo prima.
Aveva ancora così ragione?

 
  
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