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Autore: beep beep richie    06/04/2020    2 recensioni
IT [ REDDIE!AU ]
Di cosa profuma Richie Tozier? Un quesito simile, prima di quel momento, Eddie non se l’era mai posto. Se ne stava in piedi davanti allo specchio del bagno a fissare il proprio riflesso ed aveva appena finito di constatare che la camicia con le palme di Richie fosse molto, anzi tremendamente larga, cazzo. Di cosa profuma Richie Tozier? Di stupido, innanzitutto. Aprì gli occhi e si rese conto di star sorridendo, piuttosto soddisfatto, ma farlo in assenza del suo amico gli sembrò un attimo dopo un po’ sciocco. Che gusto c’era ad insultare Richie se quello non poteva sentirlo? Se lo figurò proprio: s’immaginò quello che, ridendosela, quella sua risatina del cazzo, gli diceva che insultarlo in sua assenza fosse poco producente e poi faceva un’imitazione di qualcosa che Eddie non conosceva. «Sta’ zitto, Richie!» Un. Attimo. Cavolo. «Oh, perfetto, adesso per colpa tua mi metto anche a parlare da solo!» Era peggio di un’infezione, Rich gli avrebbe fatto venire una malattia mentale e non andava bene, oh, non andava proprio bene. Se gli avesse fatto venire una malattia, sua madre ne sarebbe uscita pazza.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il piccolo, sporco segreto di Richie

 
Correre si stava rivelando il migliore dei rimedi alla malattia chiamata pessimo umore (o cuore spezzato) di Eddie Kaspbrak. Non era come scappare dai problemi, non era neanche come superarli o dimenticarli. Era solo correre, correre così forte da rischiare di perdere il respiro, ma correre così forte da sentirsi forte, talmente tanto da non aver nemmeno bisogno dell’inalatore, talmente tanto da credersi invincibile. Persino con l’impatto considerevole dell’aria contro il proprio volto, il vento nella sua corsa opposta che cercava di frenarlo, Eddie riusciva a correre senza dannarsi l’anima per un altro rischio che stava correndo: prendersi un bel malanno. In fondo quale idiota correva in inverno con quella felpona indosso, il sudore che scendeva a rivoli lungo la schiena e dalla fronte, senza neanche prima fare un po’ di riscaldamento?
Stacey si era rivelata una degna avversaria, gli stava alle calcagna, ma Eddie era più veloce. Aveva l’adrenalina a mille e sapeva che avrebbe vinto, però non si sarebbe adagiato sugli allori per non rischiare di venire sconfitto sul finale con uno sprint della nuova arrivata. Negli ultimi dieci metri, così, decise di mettere il turbo ed a sole tre falcate dall’arrivo riuscì a sorridere, fiero. A quelle tre falcate dall’arrivo, però, un tonfo ed un grido lo fecero fermare all’improvviso e voltare indietro. Mancava così poco per vincere...
Stacey doveva essere inciampata con un volo appena laterale, era a terra un po’ dentro ed un po’ fuori dalla pista e si teneva un ginocchio con un’espressione sofferente. Eddie esitò per un momento pensando quasi di lasciarla lì a soffrire, ma si maledisse non appena si rese conto di aver pensato una cosa troppo cattiva e corse da lei.
 
«Che è successo?» si preoccupò allora, inchinandosi verso il corpo della ragazza e studiando la situazione. Notò che il pantalone in un punto s’era insozzato con un po’ d’erba e dava a pensare che il ginocchio di Stacey – sotto il tessuto – si fosse bello che sbucciato.
 
«Mi si è slogata una caviglia!» informò, alludendo all’altra, quindi si morse il labbro per il bruciore del ginocchio. «Correndo avrò messo male il piede e sono scivolata! Cazzo, mi brucia il ginocchio!»
 
«Stai tranquilla!» prese allora in mano la situazione quello che secondo Richie era il miglior dottore di tutta Derry. «So che ci vuole, ho l’occorrente nel marsupio!» Perché ormai le ore di lezione erano finite e non avrebbero trovato nessuno a poterli medicare. «Poggiati a me!» fece, aiutandola a tirarsi su, ma lei mostrò di riuscire comunque a camminare per conto proprio andando piano. «Mi fai vedere la ferita e ti passa con una velocità assurda! Ci so fare, gli altri si fanno sempre male!» Soprattutto Richie ed era sempre lui a curarlo.
 
Quando furono sotto gli spalti, Eddie accovacciato sulle ginocchia e Stacey seduta sull’erba secca, le vennero arrotolati i pantaloni su di una gamba fino alla ferita – per essersi solo sbucciata il ginocchio, ci era andata giù pesante – e lì il cervello del ragazzo in automatico elencò l’occorrente per curarla come un’eccellente prescrizione medica.
Aprì il marsupio e tirò fuori l’inalatore, le sue pasticche, alcuni medicinali di cui nemmeno i suoi amici conoscevano il nome, alcuni cerotti e... dov’erano finiti? Cacciò tutto fuori e continuò a non trovare quello che aveva in mente. Dov’è finito?! Non l’ho mai tolto di qui! E ora come... Non solo sembrava spaesato, ma Eddie si sentiva in colpa per non avere ciò che serviva e non poteva aiutare Stacey solo con un po’ d’acqua, un fazzoletto ed un cerotto.
 
«Io... io credevo... erano qui!» Continuò invano a cercare nel marsupio. «Lo so che erano qui, sono sempre qui! Non è possibile!»
 
«Cosa?» domandò Stacey.
 
«Il rotolo di bende ed il mini-flacone di acqua ossigenata! Io... Non è possibile!»
 
Prima che potesse trovare metodi alternativi per risolvere la situazione o suggerire di provare ugualmente a passare nell’infermeria della scuola, altrimenti dritti in farmacia, Stacey fece un verso di dolore per via dell’incidente e poi uno che sembrava più quello di un’adolescente in crisi per... beh, cose da adolescenti, qualsiasi quelle fossero.
 
«Non posso presentarmi a casa così, mio padre mi uccide! Quando ero piccola mi facevo sempre male con i pattini ed è per questo che me li ha tolti, le ferite gli fanno senso e da quando...» Si interruppe e scosse la testa. «Non ci torno a casa, neanche per sogno! Non mi importa se è solo un ginocchio sbucciato, Eddie, tu non conosci papà, io non posso!»
 
A chiunque sarebbe potuta sembrare esagerata una reazione del genere, ma lui la capiva benissimo. Sua madre impazziva per la febbre del figlio persino quando non ce l’aveva. Sospirò.
 
«Mi dispiace tanto.» concluse, riponendo tutto nel marsupio. «Forse...» iniziò, non avendo ancora pronta in verità alcuna proposta. Però ce l’aveva Stacey.
 
«Posso venire a casa tua?»
 
«Eh?!» Eddie si allarmò. «Assolutamente no! Scusa, ma anche mia madre mi uccide se io o chi passa le giornate con me ci facciamo male, al massimo ti posso accompagnare in farmacia!»
 
«È che mi servirebbe anche un po’ di sapone bello efficace per i pantaloni!» Puntò ad essi col mento, facendo notare quanto fossero sporchi. «Papà potrebbe fare due più due!» Nel frattempo si massaggiò il piede che aveva detto essersi slogato e fu quel gesto a far capire a Eddie una cosa orribile: avrebbe dovuto accompagnare Stacey a casa. Di fronte a Richie, per di più, perché era lì che abitava. Diavolo, non poteva imparare ad andare in bicicletta?!
 
«Non lo so...»
 
«Eddie!» parlò subito lei. «Per favore! Per favoore per favore per favooore! Non mettermi in questa situazione!» Sì, però sei stata tu a proporre questa gara. «Ti assicuro che non ti metto nei guai con tua madre, le dico che tu mi hai solo assistito perché sei premuroso e gentile e un ottimo amico, ero solo io a correre e sono inciampata! Per favoooore!»
 
Che situazione di merda.
 
Non bastava aver avuto una mattinata da suicidio per colpa di Stacey, ci mancava che quella si autoinvitasse a casa sua mettendolo per di più a rischio. Eddie, però, non poteva lasciarla lì. O forse poteva? Si sentì nuovamente una persona del cazzo per averci anche solo pensato prima di invitarla sulla propria bici. Lei si strinse a lui e gli venne quasi da vomitare, ma era solo una sensazione (una brutta sensazione) e si sforzò di ingoiarla. Iniziò a pedalare. Correre con la bici non era come farlo con le proprie gambe e farlo con un peso dietro ed un altro sullo stomaco in quel momento risultava più complicato, ma doveva farcela.
 
Quando raggiunsero casa Kaspbrak, Eddie si raccomandò alla compagna di parlare il meno possibile con sua madre e di non stupirsi se quella sembrasse un pochino fuori di testa. Effettivamente Stacey ebbe la sensazione che Sonia avesse qualche rotella fuori posto quando, entrati, la donna (più grossa di quanto lei potesse immaginare) ne fece un dramma perché stamattina suo figlio era scappato di casa per andare a scuola.
 
Stacey sembrava avere lo stesso problema del Tozier, quello di avere la Boccaccia, perché nonostante le raccomandazioni dell’altro fece un commento non richiesto. Disse: «È buffo, signora. Mio padre di solito si lamenta di me perché voglio restare a casa, non il contrario.»
 
Fu in quel momento che il cazziatone a Eddie per la ribellione di quella mattina terminò e la donna spostò tutta la sua attenzione su una ragazzina che non aveva mai visto.
 
«E tu chi sei, signorina?»
 
«Mi scusi.» rispose lei, alludendo alla maleducazione di non essersi presentata prima. «Mi chiamo Stacey, sono una compagna di classe di Eddie!»
 
Sonia la studiò per bene, accorgendosi anche dello stato dei suoi pantaloni, quindi concluse: «Eppure conosco tutti i compagni di scuola di mio figlio e non mi sembra di averti mai vista né sentita prima!»
 
«Oh...» Stacey rise come se si sentisse in imbarazzo. «Sono arrivata in questa città da poco, sono nuova!»
 
Eddie già si immaginava sua madre a fare un altro dramma perché non la conosceva e magari quella ragazzina era una poco di buono e non poteva stare con lui (per una volta avrebbe dato volentieri retta a sua madre), perciò convenne tra sé e sé che fosse il caso di mettere fretta ad entrambe.
 
«Si stava allenando in campo, ma è inciampata! La aiuto a disinfettarsi la ferita e torna a casa!»
 
«Allenando a che cosa?» volle informarsi la signora Kaspbrak.
 
«Cento metri!» rispose Stacey, ma Eddie l’aveva già trascinata via.
 
Non gli sembrava molto gradevole l’idea di lasciare il nemico solo nella propria stanza, ma dovette farlo mentre prendeva in bagno l’acqua ossigenata e le bende. Quando tornò in camera Stacey era seduta sul letto proprio dove l’aveva lasciata ad attenderlo zitta zitta.
 
«Carina la tua stanza! È proprio il tuo ritratto!» disse, dopodiché aggiunse: «Comunque ti ringrazio, Eddie-Freddie! Sei il migliore!»
 
Sì, certo.
 
«Figurati.» rispose mettendosi al lavoro. Però pensò fosse d’obbligo precisare: «Ma quando abbiamo finito te ne vai davvero.»
 
«Mh mh!» concesse lei prima che lui iniziasse a medicarla. Un “Ahi!” di qua, tanti “Cazzo, brucia!” di là e la ferita fu pulita, disinfettata e coperta.
 
«Brucia tanto adesso così non brucerà dopo!» informò Eddie alla fine, raddrizzando la schiena e tornando a posare i materiali in bagno. A questo punto non restava che pulire i pantaloni dall’erba! Di nuovo nella propria stanza, disse: «Bene, fra qualche ora puoi togliere tutto, ora d-... Stacey?» Corrugò la fronte. Dove... dove cazzo era?! Sicuramente non stavano giocando a nascondino. Oh no. Anzi: «Merda.»
 
Si precipitò in salotto e lì trovò la brutta stupida a parlare a sua madre. A giudicare dallo sguardo di sfida che le stava rivolgendo e da quello contrariato che stava ricevendo, Stacey aveva detto qualcosa di molto sbagliato, o stava per dirlo. Qualsiasi cosa fosse... non prometteva bene.
 
Dio, ti avevo chiesto di stare zitta!
 
«Non tutti hanno questa possibilità! Non mi sembra che Eddie abbia un padre per esempio!»
 
Sicuramente Sonia ne aveva approfittato ed aveva chiesto a Stacey della sua famiglia, sensato. Meno sensato pareva ciò che la ragazza aveva detto, anche perché nemmeno Eddie sapeva niente della famiglia di lei.
 
«Non ti permetto di parlare di certe cose in questo modo in casa mia e soprattutto davanti a Eddie! Suo padre è venuto a mancare per una terribile malattia molto tempo fa!» Quella con la lettera C che mai veniva nominata, poiché terribile. Ora infuriata, la donna continuò: «Questo è un discorso ben diverso!»
 
«Onestamente, signora, a me sembra esattamente lo stesso discorso! Sarebbe un discorso diverso se mettessi in mezzo mio zio!»
 
«E cosa dovrebbe c’entrare tuo zio in questa storia?»
 
«Lui ha un compagno! Due uomini, una casa! Oh, e pure un cagnolino!»
 
...
Cazzo.                                                                                      
 
«Se hai intenzione di metterti a profanare questa casa, signorina, fuori!» Il crocifisso appeso al muro effettivamente aveva il suo perché. Sonia era rossa di rabbia ed aveva un grosso dito puntato verso la porta del salotto.
 
«Non mi dica che le fanno schifo gli omosessuali!» Certo che le facevano schifo ed in realtà facevano schifo anche a Stacey, o meglio le facevano ridere per quanto facessero schifo, ma perché il suo piano non fallisse non dovevano farle schifo. «Non siamo mica nel Medioevo! Anche se dopo questa potrei benissimo scambiarla per una strega! Sa, in quel periodo le donne-»
 
Sonia interruppe Stacey, avvicinandosi pericolosamente a lei affinché questa indietreggiasse. Furiosa ed imponente, doveva sembrare molto minacciosa.
 
«Tu, piccola indisponente!» fece. Nello stesso istante Eddie spalancò la bocca. «Questa conversazione è finita e se ti avvicini a mio figlio sarò costretta a farti punire da qualcuno!»
 
«Ecco un’altra cosa strana.» osò Stacey, senza arrendersi. «Non le piace che le venga dato della strega, eppure da quello che ho studiato era soprattutto la Chiesa a voler uccidere le streghe e se lei è fissata con la Chiesa ed odia tanto gli omosessuali...!» Quanto si tratteneva dall’usare termini come froci o finocchi!
 
Lì Sonia non resse e la prese per un braccio per trascinarla verso l’ingresso e sbatterla fuori di casa.
 
«Non parlare più con Eddie, sono stata chiara?»
 
«Mamma!» urlò suo figlio. Per quanto volesse Stacey fuori dalla sua vita tanto quanto la madre, non poteva permettere che quella la maltrattasse così. Insomma, perlomeno non la toccasse così malamente! Inoltre non c’era bisogno che sua madre lo aiutasse, ci poteva benissimo pensare Eddie alla propria vita.
Stacey si liberò dal braccio ma acconsentì ad avvicinarsi all’uscita, nonostante neppure avesse lavato i pantaloni ed aveva detto che non voleva presentarsi in casa propria in quello stato.
 
Cazzo, ti avevo detto di non parlare troppo, pensò Eddie quando l’altra ebbe però di nuovo parlato.
 
«Troppo tardi, signora.» “Ormai Eddie è mio amico” era inteso, anche se non era così. Questa frase avrebbe rischiato di far saltare la gita in montagna al ragazzo, Sonia sarebbe stata capace di non mandarlo solo per farlo stare lontano dalla compagna e già lui era convinto che in ogni caso lei non ce lo volesse mandare proprio, in gita. Che palle, Dio! «E comunque fossi in lei aprirei un po’ di più la mente del cazzo che si ritrova! E se suo figlio fosse omosessuale?»
 
«Mio figlio non è quella cosa!» s’infuriò di più lei.
 
«Cosa? Gay? Le fa schifo anche solo pronunciarlo?» Stacey rise amaramente. «Mettiamo che Eddie sia gay!»
 
Non c’era niente da mettere, in particolare l’uso del congiuntivo perché Eddie era gay. Aveva appurato da un po’ di tempo che le ragazze non gli piacevano, ma se anche fosse... lui era innamorato del suo amico. Questo lo rendeva comunque gay, no? E questo lo fece sentire chiamato in causa. Lo fece diventare in volto bianco come una mozzarella dal terrore di sentire il continuo di questa conversazione del cazzo e iniziò a fargli mancare il respiro. Ecco che respirava male.
 
«Mio figlio non ha nessun problema al cervello! Lui sa benissimo cosa è giusto e cosa è sbagliato e mai, mai avrà per la testa un ragazzo, l’ho tirato su io e non ammetto che si pensi che abbia fatto un brutto, sporchissimo lavoro!»
 
«Sporco? Quindi le farebbe schifo se suo figlio fosse gay!»
 
Sonia non ci vedeva più dalla rabbia perché la signorina continuava a parlare come se a suo figlio potesse piacere un ragazzo, cosa che non stava né in cielo né in terra, ma rispose, avrebbe risposto fino alla fine perché doveva vincere lei, questa storia doveva concludersi con un ragazzino eterosessuale in ogni periodo pronunciato, anche nel più ipotetico. E lui lo aveva capito, perché stava per avere il più silenzioso dei suoi attacchi d’asma. Oltre che di cuore.
 
«Naturalmente! È una cosa sporca e forse lo sapresti se non lo fossi anche tu! Mi potrebbe venire un infarto se mio figlio entrasse in casa con un fidanzato e preferirei mi venisse piuttosto!»
 
Chissà se era vero che lo preferisse, l’infarto al figlio col fidanzato. Forse no, secondo Stacey lo diceva solo per farle capire meglio il concetto, ma a lei andava bene così. Anzi, la signora Kaspbrak le stava persino facilitando il lavoro. Non restava che voltarsi verso Eddie e finalmente scoprire la sua reazione.
In quel momento il ragazzino stava stringendo con quanta più forza possibile il suo inalatore, rischiando quasi di spappolarlo con le sue stesse dita, neanche fosse l’Incredibile Hulk. Stava tremando ed aveva la bocca spalancata, ma l’aria sembrava non entrare e fare comunque il cazzo che voleva.
 
Eddie sapeva quanto religiosa fosse sua madre e sapeva pure quanto ritenesse sbagliato l’amore tra due persone dello stesso sesso, ma sentirglielo dire faceva più male. Sentirglielo dire mettendo che proprio lui fosse gay e non un ragazzo qualunque, no, proprio lui, suo figlio, era un duro colpo. Era come se qualcuno gli avesse strappato via un polmone e l’altro fosse tenuto stretto in un pugno alla base, se sei gay te lo stringo più forte, se sei etero te lo lascio, era permesso così poco passaggio d’aria ed il cuore da solo non ce la faceva a tenerlo in vita, batteva sempre più piano anche lui e gli occhi iniziavano a vedere solo buio attorno. Eddie lo sapeva, cazzo, lo sapeva già. Non era che il tempo trascorso servisse a rendere sua madre meno omofoba, sapeva anche questo. Però sentirsi dire che avrebbe preferito morire piuttosto che avere un figlio così... che razza di delusione era Eddie per lei? Che razza di delusione sarebbe stato se lei avesse saputo? Quanto doveva far schifo? Dio, quanto? E non solo a lei, doveva far schifo a tutti, avrebbe fatto schifo anche a Richie se lui avesse saputo, anche ai suoi amici. No, tentò di ripetersi, i miei amici non sono come mia madre, loro capirebbero. Spero. Una parte di lui si era rotta, voleva urlare a sua madre che lui lo fosse, omosessuale. Cazzo. Ce l’aveva il coraggio, Eddie era coraggioso, Eddie poteva urlarlo a tutta Derry che amasse Richie Tozier. Ma l’altra parte di lui gli diceva: cosa credi? Tu non ce le hai le palle. Non le avrai mai. Sei debole. Tu fai schifo. Meglio se stai zitto e la smetti di deludere tutti. Vuoi fare schifo, Eddie? Vuoi che tutti sappiano che fai schifo? Se non fosse stato un lebbroso, se fosse stato Richie Tozier, glielo avresti succhiato l’uccello? Eddie, Eddie, Eddie, disgustoso Eddie... Nessun Richie Tozier ti chiamerà più Eds. Forse Schifeds. I suoi occhi gli bruciavano. Anche le dita che stringevano l’inalatore.
 
«Eddie!» esclamò Stacey, come sorpresa da quello che vedeva, come un’amica che voleva aiutarlo, ma invece aveva parlato solo affinché anche la donnona qual era sua madre spostasse gli occhi su di lui. «Stai bene?»
 
Sonia mollò la presa e si preoccupò del suo bel bambino.
 
«Tesoro, non ti preoccupare! Usa l’inalatore, Eddie, va tutto bene!» Sotto l’ordine della madre, lui lo fece. Click. Una, due volte. Ma lei aggiunse: «Lo so che non sei così, non c’è problema!» Perché secondo Sonia lui stava andando nel panico per via delle sciocche alternative di un Eddie Kaspbrak gay. Questa supposizione non lo fece sentire meglio, ma Sonia si era già voltata nuovamente verso Stacey per intimarle di sparire e per sempre.
La ragazza fece come le venne detto e aprì la porta si casa.
Caso volle che fuori qualcuno stesse per bussare – qualcuno che non bussava quasi mai perché a Sonia non piaceva, era meglio infilarsi in casa Kaspbrak entrando dalla finestra di Eddie. E allora perché diavolo proprio questa volta doveva presentarsi alla cazzo di porta?!
Richie doveva aver convenuto con Stan che i due fossero andati via dalla scuola e forse avrebbe trovato Eddie in casa sua. E infatti...
 
Il corvino ebbe un solo istante per guardare negli occhi del suo amico, che lo ricambiava, ed ebbe un solo istante per accorgersi che fosse in corso una catastrofe.
 
«Guardi un po’! Magari proprio con lui!» continuò Stacey con le sue frasi... ipotetiche. «Se suo figlio se la facesse con Richie? Che farebbe?! Li ammazzerebbe o si ammazzerebbe allora?»
 
La porta venne sbattuta in faccia a Stacey e Richie. Il secondo confuso, la prima soddisfatta, ma non lo dava a vedere, finse del disappunto. Gli disse che forse la madre di Eddie la odiava, ma venne rassicurata dal fatto che neanche Richie, che era suo amico da anni, le piacesse. (E il sentimento era ricambiato.) Mostrò al corvino le sue ferite e gli chiese di accompagnarla a casa, una volta arrivati gli avrebbe un po’ spiegato cosa fosse accaduto in quella stramba giornata. Titubante, Richie si ritrovò costretto ad accettare. Lo fece solo perché la ragazza sentiva dolore a camminare troppo, ma prima venne pregato.
 
Eddie non ebbe neppure il tempo di chiedersi cosa ci facesse lì Richie, perché Sonia lo tormentò.
 
«Amore, queste non sono le compagnie giuste per te, riesci a capirlo?» E intanto la stretta delle dita attorno all’inalatore si faceva più debole. «Sono brutte influenze, non voglio che tu pensi che improvvisamente diventi giusto qualcosa che invece, lo sai, è sbagliato, sbagliatissimo, così sbagliato che persino Dio manda all’inferno chi lo fa! Ma tu lo sai, lo so che lo sai, tesoro! Voglio solo che te ne ricordi e che per favore non parli più con questa Stacey!» “Neanche con quel Richie Tozier” avrebbe potuto benissimo aggiungere, ma ormai persino lei ci aveva quasi rinunciato: quel mostriciattolo fastidioso dell’amico di suo figlio era peggio del prezzemolo e alla fine c’era sempre.
 
Eddie guardò negli occhi sua madre per lunghi istanti e Sonia si sentì come letta dentro. Solo che Eddie non stava leggendo dentro lei. Stava leggendo dentro se stesso. All’inizio rispose semplicemente: «Stacey non è mia amica.»
 
«Oh, bene così! Lo sai che lo faccio per te! Voglio che tu stia bene e che-»
 
Ma poi disse altro.
 
«Però non era sbagliato quello che ha detto.» Amo Richie.
 
«Pisellino! Ti ha già condizionato?! Lo sai che è sbagliatissimo! Lo sai che sono sbagliate le persone così!»
 
«Non riesci proprio a dirlo, ma’?»
 
Sonia, scioccata e soprattutto terrorizzata, domandò: «Cosa, amore mio?»
 
«Gay. O omosessuale, se preferisci. Ti fa schifo anche solo dire quella parola? Come se... come se fosse maledetta?»
 
Sì. Come se fosse maledetta. Come quella città del cazzo in cui abitavano.
 
«Eddie...»
 
Scosse la testa, decidendo di lasciar perdere. Se avesse continuato... sapeva benissimo come sarebbe andata a finire, sarebbe esploso e la verità sarebbe saltata su tutti i muri di quella cazzo di casa, l’avrebbero sentito pure i vicini. Decise di lasciar perdere e di cambiare argomento anche prima di scoppiare di nuovo a piangere. Come quella notte.
 
«C’è la gita con la scuola. È una settimana bianca. Non è molto lontano e le montagne non sono neanche così alte, non ci sono nemmeno piste nere su cui sciare. Non si scia solo, comunque. Ho tutto scritto nel diario. Puoi firmarmi l’autorizzazione?»
 
Sonia non trovava alcun nesso tra questo discorso ed il precedente ed in effetti non c’era. Bisognava solo lasciar perdere e andare avanti. Eddie posò l’inalatore nel marsupio.
 
«Lo sai benissimo che non puoi sciare!» rispose lei.
 
«Va bene.» concesse per ora, tanto se anche avesse sciato lei non lo avrebbe saputo. «Posso fare attività alternative mentre gli altri sono in pista.»
 
Ma dopo cinque minuti Sonia non si era lasciata convincere ed aveva spiegato innumerevoli cazzate per cui fosse pericoloso e lui non potesse andare in gita coi suoi amici. E dopo quei cinque minuti Eddie aveva dato segno di arrendersi ed era tornato in camera sua.
Avrebbe dovuto fare tanti di quei compiti, ma non sarebbe riuscito a farne neanche mezzo. Così, sotto le lenzuola, cercò di dormire. Sonia non se ne accorse per fortuna, ma aveva di nuovo chiuso la porta a chiave, così se ci fosse stato il pericolo di piangere nuovamente non sarebbe stato scoperto.
 
 
*
 

Un'oretta prima

 
Era difficile zittire Richie Tozier, non per niente lo chiamavano Boccaccia. C’erano tre cose, però, che lo facevano ammutolire: i beep-beep, Eddie quando ci si impegnava e infine le situazioni belle gravi. Quelle durante le quali se avesse detto qualcosa di stupido per sdrammatizzare sarebbe apparso così dannatamente insensibile che probabilmente avrebbe dovuto tirarsi un pugno in faccia da solo. O quelle in cui era stesso lui a sentirsi talmente a disagio da arrossarsi in volto e sperare che improvvisamente i suoi occhiali da vista si trasformassero in occhiali a specchio. In questo momento Stan sapeva molto bene che il suo amico si sentisse a disagio, per questo attese in silenzio che si facesse coraggio e riprendesse a parlare. Sapeva che avrebbe parlato, sapeva che lo avrebbe fatto a lui e l’aveva già invitato abbastanza a farlo. Lunghi istanti dopo, infatti, Richie si aggiustò gli occhiali sul naso e aprì quella Boccaccia. Lo fece con gli occhi tenuti bassi sul pavimento del corridoio della scuola.
 
«Ieri mentre fumavamo in cortile Stacey mi ha chiesto di dormire da lei.» iniziò. L’idea era di cominciare dal principio per temporeggiare (ora che doveva dire la verità, la fretta che aveva di trovare Eddie pareva scomparsa), ma in fondo, per quanto Richie fosse bravo a parlare, non era da lui temporeggiare. Stan sapeva già che lui aveva dormito a casa di Stacey, non poteva ripetere le stesse cose solo perché aveva una fottuta paura. Prese un bel respiro e sbuffò. «Beh, che vuoi che sia successo, abbiamo parlato, fatto cose, letto un fumetto.» Mosse una mano come a dire eccetera. «E poi ci siamo messi nel letto.» Alzò lo sguardo per controllare che Stan lo stesse seguendo, non che avesse dubbi. Lui infatti era attento.
 
«Nello stesso letto?» chiese solo.
 
«Sì.» rispose Richie. «Ufficialmente dovevo dormire nel sacco a pelo da campeggio che abbiamo tirato fuori per non far spaventare suo padre, però non lo so, mi sono messo nel letto con lei.» Si strinse nelle spalle. «Così.» Abbassò di nuovo lo sguardo. «Mentre facevamo i coglioni lei ha cercato di baciarmi ed io mi sono tirato indietro.» E ancora una volta lo rialzò – lo sguardo. Inarcò un sopracciglio quando notò che Stan non fosse sorpreso. Lui al posto suo lo sarebbe stato! Insomma, era così da lui baciarla! Stupito perciò del fatto che l’altro non lo fosse, Richie rimase in silenzio per qualche secondo di troppo e l’Uris lo invitò a procedere con un’occhiata. «Le ho detto che avevo le labbra screpolate e quindi niente.»
 
Stan non gli credette e si capiva benissimo dall’occhiata che gli rivolse, quella da poliziotto durante un interrogatorio.
 
«Che c’è?» fece il finto tonto.
 
«Perché non mi racconti la versione vera dei fatti?»
 
«Cristo.» si lamentò l’altro, poi sbuffò. «Sei proprio una palla, Stanley!»
 
Quello però gli rispose solo incrociando le braccia al petto.
 
«Okay, okay!»
 
Richie si avvicinò al muro si lasciò scivolare sul pavimento. Stan lo studiò per un istante, poi lo imitò, mettendosi composto con le gambe conserte.
 
«Mi sono tirato indietro.» disse di nuovo. «E le ho detto che non potevo. Lei mi ha chiesto perché, bla bla bla e niente, gliel’ho detto.» Quel bla bla bla l’aveva detto per far sembrare meno seria quella conversazione, per sentirsi meno spaventato, anche se poi quello con cui stava parlando era il suo migliore amico, ma l’argomento era delicato. Era il suo più grande segreto, cazzo. «Le ho detto che non potevo perché mi piace già qualcun altro.» Stan non gli chiese chi, ma il suo silenzio era un invito a farlo. Anzi, Richie se l’immaginò proprio quel “Chi?”, ecco perché disse: «Come chi?! Ovviamente la mamma di Eddie!»
 
Stan non rise. Non era Eddie, certo. Non era Stan quello che rideva ai suoi stupidi scherzi, non era lo stesso. Considerò inutile allora continuare con quella cazzata, decise di buttare lì una risata che gli uscì amarissima e poi di nuovo si strinse nelle spalle.
Ormai toccava dirlo. Eh sì. Mi piace Eddie. Stan era lì che aspettava solo il nome, in fondo. O no? Sì, porca puttana, era il momento. Ma faceva così tanta paura. Più di un pagliaccio assassino.
 
Non se ne era reso conto, ma erano passati ancora più secondi di quando era stato zitto prima. Aveva sempre lo sguardo basso e la sua testa, molto lentamente, veniva scossa. Aveva preso a giocare con un’estremità della propria camicia. Spesso si stringeva nelle spalle, neanche fosse un tic. Neanche dovesse costantemente scusarsi per qualcosa.
 
«Eddie è una grandissima testa di cazzo.» Non lo disse con fastidio. «Siete tutti delle grandissime teste di cazzo, ma Eddie un po’ di più. Tipo quando mi sgrida per roba di scuola, quando fa il saputello perfettino e dice che non bisogna copiare perché è sbagliato.» Rise. «E poi mi prega di copiare matematica durante i compiti in classe. Pssst, Riiiichie! Rich, mi passi l’ultimo? Fa proprio schifo a matematica.» La risata era terminata ma gli era rimasto un sorriso sul volto. «Tipo quando ci compriamo i gelati ma il bis non si può fare perché la carta di credito è della mamma e lui è un fottutissimo tirchio, ma almeno ce li ha i soldi con sé e io non c’ho neanche uno spicciolo in tasca. Piccolo stronzo.»
 
Stan non lo interruppe e Richie andò avanti.
 
«Tipo quando mi minaccia in tutta la sua grandezza perché si rompe il cazzo che arrivo sempre pieno di ferite, cazzo Richie non è possibile che cadi sempre come un coglione! Ti butti a terra di proposito o cosa, e poi è il primo che ferma il sangue e sia mai che qualcun altro se ne occupi. Ti pare, ci deve pensare lui a me.» Ebbe il coraggio di alzare lo sguardo su Stan, ma resse pochi secondi e gli occhi tornarono al caro e vecchio pavimento. «O tipo quando parla, parla, parla, parla, parla, parla, e lo stafilococco e questo, cribbio, è petulaaaante!» Rise di nuovo. Smise. «È la più coraggiosa tra le teste di cazzo. Molto più di quanto creda o di quanto gli voglia far credere quella stronza di sua madre.» Porca puttana, la odio, pensò di Sonia. «È così carino, ha delle lentiggini fottutamente adorabili.» Smise anche di sorridere. Era il momento della verità: «Mi piace.»
 
Non ebbe il coraggio di volgere nuovamente lo sguardo al suo migliore amico per scoprire la sua reazione, anzi, cominciò a straparlare copiando lo stile dello stesso Kaspbrak così che Stan effettivamente non potesse dire niente. Inoltre, se andava avanti, magari lui si concentrava sulla questione di Stacey e non tanto sul fatto che SORPRESAAAA, STANNY, MI PIACE EDS!!!
 
«E quindi niente mi sono trovato fregato perché tanto che ha fatto Stacey ha insistito ed ha voluto saperlo e allora ‘fanculo Stan gliel’ho detto e porca puttana a conti fatti ho paura che glielo possa dire cazzo e-» Come un flusso di pensieri. Senza prendere fiato.
 
«Innanzitutto respira, Tozier.»
 
«Eh, respiro.» fece quello, considerando che non fosse così facile.
 
«Perciò non ti fidi di Stacey e temi che possa riferirlo a Eddie?»
 
A quel punto Richie riuscì ad alzare lo sguardo sul suo amico. Non gli aveva fatto nessuna domanda scomoda e tutto sembrava... così dannatamente... normale... come se non ci fosse alcun problema se a lui piacesse un ragazzo, proprio uno dei Perdenti, proprio Eddie. Improvvisamente tutto era più facile, almeno per quanto riguardava Stan. Il problema con Stacey e Eddie restava.
 
Scosse la testa.
 
«Lì per lì mi sono fidato, non lo so, me l’ha proprio tirato fuori di bocca. Poi va beh, era praticamente notte, lo sai, Stanny, che di notte il cervello si scollega e la Boccaccia parla da sola.»
 
«In realtà pensavo che succedesse anche di giorno, ma grazie per l’informazione.» disse Stan, senza porla come una battuta. «Sai cosa, Rich?»
 
«Cosa?» domandò quello, sperando in una delle perle del più saggio del gruppo. O magari sperando che gli dicesse che in realtà stava sognando e Stacey non aveva mai saputo niente di Eddie.
 
«Ti sei dimostrato il solito coglione, avresti dovuto dirlo prima a me.»
 
Quindi no, non era un sogno purtroppo e Stacey continuava a sapere della sua cotta per Eddie e porca puttana, si trovava ancora con Eddie e il rischio che spifferasse tutto per errore restava e lo spaventava da matti. Sospirò, poggiando bruscamente la testa contro il muro e chiudendo gli occhi.
 
«Che palle.» L’ennesimo errore per Richie Tozier.
 
«Comunque lo sapevo.»
 
Richie non sembrò scomporsi, rimase a dannarsi l’anima lì per terra. Ah no, ad un certo punto cominciò pure a sbattere la testa contro il muro.
 
«’Fanculo ‘fanculo ‘fanculo.»
 
«Finiscila, o ti si romperà l’unico neurone che hai.» Così Richie smise. «Ha promesso che non dirà niente?» domandò Stan.
 
«Diciamo che non abbiamo giurato coi mignoli o col sangue, Urina.» Sbuffò di nuovo. «Sì, insomma, siamo amici e lo sa che non lo deve dire, quella conversazione non è mai esistita.» (Se non era mai esistita, al posto di quella conversazione poteva esserci altro. Sesso, ad esempio. Stacey aveva detto a Eddie che avevano fatto sesso. Ma Richie non ne aveva idea.)
 
«Se è tua amica e non è una sciocca, non credo urlerà il tuo segreto ai quattro venti.»
 
Richie non sembrava tanto convinto. Cioè, magari Stan aveva ragione, ci sperava, però aveva troppa paura.
 
«Ci fidiamo?» chiese all’improvviso.
 
«Eh?» Stan alzò un sopracciglio.
 
«Sì, dico... ci fidiamo di lei?»
 
«Da quando il tuo giudizio dipende dal mio?» Non gli sembrava una cosa da Richie Tozier.
 
«Mi fido di te.» ammise quello, che tanto ormai aveva ammesso troppe cose che solitamente non avrebbe ammesso neanche sotto tortura, stringendosi per l’ennesima volta nelle spalle. «Sei tu l’Uomo, dopotutto.» Quello saggio. E il mio migliore amico. «Se tu ti fidi di lei, mi fido anche io.» Era quello che sperava di sentire: che Stan si fidasse di lei. Altrimenti avrebbe continuato a pentirsi di essersi confidato con Stacey e si sarebbe dato il tormento all’infinito, sperando che lei e Eddie non restassero mai da soli a parlare.
 
Il problema era che Stan non aveva mai detto di fidarsi di Stacey.
  
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