Film > Peter Pan
Segui la storia  |       
Autore: Sky_7    08/04/2020    0 recensioni
Perché qualcuno sceglierebbe mai di essere il cattivo di una storia? Da che esiste la divisione tra bene e male, nessuno si è mai definito cattivo, esistono solo due schieramenti dovuti a due opinioni contrastanti. è sufficiente questo a definire chi è il cattivo e chi il buono? E chi lo decide? Perché, da che mondo è mondo, sono i vincitori a scrivere la storia, che siano buoni o cattivi.
Se non fosse mai stato capitan Hook il cattivo? Se fosse solo stato una vittima delle circostanze, reso folle dai pensieri che non gli fanno trascorrere notti serene, dalla ricerca di quella vendetta contro un demone immortale che gli ha portato via non solo la mano destra ma anche la vita.
---
Una storia in cui le cose sono andate diversamente rispetto a come le conosciamo.
Una storia che racconta il passato, presente e futuro del capitano James Hook, con tutti i retroscena e elementi inediti che racconteranno la sua storia e aspirano a dare un lieto fine a questo personaggio che nella sua lunga, lunghissima vita ha conosciuto solo dolore.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Wendy Darling
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 3

Spalancò gli occhi, svegliato dal suo stesso urlo, ma davanti a sé non vide altro che oscurità. Bruciava come se andasse in fiamme ma quando la mano sinistra andò a toccargli il collo trovò la pelle cosparsa da tante piccole gocce di sudore. Allo stesso tempo si sentiva soffocare, come se le tonnellate d’acqua da cui era stato schiacciato prima fossero ancora lì, tutte concentrate sul suo torace per impedirgli di immagazzinare l’aria che gli serviva. Anche i polmoni bruciavano, come se fosse in apnea.
Non capiva dove fosse, così come non capiva le parole pronunciate dalla persona che gli era accanto.
“No no no. Resta sdraiato, non alzarti” era una voce di donna, la stessa che gli aveva parlato altre volte nella sua incoscienza, ma questa volta aveva la voce angosciata e quasi terrorizzata.
“No... Devo... Devo andare via. Devo andare da lei. È in pericolo”
“Non andrai da nessuna parte se non ti reggi in piedi. E non sarai d’aiuto a lei se morirai” rispose cercando di sembrare tranquilla tamponandogli la fronte con un panno umido e freddo che non fece che aumentare i suoi brividi.
“Come sta?” un’altra voce, maschile questa volta, che Hook dedusse apparteneva al vigliacco che l’aveva steso con un pugno. Quanto tempo prima era successo?
“Non bene. Ha la febbre alta e i punti sulla spalla si sono tirati di nuovo” le loro voci, che Hook smise di ascoltare, andarono a sovrapporsi a frammenti di ricordi confusi. Pan che lo aggrediva alle spalle pugnalandolo al fianco, i denti del coccodrillo che gli laceravano la carne della gamba mentre lo trascinava giù negli abissi, la spada del folletto puntata alla gola di Wendy.
“No... Non la toccare... Lascia andare Wendy” mormorò stringendo gli occhi per il dolore prima di spalancarli di nuovo e mostrare ai suoi salvatori delle innaturali iridi rosso sangue
“Sogna”
“No, delira” rispose la donna correggendo il suo compare “Continua a chiamare questa Wendy”
“Wendy... È la tua donna, capitano?” sarà stato il tono sprezzante e sarcastico, ma al contrario delle parole della donna riscontrò un qualche effetto: Hook girò il capo nella sua direzione, sebbene la vista offuscata gli facesse distinguere solo vaghi contorni della sua figura grazie alla luce di alcune candele sparpagliate per la stanza.
“No, non lo è” era cosciente, così il suo salvatore continuò a parlargli nella speranza di ricevere una risposta
“Situazione complicata?”
“È mia figlia” quella risposta appena sussurrata ebbe il potere di far tornare in sé il capitano, i cui occhi di rimando tornarono azzurri “E io devo tornare da lei”
 
Una splendida giovane donna era intenta a pettinare i lunghi capelli biondo rame mentre i suoi occhi azzurri e lucenti erano fermi sullo specchio della toletta. Per l’occasione aveva deciso di legarli per metà e tenere quindi i morbidi boccoli che ricadevano sulle spalle, aveva già lievemente truccato il viso con un po’ di cipria e un filo di rossetto. Sui gioielli non aveva avuto dubbi: un girocollo di perle, regalatole da James Hook quando era entrata a far parte del suo equipaggio, insieme al fischietto d’argento l’unico oggetto che le ricordava che non era stato frutto della sua immaginazione. Dal fischietto non si separava mai, lo teneva sempre nascosto in una manica o, come in quel caso, intorno al collo, legato a una catenina d’argento che culminava dentro il corsetto.
I suoi genitori non le avevano dato molte indicazioni su quella cena a cui avrebbero dovuto partecipare. Sapeva che era una festa cui era invitata tutta l’alta società londinese, un modo per fare nuove amicizie e, per gli uomini, parlare d’affari in modo meno impegnativo, per altri un modo come un altro per sfoggiare la propria ricchezza.
“Wendy sei pronta?” la voce che arrivò dall’altro lato della porta fu accompagnata da un lieve bussare.
“Scendo subito Michael” la ragazza si specchiò un’ultima volta ammirando la sua figura per intero. Poteva definirsi soddisfatta. Il vestito color acqua marina non eccessivamente scollato la avvolgeva alla perfezione, le manche a quarti arrivavano al gomito e si aprivano poi a calice in più strati di pizzo; la gonna ampia finiva un centimetro prima di toccare terra, in modo che non vi inciampasse camminando. Dopo aver eseguito una giravolta, si avviò fuori dalla sua camera e poi al pian terreno, dove la attendeva il resto della sua famiglia, per indossare il mantello.
“Sei splendida, bambina mia”
“Grazie papà, ma non sono più una bambina” rispose la ragazza avvolgendosi nel mantello di velluto nero che la zia Millicent le aveva porto.
“Ah no? E cosa saresti?” le chiese sempre suo padre celando un sorriso. Wendy gli rispose sollevando il mento per guardarlo negli occhi con fare orgoglioso
“Una donna” suo padre sorrise più apertamente negando con il capo, poi le si avvinò e, tenendole il capo con le mani, le lasciò un bacio sulla fronte
“No, non ancora” era solo un sussurro il suo, ma Wendy lo udì e, forse si sbagliava, ma le sembrava fosse carico di rimpianto. Suo padre era la persona a cui più si era più legata in quegli anni dopo Neverland, non seppe dire se per la sua somiglianza con un certo capitano, se per ciò che aveva scoperto oppure, ancora, per il cambiamento del signor Darling. L’uomo che si era così tanto accusato della fuga dei suoi figli, aveva chiesto più volte il perdono di Wendy, anche dopo averlo ottenuto, e i due cominciarono a trascorrere più tempo insieme, conoscendosi meglio.
“Su su, non vorrete fare tardi. Andiamo” fu l’anziana zia a riportare l’ordine con fare da generale, come sempre, ma infondo aveva ragione. Quella sarebbe stata una serata importante per Wendy, la prima festa ufficiale cui avrebbe partecipato e che per lei e altre giovani sue coetanee avrebbe rappresentato il debutto in società.
La sala da ballo di quel palazzo era addobbato a festa con ghirlande di fiori e bouquet di mille colori sparsi ovunque insieme alle candele che contribuivano a creare un ambiente quasi magico. In mezzo a quelle luci, la primogenita dei Darling sembrava splendere di luce propria.
Bella oltre ogni dire, ben istruita, elegante e portata per le arti, agli occhi del genere maschile Wendy Angela Moira Darling era un ottimo partito, inoltre suo padre lavorava in banca, così come sarebbe presto toccato ai suoi fratelli, un fattore che nessuno avrebbe ignorato. Eppure, allo stesso tempo, per tutti quei gentiluomini Wendy era naturalmente inarrivabile. In un mondo in cui una donna istruita è un insulto alla società, avere per moglie una donna capace di zittire suo marito con poche parole ben studiate era un rischio che nessuno voleva correre. E di questo Wendy faceva la sua arma più potente. A volte avrebbe voluto anche ridere per quanto le veniva facile mettere in ginocchio quei rampolli arroganti, ma si tratteneva per rispetto, se non per i suoi spasimanti, per i suoi genitori. Era cresciuta, Wendy, e non solo nell’aspetto quanto di mente e più il tempo passava più aveva l’impressione, dopo la libertà assaporata prima a Neverland e poi sulla Jolly Roger, di vivere in una gabbia dorata.
“Posso avere l’onore di questo ballo?” la domanda fu posta da un ragazzo alla destra di Wendy. La ragazza lo osservò velocemente: occhi verdi, capelli biondo cenere portati all’indietro, pelle chiara e poco più alto di lei. Nell’insieme aveva un aspetto gradevole e apparentemente solo una pecca: Wendy odiava ballare e lo avrebbe evitato con tutta se stessa. Ciononostante, suo padre le rivolse uno sguardo incoraggiante e non poté sottrarsi a quell’invito. Ballarono un valzer che fu per entrambi una vera agonia: per Wendy perché era più concentrata a non pestare i piedi del suo interlocutore che alle sue chiacchiere, per lui per la poca confidenza ricevuta. La giovane Darling non se ne curò più di tanto. Era annoiata.
Conclusa la danza i due si inchinarono come di rito, dopodiché, poco distante, la signora Darling e la zia Millicent fecero loro segno di avvicinarsi. Wendy notò che suo padre teneva lo sguardo ostinatamente fisso sui suoi piedi e non ne capì il motivo, al contrario John strinse calorosamente la mano del giovane che l’aveva accompagnata nel valzer, evidentemente si conoscevano.
“Oh Wendy cara, vedo che hai fatto la conoscenza del rampollo dei Withmore, il barone Patrick Jasper Withmore, per la precisione” probabilmente il giovane, che lei nella sua mente continuava a etichettare così, si era anche presentato ma l’attenzione che gli aveva dedicato era stata così misera da averlo rimosso. L’anziana zia, invece, sembrava ricordarlo bene e non aveva perso occasione di pronunciarlo per intero con un fare civettuolo che Wendy etichettò come imbarazzante per una donna della sua età. La parte più razionale di lei, e fortunatamente quella prevalente, la obbligò a sorridere solo anziché rispondere in qualche maniera che avrebbe fatto sghignazzare un pirata ma impallidire tutti i presenti perché, ovviamente, avrebbe cominciato con il rimproverare la zia.
“Ma guardateli. Mary, Olga non siete d’accordo con me nel dire che sembrino una splendida coppia?” coppia?!
“Assolutamente sì, cara Millicent. Sicuramente la coppia più bella della sala” questa volta le parole della donna che aveva dedotto essere la madre del giovane non potevano essere fraintese e la parte più indomita di lei, quella che le lezioni di etichetta e di buone maniere non erano mai riuscite a domare, decise di intervenire.
“Avete detto bene, cara zia” esclamò con tono piccato, enfatizzando molto sull’appellativo con cui si rivolse alla donna “Sembriamo una bella coppia, ma mi sembra inopportuno e fuori luogo parlare di coppia quando le due persone che vanno a comporla conoscono a stento i nomi l’uno dell’altra. Tanto più sapendo che non ho alcuna intenzione di sposarmi con un completo sconosciuto” i suoi fratelli si guardarono preoccupati riconoscendo lo sguardo furente della maggiore, uno sguardo che poche volte le avevano visto e, più che altro, quando da bambini giocavano ai pirati.
“Oh tesoro, non c’è niente di male” si sentiva morire Mary Darling mentre si accingeva a ripetere a memoria il discorso che si era preparata nel caso in cui sua figlia avesse avuto una tale reazione. Non era nelle sue intenzioni farle sapere in questa maniera cosa sarebbe successo da lì in avanti e solo Dio sapeva quando desiderò in quel momento di aver avuto più tempo per prepararla. Ma, ahimè, il destino ti aspetta sulla strada che hai scelto per evitarlo
“Tanto più se i due in questione non sono affatto degli estranei o almeno non lo saranno ancora per molto” esclamò Millicent
“Non credo di capire” fece tutto ciò che era in suo potere per impedire che la voce le tremasse, ma evidentemente non era abbastanza forte. Il risultato fu una voce sì ferma ma decisamente più acuta del normale, sembrava quasi un singhiozzo mal celato.
“Semplice ragazza mia, voi siete fidanzati... E a tal proposito cara Olga, che ne diresti di fissare il matrimonio per la prossima estate?” Wendy non ascoltò nient’altro dei loro successivi frivoli discorsi. Osservò uno ad uno i presenti: le donne parlavano di fiori, merletti e chissà cos’altro; i suoi fratelli invece si intrattenevano in chiacchiere con il giovane Withmore; per ultimo Wendy guardò suo padre. Di tutti, solo quest’ultimo incontrò i suoi occhi chiari velati di lacrime e delusione. Avrebbe voluto urlare, ma non lo fece. Scosse il capo mentre le prime lacrime sfuggirono al suo controllo e prima che suo padre, o chiunque altro potesse fermarla, si allontanò. Dapprima camminando, poi i passi si fecero sempre più veloci finché non si trovò a correre via senza una meta e senza sentire le voci dei suoi familiari che provarono a seguirla.
“Papà tu credi che io sia carina?”
“Certo che sì, Wendy. Che domande!”
“E pensi che, perciò, che tra non molto potrei iniziare a ricevere delle proposte di matrimonio” continuò con tono apatico. Aveva deciso di prendere quell’argomento, così spinoso che le chiudeva lo stomaco al solo pensiero, durante una passeggiata da sola con suo padre nel parco vicino la loro abitazione. Voleva parlare con lui da soli perché sapeva che fosse più facile farlo ragionare senza la presenza di sua madre o, peggio, dell’invadente zia Millicent. Suo padre, del resto, era un uomo buono ma con un carattere troppo debole per avere il coraggio di mantenere una propria posizione.
“Suppongo di sì. Perché Wendy?” fu suo padre a interrompere la loro passeggiata e girarsi per guardare in faccia sua figlia. Wendy ebbe bisogno di qualche secondo in più per fare altrettanto e non prima di aver preso un profondo respiro, come se l’attendesse una lunga apnea
“Io non voglio ancora sposarmi e non voglio che, quando sarà il momento, sia qualcun altro a scegliere per me. Io voglio essere libera di scegliere da me chi e quando sposarmi. Quando tornai a casa mi dicesti che non avresti mai più permesso che venissi obbligata a fare qualcosa che non volessi, ora ti chiedo di promettermelo. Promettimi che nessuno mi obbligherà a sposare un uomo che non amo”
“Va bene, bambina mia” sussurrò lasciandole un bacio sulla fronte “Te lo prometto”
Glielo aveva promesso ma aveva appena rotto la promessa. I singhiozzi che le mozzavano il respiro, così come la vista offuscata dalle lacrime, la obbligarono a fermare la sua corsa, era finita nel parco cittadino. Sempre scossa dai singhiozzi, si lasciò scivolare con la schiena contro il tronco di un albero e il suo sguardo ceruleo si perse nel vuoto per un tempo che le parve infinito. A ridestarla furono i rintocchi del Big Bang, di cui poteva vedere la sagoma. Le dieci di sera, assurdo quanto il tempo fosse trascorso velocemente. Fortunatamente nessuno l’aveva ancora trovata, perché aveva bisogno di rimanere da sola. Poi un pensiero le balenò in mente facendole sgranare gli occhi. Esisteva un posto dove non l’avrebbero mai trovata, un posto in cui il tempo non scorreva e dove nessuno l’avrebbe più obbligata a fare qualcosa contro la sua volontà, un posto dove per qualcuno la parola data era legge, un posto che, nel sui sogni, chiamava casa. Con la mano sinistra andò a sfilare la catenina d’argento per poi stringere con forza il fischietto
“Portami via, portami a Neverland... Portami a casa” sulla Jolly Rogers non lo aggiunse, ma non fu necessario. Seguì il suono appena udibile del fischietto. Nel giro di pochi secondi la ragazza fu circondata da una innaturale luce gialla e argento, una luce che videro fin ai cancelli del parco, e in un battito di ciglia Wendy scomparve mentre il fischietto d’argento cadde senza produrre alcun suono sul manto erboso ordinatamente tagliato e umido di rugiada.

Il volo, esattamente come la prima volta che giunse a Neverland aggrappata al piede di Peter Pan, durò meno di un minuto, ma l’atterraggio fu molto diverso da come aveva immaginato. Se la prima volta si erano fermati appollaiati su una nuvola a spiare i pirati della Jolly Rogers, questa volta si trovò a rotolare giù per una collina a causa di una storta al piene non appena si trovò a terra. La collina in questione, con la sua erba alta e i sassi sparpagliati qua e là, non era di certo adatta alle scampagnate e non trattenne un’imprecazione quando posò la mano sul fianco che le doleva a causa del passaggio su un sasso particolarmente appuntito, sicuramente le sarebbe venuto un livido. Non ci volle molto perché questo pensiero fu spazzato via quando le giunsero alle orecchie delle voci familiari.
“Jukes sei sicuro che sia caduta da queste parti quella stella?”
“Credi che stia mentendo?”
“No, ma sarebbe potuta finire dall’altra parte della montagna, non è che con quella benda ci vedi poi così bene”
“E di chi sarebbe la colpa del mio occhio pesto, Cecco?”
Wendy aveva gli occhi illuminati di una gioia che credeva di aver dimenticato, mentre piano raggiungeva la spiaggia illuminata dalla luce del sole che riusciva già a vedere anche dal folto della boscaglia.
“Su su, non perdete tempo e andate a controllare in giro” a quella terza voce Wendy accelerò il passo, oltrepassando l’agognato traguardo rappresentato da due cespugli particolarmente vicini
“Signor Spugna!” se il vecchio nostromo non ebbe un infarto in quel momento, nel sentirsi chiamare con quel tono da una voce alta, acuta e chiaramente femminile, ci mancò davvero poco. Si limitò quindi a sobbalzare dallo spavento, perdendo la presa sul suo piccolo pugnale
“Dei del cielo” Wendy non era certa che l’avesse riconosciuta ma tanta era la gioia di essere di nuovo su quell’atollo che sarebbe corsa ad abbracciarlo ignorando le dolorose scarpe con il tacco, ma una quarta voce, austera e roca, attirò l’attenzione di Wendy e degli uomini sulla spiaggia
“FINITELA DI BATTERE LA FIACCA, CANI ROGNOSI!” il capitano James Hook se ne stava in piedi sulla scialuppa che aveva usato per raggiungere la terraferma, in perfetto equilibrio nonostante l’inclinazione dell’imbarcazione arenata e, come sempre, imponente nel suo completo rosso e nero. Seguendo lo sguardo dei suoi uomini, i suoi occhi si posarono sulla figura della giovane donna con indosso un abito da sera verde acqua che sembrava così fuori posto su quella spiaggia.
“Wendy” lo sussurrò solo, perché il suo inconscio l’aveva riconosciuta prima di lui e, prima che se ne accorgesse, lo aveva già spinto a scendere dalla scialuppa per andarle incontro. La ragazza non disse nulla, lacrime di gioia le avevano chiuso la gola, ma le sue labbra si aprirono in un ampio sorriso che le fece quasi male agli zigomi. Un attimo dopo si ritrovò a correre nella direzione del capitano e quasi volare tra le sue braccia che l’afferrarono al volo. Solo allora entrambi sentirono sciogliersi un macigno che neppure sapevano di avere sul cuore. Quanto avevano sentito la mancanza l’uno dell’altra.

“Non pensavo mi sarebbe mancato così tanto questo posto” esclamò la ragazza facendo il suo ingresso negli appartamenti del capitano, dove quest’ultimo la stava aspettando con un calice di moscato nella mano
“Penso che se avessi tenuto quel corsetto un altro secondo sarei morta soffocata” sì, perché la prima cosa che fece giunta sulla Jolly Roger fu chiedere di potersi cambiare d’abito. Non indagò sul dove avessero trovato i pantaloni che indossava, dal momento che sembravano troppo piccoli per appartenere a uno qualsiasi degli uomini dell’equipaggio, così come gli stivali; sopra il corsetto che aveva tenuto, sebbene più allentato, aveva indossato una camicia bianca; infine c’era la giacca rossa con i bordi verdi che Hook le aveva donato quando decise di entrare a far parte della ciurma.
“Ti dona l’abbigliamento da pirata, ma vedremo di procurarci al più presto degli abiti adatti a te” sorrise allegra in direzione di Hook per poi eseguire una piroetta che le mosse i lunghi capelli ondulati e ramati lasciati sciolti sulle spalle.
“Non c’è fretta. Mi piace questo stile, è unico”
“Qualcosa da bere, miss?” esordì Spugna accanto al mobiletto di liquori della collezione privata del capitano
Miss? Signor Spugna sono sempre io, solo un po’ più alta. In ogni caso, volentieri. Scegli tu” il capitano neanche provò a trattenere un ghigno che divenne risa quando l’espressione della ragazza si fece disgustata dopo aver assaggiato il rum per la prima volta. Una risata che, si trovò a riflettere Wendy, non aveva nulla di maligno, solo sinceramente divertita.
“Sembra trascorsa una vita dall’ultima volta che sono stata qui, eppure voi siete identici a quando sono partita. Dimmi capitano, cosa è successo in questo tempo”
“Credevo lo avessi imparato ormai, Jackie, il tempo scorre diversamente a Neverland. Più lento ma non di certo più magnanimo della terraferma... Per il resto non è successo nulla di più di quello che puoi immaginare” fu la lapidaria risposta del capitano, con un tono dettato più dall’abitudine che da un vero astio. Essenzialmente si poteva dire che lo sguardo arcigno e quel tono da superiore fossero parte integrante di lui e del suo carattere, Wendy aveva avuto modo di scoprirlo durante la permanenza sull’isola e, ancor di più, sulla Jolly Roger. Wendy non se la prese per quella ritrovata freddezza che sembrava voler negare il loro abbraccio di poco prima, una parte di lei sembrava conoscerlo come nessun altro.
“Parlami di te piuttosto... Guardati, sei diventata una donna ormai! Non dovresti neppure ricordare questo posto”
“Non avrei mai potuto dimenticare, seppure i miei fratelli l’abbiano fatto. Per loro non resta che una storia da bambini, un gioco... Io ricordo tutto, invece. Ricordo l’isola così come ricordo i giorni trascorsi qui sul vascello...” James non si perse neppure un movimento, una parola o un silenzio di Wendy, non batteva neppure le palpebre per paura di non notare qualcosa che sarebbe potuta essere importante. E sicuramente aveva ragione perché nell’espressione cupa di Wendy lesse un’indicibile tristezza
“Non so perché, ma da quando sono tornata a casa è stato come se recitassi il copione di una recita. Ho fatto ciò che mi veniva chiesto, ho accettato di diventare adulta con tutti gli annessi e connessi, ma fortunatamente alcune libertà in più. Seppur solo nei ricordi, questo era il posto sicuro in cui mi rifugiavo quando qualcosa andava male” rise amaramente mentre faceva oscillare il contenuto del suo bicchiere “Ironico che mi consideri al sicuro sulla nave pirata che al mio arrivo consideravo una sorta di inferno, senza offesa”
“Nessuna offesa, mi sono impegnato sul serio a renderla tale” una battuta infelice che fece ridacchiare entrambi, prima che la ragazza riprendesse a parlare
“E poi quando il mondo mi è crollato addosso non mi è venuto in mente nessun altro posto in cui sarei potuta andare”
“Cosa è successo Wendy? Tu sei impulsiva, ma non di certo al punto di voler fuggire di nuovo da casa”
“Non ora, capitano. Te ne parlerò, ma non ora che la ferita fa ancora male” perché è così che si sentiva, ferita nell’orgoglio ma soprattutto nella fiducia che riponeva in suo padre e non era certa di poterci passare sopra questa volta. Rimasero in silenzio per un po’, lei immersa nei suoi pensieri e lui a guardarla, memorizzando nella sua memoria il suo nuovo aspetto.
“Ma tornando a noi” esclamò di punto in bianco non solo cambiando discorso ma anche atteggiamento. La ragazza, infatti, si sporse in avanti verso il capitano con un sorriso birichino a sollevarle gli angoli della bocca
“Mi hai promesso una storia, capitano, e mi pare di ricordare che mantieni sempre la parola data”
“E tu invece hai sempre un'ottima memoria. Dunque aiutami a ricordare... Dove eravamo rimasti?”
“A quando incontrasti le fate per la prima volta” Hook mascherò un ghigno con il bicchiere di Moscato che si portò alle labbra
“No, non io. James Turner” la corresse con il medesimo sorriso e sguardo
“Giusto, James Turner”
Nessuno aveva mai detto che la vita a bordo di una nave pirata fosse facile, ma altrettanto vero è che James non era e mai sarebbe stato preparato a ciò che l’aspettava a bordo di quella nave pirata. Sebbene i compiti e le mansioni fossero essenzialmente uguali sul mercantile e sulla nave pirata, in quest’ultima mancava ogni qualsivoglia forma di ordine. Come logico, l’organizzazione era di tipo piramidale: c’era il capitano, Edward “Barbanera” Teach; poi c’erano il primo ufficiale, Israel Hands; e il nostromo, Gregor Lasky. Tutti gli altri non erano per James che dei volti senza nome, seppur decisamente poco raccomandabili, mentre lui e Spugna erano gli ultimi arrivati di cui nessuno si fidava, almeno per il momento.
Le ferite non ancora guarite delle frustate bruciavano come il fuoco ad ogni movimento, ma James non si tirava indietro davanti a nessun incarico che gli venisse assegnato, per quanto faticoso fosse. Il risultato era che ogni sera il vecchio Spugna si trovava a dover cambiargli cambiare le fasciature, maledicendo la testardaggine di quel ragazzo.
Nella monotonia, James teneva la mente impegnata appuntandosi nella memoria ogni dettaglio che distingueva la nave e l’equipaggio da quelli su con cui aveva preso il mare, e non erano pochi. Il suo destino era di ritornare a Neverland e ottenere la sua vendetta contro Pan, dopodiché avrebbe liberato Owen e Mary e li avrebbe riportati a casa. Aveva il suo fine, ma era ancora troppo lontano e non possedeva ancora un mezzo per raggiungerlo.
Trascorsero quattro giorni prima che Barbanera lo chiamasse nella sua cabina per un colloquio in seguito al quale lui e spugna divennero a tutti gli effetti membri della ciurma della Queen Anne’s Revenge.
Sfortunatamente James non sapeva molto di navi, se non quel poco che aveva imparato sul mercantile, e Teach decise quindi, senza dare giustificazioni a nessuno, di affiancarlo al suo nostromo. Era un tipo strano Barbanera, un tipo che James non riusciva a inquadrare. Fisicamente era senza dubbio possente, più alto e decisamente più massiccio di James, in larghezza, notò il ragazzo, era quasi il suo doppio; i capelli lunghi e disordinati gli circondavano il viso, la barba ancor più disordinata nei capelli copriva dagli zigomi i giù e nell’insieme del suo viso si vedevano solo gli occhi, piccoli e scuri, e il naso pronunciato, poco per identificare una persona. James rifletté che sarebbe stato facile per un tipo come lui sparire nel nulla e fingere la sua morte: avrebbe potuto far passare chiunque per sé perché sicuramente da anni nessuno vedeva da anni cosa ci fosse sotto quella massa in colta di peli. Vestiva di colori scuri, tendenti al nero, e nonostante fosse al coperto indossava ancora il cappello, probabilmente non se ne separava mai.
Quello trascorso a bordo della Queen Anne’s Revenge fu un anno particolare e pesante per Turner, in accumulò tanta di quelle esperienze che, diceva, gli sarebbero bastate per tutta la vita. Sparkey gli aveva insegnato le basi della scherma, ma imparò a combattere sotto la severa lama di Israel Hands, che più di una volta stava per tagliargli “qualche pezzo di troppo” e sempre Hands gli aveva messo per la prima volta una pistola in mano. Quella giacca rossa da ufficiale inglese era diventato il suo tratto distintivo, si assicurava sempre di averla durante gli abbordaggi e, per distinguersi da coloro che passava a filo di lama, la teneva sempre aperta. James Turner era cresciuto tanto in quell’anno, dimostrando molti più dei suoi diciassette anni, una cosa che aveva già scoperto al suo ritorno da Neverland. Apparentemente sembrava un giovane uomo di vent’anni su per giù, rendendosene conto non aveva mai dichiarato la sua vera età.
“VELE! VELE A EST CAPITANO!” rispondendo al richiamo della vedetta, Teach si fiondò fuori dalla sua cabina e, agguantato un cannocchiale, lo puntò nella direzione indicatagli. James, poco distante, salì metà delle funi che portavano all’albero maestro per avere la visuale migliore possibile per compensare l’assenza di uno strumento che gli agevolasse il compito. Concentrato com’era nel suo intento, rischio di perdere l’equilibrio quando si sentì chiamare
“RAGAZZO! SCENDI DA QUELL’ALBERO E VIENI QUI!” non se lo fece ripetere due volte e riuscì faticosamente a nascondere la sorpresa quando il capitano gli lasciò in mano il cannocchiale, senza mai spostare lo sguardo dalle vele che si vedevano all’orizzonte. James si portò lo strumento sull’occhio sinistro e attese un nuovo ordine che sapeva sarebbe arrivato
“Cosa vedi?”
“Uno sloop a tre alberi, vele quadre. È un vecchio modello... Credo sia una nave schiavile che viaggia solo tra queste isole. Non più di dodici cannoni” Teach annuì senza neppure provare a mascherare il ghigno che gli increspò le labbra sotto quella massa di barba nera come la pece.
“Non credo sia un buon affare. Potrebbe essere di ritorno dopo una consegna e rivelarsi un buco nell’acqua” esordì abbassando il cannocchiale
“Guarda di nuovo ragazzo” anche se poco convinto, James eseguì l’ordine e dovette trattenere un’imprecazione. L’occhio attento e decisamente più allenato di Teach aveva visto giusto
“Movimento capitano, e non è causato dall’avvistamento della Queen... Non capisco, capitano” disse spostando velocemente lo sguardo dal cannocchiale come per paura che potesse in qualche modo ingannare la sua vista. Fu lo stesso capitano a impadronirsi di nuovo dello strumento e puntarlo a sua volta nella direzione della nave.
“Un ammutinamento” disse con la sua voce rauca e possente sorridendo a denti scoperti
“SPIEGATE LE VELE CANI ROGNOSI E PUNTATE AD EST. PRENDETE TUTTI GLI SCHIAVI E LE MERCI CHE OSPITA”
Lo scontro fu quello che gli altri definirono una passeggiata. L’intuito di Teach non aveva sbagliato, non del tutto, ma quello non era un ammutinamento bensì molto scompiglio creato da un unico schiavo che aveva visto nella nave pirata all’orizzonte la possibilità di una nuova vita. Lo schiavo non era che un ragazzo, troppo giovane perché un solo accenno di barba fosse già apparso sulle sue guance, indomiti occhi azzurri che non erano in grado di provare paura. Teach non disse a nessuno ciò che gli passò per la mente guardando quel ragazzo arrabbiato con il mondo intero; Hands, colui che lo conosceva meglio di chiunque altro, direbbe che aveva la stessa espressione di quando vide James Hook saltare sulla Queen Anne’s Revenge durante quella tempesta di un anno e mezzo prima.
“Dimmi un po’, moccioso...” iniziò Teach girando a torno a quel ragazzino come un avvoltoio che scruta la sua preda “Qual è il tuo nome?”
“Vane. Charles Vane, capitano Barbanera” il capitano ghignò sarcastico e gongolante nel sentir pronunciare il suo soprannome dal ragazzino appena conosciuto
“Bene, Charles Vane. Da oggi sarai parte della mia ciurma” decise, perché Barbanera se ne infischiava del parere altrui. Non lo fece rispondere, certo della sua risposta e, quando ormai era di spalle, aggiunse “Per qualsiasi cosa fai riferimento a Turner, sarà lui a istruirti”
James divenne una statua di marmo a quell’ordine implicito, ma era certo di averlo nascosto bene. Per chissà quale ragione, il ragazzino posò lo sguardo su di lui, con la certezza che fosse lui il Turner nominato da Barbanera.


   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Peter Pan / Vai alla pagina dell'autore: Sky_7